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Dante nell'arte: Riflessi iconografici dell'Inferno
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E-book126 pagine47 minuti

Dante nell'arte: Riflessi iconografici dell'Inferno

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La Commedia in generale si propone come un repertorio inestimabile di episodi, di personaggi, di scene. E di figure – sempre allegoriche e tuttavia sempre provviste di saldi legami con la concretezza del mondo. Ancor più nella cantica infernale, ove le situazioni hanno componenti corrusche e i protagonisti, agenti o pazienti che siano, possiedono notevole plasticità, per quanto i loro corpi fisici siano solo apparenti. È inevitabile supporre che Dante sia stato influenzato dalle arti figurative, che a loro volta hanno reagito all’universo dantesco con echi che si sono protratti nei secoli. Del resto, se il poeta coglie per immagini la realtà fenomenica, trasformando le immagini in parole, capaci tuttavia di evocare un preciso immaginario, spetta poi eventualmente all'artista (pittore, incisore, scultore, miniatore) far precipitare l'immaginario in nuove immagini, secondo la sensibilità interpretativa propria e dell'epoca cui appartiene.
LinguaItaliano
Data di uscita15 giu 2021
ISBN9791220815161
Dante nell'arte: Riflessi iconografici dell'Inferno

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    Anteprima del libro

    Dante nell'arte - AA. VV.

    Fraccari

    I volti di Dante

    di Noemi Scandola e Francesco Vacchelli

    La più antica raffigurazione che possediamo del volto di Dante è quella degli affreschi attribuiti alla bottega di Giotto, eseguiti tra il 1330 e il 1337 nella cappella del Palazzo del Podestà di Firenze, oggi Bargello. Fatto, questo, che rinsalda l’ipotesi della conoscenza tra il poeta e il pittore, come farebbero pensare i seguenti versi del Purgatorio: «Credette Cimabue ne la pittura / tener lo campo, e ora ha Giotto il grido, / sì che la fama di colui è scura» (XI, vv. 94-96). Come suppone Umberto Maria Milizia [1] , i due fiorentini potrebbero essersi conosciuti nella loro città, oppure a Padova – l’uno esule, l’altro impegnato negli affreschi della Cappella degli Scrovegni.

    immagine 1

    Bottega di Giotto, Giudizio Universale, part., 1330-37.

    Se è lui, Dante sarebbe stato ritratto nelle sue fattezze antecedenti all’esilio, dopo il quale sarebbe stato impossibile raffigurare un esule, un bandito, e proprio nella cappella del Podestà. Risalirebbe quindi ai primissimi anni del Trecento, se non l’affresco, almeno lo studio preparatorio: quel che vediamo è comunque un Dante giovane e non usurato dalla triste esperienza della forzata lontananza da Firenze; il poeta è attorniato da numerose figure maschili, ed è ritratto di profilo. Va notata l’assenza delle caratteristiche che ormai sono divenute tradizionali: il naso pronunciato e aquilino, la fronte accigliata e l’aspetto severo, il mento sporgente non ci sono. Il volto è invece disteso, giovanile, col naso lungo ma non aquilino. Gli occhi sono piccoli, poco sporgenti, la linea delle sopracciglia è sottile. L’abito è rosso, che sarebbe il colore della Corporazione dei medici e degli speziali, di cui Dante faceva parte. Non è tuttavia da escludere che sia stato proprio Giotto a dare vita alla tradizione di vestire l'Alighieri di rosso. L’artista diede un significato simbolico a questa tinta, decidendo di vestirne le Tre Corone: nelle sue opere, infatti, anche Petrarca e Boccaccio compaiono sempre con tuniche di colore rosso.

    Non c’è concordia fra gli studiosi nel ritenere che il Dante di Giotto sia davvero Dante. Tra le principali motivazioni, la considerazione che il ritratto di Giotto non corrisponda a come Boccaccio descrisse Dante nel suo Trattatello: «Il suo volto fu lungo, e il naso aquilino, e gli occhi anzi grossi che piccioli, le mascelle grandi, e dal labbro di sotto era quel di sopra avanzato; e il colore era bruno, e i capelli e la barba spessi, neri e crespi, e sempre nella faccia malinconico e pensoso» [2].

    Boccaccio però non poté mai incontrare Dante, anche se lui stesso racconta di aver acquisito le informazioni sul poeta da chi lo aveva conosciuto di persona, e per questo la sua testimonianza è attendibile. Egli ci fornisce una descrizione fisica che influenzerà la successiva iconografia del volto di Dante – barba a parte.

    Dal Quattrocento in poi, il volto di Dante sarà raffigurato seguendo due filoni distinti: chi seguirà la descrizione di Boccaccio e chi si ispirerà a Giotto.

    immagine 2

    Giovanni Del Ponte, Dante, inizi sec. XV Andrea del Castagno, Dante, 1447-1449.

    immagine 3

    Andrea del Castagno, Dante, 1447-1449.

    In un esemplare del primo Quattrocento attribuito a Giovanni Del Ponte (dal Codice Riccardiano 1040), Dante è di profilo, con gli occhi decisamente grandi. I tratti del volto sembrano in linea con la descrizione del Trattatello piuttosto che con quella del dipinto di Giotto. Tuttavia, qui si nota subito il copricapo con le lunghe stringhe bianche che coprono le orecchie e scendono fino a ricadere sulle spalle: un dettaglio che, da qui in poi, diverrà una costante. Proprio come ci mostra Andrea del Castagno che, circa a metà del Quattrocento, riconferma gli stessi tratti caratteristici: veste e cappuccio sono rossi, sulle orecchie stanno le stringhe bianche del copricapo lunghe fino al collo, il volto maturo è segnato da qualche ruga, spiccano il naso adunco e il mento sporgente. L’artista colloca il suo Dante in un Ciclo degli uomini e donne illustri , dipinto per il Gonfaloniere di Giustizia Filippo Carducci, nella sua villa di Legnaia [3] . Dante, raffigurato tra i letterati fiorentini insieme a

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