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Il Canto di Atlantide
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E-book510 pagine4 ore

Il Canto di Atlantide

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"Un libro scritto in channelling. Un contatto avvenuto con Guide Spirituali che mi hanno svelato un viaggio da scoprire pagina dopo pagina. Il viaggio in una terra dove Luce e Oscurità si amalgamano raccontando il mistero di una civiltà che ha forgiato il destino dell'umanità. Amore, Sensualità, Tecnologia, Fratellanze Extraterrestri, Giochi di Potere, Crudeltà e Manipolazione. Una maestosa terra sprofondata negli abissi per la sete di potere di un solo unico uomo.
LinguaItaliano
Data di uscita20 mag 2020
ISBN9788831669740
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    Il Canto di Atlantide - Valentina Gasco

    AHTL AHNT IH

    Si­len­zio­sa pa­tria cri­stal­li­na

    Ah – Si­len­zio

    Ah+tl – si­len­zio­so/a,e,i

    N – let­te­ra che in­di­ca co­se ter­re­ne, ma­te­ria­li o an­co­ra ra­di­ca­te

    Ah+ N – dol­cez­za, Pa­tria

    T – unio­ne di co­se o per­so­ne

    Ih – cri­stal­lo, cri­stal­li­no, pu­ro

    Ah­tl Ahnt Ih e il suo po­po­lo

        Per se­co­li e mil­len­ni, uo­mi­ni pro­ve­nien­ti da ogni par­te del­la ter­ra han­no stu­dia­to, ipo­tiz­za­to, cer­ca­to sen­za suc­ces­so la mia ter­ra ma una ve­ri­tà so­la ha da sem­pre ac­co­mu­na­to que­ste per­so­ne de­gne del­le più pre­zio­se leg­gen­de: Atlan­ti­de.

    Per mol­ti leg­gen­da, per mol­ti gran­de ve­ri­tà, per al­tri una gran­de truf­fa ma che sia truf­fa, leg­gen­da o ve­ri­tà, l'im­por­tan­te è che que­sto no­me da mil­len­ni e per mil­len­ni ha ac­ce­so la spe­ran­za  di  mol­ti ed è pro­prio per que­sti mol­ti che Atlan­ti­de non tra­mon­te­rà mai.

        Sul­la po­po­la­zio­ne di que­st'iso­la, si è scrit­to e det­to ogni sor­ta di co­sa da cui so­no na­te in­fi­ni­te leg­gen­de e gran­di ve­ri­tà. Non ha im­por­tan­za se per al­cu­ni è e sa­rà real­tà e per al­tri fan­ta­sia, io mi li­mi­te­rò a scri­ve­re e a de­scri­ve­re ne più ne me­no ciò che fu l'iso­la di Atlan­ti­de, ciò che fu del­la mia vi­ta su quel­la me­ra­vi­glio­sa ter­ra e che ne fu dei suoi me­ra­vi­glio­si abi­tan­ti.

    I

        Il po­po­lo di Atlan­ti­de era un po­po­lo ric­co non so­lo ma­te­rial­men­te ma an­che spi­ri­tual­men­te e di tut­to que­sto, mio pa­dre ne fa­ce­va un gran­de or­go­glio poi­ché si­gni­fi­ca­va es­se­re riu­sci­ti nell'im­pre­sa pre­fis­sa­ta dai no­stri avi ar­ri­va­ti su que­sto splen­di­do pia­ne­ta a co­lo­niz­za­re con la Sag­gez­za e per la Sag­gez­za l'al­tret­tan­to splen­di­do po­po­lo.

        All'Iso­la Ma­gni­fi­ca, non man­ca­va pro­prio nul­la: agri­col­tu­ra, fo­rag­gio, al­le­va­men­to, pe­sca, ar­ti­gia­na­to; noi ci li­mi­tam­mo a svi­lup­pa­re tut­to ciò nel più to­ta­le equi­li­brio, nel più to­ta­le ri­spet­to e nel­la più to­ta­le se­re­ni­tà poi­ché tut­to que­sto, ve­ni­va spar­ti­to equa­men­te. Il tut­to era per tut­ti e l'ele­men­to es­sen­zia­le che ser­vi­va a fa­vo­ri­re ciò, era il cli­ma; un cli­ma mi­te, qua­si mai bur­ra­sco­so. Io lo ri­cor­do co­me un cli­ma dall'aria sen­sua­le e dol­cia­stra per il pro­fu­mo del­le in­fi­ni­te col­ti­va­zio­ni di fio­ri e pian­te da frut­to. In­fat­ti, vi era ogni sor­ta di frut­ta e di vi­ti, im­men­si ed in­fi­ni­ti vi­gne­ti si espan­de­va­no fin do­ve la vi­sta po­te­va reg­ge­re l'oriz­zon­te.

        Era ma­gni­fi­co po­ter os­ser­va­re quel pa­no­ra­ma al tra­mon­to quan­do il ros­so del di­sco or­mai stan­co, in­fon­de­va se­re­ni­tà nel cuo­re; i suoi rag­gi len­ti ed ar­mo­nio­si ac­ca­rez­za­va­no que­ste ter­re il­lu­mi­na­te dal­la ma­no di Dio, tan­to da far­le sba­di­glia­re per il la­vo­ro svol­to du­ran­te la gior­na­ta. E co­sì, pia­no pia­no, men­tre all'oriz­zon­te spun­ta­va la pri­ma stel­la del cre­pu­sco­lo, tut­to si ad­dor­men­ta­va e ciò av­ve­ni­va nel più to­ta­le ed as­so­lu­to si­len­zio, cul­la­ti so­lo dal sus­sur­ro del­le on­de del ma­re in­fran­te su­gli sco­gli.

        A do­mi­na­re l'iso­la a Sud-Ove­st, c'era il mon­te "Par­nos", il gran­de vul­ca­no che in ori­gi­ne ve­ni­va te­mu­to e ado­ra­to da­gli in­di­ge­ni del luo­go i qua­li, per evi­ta­re le sue tur­bo­len­ti ire, sa­cri­fi­ca­va­no es­se­ri uma­ni get­tan­do­li nel cra­te­re fu­man­te as­si­cu­ran­do­si co­sì pro­te­zio­ne e ab­bon­dan­te sel­vag­gi­na. Par­nos (la mon­ta­gna di fuo­co), con la sua con­ti­nua fu­ma­ta bian­ca, si esten­de­va in al­tez­za per cir­ca 1500 me­tri e da es­so, na­sce­va una ca­te­na mon­tuo­sa che, get­tan­do­si a pic­co nel ma­re, in for­ma de­cre­scen­te co­steg­gia­va l'iso­la ver­so Nord fi­no ad ar­ri­va­re, ve­sti­ta di mor­bi­di e vel­lu­ta­ti pra­ti col­li­na­ri, al ma­re di Nord- Est. Es­sa, nel­la co­sta Est, si al­ter­na­va fra im­men­se spiag­ge bian­che, in­se­na­tu­re roc­cio­se, fo­re­ste e por­ti. L'iso­la di Atlan­ti­de, la cui su­per­fi­cie era leg­ger­men­te più am­pia dell'at­tua­le Ir­lan­da (si pen­sa che Atlan­ti­de sia sta­to un con­ti­nen­te mol­to più va­sto per­ché la po­po­la­zio­ne di que­sta ter­ra ha spa­zia­to con la sua cul­tu­ra e la sua spi­ri­tua­li­tà ver­so al­tri oriz­zon­ti qua­li il Pe­rù, la Bo­li­via, il Mes­si­co e tut­ta la fa­scia cen­tra­le dell'Ame­ri­ca, la zo­na del Me­di­ter­ra­neo, l'Egit­to e par­te dell'Afri­ca, il Ma­da­ga­scar, la Ci­na, l'In­dia, gran par­te del Me­dio Orien­te e quel­le ter­re chia­ma­te cel­ti­che), van­ta­va an­che la pre­sen­za di due gran­di fiu­mi; il pri­mo era chia­ma­to Aehm Ehl Thie­ht (la gran­de ser­pen­ti­na) da cui ven­ne­ro sca­va­ti nu­me­ro­si ca­na­li per l'ir­ri­ga­zio­ne del­le col­tu­re. Aehm Ehl Tie­ht, na­sce­va dal­le mon­ta­gne del Nord e da es­se, an­che il se­con­do fiu­me, que­sti sot­ter­ra­neo, che di­vi­de­va ver­ti­cal­men­te l'iso­la in due par­ti per­fet­ta­men­te ugua­li: Ihem Thi Eh Nah (ciò che sta sot­to). Le cit­tà più im­por­tan­ti, era­no sta­te co­strui­te pro­prio so­pra il cor­so di que­sto fiu­me sfrut­tan­do co­sì le sor­gen­ti na­tu­ra­li per l'ali­men­ta­zio­ne dei mol­te­pli­ci poz­zi pro­get­ta­ti e co­strui­ti per gli ag­glo­me­ra­ti ur­ba­ni­sti­ci.

    L'en­tro­ter­ra dell'iso­la va­ria­va a se­con­da del­la po­si­zio­ne geo­gra­fi­ca; da Nord a Sud, vi era­no zo­ne col­li­na­ri che non su­pe­ra­va­no a vol­te i 40 me­tri di al­tez­za, in­ter­rot­te da stu­pen­de val­la­te in cui ve­ni­va col­ti­va­to or­zo, gra­no e or­tag­gi. I frut­te­ti e i vi­gne­ti era­no pre­va­len­te­men­te col­ti­va­ti nel­le zo­ne col­li­na­ri ove si pra­ti­ca­va an­che il fo­rag­gio.

        Le cit­tà im­por­tan­ti era­no tre, Aehm Nie­ht Ehl (la gran­de ca­sa) a cir­ca una ven­ti­na di chi­lo­me­tri a Est di Par­nos. Là, vi era la di­mo­ra dell'Im­pe­ra­to­re e di tut­ta la mia fa­mi­glia ed uni­to ad es­sa, il gran­dio­so Oht Ahr, il Tem­pio del So­le, am­mi­ra­to ed ono­ra­to da tut­ta la po­po­la­zio­ne ter­re­stre con cui ave­va­mo avu­to con­tat­ti. La se­con­da cit­tà, era chia­ma­ta Olie­ht Nahm Su (la cit­tà ar­mo­nio­sa). Es­sa sor­ge­va in una zo­na col­li­na­re del cen­tro do­ve vi era­no ca­ve in cui si estrae­va­no gem­me e quar­zi bian­chi e ca­ve in cui si estrae­va ar­gen­to, ra­me, fer­ri­ti e oro. Olie­ht Nahm Su, di­sta­va cir­ca 70 chi­lo­me­tri a Nord-Est dal mon­te Par­nos. A gui­da­re le cit­tà nel­la re­gio­ne a Nord dell'iso­la, era la cit­tà di Lehm Uhr che pre­se il no­me del Gran Sa­cer­do­te Lehm Uhr, fra­tel­lo di Kah Seh, Laer e      A Ster Yohn. Nel­la cit­tà di Lehm Uhr, vi era un uni­co  tem­pio: il Tem­pio di Kah da cui par­ti­va­no le di­ret­ti­ve ri­ce­vu­te dal Gran Con­si­glio da Lehm Uhr in per­so­na.

        Que­sta, era la cit­tà più im­por­tan­te del Nord, ave­va un'or­ga­niz­za­zio­ne ci­vi­ca e po­li­ti­ca a se stan­te an­che se ogni de­ci­sio­ne im­por­tan­te ve­ni­va di­scus­sa con l'Im­pe­ra­to­re in per­so­na. Ogni cit­tà, che con­ta­va cir­ca dai tre­mi­la ai sei­mi­la abi­tan­ti per ognu­na, ave­va un tem­pio in cui ri­sie­de­va­no i Sa­cer­do­ti de­si­gna­ti ad edu­ca­re cul­tu­ral­men­te, spi­ri­tual­men­te ed in to­ta­le ar­mo­nia gli abi­tan­ti del luo­go. I Sa­cer­do­ti, non so­lo im­pa­ra­va­no l'istru­zio­ne da do­na­re al­la po­po­la­zio­ne ma ve­ni­va­no istrui­ti an­che su tut­to ciò che con­cer­ne­va la me­di­ci­na, le ma­lat­tie e la for­ma del cor­po uma­no. Quin­di, vi era­no Sa­cer­do­ti e Sa­cer­do­tes­se che svol­ge­va­no le man­sio­ni più sva­ria­te: scri­bi, dot­to­ri, den­ti­sti, chi­mi­ci, chi­rur­ghi, bo­ta­ni­ci co­no­sci­to­ri di tut­te le er­be me­di­ca­men­to­se, pit­to­ri, can­to­ri, dan­za­to­ri, scul­to­ri, in­ci­so­ri, pe­sca­to­ri, ar­chi­tet­ti, agri­col­to­ri e tut­to ciò che po­te­va ser­vi­re per ren­de­re l'iso­la e la sua po­po­la­zio­ne gran­de ed evo­lu­ta.

        La for­ma del­le cit­tà ave­va una par­ti­co­la­ri­tà: era­no co­strui­te a spi­ra­le ed al cen­tro di es­se, si er­ge­va una co­lon­na che ser­vi­va da ca­ta­liz­za­to­re. Il pun­to cen­tra­le del­le spi­ra­li, non era ca­sua­le ma ben cal­co­la­ta poi­ché, pro­prio nel mez­zo do­ve si er­ge­va la co­lon­na, pas­sa­va­no li­nee e pun­ti ener­ge­ti­ci mol­to po­ten­ti da cui si cat­tu­ra­va l'Ener­gia Co­smi­ca. Que­ste co­lon­ne era­no for­ma­te da pie­tra di gra­ni­to in cui vi era­no in­ca­sto­na­ti gran­di cri­stal­li bian­chi i qua­li, per la lo­ro po­si­zio­ne e la lo­ro la­vo­ra­zio­ne, at­trae­va­no l'ener­gia fun­gen­do da ca­ta­liz­za­to­ri.

        Nel­la cit­tà chia­ma­ta Lehm Uhr e nel­la cit­tà Ahem Nie­ht Ehl, in so­sti­tu­zio­ne al­la co­lon­na, era sta­ta eret­ta una tor­re qua­si com­ple­ta­men­te di cri­stal­lo. Es­se ven­ne­ro po­ste in quei luo­ghi dell'iso­la poi­ché pro­prio nel ful­cro del­le cit­tà, vi era un pas­sag­gio lon­gi­tu­di­na­le e la­ti­tu­di­na­le di li­nee ener­ge­ti­che mol­to po­ten­ti. La tor­re di  Lehm Uhr ed Aehm Nie­ht Ehl, for­ma­va­no con il ver­ti­ce del­la co­stru­zio­ne pi­ra­mi­da­le po­sta a Sud-Ove­st dell'iso­la, uno scu­do ener­ge­ti­co pro­tet­ti­vo il qua­le, pro­prio per la sua po­ten­za, do­na­va all'iso­la ed ai suoi abi­tan­ti gran­de for­za, po­ten­za ener­ge­ti­ca e ri­go­glio­si­tà nel suo tut­to.

        Una par­ti­co­la­ri­tà, era che in ogni cit­tà vi era­no enor­mi va­sche col­me d'ac­qua sem­pre cal­da con al cen­tro gran­di cri­stal­li. Es­se ser­vi­va­no al­la co­mu­ni­tà co­me te­ra­pie cu­ra­ti­ve di grup­po ove si pre­ga­va, si can­ta­va, si ur­la­va, si ri­de­va, gioen­do tut­ti in­sie­me di quel ri­svol­to be­ne­fi­co che do­na­va lo sta­re im­mer­si in quel li­qui­do splen­di­da­men­te ma­gi­co.

        In ori­gi­ne, ol­tre al­la co­no­scen­za, na­vi­ga­re il cie­lo in ac­que splen­di­da­men­te blu col­me di pe­sci a for­ma di stel­le lu­mi­no­se, era tut­to ciò che ave­va­mo ma poi fi­nal­men­te giun­gem­mo a de­sti­na­zio­ne sul bel­lis­si­mo pia­ne­ta ver­de do­ve al­tri fra­tel­li pri­ma di noi era­no già di­sce­si. Atlan­ti­de il­lu­mi­nò il  no­stro spi­ri­to il qua­le rin­gra­ziò que­sta ter­ra do­nan­do­le Lu­ce e Splen­do­re, Co­no­scen­za e Sag­gez­za e tan­to, tan­to Amo­re. Quan­do ar­ri­vam­mo, gli abi­tan­ti dell'iso­la era­no in uno sta­dio evo­lu­ti­vo an­co­ra grez­zo ma la co­sa straor­di­na­ria, era che i lo­ro ca­na­li ri­cet­ti­vi era­no in­con­sa­pe­vol­men­te e to­tal­men­te aper­ti e per noi, non fu un gros­so pro­ble­ma in­ca­na­lar­ci por­tan­do lo­ro la Ve­ri­tà e la Co­no­scen­za. No­no­stan­te es­sa fos­se an­co­ra ab­ba­stan­za li­mi­ta­ta, sco­prim­mo che il po­po­lo di quel­la ter­ra ver­deg­gian­te era già giun­to ad una evo­lu­zio­ne di sud­di­vi­sio­ne ge­rar­chi­ca do­ve il ca­po as­so­lu­to era ge­ne­ral­men­te il più an­zia­no: co­lui che du­ran­te gli an­ni più pro­li­fi­ci, si era di­stin­to per le sue do­ti di cac­cia­to­re op­pu­re per le sue do­ti di sag­gio.

    La lo­ro pri­ma­ria fon­te di ci­bo, era la cac­cia e la pe­sca; non era­no a co­no­scen­za del­le col­tu­re che po­te­va of­fri­re l'iso­la se non di al­cu­ni tu­be­ri qua­li la pa­ta­ta, la ci­pol­la e qual­che ra­di­ce dol­cia­stra e aro­ma­ti­ca per ac­com­pa­gna­re la cot­tu­ra del­la sel­vag­gi­na.

        Il pri­mo di noi che sce­se fra lo­ro, fu co­lui che die­de ori­gi­ne a quel­la che sa­reb­be di­ven­ta­ta di lì a po­co la stir­pe im­pe­ria­le. Do­po un'at­ten­ta ri­cer­ca, tro­vò un cor­po mol­to do­ta­to, for­te, con un ca­rat­te­re fie­ro e men­ta­li­tà sag­gia: mi­sce­la esplo­si­va se l'ani­mo è oscu­ro. Il gio­va­ne cor­po, si fa­ce­va chia­ma­re Cad Mah Ehl (il co­rag­gio).

        Da prin­ci­pio, tro­vam­mo stra­na l'usan­za di clas­si­fi­ca­re il tut­to con un pre­ci­so no­me poi, os­ser­van­do gli usi e i co­stu­mi dei ter­re­stri, ci ren­dem­mo con­to che il pia­ne­ta su cui era­va­mo ar­ri­va­ti, ospi­ta­va es­se­ri an­co­ra me­ra­vi­glio­sa­men­te grez­zi e ma­te­ria­li. Es­se­ri che per co­mu­ni­ca­re si ser­vi­va­no del­lo stru­men­to più sa­cro e pu­ro di cui era­no ve­nu­ti in pos­ses­so al mo­men­to del con­ce­pi­men­to e del­la na­sci­ta: il cor­po.

        Non aven­do an­co­ra svi­lup­pa­to il sen­so del­la te­le­pa­tia e del­la ri­cer­ca ener­ge­ti­ca, sfrut­ta­va­no que­sta gran­dio­sa ar­ma­tu­ra bio­lo­gi­ca per vi­ve­re e per da­re la vi­ta.

        Pas­sa­ti al­cu­ni an­ni, Cad Mah Ehl si di­stin­se per le sue idee in­no­va­ti­ve e di­ve­nu­to ca­po del­la co­mu­ni­tà, an­che se an­co­ra in età mol­to gio­va­ne, po­té av­via­re il gran­de di­se­gno che i no­stri Sag­gi, ri­ma­sti ol­tre le ga­las­sie più sper­du­te, ave­va­no pro­get­ta­to già dal­la not­te dei tem­pi.

        Uno per uno si sce­se co­sì in que­sti splen­di­di cor­pi e con l'aiu­to di Cad Mah Ehl, ini­ziam­mo a bo­ni­fi­ca­re le ter­re di que­sta me­ra­vi­glio­sa iso­la e le men­ti dei suoi bel­lis­si­mi abi­tan­ti.

        Al­cu­ni an­ni più tar­di, la po­po­la­zio­ne ar­ri­vò a fa­re co­se straor­di­na­rie co­me la pro­get­ta­zio­ne di ca­na­li di sfo­go per le eru­zio­ni del vul­ca­no, le pro­get­ta­zio­ni di ca­na­li di ir­ri­ga­zio­ne per le col­tu­re, la pre­di­spo­si­zio­ne di col­tu­re di ce­rea­li e ve­ge­ta­li in de­ter­mi­na­te zo­ne e pe­rio­di dell'an­no o an­co­ra, pro­get­ta­zio­ni ar­chi­tet­to­ni­che di edi­fi­ci, pon­ti, stra­de, fon­ta­ne e tem­pli re­li­gio­si. Si stu­diò, si pro­get­tò e si at­tuò il me­to­do me­no fa­ti­co­so per la rac­col­ta e la la­vo­ra­zio­ne dei me­tal­li; fu an­che in­ven­ta­ta una le­ga chia­ma­ta ti­riu­th (l'in­di­strut­ti­bi­le) an­co­ra più re­si­sten­te dell'ac­cia­io. Es­so re­si­ste­va a tem­pe­ra­tu­re ele­va­tis­si­me co­me a quel­le più bas­se con una par­ti­co­la­ri­tà: non su­bi­va nes­su­na al­te­ra­zio­ne mo­le­co­la­re men­tre la tem­pe­ra­tu­ra ri­ma­ne­va in­va­ria­ta e tut­to que­sto, pro­prio per­ché vi era l'ag­giun­ta di al­tri mi­ne­ra­li non ter­re­ni.

        Più avan­ti ne­gli an­ni, quan­do tut­to il tram­bu­sto del­le in­no­va­zio­ni la­sciò il po­sto al­la pa­ce e al­la tran­quil­li­tà di una ci­vil­tà già in svi­lup­po, in­se­gnam­mo lo­ro a ri­co­no­sce­re le co­stel­la­zio­ni e a trac­cia­re map­pe di es­se. In­se­gnam­mo lo­ro a cal­co­la­re il pas­sag­gio de­gli astri e dei pia­ne­ti in de­ter­mi­na­ti pun­ti del cie­lo per ri­co­no­sce­re i mo­men­ti esat­ti in cui po­ter sfrut­ta­re le ener­gie più po­ten­ti. Es­se ve­ni­va­no poi cat­tu­ra­te da una por­ta con una co­stru­zio­ne ar­chi­tet­to­ni­ca par­ti­co­la­re a for­ma pi­ra­mi­da­le. Il pro­get­to di que­sta me­ra­vi­glio­sa co­stru­zio­ne, fu in­ven­ta­ta da Kah Ehl, pri­mo­ge­ni­to di Cad Mah Ehl e i la­vo­ri, ini­zia­ti su­bi­to do­po la na­sci­ta di mio pa­dre Kah Seh, non du­ra­ro­no a lun­go poi­ché la gran­de po­ten­za te­le­ci­ne­ti­ca, ca­na­liz­za­ta dal­la mag­gior par­te del­la po­po­la­zio­ne, per­mi­se la rea­liz­za­zio­ne di ta­le ope­ra in un tem­po mol­to ri­dot­to ri­spet­to ai rea­li tem­pi di la­vo­ra­zio­ne ma­nua­le. In­fat­ti, due an­ni ba­sta­ro­no per pro­get­ta­re ed eri­ge­re un mae­sto­so edi­fi­cio da cui l'iso­la ed i suoi fi­gli po­te­ro­no go­de­re non so­lo di tut­ta la sua im­men­sa ed im­po­nen­te bel­lez­za ma an­che di tut­ta la sua mae­sto­sa po­ten­za ener­ge­ti­ca.

        Det­ta co­stru­zio­ne, vie­ne ri­co­no­sciu­ta in que­sto tem­po con il no­me di pi­ra­mi­de. Cream­mo an­che una for­ma di ca­len­da­rio in cui la sud­di­vi­sio­ne de­gli an­ni, dei me­si ed il con­teg­gio dei gior­ni, av­ve­ni­va in mo­do qua­si iden­ti­co all'epo­ca at­tua­le.

        Fu mol­to fa­ci­le per i miei avi rin­no­va­re gli usi e i co­stu­mi di que­sta splen­di­da po­po­la­zio­ne poi­ché es­si li con­si­de­ra­va­no co­me Dei di­sce­si sul­la ter­ra a be­ne­di­re lo­ro e la ter­ra in cui vi­ve­va­no. All'ini­zio si la­sciò cre­de­re tut­to que­sto poi, più avan­ti ne­gli an­ni, quan­do la cul­tu­ra e la sag­gez­za pre­se­ro pie­de nel­le im­men­se men­ti dei na­ti­vi del luo­go, ca­pi­ro­no es­si stes­si che i miei avi non era­no al­tro che es­se­ri uma­ni ta­li e qua­li a lo­ro. O co­mun­que, in par­te lo era­no di­ven­ta­ti.

        Po­po­lo me­ra­vi­glio­so, po­po­lo gran­dio­so, po­po­lo pie­no di ri­sor­se straor­di­na­rie co­me straor­di­na­rio fu l'ac­cet­ta­re le idee e le in­no­va­zio­ni di co­lo­ro che per mo­ti­vi ben pre­ci­si, si era­no pre­si la re­spon­sa­bi­li­tà di il­lu­mi­na­re que­sti es­se­ri col­mi di gran­de for­za vi­ta­le qua­li so­no i ter­re­stri.

        Ed ora ec­co­mi qui a rac­con­ta­re, a so­gna­re, a ri­cor­da­re, ri­vi­ven­do at­ti­mo per at­ti­mo ciò che fu, ciò che non è più, ciò che sa­rà. E ciò che sa­rà, vi ver­rà rac­con­ta­to in que­ste pa­gi­ne co­me la te­sti­mo­nian­za di un po­po­lo straor­di­na­rio che ha fat­to del­la sua ter­ra, un'iso­la al­tret­tan­to straor­di­na­ria e gran­de. Tal­men­te gran­de, che an­co­ra do­po de­ci­ne di mil­len­ni, vie­ne ri­cor­da­ta, vie­ne ama­ta, vie­ne cer­ca­ta, e le ge­sta del suo me­ra­vi­glio­so po­po­lo ven­go­no an­co­ra can­ta­te e tra­man­da­te di ri­cor­do in ri­cor­do, di leg­gen­da in leg­gen­da, di ve­ri­tà in ve­ri­tà. Una ve­ri­tà che non si spe­gne­rà mai più.

    Star Ar She­ran

    Glo­rio­so Con­dot­tie­ro del Cie­lo In­fi­ni­to

    Star – Con­dot­tie­ro

    Ar – Cie­lo

    Sh -In­fi­ni­to

    Era – Glo­rio­so

    N – in­di­ca co­se ter­re­ne, ma­te­ria­li o an­co­ra ra­di­ca­te

    Ovun­que vol­ge­rai lo sguar­do

    la mia Lu­ce ti ab­ba­glie­rà.

    Ovun­que ten­de­rai l'orec­chio

    la mia Vo­ce ti giun­ge­rà

    Ovun­que sa­rai

    il mio Amo­re ti av­vol­ge­rà.

    Io so­no

    Star Ar She­ran

    Gran Sa­cer­do­te  di Atlan­ti­de

    Nel tem­po in cui vi­vo, la con­ce­zio­ne del­la pa­ro­la Amo­re è com­ple­ta­men­te di­ver­sa dal­la rap­pre­sen­ta­zio­ne più pu­ra del­la pa­ro­la stes­sa e ciò de­sta in me, co­me in un vor­ti­ce dis­so­nan­te di no­te al­te­ra­te al­la sor­di­tà, dis­sa­po­ri di­ver­gen­ti fra lo­ro, suo­ni me­dia­ti­ci tra con­fu­sio­ne e fru­stra­zio­ne di ogni sin­go­lo es­se­re uma­no.

    Nel­lo spa­zio del­la mia ani­ma, do­ve ri­sie­de im­per­tur­ba­bi­le il con­cet­to del­la co­no­scen­za, le vi­bra­zio­ni di­sar­mo­ni­che esplo­do­no in un sen­sua­le gio­co di ri­strut­tu­ra­zio­ne mo­le­co­la­re, at­to a ri­co­strui­re ciò che il tem­po ha so­pi­to nel­la mia me­mo­ria, ciò che lo spa­zio ha sa­pien­te­men­te ane­ste­tiz­za­to.

    Co­lo­ri, suo­ni, sa­po­ri  ri­co­strui­ti nell’ar­co di que­sta vi­ta, mi ri­por­ta­no a ri­cor­di sem­pre più vi­vi men­tre lo spa­zio vi­ta­le, che mi cir­con­da im­per­ter­ri­to, pro­rom­pe in un ur­lo di li­be­ra­zio­ne as­so­lu­ta. Un ur­lo che di­strug­ge fi­nal­men­te le bar­rie­re che la mia men­te ha co­strui­to sa­pien­te­men­te con in­fi­ni­ta di­li­gen­za per per­met­ter­mi di esplo­de­re qui e ora, nel­la me­lo­dia del­la Lu­ce più pu­ra, nel can­to dell’Amo­re più lim­pi­do.

    Ora, ogni ri­cor­do è vi­vo in me ed in me, è vi­vo an­che il de­si­de­rio del de­si­de­rio: ri­vo­lu­zio­ne di sen­si so­pi­ti nel tem­po, ri­vo­lu­zio­ne di emo­zio­ni na­sco­ste dal­la me­mo­ria di re­mi­ni­scen­ze del mio ve­ro es­se­re, del mio ve­ro Io, del­la mia ve­ra, pu­ra ed in­con­ta­mi­na­ta Es­sen­za.

        Ma c’è chi, an­co­ra una vol­ta  fie­ro del suo es­se­re, ten­ta di sop­pri­me­re la Lu­ce che per mil­len­ni ho ri­cer­ca­to con for­za, de­ter­mi­na­zio­ne e gran­de fa­ti­ca. An­co­ra una vol­ta si cer­ca, ora in­va­no, di schiac­cia­re la mia co­no­scen­za, la mia fie­rez­za, il mio Amo­re che in que­sto tem­po, esplo­do­no in con­for­tan­ti e ar­mo­ni­che vi­sua­liz­za­zio­ni di Lu­ce co­smi­ca, in ri­ve­la­zio­ni e av­ven­tu­re che si ri­per­cuo­to­no ar­mo­nio­sa­men­te nell’es­se­re me­ra­vi­glio­so di chi mi ospi­ta. Ora so­no pron­to! Ora, so­no pron­to ad af­fron­ta­re l’Eter­ni­tà, non bran­den­do la mia spa­da ma, al con­tra­rio, in­nal­zan­do il mio es­se­re al­la co­no­scen­za su­pre­ma dell’Amo­re nell’in­se­gna­men­to del­la rin­no­va­ta gra­ti­tu­di­ne.

      So­no ar­ri­va­to fin qui, og­gi ed in que­sto tem­po, per por­tar­vi a co­no­scen­za di una par­te di sto­ria di que­sta me­ra­vi­glio­sa ter­ra, al­lo­ra no­stra Ma­dre.

        Io so­no l'Es­sen­za cu­sto­di­ta nel cor­po di Va­len­ti­na. Io so­no la par­te di­vi­na dell'Eter­na Co­no­scen­za, la par­te Im­mor­ta­le di que­sto cor­po fi­si­co e ter­re­stre.

        Da de­ci­ne di mi­glia­ia di an­ni va­go di rein­car­na­zio­ne in rein­car­na­zio­ne per tro­va­re pa­ce e per­do­no per la mia stol­tez­za, cau­sa di tan­ta sof­fe­ren­za, di tan­ta an­go­scia, do­lo­re, rab­bia ma so­prat­tut­to, di gran­de con­fu­sio­ne. Tut­to que­sto amal­ga­mar­si di sen­ti­men­ti ed emo­zio­ni, non cau­sò al­tro che la ca­du­ta del­la mia fa­mi­glia non­ché l'ini­zio del­la ca­ta­stro­fe del con­ti­nen­te di Atlan­ti­de. Im­men­sa, lu­cen­te pu­ra ter­ra do­ve io nac­qui, do­ve im­pa­rai a co­no­sce­re i se­gre­ti più gran­di, do­ve in­con­trai la mia spo­sa, do­ve im­pa­rai il si­gni­fi­ca­to del­la pa­ro­la odio, riu­scen­do co­sì a com­met­te­re il più gran­de dei sa­cri­le­gi ver­so l'es­se­re uma­no: l'omi­ci­dio.

        In tut­ti que­sti mil­len­ni, ho va­ga­to nell'oscu­ri­tà, nell'oblìo e nel­le te­ne­bre più as­so­lu­te, rin­cor­ren­do la Lu­ce di­vi­na ne­ga­ta­mi fi­no a quan­do, do­po mil­le­na­rie in­car­na­zio­ni, so­no ri­na­to in que­sto tem­po ed in que­sto me­ra­vi­glio­so cor­po il qua­le, se pur con non po­che dif­fi­col­tà, mi ha per­mes­so di espri­me­re tut­ta la mia Gio­ia, tut­to il mio Amo­re, tut­ta la mia Vi­ta­li­tà: co­se che mi era­no sta­te ne­ga­te nel cor­so di que­sti se­co­li per me oscu­ri.

        Ora so­no qui per par­lar­vi, per Amar­vi, so­no qui per gioi­re con voi per rac­con­tar­vi chi so­no, da do­ve pro­ven­go ma so­prat­tut­to so­no qui per rin­gra­zia­re Va­len­ti­na che mi ha per­mes­so, che si è per­mes­sa tut­to que­sto, che ha avu­to fi­du­cia in me e che do­po gran­di per­ples­si­tà, ha de­ci­so di Amar­mi co­me io Amo Lei. La rin­gra­zio per­ché no­no­stan­te la sua pau­ra, mi per­met­te di det­tar­le que­sti fiu­mi di pa­ro­le che pia­no pia­no sve­le­ran­no un gran­de mi­ste­ro che tor­men­ta il son­no di mol­tis­si­me per­so­ne che an­co­ra og­gi cer­ca­no con de­ter­mi­na­zio­ne la mia gran­de Pa­tria.

        Co­me ho già det­to, mi chia­mo Star Ar She­ran e la mia fa­mi­glia di­scen­de da po­po­li pro­ve­nien­ti da Oht Ahr, stel­la ri­lu­cen­te sper­du­ta fra ga­las­sie re­mo­te e an­co­ra og­gi sco­no­sciu­te a que­sto pia­ne­ta.

        Sia­mo sce­si sul­la ter­ra nel­la pa­ce di Dio cer­can­do di por­ta­re al­la po­po­la­zio­ne la Ve­ri­tà, l'Amo­re dell'Uni­ver­so e la Co­no­scen­za dell'Im­men­so.

        Per ac­ce­de­re a que­sto pia­ne­ta, do­vem­mo as­su­me­re sem­bian­ze ter­re­stri in­ca­na­lan­do­ci in que­sti me­ra­vi­glio­si cor­pi uma­ni in­con­sa­pe­vo­li del lo­ro gran­dio­so fu­tu­ro. Es­sen­do noi par­ti­cel­le di pu­ra ener­gia, de­ci­dem­mo che que­sta era l'uni­ca so­lu­zio­ne per po­ter por­ta­re la Lu­ce e la Co­no­scen­za sul­la ter­ra sen­za spa­ven­ta­re gli es­se­ri già vi­ven­ti sul pia­ne­ta. Ci fa­cem­mo ca­ri­co di tut­to quel­lo che cir­con­da, di tut­to quel­lo che im­pri­gio­na, e di tut­to ciò che sve­la un cor­po uma­no: bel­lez­za, bu­gia, pau­ra, ve­ri­tà, or­go­glio, di­gni­tà, Amo­re, in­vi­dia, ge­lo­sia.

        A cau­sa di que­sti fil­tri men­ta­li de­ri­va­ti dal­la scar­sa co­no­scen­za dell'es­se­re uma­no ter­re­stre, mol­ti di noi ven­ne­ro im­pri­gio­na­ti nel do­lo­re, nel­la ver­go­gna, nell'odio, nell'in­com­pren­sio­ne, e quin­di nell'in­con­sa­pe­vo­lez­za di­men­ti­can­do, for­se già da su­bi­to, il com­pi­to pre­fis­sa­to.

        Sce­si sul pia­ne­ta, sce­gliem­mo tra tut­ta la va­sti­tà ter­re­stre di­spo­ni­bi­le un'iso­la ab­ba­stan­za gran­de per po­ter fon­da­re un po­po­lo gran­dio­so, pa­ci­fi­co e pie­no di ri­sor­se co­me la ter­ra stes­sa scel­ta per la no­stra so­prav­vi­ven­za. Bat­tez­zam­mo l'iso­la con il no­me di Ah­tl ahnt ih che vuol di­re Si­len­zio­sa pa­tria cri­stal­li­na.

        Atlan­ti­de, un'iso­la ri­go­glio­sa pro­prio per la sua po­si­zio­ne geo­gra­fi­ca­men­te per­fet­ta, la ca­pi­ta­le del so­le, la ter­ra dei cri­stal­li, la ma­dre che ospi­tò que­sti fi­gli adot­ti­vi non ter­re­stri ve­nu­ti in pa­ce per il­lu­mi­na­re le men­ti do­nan­do la co­no­scen­za a chi an­co­ra non sa­pe­va co­sa fos­se. E pro­prio que­sti fi­gli, do­po mil­len­ni, fi­ni­ro­no per di­strug­ge­re il suo ven­tre. Il ven­tre di chi li ave­va ospi­ta­ti.

        Io, co­me tut­ta la mia fa­mi­glia, eb­bi la for­tu­na di tro­va­re cor­pi mol­to do­ta­ti i cui ca­na­li di ri­ce­zio­ne non ven­ne­ro mai chiu­si per­met­ten­do co­sì di ac­cre­sce­re sem­pre più la no­stra co­no­scen­za, es­sen­do quo­ti­dia­na­men­te in con­tat­to con le no­stre Gui­de Spi­ri­tua­li. Es­se, non era­no al­tro che par­ti­cel­le lu­mi­no­se vo­ta­te al­la sag­gez­za ed al­la co­no­scen­za as­so­lu­ta, le qua­li ri­ma­ste dall'al­tra par­te di in­nu­me­re­vo­li ga­las­sie, ci gui­da­va­no nel­la Ve­ri­tà e nell'Amo­re cer­can­do di evi­tar­ci sba­gli ma­dor­na­li, ri­schia­ran­do il no­stro cam­mi­no con fiac­co­le di vi­ta sem­pre ar­den­te nel­la Lu­ce di Dio. Ave­va­mo tut­to den­tro di noi, tut­to ciò che si può de­si­de­ra­re: la pa­ce, la se­re­ni­tà, l'ar­mo­nia, la ric­chez­za, l'Amo­re, la po­ten­za, la gran­dez­za e la com­pas­sio­ne e que­sto, era il mo­ti­vo per cui la mia fa­mi­glia era ono­ra­ta, ri­spet­ta­ta e Ama­ta da tut­ta la po­po­la­zio­ne di Atlan­ti­de.

        C'era pe­rò una par­te di atlan­ti­dei, an­che se mi­ni­ma, che a cau­sa di que­sta in­con­sa­pe­vo­lez­za, im­pa­rò ad ac­cre­sce­re den­tro ad ognu­no di lo­ro la ge­lo­sia, l'in­vi­dia e l'odio ver­so que­sta fa­mi­glia mol­to po­ten­te.

        La di­stru­zio­ne era im­mi­nen­te poi­ché que­ste per­so­ne tra­ma­va­no con­tro di noi ed io, con­di­zio­na­to dal mio più ca­ro ami­co, ce­det­ti al­le sue lu­sin­ghe spez­zan­do co­sì l'anel­lo di una lun­ga ca­te­na che ave­va sor­ret­to da sem­pre l'in­te­gri­tà mo­ra­le e spi­ri­tua­le di que­sta fa­mi­glia. Fa­mi­glia che per mil­len­ni ave­va por­ta­to gran­de sag­gez­za e tan­ta ar­mo­nia in que­ste bel­lis­si­me ter­re an­co­ra in­col­te e che da mil­len­ni, pro­teg­ge­va un im­por­tan­tis­si­mo se­gre­to. Un se­gre­to che sve­la­to a per­so­ne sba­glia­te, avreb­be po­tu­to cau­sa­re una ca­ta­stro­fe. E co­sì fu.

    Kah Seh

    Kah – Im­men­so

    Kah Seh – Im­men­si­tà

    Il tuo Amo­re giun­ge al­la mia Ani­ma

    la tua Lu­ce si in­si­nua nei miei sen­si

    la tua Vo­ce dol­cis­si­ma giun­ge

    al­le orec­chie per usci­re or­go­glio­sa

    dal­le mie lab­bra che bra­ma­no Ve­ri­tà

    I

    Dall'al­to del­la sua sag­gez­za, dall'al­to del suo im­men­so Amo­re, mi guar­da, mi pro­teg­ge, mi con­si­glia, il­lu­mi­na la mia Via.

    Kah Seh, Im­pe­ra­to­re as­so­lu­to di Atlan­ti­de, Pri­mo Gran Sa­cer­do­te del Tem­pio del So­le, Kah Seh mio Mae­stro, mia Gui­da, mia Lu­ce. Kah Seh, mio pa­dre.

        Fi­glio di Kah Ehl, Ora­co­lo di Atlan­ti­de suo pre­de­ces­so­re, al­la mia na­sci­ta go­ver­na­va l'iso­la Ma­gni­fi­ca già da qua­si due­cen­to an­ni.

        Pa­dre sag­gio, pa­dre af­fet­tuo­so e Mae­stro spi­ri­tua­le, non per­de­va mai l'oc­ca­sio­ne di ester­na­re tut­ta la sua bon­tà e al sua dol­cez­za aman­do in mo­do in­con­di­zio­na­to tut­to e tut­ti. La sua ar­mo­nio­sa ar­mo­nia, era d'esem­pio all'in­te­ra uma­ni­tà ter­re­stre per­ché in ogni do­ve, di lui si rac­con­ta­va­no ge­sta me­ra­vi­glio­se, di lui ve­ni­va­no can­ta­te pa­ro­le sag­ge e me­lo­dio­se e tut­ti lo ama­va­no sem­pli­ce­men­te per quel­lo che era: Kah Seh, un gran­de im­pe­ra­to­re, un gran­de uo­mo.

        Do­ta­to di una sag­gez­za im­men­sa, ave­va sem­pre una so­lu­zio­ne ad ogni pro­ble­ma che gli si po­ne­va, una pa­ro­la d'amo­re per chi ne ave­va bi­so­gno, una gran­de pa­zien­za con i suoi fi­gli.

        As­sie­me al pri­mo­ge­ni­to Star Ben Ku­rion, in­ven­tò, di­se­gnò e co­struì in­fi­ni­tà di pro­get­ti che die­de­ro un'im­pron­ta ed una svol­ta in­no­va­ti­va al­la co­no­scen­za del­la ter­ra di Atlan­ti­de e del suo po­po­lo.

        Mio pa­dre era de­ci­sa­men­te un gran­de uo­mo ed io lo ama­vo all'in­ve­ro­si­mi­le poi­ché ai miei oc­chi era for­te, de­ci­so, giu­sto con tut­to e con tut­ti ma so­prat­tut­to, nei mo­men­ti di in­ti­mi­tà, te­ne­ro e gio­che­rel­lo­ne con i suoi fi­gli.

        Nei miei ri­cor­di, lo ri­ve­do al­to, ma­gro, con lun­ghi ca­pel­li bian­chi stria­ti di ne­ro ed una bar­ba al­tret­tan­to lun­ga e bian­ca, gran­di ma­ni for­ti in con­trap­po­si­zio­ne al­la sua dol­cis­si­ma vo­ce dal tim­bro pa­ca­to e se­re­no. Ma ciò che c'era di ca­rat­te­ri­sti­co in lui, era l'in­na­ta, sem­pli­ce ed in­fi­ni­ta dol­cez­za ed un in­com­pa­ra­bi­le for­za d'ani­mo.

        L'amo­re che pro­va­vo per mio pa­dre era ed è an­co­ra im­men­so e uni­co nel suo ri­cor­do e quan­do ri­vi­vo i miei an­ni di Star bam­bi­no, mi ri­ve­do sem­pre al suo fian­co, in ogni oc­ca­sio­ne, do­ve c'era Kah Seh c'era sem­pre il pic­co­lo Star. In brac­cio, per ma­no, sul­le spal­le, ero sem­pre coc­co­la­to e cir­con­da­to d'af­fet­to e d'amo­re e mio pa­dre, non per­de­va mai l'oc­ca­sio­ne per di­mo­strar­me­lo.

        La pa­ce, l'ar­mo­nia e la se­re­ni­tà era­no in noi e que­sto era il mo­ti­vo per cui i no­stri cor­pi ter­re­stri non in­vec­chia­va­no tan­to ve­lo­ce­men­te. Mio pa­dre Kah Seh, vis­se fi­no all'età di sei­cen­to an­ni, suo pa­dre Kah Ehl fi­no ad ot­to­cen­to. Il ca­po­sti­pi­te del­la no­stra fa­mi­glia, co­lui che go­ver­nò per pri­mo la ter­ra di Atlan­ti­de, ce­det­te il ti­to­lo di im­pe­ra­to­re a Kah Ehl do­po set­te­cen­to an­ni di tro­no im­pe­ria­le. Cad Mah Ehl, Gran­de Sag­gio del­la Co­stel­la­zio­ne del­la Ver­gi­ne e a tutt'og­gi mia Gui­da Spi­ri­tua­le, mo­rì all'età di ot­to­cen­to­ses­sant' an­ni.

    La fi­gu­ra dell'Im­pe­ra­to­re, non era nient'al­tro che una fi­gu­ra di coa­diu­va­zio­ne sul­la se­re­ni­tà, sul­la pa­ce, sull'ar­mo­nia e sull'ener­gia del po­po­lo e del­la sua ter­ra.

        Mol­ti re, mol­ti uo­mi­ni va­lo­ro­si, mol­ti sag­gi ed an­che re­li­gio­si che non fa­ce­va­no par­te del­la no­stra pa­tria, ar­ri­va­ro­no su que­sta ter­ra per im­pa­ra­re, per vi­si­ta­re ed ono­ra­re que­st'iso­la re­sa stu­pen­da dall'amo­re del mio po­po­lo. Per­so­nag­gi di ogni raz­za, di ogni co­lo­re, di ogni pae­se de­gni di sag­gez­za e amo­re, fu­ro­no sem­pre i ben­ve­nu­ti sull'iso­la di Atlan­ti­de.

    Yah Oht Ahr, il Gran­de Viag­gia­to­re e Lehm Uhr, pri­ma di lui, fu­ro­no co­lo­ro che più di tut­ti apri­ro­no le fron­tie­re al­la no­stra ter­ra dan­do co­sì vi­ta ad una re­te di com­mer­cio mol­to va­sta.

        Mai co­me in quel pe­rio­do, Atlan­ti­de fu più ri­go­glio­sa e pre­zio­sa e mio pa­dre ne era il re­spon­sa­bi­le in­di­scus­so.

        All'età di trent'an­ni, Kah Seh, già Gran Sa­cer­do­te del Tem­pio del So­le, si di­stin­se per le sue idee in­no­va­ti­ve. Stu­diò una mi­glio­re or­ga­niz­za­zio­ne per la di­stri­bu­zio­ne e la col­ti­va­zio­ne del­le ter­re, pro­get­tò si­ste­mi idri­ci per l'ir­ri­ga­zio­ne del ter­re­no, sud­di­vi­se equa­men­te le man­sio­ni per le fon­ti pri­ma­rie di so­sten­ta­men­to qua­li la pe­sca, le col­ti­va­zio­ni e l'al­le­va­men­to. Per or­ga­niz­za­re al me­glio tut­to quan­to, Kah Ehl die­de vi­ta all'As­sem­blea Ge­ne­ra­le in cui chiun­que po­te­va par­te­ci­pa­re per pro­por­re le pro­prie idee e ri­sol­ve­re in to­ta­le ar­mo­nia i pro­ble­mi mes­si in evi­den­za. Ognu­no, in quell'oc­ca­sio­ne, eb­be ciò che vo­le­va e si sta­bi­lì che tut­ti avreb­be­ro la­vo­ra­to per tut­ti nell'equi­li­brio più as­so­lu­to. Nac­que­ro co­sì gli al­le­va­to­ri e co­lo­ro che avreb­be­ro ma­cel­la­to le car­ni; nac­que il grup­po dei pe­sca­to­ri e chi avreb­be sud­di­vi­so e di­stri­bui­to il pe­sce an­che nell'en­tro­ter­ra. Ci fu­ro­no co­lo­ro che si pre­se­ro la re­spon­sa­bi­li­tà di estrar­re i mi­ne­ra­li dal ter­re­no mon­tuo­so e co­lo­ro che li la­vo­ra­va­no; chi pro­get­ta­va co­stru­zio­ni e chi le co­strui­va sen­za di­men­ti­ca­re co­lo­ro che an­cor pri­ma pre­pa­ra­va­no il ma­te­ria­le. Nac­que­ro for­ni per la cot­tu­ra dei mat­to­ni, for­ni per la fu­sio­ne dei mi­ne­ra­li, ca­na­li per l'ir­ri­ga­zio­ne dei cam­pi e tu­ba­tu­re che per­met­te­va­no all'ac­qua di ar­ri­va­re ai poz­zi. Frut­te­ti e vi­gne­ti im­men­si ri­co­pri­va­no buo­na par­te del­le zo­ne col­li­na­ri dell'iso­la e a nes­su­no man­ca­va nul­la. Sull'iso­la di Atlan­ti­de non esi­ste­va al­cu­na po­li­ti­ca mo­ne­ta­ria poi­ché a tut­ti ve­ni­va spar­ti­to tut­to: si pe­sca­va so­lo quan­do il fab­bi­so­gno lo ri­chie­de­va, si rac­co­glie­va­no mi­ne­ra­li so­lo quan­do era ne­ces­sa­rio e a grup­pi, ci si aiu­ta­va l'uno con l'al­tro. Ci si aiu­ta­va per le se­mi­ne e per tut­ti i rac­col­ti di gra­no, or­zo e frut­ti e nel­la sta­gio­ne del rac­col­to che do­na­va la na­tu­ra, vi era un gran­de mo­vi­men­to di per­so­ne poi­ché, in que­sto pe­rio­do, c'era la rac­col­ta dell'uva che ser­vi­va a dar vi­ta ad un net­ta­re de­li­zio­so che più avan­ti ven­ne an­che espor­ta­to.

    L'al­le­va­men­to, che era pret­ta­men­te ovi­no ed equi­no, si espan­se an­che ad al­le­va­men­to sui­no e bo­vi­no nel mo­men­to in cui si ini­zia­ro­no i pri­mi con­tat­ti con le po­po­la­zio­ni di al­tre ci­vil­tà.

    Kah Seh, un gran­de uo­mo che pre­se esem­pio dai suoi avi e che dai suoi avi im­pa­rò so­prat­tut­to una co­sa: l'Amo­re ed il ri­spet­to per chiun­que e per qua­lun­que co­sa.

        Du­ran­te gli an­ni in cui Kah Seh go­ver­na­va il po­po­lo atlan­ti­deo, ac­com­pa­gna­ti da Lehm Uhr e do­po an­co­ra da Yah Oht Ahr il Viag­gia­to­re, sull'iso­la sbar­ca­ro­no per­so­ne che ar­ri­va­va­no dal­le ter­re più cal­de a quel­le più fred­de. Es­si, giun­ge­va­no non so­lo per con­sta­ta­re di per­so­na ciò che ve­ni­va rac­con­ta­to di que­sta ter­ra ma an­che per im­pa­ra­re, co­no­sce­re e fa­re pro­pria la cul­tu­ra di que­sto gran­dio­so po­po­lo che il­lu­mi­na­va e coin­vol­ge­va quo­ti­dia­na­men­te con pa­ro­le e fat­ti, ci­vil­tà e po­po­la­zio­ni di al­tre ter­re e di al­tre raz­ze.

        Con la su­per­vi­sio­ne di Yah Oht Ahr, Gran Sa­cer­do­te del Tem­pio di Orio­ne, ve­ni­va ope­ra­ta una cer­ni­ta di per­so­ne che avreb­be­ro avu­to l'op­por­tu­ni­tà di sfio­ra­re con i pro­pri pie­di la no­stra di­mo­ra. Que­sta se­le­zio­ne era im­por­tan­te poi­ché, co­me ave­va­no avu­to mo­do di ap­pu­ra­re i Sa­cer­do­ti viag­gia­to­ri, una gran­de quan­ti­tà di po­po­la­zio­ni spar­se per il mon­do, era­no in uno sta­dio evo­lu­ti­vo an­co­ra pri­mi­ti­vo e so­prat­tut­to bel­li­co. Dal­le po­po­la­zio­ni, si sce­glie­va­no i per­so­nag­gi più sag­gi ma so­prat­tut­to, per­so­ne in gra­do di ca­pi­re, af­fron­ta­re ed ap­pren­de­re que­sto no­stro cam­mi­no evo­lu­ti­vo per do­nar­lo a chiun­que aves­se vo­lu­to ascol­ta­re fi­no in fon­do la pa­ro­la dell'Amo­re.

        Mol­te per­so­ne di al­tre po­po­la­zio­ni e fra­tel­li non ter­re­stri che pro­ve­ni­va­no da al­tre ga­las­sie sco­no­sciu­te, nell'ar­co dei due­mi­la an­ni di ci­vil­tà mi­se­ro pie­de sul­la no­stra iso­la; gran par­te di lo­ro im­pri­gio­na­ti dal fa­sci­no e dal­la dol­cez­za del mio po­po­lo, re­sta­ro­no per ap­pren­de­re tut­to ciò che noi po­te­va­mo in­se­gna­re. E do­po lun­ghi an­ni di stu­di e ap­pren­di­men­ti, non vol­le­ro più fa­re ri­tor­no al­le lo­ro di­mo­re chie­den­do di far par­te dei Viag­gia­to­ri per por­ta­re, a chi an­co­ra era igna­ro dell'Amo­re in­con­di­zio­na­to di Dio, la sua Gio­ia, la sua Lu­ce e la sua Vo­ce.

    II

        Pa­dre! La ri­bel­lio­ne è den­tro di me. La ri­bel­lio­ne di vi­te tra­scor­se sen­za ve­der­ti, sen­za sen­tir­ti, sen­za toc­car­ti. La Lu­ce che ve­do, ora è im­men­sa e mi aiu­ta a le­ni­re il do­lo­re tra­scor­so, la rab­bia ac­cu­mu­la­ta in que­sti in­ter­mi­na­bi­li mil­len­ni.

        Ho pen­sa­to mol­te vol­te di non far­ce­la ad an­da­re avan­ti nel mio cam­mi­no e di non riu­sci­re a por­ta­re a ter­mi­ne il mio com­pi­to ma la cer­tez­za del­la tua vi­ci­nan­za, la cer­tez­za del tuo toc­co, la cer­tez­za del­la tua vo­ce, mi ha spro­na­to sem­pre più a cre­de­re in me, nel mio cam­mi­no.

        Vi­vo in per­fet­ta si­ner­gia con que­sto me­ra­vi­glio­so Tem­pio pie­no di ri­sor­se no­no­stan­te le giu­ste pau­re fo­men­ta­te dal­la men­te. Men­te di es­se­ri uma­ni in gra­do di per­ce­pi­re, di ve­de­re, di sen­ti­re l'Es­sen­za del­la mu­si­ca di­vi­na. Es­se­ri uma­ni pron­ti a sa­cri­fi­ca­re le pro­prie pau­re, i pro­pri pre­giu­di­zi, le pro­prie sof­fe­ren­ze per cer­ca­re nell'Amo­re, la Pa­ce uni­ver­sa­le.

        L'Amo­re con­di­vi­so con Dio è spe­cia­le, è gran­de, im­men­so, co­sì im­men­so che le men­ti uma­ne ne per­ce­pi­sco­no so­lo una mi­ni­ma par­te co­me una mil­le­si­ma par­te di una goc­cia d'ac­qua. Som­mia­mo i mil­le­si­mi, som­mia­mo di es­si le par­ti ed ora som­mia­mo le goc­ce d'ac­qua. Avre­mo un Ocea­no lim­pi­do e scon­fi­na­to.

        Ama e sa­rai Ama­to. Ri­flet­ti il tuo Amo­re ed il ri­fles­so ti rag­giun­ge­rà più ac­ce­can­te che mai. Ar­di nel­la pas­sio­ne pro­vo­can­te di uno sguar­do, ar­di nell'Amo­re in­fi­ni­to di un ab­brac­cio, bril­la nel­la Lu­ce im­men­sa dell'In­fi­ni­to ed i ri­fles­si del tuo co­rag­gio, tor­ne­ran­no a te cen­tu­pli­ca­ti poi­ché non vi è co­rag­gio sen­za pau­ra, non vi è odio sen­za Amo­re e la bel­lez­za di un ba­cio che con­fon­de l'in­te­ra oscu­ri­tà del­la men­te, bril­la ne­gli oc­chi di chi vuo­le ve­de­re. Bril­la nel cuo­re di chi vuo­le sa­pe­re, di chi vuo­le com­pren­de­re e go­de­re di que­sto ma­gni­fi­co e splen­den­te In­fi­ni­to.

        La ri­cer­ca del pro­prio Io, na­sce dal de­si­de­rio di Pa­ce in­tor­no  e den­tro noi. La na­tu­ra di­vi­na con i suoi co­lo­ri, i suoi pro­fu­mi ed i suoi can­ti ar­mo­nio­si, ci of­fre la giu­sta op­por­tu­ni­tà di ve­de­re ciò che si vuol na­scon­de­re, di ascol­ta­re ciò che non si vuol sen­ti­re, di ur­la­re al cie­lo scon­fi­na­to ciò che si trat­tie­ne nell'Ani­ma. La na­tu­ra ci per­met­te di far esplo­de­re il no­stro Tut­to in un can­to se­du­cen­te ur­la­to a Dio con tut­to l'ar­do­re, con tut­ta la pas­sio­ne di cui so­lo l'uo­mo è in gra­do di fa­re.

        Non ave­re pau­ra di far ascol­ta­re la tua vo­ce poi­ché es­sa, do­no im­men­so di Dio, can­te­rà per te lo­di di Amo­re che coin­vol­ge­ran­no schie­re di Gui­de lu­mi­no­se che con la lo­ro som­ma mi­sti­ci­tà si amal­ga­me­ran­no nel­la tua Ani­ma in un co­ro di sfu­ma­tu­re

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