La fattoria degli animali + Animal farm: Ediz. integrale + Unabridged edit.
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Il vecchio Maggiore ha fatto un sogno che cambierà la vita di tutti gli animali della fattoria. È un maiale anziano e saggio e annuncia che, per realizzare la sua visione, gli animali dovranno affrontare battaglie e grandi difficoltà, dovranno esser pronti a una vera e propria rivoluzione. Una volta vinta, però, otterranno libertà, uguaglianza, giustizia e benessere. Palla di Neve e Napoleone fanno propri gli ideali dell’Animalismo e conducono gli abitanti della fattoria verso la realizzazione del sogno. Dopo aver cacciato il padrone, gli animali riescono a creare una società diversa e migliore ma, una volta che i sogni si sono realizzati, la realtà può rivelarsi molto diversa da come la si era immaginata all’inizio. I sette Comandamenti che segnavano la via dell’Animalismo diventano improvvisamente soltanto uno: «Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali di altri».
Pubblicato nel 1945 nel Regno Unito, è la brillante satira della retorica sovietica dell’uguaglianza e nasce dal genio di George Orwell, dalla fusione del suo impegno politico con la sua passione letteraria. Il tema centrale è la denuncia di qualsiasi forma di dominio dell’uomo sull’uomo.
George Orwell
George Orwell (1903–1950), the pen name of Eric Arthur Blair, was an English novelist, essayist, and critic. He was born in India and educated at Eton. After service with the Indian Imperial Police in Burma, he returned to Europe to earn his living by writing. An author and journalist, Orwell was one of the most prominent and influential figures in twentieth-century literature. His unique political allegory Animal Farm was published in 1945, and it was this novel, together with the dystopia of 1984 (1949), which brought him worldwide fame.
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La fattoria degli animali + Animal farm - George Orwell
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LA FATTORIA
DEGLI
ANIMALI
Capitolo 1
Il signor Jones della Fattoria Padronale aveva appena chiuso i pollai per la notte, ma aveva bevuto troppo per ricordarsi di chiudere anche gli sportellini. Il cerchio di luce della sua lanterna gli ballava attorno mentre s’aggirava per l’aia. Giunto alla porta sul retro si tolse gli stivali, si riempì dal barile nel retrocucina un ultimo bicchiere di birra e salì in camera da letto, dove la signora Jones stava già russando.
Non appena la luce della camera si spense, all’interno di tutte le costruzioni della fattoria ci fu un gran fermento e uno svolazzare confuso. Durante la giornata si era sparsa la voce che il vecchio Maggiore, il verro premiato per la classe Middle White, la notte prima aveva fatto uno strano sogno, e che desiderava raccontarlo a tutti gli altri animali. Era stato deciso che quando il signor Jones si fosse tolto dai piedi si sarebbero ritrovati tutti nell’ampio granaio.
Il vecchio Maggiore (come veniva solitamente chiamato, anche se il nome con cui aveva partecipato ai concorsi era Lo Splendore di Willingdon) godeva nella fattoria di una reputazione così alta che tutti erano disposti a perdere un’ora di sonno pur di ascoltare ciò che aveva da dire. A un’estremità del grande granaio, su una specie di piattaforma rialzata, il Maggiore si era già sistemato sulla sua lettiera di paglia, sotto la luce di una lanterna agganciata a una trave. Aveva dodici anni, e negli ultimi tempi si era ancora un po’ ingrossato, eppure rimaneva un maiale dall’aspetto maestoso, e manteneva un’aria saggia e buona nonostante le zanne non gli fossero mai state tagliate. Nel giro di pochi minuti cominciarono ad arrivare gli altri animali, che si accomodarono ognuno alla propria maniera.
Giunsero per primi i tre cani, Campanula, Gelsomina e Pizzicotto, in seguito i maiali, che si piazzarono sulla paglia giusto di fronte al palco. Le galline si appollaiarono sui davanzali delle finestre, i piccioni svolazzarono fino alle travi, pecore e mucche si sdraiarono dietro ai maiali e presero a ruminare il loro bolo. I due cavalli da tiro, Gondrano e Trifoglio, giunsero insieme, procedendo con lentezza e posando i loro grossi zoccoli pelosi in modo prudente nel caso qualche animaletto fosse nascosto nella paglia. Trifoglio era una massiccia cavalla dall’aria materna prossima alla mezza età, e che dopo aver partorito il quarto puledro non era più riuscita a recuperare la forma. Gondrano era una bestia enorme, alto quasi due metri, e con la forza di due cavalli normali messi insieme. Aveva una striscia bianca lungo il naso che gli dava un’aria un po’ tonta (in effetti non brillava per intelligenza), ma era rispettato da tutti per la sua forza d’animo e la sua straordinaria resistenza sul lavoro.
Dopo i cavalli arrivarono Muriel, la capra bianca, e Beniamino, l’asino. Beniamino era l’animale più anziano della fattoria, e quello con il carattere più difficile. Parlava di rado, ma di solito, quando lo faceva, era per fare qualche sprezzante osservazione: per esempio diceva che Dio gli aveva dato la coda per scacciare le mosche, ma che sarebbe stato meglio non avere né coda né mosche. Tra tutti gli animali della fattoria era l’unico che non rideva mai; se qualcuno gliene chiedeva il motivo, rispondeva che non trovava nulla per cui valesse la pena ridere. Tuttavia, senza ammetterlo apertamente, era devoto a Gondrano; i due di solito trascorrevano la domenica insieme nel piccolo recinto oltre il frutteto, pascolando fianco a fianco e senza mai parlare.
I due cavalli si erano appena sdraiati quando una nidiata di anatroccoli che aveva perso la mamma sfilò per il granaio, pigolando debolmente e andando da una parte all’altra in cerca di un posto sicuro per non essere schiacciati. Con una delle sue lunghe zampe anteriori Trifoglio formò una specie di protezione attorno agli anatroccoli, che vi si rifugiarono, salvo poi addormentarsi immediatamente. All’ultimo momento Mollie, la graziosa e sciocca cavallina bianca che trainava il calesse del signor Jones, entrò zampettando in modo leggero e masticando una zolletta di zucchero. Accomodatasi in prima fila, cominciò a giochicchiare con la sua criniera bianca, sperando di attirare l’attenzione sui nastri rossi che vi erano intrecciati. Per ultima giunse la gatta, che come sua abitudine si guardò intorno in cerca del posto più caldo, e che alla fine scelse di acciambellarsi fra Gondrano e Trifoglio. Si piazzò beatamente lì a fare le fusa durante il discorso del Maggiore, senza ascoltare una sola delle sue parole.
In quel momento erano finalmente presenti tutti gli animali tranne Mosè, il corvo domestico, che dormiva in casa su un trespolo accanto alla porta sul retro.
Quando si accorse che tutti si erano accomodati e aspettavano attenti, il Maggiore si schiarì la voce e cominciò: «Compagni, probabilmente sapete già dello strano sogno che ho fatto stanotte, ma sul sogno vorrei tornare in seguito; prima devo dire qualcos’altro. Non credo, compagni, che resterò con voi più a lungo di qualche mese, e prima di morire sento che il mio dovere è quello di trasmettervi quel poco di saggezza che ho acquisito. Ho avuto una vita lunga, e ho avuto molto tempo per riflettere quando rimanevo da solo nel porcile, e credo di poter dire che ho compreso il senso della vita meglio di qualsiasi altro animale sulla terra. È proprio di questo che voglio parlarvi.
«Ora, compagni, qual è il senso di una vita come la nostra? Dobbiamo essere sinceri: la nostra vita è miserabile, faticosa e breve. Nasciamo, riceviamo il cibo sufficiente per farci rimanere in vita, e quelli fra noi che ne sono capaci vengono costretti a lavorare fino all’ultimo briciolo di energia; poi, proprio quando cessiamo di essere utili, veniamo ammazzati con una crudeltà spaventosa. Dopo un anno di età nessun animale in Inghilterra conosce più la felicità o il riposo. In Inghilterra nessun animale è libero. La vita di un animale è miseria e schiavitù: questa è la cruda verità.
«Ma questo fa solo parte dell’ordine naturale delle cose? Queste terre sono forse così povere da non permettere una vita decente a chi ci abita? No, compagni, mille volte no! La terra d’Inghilterra è fertile, il suo clima è buono e può fornire cibo in abbondanza a un numero di animali infinitamente più grande di quello attuale. Solo questa fattoria potrebbe dare da vivere a una dozzina di cavalli, una ventina di mucche, centinaia di pecore, e ciascuno di loro vivrebbe con un tale benessere e con una tale dignità che in questo momento vanno oltre la nostra immaginazione. E allora perché indugiamo in questa misera condizione? Perché quasi tutto il frutto della nostra fatica ci viene sottratto dagli esseri umani. È proprio questa, compagni, la risposta a tutti i nostri problemi; si riassume in una sola parola: uomo. L’uomo è il nostro unico vero nemico. Rimuoviamo l’uomo dalla scena, e la causa principale della fame e dell’eccessivo lavoro sarà cancellata per sempre.
«L’uomo è la sola creatura che consuma senza produrre: non fa il latte, non depone le uova, è troppo debole per tirare l’aratro e non può correre abbastanza veloce per prendere i conigli. Eppure è il signore di tutti gli animali. Li fa lavorare, concede loro il minimo indispensabile affinché non muoiano di fame e tiene tutto il resto per sé. Il nostro lavoro coltiva la terra, il nostro letame la fertilizza, e ciò nonostante non uno solo di noi possiede qualcosa oltre alla propria pelle. Voi mucche qui davanti, quante migliaia di galloni di latte avete prodotto in quest’ultimo anno? E cos’è successo a quel latte che avrebbe dovuto svezzare robusti vitelli? Ogni sua goccia è finita nelle gole dei nostri nemici. E voi galline, quante uova avete deposto in quest’ultimo anno? E quante di quelle uova sono diventate pulcini? Tutte le altre sono finite al mercato per il guadagno di Jones e dei suoi uomini. E tu, Trifoglio, dove sono i quattro puledri che hai partorito e che dovevano essere il sostegno e la gioia della tua vecchiaia? Sono stati tutti venduti non appena hanno compito un anno, e non ne rivedrai nemmeno uno. In cambio dei tuoi quattro travagli e di tutte le fatiche nei campi, cos’hai avuto oltre al cibo strettamente indispensabile e un posto nella stalla?
«E alla miserabile vita che portiamo avanti non è concesso nemmeno di compiere il suo corso naturale. Non mi lamento per me, perché io sono uno di quelli fortunati. Ho dodici anni e ho avuto più di quattrocento figli. È proprio questa la vita naturale di un maiale. Ma nessun animale sfugge all’atroce coltello alla fine. Voi giovani porci seduti qui davanti a me, voi tutti morirete strillando sul ceppo entro un anno. A quest’orrore dobbiamo arrivare tutti, mucche, maiali, galline, pecore, tutti. Nemmeno i cavalli e i cani hanno un destino migliore. Tu, Gondrano, il giorno stesso in cui i tuoi possenti muscoli perderanno forza, sarai venduto da Jones al macellaio, che poi ti taglierà la gola e bollirà la tua carne per darla in pasto ai suoi levrieri. E riguardo ai cani… quando diventeranno vecchi e avranno perso i denti, Jones gli legherà una pietra al collo e li annegherà nello stagno più vicino.
«Quindi non vi pare ovvio, compagni, che tutte le disgrazie di questa nostra esistenza dipendono dalla tirannia degli esseri umani? Liberiamoci dell’uomo, e finalmente il frutto del nostro lavoro potrà appartenere solamente a noi. Già ora potremmo diventare ricchi e liberi. Cosa dobbiamo fare, allora? Ecco: lavorare giorno e notte, anima e corpo, per abbattere la razza umana! È questo il mio messaggio per voi, compagni: Rivoluzione! Non so dirvi quando ci sarà la Rivoluzione, potrà essere fra una settimana o fra cent’anni, ma so, com’è certo che vedo questa paglia sotto le mie zampe, che prima o poi giustizia sarà fatta. Non perdete mai di vista questo obiettivo, compagni, per il breve tempo che vi rimane da vivere! E soprattutto, tramandate il mio messaggio a quelli che verranno dopo di voi, in modo che le future generazioni possano proseguire la lotta fino alla vittoria.
«E ricordate, compagni: la vostra determinazione non deve mai vacillare. Non fatevi ingannare dalle parole; non date retta a chi vi dice che l’uomo e gli animali perseguono un interesse comune e che la prosperità dell’uno rappresenta la prosperità degli altri… sono solo falsità. L’uomo non bada agli interessi di nessuna creatura, bada solo ai propri. E fate in modo che fra noi animali ci sia un’assoluta unità, un’assoluta solidarietà nella lotta. Tutti gli uomini sono nemici. Tutti gli animali sono compagni.»
In quel momento scoppiò un tremendo baccano. Mentre il Maggiore stava ancora parlando, quattro grossi topi erano usciti dalle loro tane e si erano messi ad ascoltare seduti sulle zampe posteriori. I cani se n’erano accorti subito e i topi riuscirono a salvarsi solo grazie a una pronta fuga nelle tane. Il Maggiore sollevò la zampa per ottenere silenzio.
«Compagni,» disse, «questa è una faccenda che va risolta. Le creature selvatiche, come i topi e i conigli, sono nostri amici o nostri nemici? Votiamolo. Pongo la domanda all’assemblea: i topi sono nostri compagni?»
La votazione ebbe subito luogo e una larghissima maggioranza stabilì che i topi erano compagni. Ci furono solo quattro contrari, i tre cani e la gatta, che, si scoprì solo dopo, aveva votato sia per una cosa che per l’altra.
Il Maggiore continuò: «Ho ancora una piccola cosa da dirvi. Lo ripeto, tenete sempre a mente il vostro impegno di ostilità nei confronti dell’uomo e di tutte le sue abitudini. Tutto ciò che cammina su due gambe è un nemico. Tutto ciò che cammina su quattro gambe, o ha delle ali, è un amico. E ricordatevi anche che nel combattere l’uomo non dobbiamo finire per assomigliargli: anche quando sarà sconfitto, non dovrete imitarne i vizi. Nessun animale dovrà mai abitare dentro una casa, oppure dormire in un letto, o indossare abiti, o bere alcolici, o fumare tabacco, o maneggiare denaro, o commerciare. Tutte le abitudini dell’uomo sono malvagie. E soprattutto, nessun animale dovrà mai tiranneggiare il proprio simile. Deboli o forti, ingenui o scaltri, siamo tutti fratelli. Nessun animale dovrà mai uccidere un altro animale. Tutti gli animali sono uguali.
«E ora, compagni, vi parlerò del sogno di questa notte. Non posso descrivervelo, si è trattato di una visione su come sarà il mondo quando l’uomo non ci sarà più. Mi ha fatto, però, tornare alla mente una cosa che avevo dimenticato da molto tempo. Parecchi anni fa, quando ero solo un porcellino, mia mamma e le altre scrofe erano solite cantare una vecchia canzone di cui conoscevano solo la melodia e le prime tre parole. Conosco quella melodia fin da bambino, ma da un pezzo mi era passata di mente: questa notte, però, mi è tornata in sogno; e ciò che più importa, sono tornate anche le parole della canzone; parole, ne sono sicuro, cantate dagli animali di tanto tempo fa e di cui da generazioni si era perduta la memoria. Compagni, ora vi canterò quella canzone. Sono vecchio e la mia voce è roca, ma quando vi avrò insegnato la melodia sarete in grado di cantarla meglio. S’intitola Bestie d’Inghilterra
.»
Il vecchio Maggiore si schiarì la gola e cominciò a cantare. Come aveva detto, la sua voce era roca, ma cantava abbastanza bene: si trattava di un’aria struggente, qualcosa fra Clementina e La Cucaracha . Le parole erano queste:
Bestie d’Inghilterra, bestie d’Irlanda,
bestie d’ogni clima e d’ogni landa,
ora ascoltatemi e spargete il boato
di un tempo futuro, il tempo dorato.
Prima o poi il gran giorno verrà
che l’umano tiranno vinto sarà,
e d’Inghilterra i fertili prati
sol dagli animali saranno calpestati.
Via i morsi, gli anelli e via le catene
via le cavezze da colli e dalle schiene;
morso e speroni la ruggine avrà,
la frusta crudele mai più colpirà.
Ben più ricchi di quanto sognate
d’erba e fagioli e biete e patate,
di grano ed orzo e fieno a covoni,
d’ogni raccolto saremo padroni.
Splenderanno i campi d’Albione
e le sue acque saranno più buone,
più dolci soffieranno i suoi venti
il giorno che ci vedrà indipendenti.
Noi per quel giorno dobbiamo soffrire
seppur ci colga l’acerbo morire;
ogni animale a sua facoltà
dovrà lottare per la libertà.
Bestie d’Inghilterra, bestie d’Irlanda,
bestie d’ogni clima e d’ogni landa,
ora ascoltatemi e spargete il boato
di un tempo futuro, il tempo dorato.
Questa canzone gettò gli animali nell’eccitazione più selvaggia. Prima ancora che il Maggiore l’avesse finita, avevano preso a cantarla da soli. Perfino i più tonti fra loro avevano afferrato in fretta il motivetto e qualche parola, mentre i più intelligenti, come i maiali e i cani, impararono l’intera canzone a memoria in pochi minuti. E quindi, dopo alcuni primi tentativi, l’intera fattoria cantò tutta insieme Bestie d’Inghilterra : le mucche la muggivano, i cani la guaivano, le pecore la belavano, i cavalli la nitrivano, le anatre la starnazzavano. La canzone li entusiasmava tanto che la cantarono per intero cinque volte di fila, e avrebbero proseguito a cantarla per tutta la notte se non fossero stati interrotti.
Sfortunatamente, il baccano aveva svegliato il signor Jones, che saltò giù dal letto con l’idea che una volpe fosse entrata nell’aia. Prese il fucile che teneva sempre in un angolo della camera da letto e sparò nell’oscurità. I pallini si conficcarono nella parete del granaio e l’assemblea si sciolse in gran velocità. Ognuno corse al proprio giaciglio. Gli uccelli volarono ai loro trespoli mentre gli altri animali si adagiarono sulla paglia, e in un attimo tutta la fattoria fu immersa nel sonno.
Capitolo 2
Il vecchio Maggiore morì serenamente nel sonno tre notti dopo. Il suo corpo fu seppellito in fondo al frutteto.
Questo accadde all’inizio di marzo. Nei tre mesi che seguirono ci fu un’intensa attività segreta. Il discorso del Maggiore aveva permesso agli animali più intelligenti della fattoria di vedere la vita in modo completamente nuovo. Non avevano idea di quando ci sarebbe stata la Rivoluzione che il Maggiore aveva profetizzato, e non avevano nemmeno ragione di credere che sarebbe avvenuta mentre erano vita, eppure erano certi che spettava a loro porre le basi. Il compito di istruire e organizzare gli altri ricadde in modo naturale sui maiali, che erano riconosciuti da tutti come gli animali più intelligenti.
Tra i maiali, quelli più autorevoli erano due giovani verri chiamati Palla di Neve e Napoleone , che il signor Jones stava allevando con l’idea di venderli. Napoleone era un grosso verro di razza Berkshire dall’aria piuttosto feroce: l’unico Berkshire della fattoria, non uno che amava parlare ma con la fama di sapersela sempre cavare da solo. Palla di Neve, invece, era un maiale più vivace di Napoleone, di lesta parlantina e dotato di maggiore inventiva, ma non gli veniva riconosciuta la stessa profondità di carattere. Tutti gli altri maiali maschi della fattoria erano tenuti all’ingrasso. Fra loro il più conosciuto era un maiale cicciottello chiamato Squillo, con le guance decisamente paffute, occhi brillanti, movimenti agili e con una voce stridula. Si trattava di un oratore brillante e quando si trovava in difficoltà cominciava a saltellare da una zampa all’altra e a frullare la coda in un modo tale che riusciva ad essere molto convincente. Gli altri dicevano che Squillo riusciva a farti vedere il bianco per nero.
Questi tre maiali avevano rielaborato gli insegnamenti del vecchio Maggiore in un completo sistema di pensiero che chiamarono Animalismo. Molte notti a settimana, quando il signor Jones andava a dormire, organizzavano assemblee in segreto dentro il granaio e spiegavano agli altri i princìpi dell’Animalismo. All’inizio furono costretti a fare i conti con molta stupidità e apatia. Alcuni animali parlavano del dovere di fedeltà al signor Jones, cui si riferivano come il Padrone
, oppure facevano osservazioni banali come "Il signor Jones ci nutre; se non ci fosse più,