Merende d'avventura: con petronilla, criollo e pulcino
Di Martina B.
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Anteprima del libro
Merende d'avventura - Martina B.
strada.
1. Una grande passione
Gisella entrò senza preavviso nella cucina di sua nonna. Toccando la porta aveva avuto la sensazione di stare per interrompere qualcosa, ma il suo stomaco reclamava la merenda. La sua mano ruotò la maniglia e il suo piede destro fece ingresso nella stanza. Seguito a ruota dal sinistro.
- Gisella Ester Montebruma cosa stai facendo qui? – sua nonna, una donna imponente nell’animo e nell’aspetto, la fulminò con lo sguardo.
Brunilde, nonostante l’età, era alta, slanciata e aveva capelli nero corvino. Avvolta in uno scialle verde scuro che faceva risaltare i suoi occhi di ghiaccio, si girò a fissare, con fare felino, ogni movimento di sua nipote.
- Ops… scusa nonna! Non sapevo ci fossero ospiti … Vorrei solo un dolcetto … - disse lei, sbattendo le palpebre e fingendo uno sguardo innocente.
Sua nonna, che incuteva terrore a tutti i bambini del vicinato oltre che a suoi stessi nipoti, era difficile da prendere in giro. Gisella tentò comunque di dirigersi verso la credenza. Poiché aveva interrotto la cosa – e quindi avrebbe ricevuto un castigo entro la fine della giornata - sarebbe stato un peccato non andare fino in fondo ed agguantare la merenda. Sua nonna non la pensava come lei. Il secondo sguardo inceneritore le giunse più veloce e potente del primo. Allora Gisella retrocesse di qualche passo, abbozzando un goffo sorriso di scuse che non convinse Brunilde.
Gisella aveva compiuto dodici anni il 9 Giugno di quell’anno. Le piacevano i suoi capelli chiari, che faceva diventare ancora più brillanti con lo shampoo alla camomilla e dragoncello che la mamma le preparava. In quel periodo, era Agosto, il cloro della piscina insieme ai raggi del sole estivo donavano alla sua chioma un ancor più marcato color miele. L’estate era la sua stagione preferita. Non solo perché i suoi capelli acquistavano riflessi color oro, non solo perché non andava a scuola, ma sopratutto poiché aveva molto tempo da dedicare alla sua più grande passione!
Purtroppo la sua passione non era condivisa in famiglia. I Montebruma abitavano da molti secoli in una frazione del paese di Roccavento chiamata Sant’Anna
. Generazione dopo generazione le donne della famiglia si dedicavano a un'unica, importantissima, attività: essere una masca (sinonimo di strega in piemontese). Quest’ultima era l’unica passione che la sua famiglia riconoscesse. Tutto il resto era da considerarsi un hobby e tale doveva rimanere.
Le masche non erano mai state tra gli interessi di Gisella. Sua nonna, la masca più anziana e potente della famiglia, le faceva paura. Brunilde odorava di legna bruciata, farina di mais e ogni tanto, di carne alla brace. Gisella le stava alla larga, non le piaceva il suo tipico odore da masca, ne quello che faceva.
Altro che Harry Potter. Gisella e Lucio (il suo fratello gemello) avevano guardato tutti i film della saga, in occasione del compleanno di Sofia Bandini, una compagna di classe. Pietra filosofale? Unicorni? Giganti? L’unica cosa che loro avessero visto prodursi grazie alla magia erano strani intrugli color melma, che la loro mamma Barbara vendeva ai teenagers contro i brufoli. L’animale che più si avvicinava a un unicorno era la loro capretta Mina, che avendo preso a testate, in un giorno di nebbia, il povero muro del garage, aveva perso una delle due corna. E l’unico gigante avvistato in quegli anni, era il vicino Norvegese che veniva in vacanza con la sua famiglia tutte le estati. Forse sua nonna un pochino le ricordava Voldemort, ma questo non l’aiutava a sentirsi più interessata alle faccende magiche
delle masche di Casa Montebruma.
La magia esisteva, ma era meno magica di come veniva descritta nei romanzi. Le scope di saggina, tipo quella della Befana per capirci, non esistevano quasi più e volare su un aspirapolvere non sarebbe stato dignitoso. Gli oggetti non si spostavano da soli e il controllo sul meteo era molto limitato. E soprattutto non capitava mai che una masca avesse più di due o tre talenti
. Fatta eccezione per nonna Brunilde: si dicevano grandi cose su di lei e sul fatto che fosse molto potente poiché nata di sette mesi e senza dita dei piedi. Gisella sospettava che quell’ultima diceria fosse vera poiché anche d’estate sua nonna non portava MAI i sandali o le scarpe aperte.
Volete un esempio dei grandi poteri di Brunilde? Facciamo un passo indietro. Cosa stava facendo Brunilde quando Gisella fece ingresso in cucina alla ricerca di un dolcetto?
La sera prima una signora di Milano aveva chiamato Casa Montebruma. Brunilde aveva ascoltato con attenzione. Con fare mellifluo aveva chiesto qualche dettaglio in più sui sintomi. Poi aveva dichiarato, in tono gelido, che la situazione era grave e che bisognava agire il prima possibile. La mattina seguente, la signora di Milano, in evidente stato d’ansia, era arrivata alla guida della sua Mercedes rosso fiammante. Più erano ricchi, più Brunilde si divertiva a spaventarli. Personaggi che si sentivano superiori a tutti, diventavano piccoli e insicuri al suo cospetto. Poi, come sempre, accoglieva loro in cucina, facendoli sentire a proprio agio. La sua tattica era infallibile: spaventare e… ammagliare.
In quel caso la signora Belmondo soffriva, da qualche settimana, di un prurito che le prendeva all’improvviso: iniziava piano pianino dalla gamba destra, poi saliva sul fianco medesimo e finiva, fortissimo, dritto in mezzo alla schiena. A forza di grattarsi era diventata lo zimbello di tutte le sue amiche, poiché il prurito la prendeva senza preavviso e nelle situazioni più svariate: durante un tè in una nota pasticceria milanese aveva dovuto barricarsi in bagno e cercare di attenuare il micidiale pizzicore strofinandosi la schiena sullo stipite di una porta; un’altra volta durante una camminata di jogging, aveva dovuto sfregarsi, come fosse un’orsa, contro il tronco di un albero, di fronte allo sguardo divertito dei passanti. Dopo quegli episodi, si era recata dal suo medico che fatti alcuni accertamenti le aveva diagnosticato: il prurito di San Lazzaro. La donna aveva sentito parlare di quel disturbo e aveva chiesto al suo medico quale fosse il medicinale più appropriato. Il dottore aveva sospirato e aveva fatto scivolare gli occhiali sul naso, in modo da poterla fissare dritta negli occhi. E poi le aveva detto:
- Signora Belmondo, il prurito di San Lazzaro in medicina si tratta con una serie di antidolorifici, antidepressivi e anestetici. Ma… come posso dire. In svariati casi ho visto che le medicine da sole non risolvono il problema.
- Oh - aveva risposto la Signora Belmondo di Milano – E allora che cosa mi consiglia? Una lunga vacanza rilassante alle Fiji? Un mese in un centro disintossicante a Merano? Un corso di yoga? Non ci sarebbero problemi. Sono pronta a fare quello che devo. Questo prurito è incompatibile con la mia posizione sociale!
Allora il medico l’aveva di nuovo guardata negli occhi, cercando di capire come avrebbe accolto quello che le stava per dire:
- Signora Belmondo, in questi casi serve anche … un po’ di magia.
- Magia? – disse lei visibilmente perplessa.
- Sì, magia vecchio stampo diciamo. Le serve l’aiuto di una masca.
- Masca? E che cos’è? Un nuovo attrezzo per il pilates?
- No, signora Belmondo. La masca è una donna che potrebbe aiutarla a scacciare il prurito. Ecco tenga – le disse porgendole un biglietto – Non ce ne sono più molte. L’unica che conosco vive