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Le Veglie Di Giovanni: MAREMMA Storie davanti al caminetto
Le Veglie Di Giovanni: MAREMMA Storie davanti al caminetto
Le Veglie Di Giovanni: MAREMMA Storie davanti al caminetto
E-book169 pagine2 ore

Le Veglie Di Giovanni: MAREMMA Storie davanti al caminetto

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Info su questo ebook

La MAREMMA è il territorio confinante con il Mar Tirreno compreso tra Pisa e Grosseto.
Prima della bonifica era una palude inospitale dove l'aria cattiva, (la malaria) aggravava o rendeva difficile o persino impossibile la vita delle persone.
Una canzone popolare "Maremma amara" maledice questa zona, che oggi è conosciuta come regione fertile e amata dai turisti.
Per me non è una "Maremma maledetta" come dice la canzone, ma una "Maremma benedetta", nella quale vivo e lavoro da molti anni. In questa – oserei quasi dire – "paradisiaca" regione sono ambientate le seguenti storie ed è qui che agiscono i miei personaggi.
Persone come me e come te, con tutti i rispettivi pregi e difetti.
LinguaItaliano
Editoreepubli
Data di uscita15 apr 2020
ISBN9783752940992
Le Veglie Di Giovanni: MAREMMA Storie davanti al caminetto

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    Anteprima del libro

    Le Veglie Di Giovanni - Johann Widmer

    Le Veglie di Giovanni

    Start

    Prefazione

    La Veglia

    Funghi

    La Sagara Del Cinghiale

    La Pensione

    Mucca Pazza

    Romeo e Giulietta

    Amore

    R.I.P. (requiescat in pacis)

    Fai da Te

    Idillio Pastorale

    Mario

    Anna

    Giovanni

    Italo e Vergilio

    Bella

    Un Affarone

    Wassili

    Fausto

    Amerigo

    Cronaca Nera

    Twiggy

    Il Trattore

    Start

    LE VEGLIE DI GIOVANNI

    MAREMMA

    JOHANN WIDMER

    Storie davanti al caminetto

    LE VEGLIE DI GIOVANNI

    Titolo dell’opera originale

    MAREMMA

    TRADUZIONE dal tedesco 

    RUTH BATTILANI

    GIAN CARLO BATTILANI

    ISBN vedi copertura

    Stiftung Augustine und Johann Widmer, Hrsg.

    Augustine e Johann Widmer Fondazione, ed.

    © Tutti diritti: Fondazione Johann und Augustine Widmer Basilea 2020

    Tutti i diritti riservati, in particolare il diritto di riprodurre, distribuire e tradurre. Nessuna parte dell›opera può essere riprodotta in qualsiasi forma (mediante fotocopia, microfilm o qualsiasi altro metodo) senza l›autorizzazione scritta del titolare dei diritti o archiviata, elaborata, riprodotta o distribuita mediante sistemi elettronici.

    www.johann-widmer.ch

    ISBN vedi copertura

    1a edizione 2020

    Prefazione

    La MAREMMA è il territorio confinante con il Mar Tirreno compreso tra Pisa e Grosseto.

    Prima della bonifica era una palude inospitale dove l’aria cattiva, (la malaria) aggravava o rendeva difficile o persino impossibile la vita delle persone.

    Una canzone popolare Maremma amara maledice questa zona, che oggi è conosciuta come regione fertile e amata dai turisti.

    Per me non è una Maremma maledetta come dice la canzone, ma una Maremma benedetta, nella quale vivo e lavoro da molti anni. In questa – oserei quasi dire – paradisiaca regione sono ambientate le seguenti storie ed è qui che agiscono i miei personaggi.

    Persone come me e come te, con tutti i rispettivi pregi e difetti.

    Monterotondo Marittimo

    (luglio 1999 e settembre 2019)

    La Veglia

    Qui, nelle campagne della Toscana, per veglia si intende un conviviale stare insieme, particolarmente nelle lunghe serate invernali. In modo assai spontaneo un contadino invitava i suoi vicini ad una veglia. Quasi sempre ci si radunava davanti al caminetto, magari sgranando pannocchie di mais, le donne lavoravano con l’uncinetto alle loro belle coperte. Sicuramente ciascuno aveva un bicchiere di vino rosso a portata di mano, le castagne sul fuoco emanavano il tipico profumo di caldarroste. Si discuteva dei problemi attuali dell’agricoltura, si parlava degli eventi del giorno o si stava semplicemente seduti, guardando la fiamma, in silenzio. Regnava un’atmosfera tranquilla, confortevole e piacevole.

    Prima o poi qualcuno veniva invitato a raccontare una storia. Toccava a lui la scelta di cosa raccontare. Poteva trattarsi di cose vissute, sentite dire, di tempi lontani o di cose inventate di sana pianta.

    Quello che ne saltava fuori era semplicemente incredibile. Qualcuno cui normalmente bisognava strappare le parole di bocca, si svelava un narratore dotato, capace di far diventare un semplice fatto, una epica letteraria. Un altro invece, ritenuto un tipo privo di senso dell’umorismo, faceva ridere tutta la combriccola per il resto della serata. Alcuni bisognava pregarli a lungo per fargli aprire bocca, mentre altri, ad un certo momento, bisognava zittirli perché all’indomani li aspettava una giornata duro lavoro.

    La storia raccontata costituiva il culmine della serata, anche se qualcuno magari l’aveva già sentita per la seconda volta.

    La trasmissione orale si perde prima o poi, se non viene documentata, ma tempo fa la maggior parte dei nostri contadini aveva difficoltà nello scrivere, se mai ne fossero stati capaci.

    Negli anni intorno il 1882 a questa vecchia tradizione si ispirava lo scrittore Renato Fucini per scrivere un libro di storie dal titolo veglie di Neri, ormai purtroppo caduto in oblio.

    Le seguenti storie davanti al caminetto dovrebbero essere intense come un omaggio al mio predecessore, nato nel 1843 nel nostro paesello.

    Con l’arrivo della televisione negli anni ‘70 questo idillio venne brutalmente interrotto, giacché il nuovo intrattenimento risultava più avvincente, divertente e portava dei mondi lontani nelle nostre piccole abitazioni. Arrivarono storie nuove, persino immagini in movimento, bella musica, molta pelle femminile nuda e molto intrattenimento banale. In questo modo si poteva tranquillamente e ben volentieri rinunciare alle storie della veglia.

    Sia ben chiaro, la televisione non è l’unico imputato del declino di questa vecchia tradizione, è soltanto un anello di una lunga catena di cause, come l’abbandono delle campagne da parte dei contadini ormai vecchi, l’automobile che rende la vita mobile e instabile, la generazione dei giovani che sono inclini ad altri tipi di divertimento e tanto altro.

    A questo punto però non è il caso di intonare un lamento per il buon vecchio tempo. Al contrario, queste storie davanti al caminetto dovrebbero trasmettere un soffio di quell’atmosfera e un lieto ricordo di tutte le belle serate di veglia che abbiamo ancora vissuto qui, più di 150 anni dopo Renato Fucini.

    Adesso però è giunto il momento delle storie.

    Funghi

    Nell’estate di San Martino non erano soltanto le vecchiette a godersi il tepore degli ultimi raggi di sole, i vecchietti se ne stavano seduti sul muretto nell’ angolo di Piazza Garibaldi. Stanchi, scontrosi e apatici, si lasciavano riscaldare dai deboli raggi autunnali. Tutti i santi giorni si accovacciavano lì, ingobbiti, muti e introversi, aspettando il prossimo pasto, nella speranza che succedesse qualcosa mentre erano seduti là o forse nemmeno questo. Stavano là per non essere soli, per il bisogno di compagnia, un ottimo rimedio contro i brutti pensieri.

    Parlavano poco, la voglia di parlare apparteneva al passato, ai tempi in cui ancora si veniva ascoltati o si doveva essere ascoltati per forza, una volta, quand’ era ancora il loro tempo.

    Si doveva uscire di scena, fare posto ai giovani, ricevere la pensione, e da quel momento era permesso loro di stare seduti per giorni interi sul muretto. Ed è proprio lì che le loro conversazioni morivano poco a poco. Difficilmente valeva la pena di parlare di un evento, o dei loro innumerevoli acciacchi, delle malattie che gli soffiavano sul collo, o delle chiacchiere di paese o persino della nuova crisi del governo.

    No, non ne valeva proprio la pena.

    Forse soltanto quando una delle bellezze del paese passava, pavoneggiandosi e sculettando in modo seducente nei suoi jeans troppo stretti, poteva succedere che un brillo di luce guizzasse negli occhi torbidi, qualcuno si leccava le labbra scarne e un altro sospirava profondamente. Per la frazione di un secondo i loro cuori battevano più forte, ma era un attimo, era già passato. Bisognava pure usare riguardo al proprio cuore.

    Eh sì, una volta, nei tempi passati, erano ancora dei tipi in gamba, ma adesso tutto è superato. Persino il rassicurante passato si era offuscato a forza di raccontare tante volte le stesse storie, ormai sbiadite e amuffite.

    Si taceva, sognando grigia nebbia, aspettando, aspettando il nulla, non aspettando più niente.

    Alberto, il minatore disoccupato, scendeva la strada con un cesto sotto le braccia. I vecchi alzavano le loro teste e scrutavano il giovanotto in modo critico.

    Sei stato nel castagneto? chiedeva il vecchio Boni incuriosito.

    Bah, le castagne, non vale nemmeno la pena a chinarsi ridacchiava il giovane.

    Nonno Rossi annusava l’aria e tutto d’un tratto si agitava: ha dei funghi, ragazzi, profuma maledettamente di funghi, vero?

    Come fulminati tutti scattavano, urlando: funghi! Facci vedere! l

    Ciò di cui non era stata capace di fare la politica nè le gambe delle ragazze, riusciva a fare questa parola magica, colpendoli nel profondo del loro animo.

    Carichi di vitalità giovanile e più veloci di quanto avrebbe loro permesso l’artrosi, scattavano in piedi e si radunavano intorno al giovane – o meglio – al cesto di funghi, annusando con narici tremanti il loro profumo aspro che sembrava diffondersi in tutta la piazza.

    Veramente! funghi veri! Funghi teneri e belli, nascosti sotto un panno, una cesta intera, piena di funghi!

    Il vecchio Sandro ne afferrò uno con le dita affusolate, annusandolo e ispezionandolo con occhio esperto:

    Io direi che questo è un trycholoma equestre, in fondo un fungo senza valore, non velenoso, ma proprio inutile e duro come il cuoio.

    Non dire così, ribatteva Dino, non mi ricordo il nome, ma conosco benissimo il suo sapore, è eccellente, delizioso, ve lo dico io.

    Stupidaggini, lo interrompeva il vecchio Bianchi, lo conosco bene questo fungo, è una russula grigia, sono sicuro al cento per cento. É assolutamente immangiabile, è un vero fungo da vomito, lo garantisco io, un fungo da vomitare di prima qualità, che ti fa rovesciare le budelle, potrai vedere in faccia l’interiore delle tue interiora. L’anno scorso mio genero ne aveva uno nella pietanza, soltanto uno, e vi dico che hanno vomitato alla grande, tutta la famiglia sarebbe quasi morta. E poi si sentivano male ancora per settimane!

    Eh, bastava che si guardassero a vicenda, per sentirsi male, ribatteva cinicamente Dino, E se quello conosce i funghi altrettanto bene come te, presto dovrà crepare per intossicazione, te lo dico io.

    Per sdrammatizzare la situazione incadenscente ed evitare il litigio, l’ex-sindaco esortava in modo deciso: Fatemi vedere!

    Dopo un esame critico e breve, sentenziava che si trattasse di un hygrophorus eburneus. I dubbiosi mormorii venivano soffocati con il suo sguardo autoritario che – grazie alla sua carica - padroneggiava in modo eccellente e che già allora riusciva a zittire ogni consigliere comunale brontolone.

    Una volta, tempi passati, tempi andati. 

    Ma adesso persino Tommasino, l’ex-bracciante giornaliero, osava dire la sua: Si chiamerà come vuole, ma io non mangerai mai un fungo verdognolo, mai e poi mai, perchè il verde non promette nulla di buono.

    L’ex-sindaco faceva finta di non aver sentito questa obiezione piuttosto naif, per di più fatta da un rappresentante del basso ceto sociale, col quale non si era mai identificato, neanche quando era un sindaco rosso.

    Rivolto verso Alberto dichiarava: Caro Alberto, ti dico che da questo fungo puoi aspettarti un piacere culinario di prima classe. Questo fungo, preparato in modo adeguato, con una salsa alla panna è il piacere top della tavola. La buona carne si scioglierà sulla lingua, più delicata e gustosa di un agnello appena nato. Annaffiato con un bicchierino di Malvasia bianca, ti posso garantire che persino gli antichi romani ti guarderanno di lassù con invidia.

    Poi si intrometteva Filippi, un vecchio ed esperto raccoglitore di funghi, brontolando:

    Ma si è mai sentita una cosa simile? Vino bianco con i funghi? L’alcool, unito a certi funghi, può risultare mortale, ma con questo fungo non importa, perchè, secondo me, è il fungo più mortale che esiste in natura, è una amanita phalloide.

    Presi dallo spavento, tutti indietreggiavano di un passo.

    Ma l’autorità dismessa rimaneva fermo nel suo giudizio. Hygrophorus eburneus, Filippi o non Filippi, e inoltre questo fungo senza vino sarebbe come la vita senza amore. E questo dovrebbe essere un’amanita phalloide? Ridicolo!

    Filippi, tutto agitato, gracchiava: latino o non latino, se mangerai questo fungo cadrai subito dalla sedia, morto.

    Ma la battuta non veniva approvata perchè tutti sapevano che la morte sopraggiunge solo ore dopo, quando non c’è più niente da fare contro il veleno.

    La settimana scorsa, esattamente a causa di questo fungo, a Bologna sono morte dodici persone, smorzava Filippi il tono del suo avvertimento.

    Bolognesi, sentenziava il vecchio sindaco, Eh, i bolognesi, cosa vuoi che capiscano di funghi, passano i boschi al setaccio e mangiano tutto ciò che sembra un fungo. Tipico, dodici in una volta, una cosa che può succedere solo a loro.

    Succederà anche a te. diceva Filippi ad un Alberto perplesso.

    Niente panico, li tranquillizzava l’ex-sindaco, questo fungo è commestibile, se non lo fosse, mi mangerai una scopa!

    Mangi piuttosto questi funghi! ribatteva arrabbiato l’altro, girando la schiena alla compagnia.

    Intanto i vecchietti chiacchieroni avevano disorientato Alberto che voleva finalmente una garanzia sulla commestibilità di questo fungo.

    Nessuno ti può garantire niente su questa terra, diceva sorridendo il vecchio politico, "Si può soltanto accertare, secondo il sapere e la coscienza. Si può sostenere una tesi che – ovviamente – resta da verificare. La micologia è una scienza ampia e noi profani ne sappiamo ben poco. Io so,

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