Posso averne uno spicchio?
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Info su questo ebook
Giulia Mazzocato nasce a Treviso il 25 giugno 1990. Diplomata al liceo artistico, è appassionata di sport e di danza. Imprenditrice assieme al marito, lavora nel mondo della ristorazione e delle pizzerie da circa dieci anni. La pizza è una costante della sua vita, è lavoro ma anche dedizione
e piacere.
Neomamma del piccolo Gabriele e con la passione per le
storie d’amore.
Ha iniziato a scrivere per sé stessa, per il bisogno di mettere nero su bianco le proprie fantasie, i propri pensieri, realizzando successivamente che aveva voglia di condividerli con il mondo.
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Anteprima del libro
Posso averne uno spicchio? - Giulia Mazzocato
Giulia Mazzocato
Posso averne uno spicchio?
© 2022 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Roma
www.gruppoalbatros.com - info@gruppoalbatros.com
ISBN 978-88-306-6405-0
I edizione settembre 2022
Finito di stampare nel mese di agosto 2022
presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)
Distribuzione per le librerie Messaggerie Libri Spa
Posso averne uno spicchio?
Che per stare in pace con te stesso e col mondo, devi avere sognato almeno per un secondo
Il ballo delle incertezze - Ultimo
Personaggi e luoghi citati hanno lo scopo di conferire veridicità alla narrazione, qualsiasi analogia con fatti, luoghi o persone vive o scomparse, è assolutamente casuale.
22 giugno.
Entrai nel negozio, una ragazza giovane, sui venticinque anni, mora con lunghi capelli lisci, appoggiata con un gomito sul bancone, fissava il suo cellulare noncurante della mia presenza. Il cartellino appuntato sulla maglietta svelava il suo nome, Pamela.
«Buongiorno» feci io il primo passo.
«Salve» mi rispose svogliata.
«Mi servirebbe una copia di questa chiave» dissi, e appoggiai sul bancone l’enorme massa di chewing-gum con intarsiata una forma di chiave.
La ragazza sgranò gli occhi, distolse l’attenzione dal telefono e mi guardò con aria schifata: «...che cos’è questa roba?»
«É una Big Bubble gigante» risposi io come se non fosse ovvio, che altro poteva essere? Budino alla fragola?
«E che cosa dovrei farci?»
«Vede?! All’interno c’è la forma della chiave di cui mi serve una copia, può farla?»
Pamela continuava a fissarmi in silenzio, come se aspettasse una spiegazione, ma a me sembrava tutto così chiaro che non seppi che altro aggiungere. Poi il suo viso si fece più serio, come se avesse appena avuto un’illuminazione, strinse gli occhi e fece un passo indietro: «…non l’avrà mica rubata?» mi disse.
«Certo che no, l’ho comprata al negozio di caramelle ovviamente!»
Per chi mi aveva preso?!
«Non il chewing gum, la chiave!!»
«No no, la chiave è di un mio amico, a me serve semplicemente una copia» risposi io tranquilla.
«E allora perché non è venuta direttamente con quella del suo amico?» cercò di indagare.
Ma quante domande faceva questa? Che diavolo voleva insinuare, che ero una ladra?
«Perché lui non lo sa.»
La ragazza ancora più stupita dalle mie risposte non sapeva come gestire la situazione, chiamò in aiuto un collega.
«Fabio, puoi venire qui un attimo per favore?»
Fabio che era nel retro del negozio arrivò in pochi secondi e mi salutò con entusiasmo e gentilezza.
«Buongiorno cara.»
Oh finalmente una persona competente ed educata, era ora. Fabio doveva essere per forza il fabbro, alto e grosso, ma con la faccia da bravo ragazzo, aveva le mani di uno che lavorava sodo.
«Buongiorno a lei, Fabio.»
«Senti, la signora qui ha portato questa cosa
»… disse la ragazza indicando la Big Bubble sul bancone (signora
mi sembrava un po’ esagerato comunque), «Dai un’occhiata.»
Al che Fabio la guardò con attenzione, per poi rivolgersi a me nuovamente.
«Mi scusi, ma perché la chiave è spiaccicata in una gomma americana? Non poteva portare con sé loriginale?» fece una pausa poi aggiunse: «Non l’avrà mica rubata?»
E che cavolo però.
«Sentite, io non ho rubato proprio un bel niente, è una storia lunga e complessa sulla quale non sono tenuta a soffermarmi. Me la potete fare o no questa stramaledetta copia? Altrimenti alzo i tacchi e me ne vado» dissi spazientita.
I due si guardarono per qualche istante, non erano per nulla convinti, ma si sa il mondo degli affari è spietato e forse Fabio aveva letto nei miei occhi una vena di sincerità, dopotutto io non avevo mica mentito! Infine fu proprio il buon Fabio a prendere la decisione e grazie al cielo senza troppe storie.
«...d’accordo attenda qui, ci vorranno circa trenta minuti.»
«La ringrazio» dissi boriosa.
Guardai la ragazza soddisfatta: avevo vinto io, anche lei mi guardò di sottecchi con aria di sfida. Non le stavo simpatica, lo avevo capito.
Così mi venne naturale aggiungere: «Quanto le devo, SIGNORA?»
10 giugno.
Accesi il computer.
L’emozione della sinfonia di windows di prima mattina.
Ok, sono appena le nove... mi serve un altro caffè
pensai.
Vivevo di caffè.
Ne avevo già preso uno a casa, prima di uscire, poi uno al bar in fondo alla via mentre correvo in ufficio. Ora seduta qui alla mia scrivania ne sentivo già un disperato bisogno. Ero una caffeinomane compulsiva.
Speravo che la mattinata sarebbe stata più interessante del programma grafico che si stava avviando sul mio PC, ma in realtà era una giornata come un’altra.
Avrei atteso con ansia le undici per ascoltare le news del giorno di Ginevra di come aveva appena trascorso il fine settimana. Dopo la sua ultima storia sul barista cubano conosciuto al Sottovento la sera del suo compleanno, le sue avventure amorose erano diventate la soap opera dell’ufficio durante la pausa caffè: «Raul è così affascinante, lo sapevate che è anche un esperto di balli latino-americani? Mi ha promesso di portarmi a visitare le meraviglie di Cuba!»
Ginevra era già lei stessa una meraviglia. Alta, capelli castani, perennemente abbronzata di un incarnato luminoso, gli occhi color nocciola con una forma leggermente orientale che completavano l’insieme della perfezione del viso affusolato. I suoi outfit erano quasi sempre originali e di gran classe, anche se noi tutti alla Cartopizza sapevamo bene che riusciva ad essere sexy anche con il peggiore dei suoi jeans. Se fossi stato un barista cubano, probabilmente ci sarei cascata anche io.
Ma perché diavolo sono quadrati questi box? La pizza è rotonda...
pensai. Il nuovo prototipo di cartone per pizza mi aveva dato qualche filo da torcere.
Lavoravo alla Cartopizza ormai da cinque anni, ma riuscivo ancora a stupirmi delle assurde richieste dei nostri clienti. L’azienda era leader nella produzione di scatole per pizza e io mi occupavo della parte grafica, assieme a Christian, responsabile packaging.
Che poi diciamolo, quando si ordina la pizza, chi lo guarda l’involucro? Personalmente, dalla fame alle volte mi mangerei pure quello!
Il mio lavoro era tanto strano quanto interessante, tutto sommato non mi dispiaceva.
Da piccola non ero una di quelle bambine che volevano diventare principesse o veterinarie, non volevo salvare il mondo, al contrario ero una bimba molto realistica: per gioco mi mettevo la giacca di papà e facevo finta di andare in ufficio. Non potevo sapere che un giorno ci sarei davvero finita, in un ufficio.
A scuola ero una cima, una di quelle a cui affiancano sempre il compagno in difficoltà per aiutarlo, e la cosa mi faceva sentire importante. Questo succedeva alle elementari e successivamente anche alle medie, poi al liceo le cose un po’ cambiarono: non ero più molto concentrata sullo studio. Pensavo solo a cercarmi un lavoro per potermi mantenere un affitto e andarmene dalla casa dei miei