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La colonia dei tritoni
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E-book249 pagine3 ore

La colonia dei tritoni

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Info su questo ebook

Il villaggio di accoglienza di Don Ascanio Grasso sorge nelle vicinanze di un palazzo costruito in zona rurale durante un’oscura operazione di speculazione edilizia avvenuta trent’anni prima. Ignoti attentatori distruggono l’enorme edificio, per tutti il simbolo del malaffare, facendolo esplodere con la dinamite. Le indagini del brigadiere Carli e dell’appuntato Ferri brancolano nella nebbie del tempo e si impantanano nell’oblio fino ad individuare una pista impervia che incrocerà le rispettive storie personali.
LinguaItaliano
Data di uscita24 dic 2020
ISBN9791220311212
La colonia dei tritoni

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    Anteprima del libro

    La colonia dei tritoni - Davide Nani

    fare.

    -1-

    Don Ascanio Grasso non credeva alle belle sorprese.

    Quel suono di sirena a volume altissimo che sembrava provenire dal nulla aveva l'aria di essere il preludio a una delle tante scorrerie dei teppisti al centro di accoglienza. Atterrire il prete e i suoi ospiti con schiamazzi, lanci di uova marce, rudimentali bottiglie incendiarie e petardi sembrava essere diventato il passatempo preferito di molti giovani annoiati. Don Grasso ne aveva denunciati almeno una dozzina negli ultimi anni, ma gli avvocati erano stati bravi a declassare quegli atti intimidatori, facendoli passare per scherzi o ragazzate.

    Ora quell’ululato meccanico al tramonto, simile a quello di molte fabbriche anni Settanta, echeggiava sinistro e rompeva il silenzio solito del Buon Samaritano. Il prete pur non vedendo anima viva nei paraggi, gridò a tutti i suoi ospiti di correre al riparo.

    Tutti obbedirono senza discutere; se lo aveva ordinato il Don un motivo doveva pur esserci. La parola del prete era legge, forse l’unica valida per tutti.

    Solo Arnaldo Favini era convinto di poter affrontare e risolvere tutto con la sua semplice presenza. In fondo il mestiere del custode consisteva per lui, nella maggior parte dei casi, nel mostrare la sua corporatura massiccia.

    Si guardò attorno, si liberò dalla timida presa del prete e mosse verso il palazzo abbandonato. Strascicò i piedi e sbuffando fino alla fine di quello strano allarme. Forse per la prima volta nella sua vita camminò troppo veloce.

    Il movimento dell'enorme struttura precedette il boato. Il palazzo sembrò sollevarsi da terra come per compiere un piccolo salto all’indietro prima di frantumarsi con la deflagrazione e sparire in una fitta nuvola grigia.

    I vetri plastificati delle casette del Buon Samaritano si fecero concavi per poi saltare come tappi di bottiglia verso l’interno.

    Arnaldo spinto a terra da una forza invisibile si era sentito comprimere dolorosamente i timpani prima di udire solo un fischio, lungo ed uniforme. Dopo quel suono arrivò la folata bianca, bollente e finissima che lo ricoprì, penetrando fin sotto i vestiti.

    Non ebbe nemmeno il tempo di sentirsi stupido per non aver ascoltato le raccomandazioni di chi fisicamente aveva cercato di impedirgli di avvicinarsi troppo allo stabile e si trovò con gli occhi che bruciavano rivolti al cielo. A terra, il custode si meravigliò nel vedere Don Grasso e qualche amico, bianchi come fantasmi, che provavano a chiamarlo senza valicare con il suono delle parole il sibilo che insisteva nel profondo delle sue orecchie. Nemmeno se ne accorse di sanguinare; solo quando si sentì sollevare dai nerboruti infermieri che lo stavano caricando sull'ambulanza capì di essere ferito, poi più nulla.

    L’ ambulanza in partenza incrociò i fari con due camionette di rinforzo per i pompieri che erano arrivati per primi sul posto. I getti potenti delle lance facevano depositare a terra la polvere grossa, lasciando nell'aria una nube di nebbia più leggera tanto fitta da eclissare l’ultimo spicchio di sole all’orizzonte.

    Come un’adunata di lucciole al primo buio, le auto dei curiosi in transito sulla strada statale cominciarono a formare una lunga fila e intasarono il traffico fino a bloccare l’unica carraia di accesso al sito.

    Il brigadiere Carli prese il microfono dal cruscotto e ordinò inutilmente un immediato sgombero attraverso il megafono posto sul tetto dell'auto, azionando a tratti la sirena e imprecando dal finestrino.

    - Appuntato, fammi un paio di sgommate, sennò questi minorati mentali non capiscono che sono d’intralcio.

    L'appuntato eseguì e finalmente si aprì un varco verso il villaggio.

    Gli ospiti del centro vagavano per il piazzale visibilmente sotto shock e Don Grasso incapace di intraprendere iniziative, accolse l’arrivo dei due militari come una liberazione:

    - Carissimo brigadiere , la sua presenza illumina questa valle di lacrime o per meglio dire di polvere. Le confesso che aspettavo con fiducia che mandassero lei per aiutarci. Ha visto che disastro? -

    Carli lo vedeva eccome, anzi nessuno poteva fiutare come lui quell'odore di mandorla bruciata. I fumi in distanza di alcune timide fiammelle lo riportarono indietro di più di trent'anni, alla sua prima missione in Libano durante la ferma di leva. Quello scenario era per lui l'affresco della morte: nessuna falce, nessun teschio, solo fumo, polvere e l’immagine spettrale degli scheletri di ferro usciti dal cemento armato che parevano ragni intrappolati nella loro stessa tela.

    Il brigadiere si scosse per non dare a vedere il turbamento e sfoderò l'ironia che era la sua maschera preferita.

    - Don, meno male che la sonda Schiapparelli si è schiantata su Marte, sennò qualcuno avrebbe pensato che fosse un ottimo posto posto per lei – disse guardandosi attorno.

    - È stato un boato tremendo brigadiere!

    - Le dirò Don, dal botto che si è sentito giù in città credevamo di trovarvi sparpagliati come semi nella campagna. In tanti hanno pensato al terremoto del 2012 e sono scesi in strada.

    Farei volentieri due chiacchiere con lei, ma ora dobbiamo muoverci. Abbiamo ordini precisi e poco tempo, mi raduni qui tutti i suoi ospiti con i documenti che hanno e uno zaino a testa per mettere l’indispensabile, si parte. Sono in arrivo un paio di nostri mezzi per evacuare la zona.

    - Dobbiamo proprio brigadiere? Le casette sono intatte e non è la prima volta che mettiamo il nastro isolante ai vetri. Lei sa che nessuno ci vuole in città.

    - So tutto Don, non si tratta di una disposizione negoziabile, ma di ordini dall’alto. Le chiedo di aiutarci senza creare problemi. Il mio collega ha già sentito il capo della Protezione Civile e stanno allestendo per voi una palestra per la notte. Nei giorni a seguire ci penserà il suo amato sindaco, per sistemarvi meglio.

    - Sì per sistemarci meglio, somiglia alla frase del lupo travestito da nonna, brigadiere - borbottò il prete con una smorfia eloquente.

    - Don, forse lei è spaventato e non si rende conto, ma siamo in presenza di un attentato. Siamo tutti in pericolo qui; ammesso che non esploda qualcos’altro, questa polverina nell’aria secondo me è stracolma di veleni. Lei ricorda chi ha costruito quel casermone, vero?

    Non potendo opporre ulteriore resistenza, Don Grasso ubbidì e in pochi minuti tutti i suoi ospiti furono in fila davanti all'appuntato Ferri, quasi imbarazzato per il ritardo dei mezzi.

    Nel frattempo, il brigadiere che già sentiva nei bronchi il rantolo dell'asma provocato dalle polveri, frugò nell'auto alla ricerca di un fazzoletto per filtrare grossolanamente il respiro e si diresse verso una squadra di vigili del fuoco intenta a raffreddare le macerie. Si mosse in modo goffo, inciampò su alcuni detriti e interloquì brevemente con il comandante, prima di ritornare all'auto zoppicando vistosamente.

    Saltellando sulle buche della carraia giunsero tre camionette antisommossa.

    Seppur abituati alla vista di quei mezzi con le sbarre ai finestrini, gli ospiti di Don Grasso, si avvicinarono per salire con una riluttanza che manifestava tutto il loro sgomento. Anche da vittime, sentivano addosso lo stigma dei colpevoli che da sempre li accompagnava in una terra ostile.

    Le lampade potenti installate a tempo di record dai pompieri, proiettavano quelle ombre smarrite sul piazzale rievocando situazioni antiche e drammatiche. Lo zelo di Ferri poi nel controllare le identità non leniva di certo quel profondo disagio.

    - Brigadiere mi dicono che manca una persona, un certo Yanis...

    - Kafes – completò il prete.

    - È uno studente greco nostro ospite. L'ho mandato con Arnaldo in ambulanza. Era l’unico di cui potevo fidarmi, parla bene l’italiano ed è molto in gamba. Ora lo chiamo per comunicargli la novità, ci raggiungerà con un taxi appena sapremo dove ci sistemano.

    - Tutto bene brigadiere? L'ho vista zoppicare – disse Ferri chiudendo lo sportello dell'auto.

    - Ho rotto una scarpa, lo sai cosa significa?

    - Che dovrà fare la richiesta in magazzino per averne un paio nuove, no?

    - E ti sembra poco?

    - Se mi dice il suo numero posso provvedere io.

    - E ti pare che io abbia problemi a compilare un modulo?

    - No brigadiere ma a questo punto non capisco…

    - Ecco sei giovane e non puoi capire, lo sai cosa facevano i calciatori della mia generazione?

    - Brigadiere lo sa che non me ne intendo molto di sport.

    - Dimenticavo che tu non ami le cose del popolino, metti in moto, ce ne andiamo. Chiama Villa, stanotte lo voglio qui con due auto a presidiare, con obbligo di mascherine antiparticolato indossate correttamente. Ci aggiungiamo anche noi all’andirivieni che ci sarà.

    - Non chiediamo nulla al colonnello?

    - Glielo diremo dopo, trattasi di misura antisciacallaggio – disse Carli con un maccheronico tono marziale.

    - E cosa possono rubare gli sciacalli nelle casette brigadiere? – chiese Ferri non realizzando se si trattasse di una misura sensata o un dispetto per Villa, un appuntato da sempre sul libro nero del brigadiere.

    - E che ne sappiamo? Magari custodiscono preziosi, ricordi, e poi non è solo il vil denaro che muove la nostra azione, nevvero appuntato?

    Colto il sarcasmo, Ferri comunicò via radio la disposizione e non osò chiedere più nulla.

    Il brigadiere si era tolto la scarpa rotta e la ispezionava alla luce fioca dell’abitacolo con gli occhiali abbassati sul naso.

    - Irrimediabile direi! - Esclamò infilandosela senza allacciare.

    - Ai miei tempi i giocatori di un certo livello si cercavano un ragazzotto delle giovanili che avesse la loro stessa forma del piede e gli facevano indossare le scarpe nuove fino a quando la pelle si ammorbidiva per l'uso, dopodiché gliele requisivano per giocare sui campi di serie a. Con le scarpe nuove mi toccano almeno un paio di settimane di vesciche capisci?

    - Ora è tutto chiaro, come il fatto che il palazzone lo hanno fatto saltare.

    - Ah! Su questo non c'è il minimo dubbio, a parte l'odore che mi ha ricordato i tempi della mia missione in Medio Oriente, siamo sicuri che là dentro non c'era gas e se anche la conduttura principale non fosse stata sezionata da anni in corrispondenza della centralina di Don Grasso, mi hanno detto i pompieri che il gas non sarebbe sufficiente per sbriciolare un parallelepipedo di quelle misure in cemento e ferro. Ma tutto ciò credo, a parte la gestione dei disperati del Don in città, non sarà affar nostro caro appuntato Ferri.

    - E come mai?

    - Dai, non essere ingenuo, un attentato è roba grossa da camici bianchi, da agenti in passamontagna e poi il giudice mi conosce, sa delle mie simpatie per Don Ascanio, mi ha già fatto riprendere dal colonnello un paio di volte per questo.

    - Per le simpatie?

    - Appuntato, sei pure indiscreto oggi. Diciamo che con il prete ho chiuso più di un occhio e finto di non vedere alcune cose, perché sono tra i pochi convinti della sua buona fede. Si aggiunga che il Don non ha tra le sue doti quelle della diplomazia.

    - Questo l'ho intuito, ma cos'ha fatto per guadagnarsi questa nomea?

    - Nulla di particolarmente grave, più che altro ne ha combinate molte senza mai mostrare pentimento: da testimone su piccoli reati commessi dai suoi ospiti, si atteggia spesso da avvocato. Si fa sistematicamente espellere durante le udienze e tuona spesso contro il Sistema dal giornalino o dalla radio del Centro Sociale La Locomotiva.

    - Quello dei Compagni anarcoidi?

    - Sì, diciamo così, anche se quelli sono più che altro marmocchi idealisti, i comunisti da noi non esistono e non sono mai esistiti. Te l'ho già detto mi pare.

    - Sì, sì, mi pare di ricordare.

    - Mi sono arrabbiato anche con il loro capopopolo, quel sotutto di Tommaso De Sanctis che si diverte ad intervistare il Don sui temi caldi della politica, sapendo benissimo di esporlo poi alle rappresaglie di qualche testa coronata di turno.

    - Siamo in presenza di un prete simpatizzante della sinistra, un cattocomunista come si dice oggi?

    - Non saprei collocarlo, è comunque un personaggio allergico al potere costituito, di qualsiasi colore sia. Forse l’unico vero anarchico è proprio lui.

    - E quando è nato il rapporto con il De Sanctis?

    - Alla Locomotiva hanno una radio e per un periodo in cui era nell'aria lo sgombero del centro sociale, Don Grasso ha offerto agli attivisti una casetta per proseguire le trasmissioni nel timore che tutto venisse sequestrato. Ora hanno vinto la battaglia e sono tornati nella vecchia sede in centro storico, ma non hanno perso il vizio di invitare il Don facendogli commentare le notizie; cosa che gli fa più male del colesterolo.

    La radio l’ascoltano in pochi, ma guarda caso, ogni volta che a Don Grasso sfugge una critica o un’invettiva contro i politici, questi lo vengono a sapere e gliela fanno pagare in qualche modo. Si è preso anche una denuncia per istigazione a delinquere per via del cartello sul ponte nord; caso riportato dalla stampa nazionale.

    Ferri finse uno sguardo di stupore, ricordava a grandi linee la storia, ma adorava i racconti di Carli e lo fece proseguire.

    - Il De Sanctis una sera fece una puntata su fede e scienza, Don Grasso intervenne telefonicamente alla fine, ma non per disquisire sull’argomento come si potrebbe immaginare da un prete, ma per inveire contro chi aveva intitolato il ponte sul canale a nord della città, alla Levi Montalcini.

    In realtà la sua intenzione era di sottolineare l’inadeguatezza della scelta del luogo per un personaggio così importante.

    - In effetti quello scolo sembra una fogna a cielo aperto - aggiunse Ferri

    - Esatto! Ma l’audio era pessimo e il discorso non chiarissimo, per cui fu facile per qualcuno trovarci tracce di antisemitismo, confermate dall’invito del Don rivolto ad ignoti a rimuovere l’onta. Manco a dirlo, un mezzo matto due giorni dopo passò alle vie di fatto con una sega manuale da ferro. Il cartello sparì per sempre, sul ponte si vedono ancora i monconi.

    Quindi, apriti cielo! L’ufficio stampa della curia invaso, dispute infinite tra tuttologi anche sulle tv nazionali, insomma un polverone.

    Ferri sorrideva dentro, quando fu interrotto dalla radio di servizio che indicava l’ubicazione del dormitorio degli ospiti del Buon Samaritano.

    - Andiamo a fare qualche domanda brigadiere? - chiese sapendo la risposta.

    - Ovvio, è l’ultima occasione prima che ci mettano sotto sale.

    - Brigadiere, quando mi parlerà di quello che è successo laggiù in Libano?

    - A suo tempo Ferri, prima di andare in pensione sicuramente. Ci sono un paio di cose che ho imparato che ti possono essere utili.

    - 2-

    - Glielo dite voi a questi invasati che siamo poco più di venti e che non veniamo dalla Firenze alluvionata? - esclamò Don Grasso impaziente alla vista dei due carabinieri, mentre in un ordinato via vai i volontari svuotavano tre furgoni zeppi di masserizie.

    - Insomma Don, lei è proprio incontentabile: prima teme che la facciano dormire alla galaverna, poi si lamenta perché ci sono troppi letti. Aiutami appuntato, tu che hai frequentato il liceo, come si dice in latino: meglio atbondare…

    -Melius abundare quam deficere, mi pare – rispose con finta modestia Ferri che non si sottraeva mai a quelle sortite da primo della classe.

    L’immagine della palestra in effetti faceva pensare a un dormitorio allestito per una calamità di dimensioni molto più importanti. Una cinquantina di brande erano già disposte in perfetto ordine perpendicolari alle linee laterali del campo di basket; segno che nessuno aveva idea di quanti fossero esattamente gli ospiti del Buon Samaritano.

    I volontari si convinsero a desistere solo ad un cenno della mano del brigadiere e smisero di scaricare materiale. Vicino alla porta si vedeva già il modulo per la cucina da campo, per cui lo stretto indispensabile per una sopravvivenza dignitosa era ampiamente raggiunto. L’ambiente era ancora freddo, ma enormi ventole già pompavano calore a tutta forza, producendo un rumore assordante.

    Carli si mostrò infastidito da quell’aria che gli seccava il naso e invitò il prete a seguirlo in auto.

    Ferri salì dalla portiera posteriore ed estratto il blocchetto dalle tasche, provò la penna sulla copertina.

    Brigadiere non mi dica che è una cosa lunga, perché il mio posto, in questo momento, dovrebbe essere accanto all’amico Arnaldo. Yanis mi ha detto che è stabile, ma vorrei stargli vicino se me lo consentite.

    - Saremo rapidissimi Don. Mi dica è successo qualcosa di strano negli ultimi giorni? Non so, arrivo di gente nuova, movimenti sospetti vicino al palazzo.

    - Niente di niente brigadiere, almeno che io abbia notato. L'unica cosa strana è stata la sirena. Un suono lungo e continuo prima del botto.

    - La sirena?

    - Sì ha presente quella che serviva a scandire i turni di entrata e uscita dalle fabbriche?

    - Sì, certo: entrata uscita e pausa pranzo. Sono abbastanza vecchio e ai miei tempi quella della FER nel mio quartiere era l’orologio pubblico. Scommetto che l’appuntato non l’ha mai sentita, né quella, né altre sirene vero Ferri?

    L’appuntato non raccolse la solita provocazione sulle donne che era lo sfottò preferito del brigadiere nei suoi confronti e senza alzare lo sguardo continuò a scrivere.

    - E da dove proveniva esattamente il suono? Può stabilirlo Don?

    - Non glielo so dire con precisione, ma a occhio e

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