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Escape: Volume 1
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E-book303 pagine3 ore

Escape: Volume 1

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Info su questo ebook

Per diventare allievi della St Patrick, la più esclusiva accademia di tutta l’Inghilterra, occorrono due requisiti fondamentali: essere ricchi ed essere degli psicocineti. Ethan Blake e Dean Wright non solo soddisfano entrambe le richieste, ma sono gli eredi delle famiglie più potenti e influenti nella sanguinosa guerra che da anni divide l'aristocrazia inglese in due fazioni contrapposte: la Rosa Bianca e la Rosa Rossa. Con la fine del quarto anno scolastico, le responsabilità cominciano ad affacciarsi nella loro spensierata adolescenza. Dean diventa gli occhi e le orecchie della Rosa Rossa all’interno dell'Accademia, ma notti insonni e una stanchezza insolita rischiano di compromettere la sua missione. Per di più, Ethan finisce per trovarsi sempre sulla sua strada e sembra accusare lo stesso affaticamento. Desideroso di far luce sulla faccenda, Dean inizia a indagare in una corsa contro il tempo e contro lo spietato Lord Bucket, leader della Rosa Rossa. Così, mentre la resa dei conti si avvicina, Ethan e Dean dovranno loro malgrado aprire gli occhi e comprendere la vera natura dell'odio che li separa, rispondendo finalmente all’unica domanda che nessuno ha mai permesso loro di porre: è possibile cambiare il proprio destino?
LinguaItaliano
EditorePubMe
Data di uscita19 gen 2021
ISBN9788833667683
Escape: Volume 1

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    Anteprima del libro

    Escape - Corinna Corti

    Copertina Escape

    Escape

    Corinna Corti

    Escape

    © 2020 Corinna Corti

    © 2020 PubMe - Collana Over the Rainbow

    In copertina: © TonyParanoid/Shutterstock.com

    © Nimaxs/Shutterstock.com

    Progetto grafico: © Fabio Tiberti

    Per contatti:

    pubme.me/overtherainbow

    collanaovertherainbow@gmail.com

    Questa è un’opera di fantasia. Ogni riferimento

    a fatti storici, personaggi o luoghi reali è completamente fittizio.

    Altri nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono il frutto

    dell’immaginazione dell’autore, e qualunque somiglianza

    con fatti, luoghi o persone reali, viventi o defunte, è del tutto casuale.

    Ai miei professori,

    che spesso si chiedevano a cosa stessi pensando

    durante le ore di lezione

    Indice

    Prologo

    Capitolo 1

    Capitolo 2

    Capitolo 3

    Capitolo 4

    Capitolo 5

    Capitolo 6

    Capitolo 7

    Capitolo 8

    Capitolo 9

    Capitolo 10

    Capitolo 11

    Capitolo 12

    Capitolo 13

    Capitolo 14

    Capitolo 15

    Capitolo 16

    Capitolo 17

    Capitolo 18

    Capitolo 19

    Capitolo 20

    Capitolo 21

    Capitolo 22

    Capitolo 23

    Capitolo 24

    Ringraziamenti

    Prologo

    La luce della notte, pallida come argento fuso, si staglia sul suo corpo magro e longilineo, disegnando curve perfette sulle linee di gambe, fianchi e spalle. Ritto dinnanzi allo specchio della sua camera, Dean si osserva scrutando con occhi di ghiaccio la nuda bellezza del suo corpo.

    Piega la testa di lato, una mano che sfiora le clavicole per poi salire alla curva della mandibola e soffermarsi sulla linea dura delle labbra. Indugia, lo sguardo concentrato. Con l’altra mano percorre invece la pancia piatta, gli addominali appena accennati e la bianca striscia di peli sotto l’ombelico, prima di incontrare l’erezione che stringe; un sospiro a scivolargli dalle labbra.

    Il suo tocco è freddo ma deciso, una scintilla di desiderio a increspargli la pelle mentre, un movimento alla volta, comincia a darsi piacere. Geme piano, poi si morde un labbro; e infine viene contro lo specchio, uno sbavo denso a imbrattare la liscia superficie e con essa il suo riflesso abbagliato.

    Si guarda ancora, soddisfatto, il respiro accelerato che lentamente torna alla normalità assieme allo sbiadire delle fitte di piacere che ancora lo percorrono.

    La mano, ora tremante, è stretta al membro che dopo un singulto torna a indurirsi da sé.

    Dean sospira e, socchiudendo gli occhi, ricomincia a masturbarsi in una lenta, silenziosa, ricerca del piacere.

    1

    «D ean, svegliati. Il professor Thompson sta venendo qui.»

    Il ragazzo sbatté le palpebre e tentò di mettere a fuoco la calda e polverosa aula di Geocinesi, la punta della penna d’oca di Elisabeth a sfiorargli la tempia mentre, seduta alla sua destra, la ragazza tentava in qualche modo di guadagnare la sua attenzione.

    Di norma, il vecchio professor Thompson non era solito alzarsi dalla cattedra per inoltrarsi fra i banchi degli alunni, ma la sua espressione contrariata lasciava presagire che il sonno del ragazzo fosse riuscito nell’incredibile impresa di schiodare il fiacco docente.

    «Eliza…» biascicò Dean con voce impastata. «Ma cosa…»

    «Stavi russando» sibilò lei di tutta risposta. Il tono era di rimprovero e imbarazzo assieme. «Ancora un attimo e avresti cominciato a sbavare.»

    Sbavare?

    Nemmeno il tempo di intendere la gravità della cosa, che l’ombra del professore fu su di lui.

    «Signor Dean Wright» esordì il vecchio vampiro, con voce velata. La calvizie incipiente, la pelle olivastra e gli occhi chiari di un grigio slavato lo rendevano al contempo noioso e inquietante.

    Mentre l’incredulo, e un po’ mortificato, ragazzo tentava in qualche modo di accampare una giustificazione al suo comportamento, una serie di risolini smorzati si diffusero per l’aula, primi fra tutti quelli del duo composto da Malcolm Foster ed Ethan Garret Blake.

    Dean lanciò ai due più avanti un’occhiata velenosa che attraversò da parte a parte il professore di Geocinesi, materia dedicata alla facoltà di manipolare la terra.

    «A quanto vedo, gli effetti collaterali dei vapori solforosi della ricerca di Criocinesi che sta mettendo a punto per il professor Hunt le stanno ancora procurando un’inconsueta propensione al sonno» sospirò Thompson con una nota spenta.

    Dean non rispose, reprimendo quasi contemporaneamente uno sbadiglio e una smorfia stizzita.

    Il professore parve studiarlo qualche secondo con distacco, poi sospirò optando per una scrollata di spalle. «Molto bene» dichiarò, «immagino allora che non avrà nulla in contrario nel portarmi domani mattina un resoconto dettagliato dei suoi progressi, così che anche io possa accertarmi della pericolosità della sua ricerca.»

    Qualunque fosse stata l’espressione sul suo volto, Dean la percepì chiaramente pietrificarsi. «Certamente, professor Thompson» rimbeccò poi gelidamente.

    «Santo Cielo, Dean, non è da te!»

    Terminata la lezione, il suo compagno di banco, Oliver, rideva ancora. Mentre la classe sciamava nei corridoi della St Patrick Academy, la più elitaria accademia di tutto il Regno Unito, l’altro lo prese sotto braccio e lo guidò all’esterno di una grigia giornata primaverile. Il clima rigido, tipico di quella zona del Kent a non molte miglia da Tonbridge, contribuì a riscuotere il torpore dell’oramai diciottenne Dean, ultimo erede della casata Wright, ma qualcosa in lui faticava a risvegliarsi.

    Insieme a Elisabeth, giovane promessa della danza nonché ultima figlia del magnate del tabacco Ludwig Holsen, si sedettero su una panchina posta sotto le fronde di un grande salice, le divise blu cobalto a risaltare contro il bianco acceso delle sciarpe invernali. Il giardino antistante la St Patrick si estendeva per diverse miglia attorno all’imponente castello in stile neo gotico che fungeva da sede principale per dormitori, refettori e aule, offrendo agli studenti non solo la possibilità di passare del tempo all’aria aperta, ma persino di organizzare vere e proprie camminate in mezzo ai boschi. A est della grande struttura principale c’era anche un vasto lago, la principale meta di festini e picnic in estate, nonché prove di resistenza e tresche amorose d’inverno.

    «Non so cosa dirvi» replicò Dean, laconico, «oggi non riesco proprio a svegliarmi.»

    «Oggi?» Elisabeth alzò entrambe le sopracciglia perfettamente modellate al di sotto di una frangia sbarazzina e nerissima. «Sono settimane che ti aggiri fra una lezione e l’altra come uno zombie. Sicuro di dormire abbastanza?»

    Il ragazzo si strinse nelle spalle, facendo così ondeggiare al vento i lisci capelli biondi tagliati corti.

    L’amica aveva ragione: erano giorni che si sentiva spossato, vittima di una sonnolenza che nemmeno il più potente dei caffè e intrugli zuccherosi offerti dalla scuola parevano capaci di debellare. A causa di quella sua stanchezza era stato costretto a rinunciare a un paio di allenamenti di Polo e a qualche lezione pomeridiana; persino Alisya Lindwell, la sua ultima conquista, si era vista recapitare una serie di missive dove, a malincuore, Dean le aveva spiegato come gli fosse impossibile passare da lei per le loro ripetizioni notturne.

    L’episodio di quella mattina con Thompson non era che l’ultimo di una serie altrettanto divertente di aneddoti che gli studenti si raccontavano nel tamtam dei corridoi.

    Dean sospirò, incapace di replicare.

    «Secondo me dovresti andare dalla signora Elenwood» continuò Elisabeth, «non sono sicura che sia normale.»

    «E da quando Wright sarebbe normale?» li sorprese una voce alle loro spalle.

    La ragazza snudò i denti come un gatto e si voltò di scatto, subito seguita da Dean e Oliver.

    «Blake» replicò l’ultimo, alzando gli occhi grigi al cielo.

    «E i suoi fedeli leccapiedi» continuò Dean reprimendo un mezzo sbadiglio. Per un attimo, i suoi occhi color ghiaccio incontrarono quelli verdi con pagliuzze dorate del rampollo della casata Blake – nonché beniamino di metà St Patrick – poi si allontanarono.

    «Quanto veleno, Wright» sogghignò Chloe Adams, una delle studentesse più promettenti del loro anno, con un sorrisetto sardonico. Da qualche mese, l’ereditiera del Sussex era divenuta la ragazza di Foster, motivo per cui a ogni cambio di lezione i due ne approfittavano per incontrarsi e scambiarsi effusioni di dubbio gusto. «Abbiamo per caso interrotto il tuo riposino pomeridiano?»

    «Perché non te ne torni a squittire dietro ai tuoi dannati libri, Adams?» le ringhiò contro Oliver gonfiando il petto. I capelli mossi e castani del giovane si mossero mentre parlava.

    «Volevo solo dare la buonanotte» fece lei scrollando le spalle, «e augurare buona fortuna al caro Dean Wright.» Gli scoccò un’occhiata. «Attenzione a non fare una brutta fine in campo, con tutta quella sonnolenza.»

    Poche ore dopo, ondeggiante al pari di un alcolizzato il sabato sera, Dean si lasciò sprofondare sulla panca dello spogliatoio dove quel giorno si stava cambiando la sua squadra, i Bishops. Sbatté le palpebre pesanti e controllò che tutte le protezioni fossero al loro posto, assicurandosi in ultimo del caschetto.

    Sembrava tutto in ordine.

    «Sei pronto?» gli fece il suo compagno di squadra, Thomas, mentre gli assestava una pacca sulle spalle.

    Nel denso mischiarsi di sudore, vapore e ormoni adolescenziali, Dean gli rivolse un cenno incerto, non sapendo bene come rispondere.

    Di lì a pochi minuti, il preside Chamberlain avrebbe dato il via all’attesissima partita di Polo tra Bishops e Royals, evento che da settimane animava le conversazioni di entrambe le squadre e non solo. A causa di quel match, Dean e tutti gli altri componenti della squadra si erano allenati giorno e notte sfiancando, oltre che loro stessi, gli animali, i quali, a malincuore, si prestavano a quello sport da tutti considerato abbastanza nobile da essere praticato alla St Patrick. Nel ruolo di giocatore di punta, Dean aveva avuto un gran daffare per migliorare riflessi e concentrazione, ma il più delle volte il suo più grande sforzo si era concentrato nel rimanere integro dall’inizio alla fine di ogni allenamento, fortemente compromesso dai suoi continui cali di concentrazione.

    «E allora andiamo!» continuò un elettrizzato Thomas, prima di sospingerlo di peso fuori dalla porta dello spogliatoio per condurlo nelle stalle dove ad attenderli c’erano i loro cavalli.

    Quando uscì assieme al resto della squadra, lo stadio gremito di studenti li accolse con una baraonda di voci e incitamenti.

    Neanche a dirlo, le tribune scoppiavano di tifosi, rigorosamente divisi nelle sfolgoranti colorazioni di sciarpe e striscioni multicolore rievocanti la squadra prediletta. Meno palesi erano invece le separazioni vigenti fra le diverse cerchie, fazioni e confraternite che, fin dalla sua costituzione, cementavano il controverso mosaico di alleanze presenti nella St Patrick. Una frammentazione ora meno visibile sul campo di gioco, ma che nella quotidianità assumeva il ruolo di costituente unica, tratteggiando in quell’embrionale società di rampolli nobiliari, figli di magnati della finanza e futuri eredi al trono, il ricalco del mondo che più tardi tutti loro avrebbero dominato per diritto acquisito.

    In effetti, non esisteva in tutta l’Inghilterra accademia più esclusiva della St Patrick, fondata dal pluridecorato Lord Chamberlain – la Regina in persona lo aveva insignito del titolo di Cavaliere della Corona e Salvatore della Patria – al fine di ospitare ed educare all’eccellenza i rampolli della nuova Inghilterra.

    Dean strizzò gli occhi e intravide un paio di cartelloni che mostravano una corona spezzata dalla lancia di un cavaliere in divisa e, più a sinistra, dei divertentissimi stendardi a forma di cuscino recanti le scritte Sogni d’oro, Wright, sogna la nostra vittoria.

    Ma che cari, i fan dei Royals…

    Pochi attimi per le operazioni di rito ed entrambe le squadre balzarono in sella per il primo importantissimo chukka. Dal canto suo, Dean si affrettò a farsi da parte e a lasciare che fossero i suoi compagni a stancare gli avversari nelle prime battute. Spronò il suo destriero e si limitò a supervisionare le iniziali schermaglie così da non perdere di vista il vivo dell’azione e avere sempre cura di piazzarsi nella posizione perfetta di qualcun altro, fino a quando, come da consuetudine, il suo sguardo si posò su una figura a lui ben nota: Ethan Blake.

    Con i suoi capelli neri appena visibili sotto il caschetto d’ordinanza, una delle persone a lui meno gradite di tutta l’Accademia si trovava ora qualche metro più in là rispetto alla sua posizione, lo sguardo concentrato nel sondare la partita in corso.

    Con un rapido colpo di reni, Dean lo affiancò e gli scoccò un sorrisetto stanco, quando l’altro volse lo sguardo verso di lui. «Pronto per l’ennesima umiliazione, Blake?» gli fece, sornione.

    «Stai parlando di te, Wrighty

    «Non ci contare. Ho sentito dire che prima o poi la fortuna gira, anche per gente come te.»

    Un fischio acuto li avvertì della fine del primo chukka. Dean si morse un labbro e fece per allontanarsi, ma l’altro si frappose bloccandogli la strada.

    «Sicuro di riuscire a rimanere in sella fino a fine partita?» gli chiese con un sorrisetto velenoso.

    Rispose con la stessa espressione. «E tu, principessa?»

    A quel punto, Ethan sembrò voler dire qualcosa, ma il vivo sbracciarsi del suo caposquadra, unito al rumoreggiare della folla, lo costrinse a lasciare in sospeso la conversazione. Trottò via come se nulla fosse.

    A un occhio esterno, un simile scambio di battute non sarebbe certo parso degno di nota: due ragazzi su un campo da Polo, vestiti di tutto punto, che in perfetto stile british si punzecchiano per testare la reazione dell’altro.

    Per gli studenti della St Patrick, però, si trattava di ben altra faccenda.

    Tutti erano a conoscenza della sanguinosa faida che da anni divideva le famiglie Blake e Wright; una faccenda d’onore che, a ogni generazione, guadagnava particolari sempre più parossistici e inquietanti, oltre che ad arricchirsi di nuovi e tragici aneddoti.

    Come si fosse originata era in realtà un mistero: alcuni amavano parlare di tradimento, altri di congiura; i più fantasiosi di un vero e proprio golpe ai danni dello Stato finito in tragedia. Fra i romantici si parlava di un’antica faccenda d’amore, mentre i più pratici si ostinavano a credere che si fosse in realtà trattato di un qualche ancestrale screzio di denaro divenuto negli anni un vero e proprio motivo di acredine e, infine, inimicizia.

    Di certo c’era che la prima mossa era toccata ai Wright, motivo per cui era opinione comune che fossero loro i cattivi, mentre ai Blake non rimaneva che recitare la parte dei puri di cuore costretti dal fato a tener salda la posizione per non essere sopraffatti.

    In tutto quel tempo, il conflitto aveva mietuto diverse vittime e mutato inesorabilmente il destino di ogni generazione fino ad arrivare a Dean ed Ethan, eredi della faida.

    Per ora, entrambi avevano tenuto fede alle aspettative, bersagliandosi come si conviene con le peggiori trovate e tiri mancini che, in più di un’occasione, avevano fruttato giorni di sospensione e minacce di espulsione.

    Tutte cadute a vuoto, ovviamente, ma c’era chi ancora sperava.

    Il secondo e il terzo chukka videro Dean molto più impegnato in fase difensiva, giacché i Royals reputarono opportuno restituire la pressione del primo match con un’aggressiva manovra di bersagliamento incrociato. Al quarto chukka mancò poco che all’attaccante partisse di mano la mazza decapitando di netto il difensore avversario e al quinto… beh, meno male che il dentista era compreso nell’assicurazione scolastica.

    Tutto sommato andò bene a entrambi, perché al settimo chukka Royals e Bishops erano in parità, più stanchi che mai ma integri a sufficienza da giocare l’ultimo match. In cuor suo, Dean sperava che non si arrivasse ai tempi supplementari: era stremato.

    Già dal quarto match aveva cominciato a vacillare sulla sella, perdendo di quando in quando la postura rigorosa che anni di equitazione gli avevano impresso, e in un paio di riprese si era addirittura scoperto a chiudere gli occhi e sonnecchiare.

    Andiamo…

    L’arbitro fischiò l’ottavo chukka. Con le mani tremanti di fatica, Dean costrinse il cavallo a partire un’ultima volta al galoppo; sbatté le palpebre in direzione della palla rotolante prima a destra, poi a sinistra, e infine, con una capovolta a mezz’aria, proprio di fronte a lui.

    Non perse tempo a pensare.

    Con una prodigiosa scarica di adrenalina, il suo corpo reagì: alzò la mazza, mirando qualche metro a destra, e scaraventò la sfera in avanti più forte che poté.

    La seguì stringendo le redini, ubriaco di stanchezza, e l’attimo dopo Ethan era al suo fianco, il nero stallone dei Royals ad affiancarsi al suo pezzato in una gara di velocità. Ansimò, schiacciandosi sulla groppa dell’animale e cercando al contempo di allungare un braccio per allontanare Ethan, che ora procedeva serrato nella stessa direzione.

    «Levati, imbecille!» ringhiò con il fiato in gola.

    «Levati tu, mangia lumache!» replicò questi, assestandogli una gomitata sul fianco.

    Dean incassò con un gemito, prima di mollargli a sua volta un calcio e spronare lo stallone perché schizzasse in avanti e lasciasse l’altro indietro. A quel punto sterzò, si abbassò ancora, caricò la mazza e proprio mentre si allungava sulla sella per sferrare una potente battuta in direzione della palla ora saltellante sul campo, notò con la coda dell’occhio una figura che gli si avvicinava a tutta velocità. Strinse le briglie ed evitò di un soffio l’affondo di un difensore dei Royals.

    Nemmeno a dirlo, la pallina rotolava ora da tutt’altra parte, pronta a guadagnare terreno verso la loro porta sguarnita.

    Dean ansimò e si guardò intorno in cerca di Ethan. La manovra del difensore dei Royals gli aveva fatto perdere la preda, ma forse…

    Lo trovò a pochi metri da lui, lo sguardo che seguiva l’azione in avanzamento.

    Poco male.

    Sospirò, sciogliendosi in un lungo sbadiglio che quasi gli slogò la mascella.

    Almeno quell’idiota di Blake non è riuscito ad approfittare del mio errore per fare i propri comodi.

    Si risistemò sulla sella avvertendo la scarica di adrenalina procuratagli dall’inseguimento di poc’anzi esaurirsi di nuovo nello stato di torpore e spossatezza che parevano incapaci di abbandonarlo.

    Che Elisabeth avesse ragione riguardo al suggerimento di farsi dare un’occhiata dalla signora Elenwood? Forse quella sonnolenza non era normale, se persino in quel momento di estrema tensione il suo unico desiderio era abbandonare il campo, stendersi e lasciarsi scivolare in un lungo sonno ristoratore.

    Sbatté le palpebre, percependo la stanchezza montare di nuovo in tutto il corpo.

    Magari era malato. Del resto in quel periodo dell’anno non era così insolito prendersi un raffreddore, un’influenza o altri malanni stagionali.

    Si passò il dorso della mano sulla fronte, tentando malgrado i guanti di provarsi la febbre. Niente. Sbadigliò ancora, più profondamente, e fu allora che notò il nuovo movimento di Ethan, questa volta verso sinistra. L’istante dopo gli era al fianco, lo sguardo di ghiaccio concentrato

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