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I due Abbracci
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E-book325 pagine3 ore

I due Abbracci

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Info su questo ebook

In questo romanzo, l’autore si rivela un maestro di stile ed un narratore perfetto e completo. La materia trattata è difficile e soggetta a deviazioni sentimentali e passio­nali che avrebbero affaticato e sconvolto un autore meno attento.
Due abbracci, e malgrado la tesi della passione che fa sorgere la razza, il lettore si trova piacevolmente avvinto ai casi dei protagonisti. Lettura, dunque, piacevole, divertente e interessante.
LinguaItaliano
Data di uscita5 feb 2021
ISBN9788899481414
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    I due Abbracci - Leon Daudet

    Leon DAUDET

    I Due

    ABBRACCI

    Table Of Contents

                Primo capitolo  4

            Secondo 22

               Terzo      47

                Quarto 71

            Quinto 97

                Sesto                                 118

              Settimo                  143

                 Ottavo 162

               Nono                       180

                  Decimo   201

                Undici  218

                Dodici            233

              Bio Leon Daudet 254

    ROMANZO

    Premessa

    Romanzo contemporaneo, è stato dall'autore dedicato al dottor Henry Vaquez con fraterna amicizia. Nell'edizione originale il frontispizio è ornato da questo motto: "La passion fait sourdre la race". La passione fa nascere la razza.

     Il che rivela la tesi dell'autore. Ma nello sviluppo passionale del romanzo non si avverte nessuna preoccupazione che non sia ispirata da necessità artistiche. In questo romanzo, il Daudet si rivela un maestro di stile ed un narratore perfetto e completo. La materia trattata in questo romanzo è difficile e soggetta a deviazioni sentimentali e passionali che avrebbero affaticato e sconvolto un autore meno vigile. In questi Due abbracci, e malgrado la tesi della passione che fa sorgere la razza, il lettore si trova piacevolmente avvinto ai casi dei protagonisti. Lettura, dunque, piacevole, divertente e interessante.

                Primo capitolo

         Sei tu, Giovanna? Vieni entra...

    Enrichetta, aprì la porta e Giovanna d'Aprileux, sua amica d'infanzia, la vide, a braccia nude, che completava la sua toeletta.

    Enrichetta Herrant, figlia del rinomato filosofo Girolamo Herrant, aveva venticinque anni. Giovanna d'Aprileux, moglie dello scrittore Carlo d'Aprileux, ne aveva ventinove. La ragazza e la giovane sposa si volevano bene, si confidavano in tutto.

    Giovanna era bruna di capelli, piccola. Aveva la bocca un po' forte, buona, il naso finissimo e due occhi neri, ammirevoli per il loro fuoco, il loro riflesso, la loro vivacità.

    Enrichetta era bionda, agile, alta. I suoi occhi, d'un verde scuro, ora racchiudevano una bizzarra limpidezza, una limpidezza umida, ora si incupivano, tendevano verso le tenebre, temibile indice di un'anima mutevole. La linea della fronte, del naso, delle labbra e del mento aveva la realistica purezza dei vecchi maestri.

         Lei si lisciava i capelli davanti al suo specchio, alzando le braccia, e su queste braccia di portatrice d'anfora la luce del morente aprile che invadeva il locale di toeletta faceva impronte fuggitive, rosee e ardenti, ombre dolci, secondo la misteriosa armonia dei gesti. Anche il collo era incantevole, leggermente gonfiato come quello dell'uccello che canta. Sulle spalle, di una linea classica, scivolavano i nastri della camicetta.

       Sei ancora in ritardo, disse Giovanna d'Aprileux, severa. Non si dovrebbe mai uscire con te. Netta e musicale, la voce della ragazza    rispose: "E’ colpa dei miei goffi capelli. Spumano tanto che non posso spianarli.

       Goffi spumavano infatti in onde ribelli, che erano suscitate anzi che calmate dal contatto delle mani lunghe, fini, nervose. Le dita agili brancolavano, pungevano vivamente con piccoli pettini con cui si irritava l'onda dorata e questa lotta aveva tanta grazia che Giovanna, sensibile alla bellezza, sorrise.

       Conosci come è Carlo, impaziente e preciso. Sono le dieci. Alle undici abbiamo appuntamento davanti al padiglione d'Armenonville.

       Con la vittoria e col cavallo buono ci saremo. Che cosa sta facendo Carlo in questo momento?

      Tira di scherma, frequenta un circolo. Avrebbe voluto che andassimo a prenderlo, passando di là. E’ moderatamente geloso di te. Ha torto.

         Figurati, Giovanna mia, che Claudio è nell'Angiò da due giorni, a Saint-Blaise, presso sua madre ammalata.

        Povero Varnier! E come fai senza di lui?

         E’ vero che, quando non è con me, mi manca la metà di me stessa. Non penso che a lui e non guardo nè sento più nulla. Allora parlo di lui col mio vecchio padrino Vercors o con papà, per ingannare la fame.

    Claudio Varnier, di otto anni maggiore di Enrichetta, veniva in casa da dieci anni. Dotto di prim'ordine, di un'intelligenza chiara, era l'allievo preferito del grande Roberto Vercors, gloria della fisiologia e della clinica francesi, e per l'intimità che c'era fra Vercors e Herrant,  anche l'allievo di quest'ultimo che dava una specie di aereazione filosofica e umana a tanti doni che sarebbero stati soffocati dai soli lavori del laboratorio.

    Egli amava con passione Enrichetta. Non aveva mai amato che lei. C'era tra loro l'accordo tacito che ella sarebbe un giorno sua moglie. Ma non si affrettavano, lui volendo acquistare presto la rinomanza, lei perchè si compiaceva della sua indipendenza. Le loro letture erano in comune, i loro lavori, i loro pensieri in comune. Erano troppo savi tutti e due per sciupare in anticipo delle gioie sicure.

        Mentre indossava ora un leggero giubbetto di batista, mauve, guarnito di merletti bianchi, Enrichetta aggiunse:

    Claudio ed io formiamo un solo essere che vede il mondo, le cose e la gente con quattro occhi, comprendi, un doppio rilievo. Egli è piuttosto del Nord della Francia con dei nonni guasconi. Io sono di Parigi da parte di papà, di Avignone da parte della mia povera mamma. E forse per questo... lo stesso incrocio di sangue e di razze.

    La nettezza del suo linguaggio, la scelta delle parole e la rapidità delle immagini mostravano, nella giovane, uno spirito infinitamente agile e colto che non ignorava nessuna scaltrezza dell' intelletto, nessuna svolta della sensibilità e non perdeva mai il metodo.

    Seguente ad un momento di silenzio, continuò, sistemando sulla sua piccola testa un ampio cappello coperto di rose:

        E’ tremendo restare priva della madre dall'infanzia. Amo molto l'amica di papà, la vostra padrona di casa, quella buona signora di Nauverai, ma... questo non rimpiazza, capisci. Con papà abbiamo poca comunicazione familiare, ancor meno comunicazione morale. Fu per me un educatore ammirevole, come Vercors, ma niente più di questo. Ci son delle ore in cui la mia totale libertà mi pesa, mi è odiosa, anormale... Vorrei essere già la signora Claudio Varnier.

    E chi o cosa lo impedisce?

    Nessuno oltre il mio scrupolo. Ho per Claudio la più folle ammirazione, la più folle amicizia, la più folle tenerezza, una tenerezza di orfana, ma mi sembra che a questo amore, così completo nelle alte regioni, manchi qualche cosa ancora, per essere vera passione.

        "E cosa manca, dunque?

    Enrichetta si piegò vivamente verso la sua amica, le fece scivolare nell'orecchio questa semplice parola: il desiderio, successivamente diventò tutta rossa per la confidenza fatta.

        "Dunque, ebbene, fece Giovanna, imbarazzata e anch'essa stupefatta, non ti riconosco più. Tu la savia, la riservata, la ragionevole. Avrebbe ragione quel vecchio bohème di Jamouins quando ti tratta da, fuoco che cova?"

    Forse! forse!

    Enrichetta si stirò con quel languore in cui le, appassionate mettono il non appagamento della loro violenza, ebbe uno strano sorriso, poi vivamente:

        In cammino, chiacchierona! Sei tu che ci fai ritardare, ora.

    Faceva un tempo tiepido e dolce. La corta e provinciale strada di Monsieur, ove si trovava il palazzo di Gerolamo Herrant, era deserta. Solo, un, gatto giallo brancolava lungo i cancelli del giardino, spiava pericolosamente gli uccelli canori.

    Seduta di lato alla sua amica, nella, vittoria, Enrichetta aprì un telegramma che le avevano consegnato:

        Di Claudio, naturalmente. Ah…! La signora Varnier sta meglio. Sono molto contenta!

        Mi sembra, disse Giovanna d'Aprileux, che la vostra situazione non può prolungarsi indefinitamente...

         Quale Situazione?

         Di folle tenerezza, senza desiderio da parte tua, per adoperare il tuo rude  linguaggio.

         Ma no, rassicurati... La conclusione si avvicina, certi lampi me ne avvertono, nella mia intima personalità.

         Strana ragazza, mormorò la giovane sposa.

         Perché? Perché sono sincera, assolutamente sincera... perché mi osservo, perché voglio la mia, la, nostra felicità. Pensa se conosco Claudio... Ti ripeto che spessissimo i nostri pensieri si involano assieme. Ne abbiamo come una vergogna, un pudore... ma non ammetto che Claudio guasti tutto con la sua impazienza. Lo rispetto troppo per non essere molto esigente... quanto ai miei sentimenti per lui, sai bene... Buongiorno, Buongiorno!

         Il saluto di Enrichetta si indirizzava ad una donna elegante e matura che camminava lungo il boulevard Saint-Germain con una lentezza distratta.

         La signora di Nauverai. Viene da noi... Fa colazione stamane da noi, con Vercors... E’ in anticipo... Hum! Un po' appassito, il flirt del povero, papà mio...

         Ancora bella, pertanto, e così fine, così generosa, replicò Giovanna. Dura, da quando?

         Dieci anni, circa... Per lo meno, questo è quanto ne so io, dieci anni.

         Ciò ti ha fatto pena... al principio? Enrichetta si mise a ridere.

         Sono stata grata alla signora di Nauverai -d'essere per mio padre un'amica, una buona perfetta amica, non intrigante, non petulante. Avrebbe potuto imbattersi in una stupida... Aveva quarantaquattro anni poiché ne ha ora cinquantaquattro... E’, sempre, una cattiva svolta per i vedovi. Bianca di Nauverai non era divorziata allora; non essendo che separata da un odioso cretino non poteva rimaritarsi. Oggi che è libera non ci tiene più. Lei non mi imbarazza. Mi manifesta una viva affezione, è sempre del mio parere... Non potevo augurarmi di meglio? Infine, aggiunse con una sfumatura ironica, essa è, per i miei cari d'Aprileux, la proprietaria ideale...

         Non lo sarà forse per lungo tempo ancora sospirò Giovanna. Carlo vuol lasciare il viale Marceau, perchè troppo rumoroso. Parla anche di lasciare Parigi. Desidererebbe comprare quella piccola casa che abbiamo in affitto all'Aia e dove tu hai promesso di venire a trovarci.

    Vi abitereste l'Olanda tutto l'anno…?"

    Esattamente. Il signore mio marito scriverebbe da sette od otto romanzi e studi che egli ha ora nella testa e che le fatiche mondane impediscono di far sbocciare... E quando partite per Fontainebleau, tuo padre e tu?

    Oh! cara mia, non siamo che alla fine di aprile! E poi andrò nell'Angiò, sola, dalla signora Varnier... Dunque, non prima di quattro mesi, penso, questa l'epoca in cui Vercors prende anche le sue vacanze a Marlotte. Saremo vicini. E’ gentile ma un poco monotono.

        Claudio sarà là?

        Raramente. Rimpiazza il suo, capo, all'ospedale.

    La, vittoria, saliva rapidamente il viale dei Campi Elisi. Enrichetta guardava i passanti, le vetture, con una vivacità che divertiva la sua amica.

        Riuscirai a tenerti nella mente tutti quei visi, tutte quelle forme? Deve darti ben da fare questa folla nella memoria?

        "La mia memoria è fatta così, canzonatoria, che niente la molesta e tutto l'esalta. La memoria, dice Vercors, è la metà della vita. Parola giustissima. Io vivo molto più nel ricordo che nel presente".

        Ma si cancella il ricordo, con il passare del tempo...

        In me niente si cancella. Più è antico, più si incide. Le teste delle mie prime bambinaie, i miei primi balocchi mi allucinano. Ricordo un cavallo a dondolo, rosso, che facevo manovrare in un corridoio stretto e scuro, come se ci fossi ancora sopra. Il crine della sua criniera mi punge la mano... Il suo odore di vernice è nel mio naso. E tu, non sei dunque così?

         Ho la felicità di saper dimenticare io, rispose Giovanna, e divenne inaspettatamente seria.

         Tanto peggio... è così delizioso vivere all'indietro, ruminare!

    Innanzi al padiglione d'Armenonville, al Bois de Boulogne, Carlo d'Aprileux faceva i suoi cento passi. Era un uomo di una quarantina d'anni, elegante e robusto, con capelli di un castagno si chiaro da sembrar quasi rossi, una figura pronta e ardita, senza barba, con baffi rossicci e conquistatori, occhi grigi straordinariamente mobili. Cappello di paglia, giacca nera e pantaloni di picchè bianco. Quando scorse la, vittoria, tirò fuori l'orologio con aria grave.

    Le undici e un quarto... signora e signorina.

        La colpa è del mio giubbetto, disse Enrichetta discendendo dalla vettura. E poi, Carlo, non ci sgriderete. Sapete bene che son sempre io, in ritardo. Questa povera Giovanna vi teme come l'orco.

         Non mi deve obbedienza?

         Non si deve obbedienza a nessuno, replicò con nettezza la giovane.

    Lei camminava tra Giovanna d'Aprileux e suo marito e tutti e tre seguivano classicamente il viale delle Acacie.

    Mia adorata amica, rispose Carlo d'Aprileux, noto nelle vostre minime parole la più rara mescolanza di rivolta e di sottomissione che io abbia mai incontrato. Credo che vostro padre, credo che Claudio Varnier, credo che tutti quelli che vi circondano si ingannino sul vostro personaggio quando vi chiamano, un brav'uomo. Credo invece che voi siete e sarete sopratutto la più donna fra tutte le donne.

         Può essere, forse lo è, o osservatore penetrante, ma non prendete il tono dotto.

    Spesso il romanziere, fiero della sua perspicacia, d'altronde maravigliosa, si vestiva di una specie di fatuità quando dava un giudizio. Sorrise e riprese:

         "Abbandono il tono dotto, e vi dichiaro gentilissimamente, Enrichetta, che la vostra fantastica cultura imbriglia un istinto non meno fantastico il quale un giorno sboccerà. Ma guardiamo le teste".

    Le, teste, erano buone, infatti. La bella mattinata di primavera aveva attirato alle Acacie tutti gli assidui di questa passeggiata.

    La moltitudine dei pedoni, le file di vetture salivano e scendevano il viale con una solennità vanitosa. Il rumore sforzato dei barbazzali si mischiava al ronzio dell'alveare ciarliero. Uomini e donne, solitamente allegri, mal dissimulavano un'aria d'importanza, come se compissero un rito. D'Aprileux in cui l'uso della società non aveva estinto il brio né l'invettiva, si incaricava di, attaccare etichette, secondo la sua formula.

         Hoo, ecco Goulbache, il giudice integro, quegli che sala i giornalisti dietro un ordine del suo ministro. Fra due gonnelle, naturalmente. Puah! che odore! Queste carni putride fanno pendere la sua bilancia. Ancora un altro, Nicola Wurm. Senza il suo presidente, costui... Lo ha lasciato all'ufficio. •E che eczema sfavillante... Ah! ma le dodici tribù hanno levato le loro tende, questa mattina!

    Enrichetta e Giovanna ridevano, abituate alla fantasia di Carlo il quale circolava liberamente nella vita con muscoli solidi, una coscienza tranquilla e un dono verbale irresistibile.

     Ah! chi si vede! Ma è Jamouins, è lui!

    Prupru... Tu, qui!

    Prudente Jamouins, detto Prupru, antico condiscepolo di Gerolamo Herrant, che Enrichetta chiamava spesso, il mio buon zio, mostrava, sotto i capelli quasi bianchi, un viso tondo, rosso e contento per questo stupore degli amici. Era piccolo e di gesto vivo.

         Ma sì, sono io, Jamouins, il tuo vecchio Jamouins... Sei maravigliata, mia piccola Enrichetta, che un uomo il quale abita a Versaglia venga qualche volta al Bois de Boulogne Ah, permettimi di presentarti, d'Aprileux, e voi, signora, permettete che vi presenti il signor Maurizio Dellenoy, un provinciale come me, perchè ha domicilio a Sèvres tutto l'anno".

    Enrichetta, sollevando gli occhi, incappò uno sguardo d'un azzurro profondo, ambiguo, ardente e dolce come una carezza, che la fece quasi venir meno. Il suo primo pensiero fu: L'ho già visto Poi un'impercettibile angoscia; il Bosco le parve ingrandito, l'ora precisa e luminosa. Infine rimettendosi, inquieta ancora della sua emozione, vide inchinarsi un uomo giovane, biondo, appena più grande di lei, dai tratti fini, dalla barba tenue, e che le sorrideva.

    Ella doveva ricordarsi i minimi particolari di questo incontro, il disegno grigio e blu della giacca, il feltro chiaro correttamente posato sui ricci corti e di un biondo caldissimo, le mani guantate, il bastone spesso dal pomo d'argento. La voce, che smentiva la fiamma chiara delle pupille, sembrava esitante e timida, poi, di sorpresa, quasi rude. La bocca, sotto i baffi ben curati, aveva una piega amara. E questa piega ispirò immediatamente alla ragazza una singolare compassione.

    Carlo d'Aprileux conosceva Dellenoy, dilettante musicista e novelliere leggero. Gli parlò delle sue novelle e delle sue opere con l'amabile interesse d'un uomo arrivato per un giovane confratello di talento. Questi complimenti piacquero ad Enrichetta. Ella non ascoltava, il, suo vecchio, Jamouins che gli chiedeva notizie di suo padre e della signora di Nauverai. Ma il nome di Claudio Varnier, pronunziato, le diede come un piccolo imbarazzo. L'immediata vicinanza di Maurizio Dellenoy anche la turbava.

         Signorina, domandò questi dopo un lungo silenzio che il bel mattino faceva color d'oro, venite abitualmente al Bosco?

         Due o tre volte alla settimana, con la mia amica Giovanna.

         La signora d'Aprileux?

    Enrichetta abbassò la testa. La sua mano, che teneva l'ombrellino, sfiorò inavvedutamente la mano libera di lui, ed essa trasalì e si scostò subito. Questo movimento non sfuggì affatto all'acuto Maurizio, natura raffinata e selvaggia nello stesso tempo, falsata da una gioventù sfortunata presso cui tutte le facoltà vitali convergevano verso la conquista sensuale. Enrichetta gli piaceva. Indovinò una preda facile. E, per tastar terreno, siccome aveva spirito, la fece ridere.

    Chi comprende la donna, il riso è rivelatore. Mostra, senza che essa diffidi, la forma della sua resistenza e del suo abbandono. Da anche il senso della caduta. E il riso non è, ai primi incontri, la sola emozione che si possa provocare?

    Il riso di Enrichetta era largo, franco, di una deliziosa freschezza. Attraverso lo splendore dei denti, la rosea umidità delle labbra, il palpito delle narici, l'incresparsi delle palpebre abbronzate su quel fiero sguardo d'acqua corrente, questo riso era come testimonianza di un essere sano, voluttuoso, salpante per la piena vita così bella e così cattiva. E siccome l'ingenuità è contagiosa, al desiderio del giovine si mischiò, cosa rara, qualche emozione. Ne fu grato a lei che rideva. Le parole che tutti e due pronunziavano presero un valore nascosto, ambiguo, quasi un sapor d'avvenire.

          No, signorina, non sono del Mezzogiorno, per sfortuna. Sono di Grenoble.

         Perché per sfortuna?

         Perché dal Mezzogiorno, da che mondo è mondo, son venute la gioia e la luce.

         E la menzogna d'immaginazione...

         Ciò che rende la terra sopportabile.

    Ella ebbe questa volta una mezza ironia, quasi malinconica, tacita; e lui vedeva già quella graziosa testa come appoggiata sulla sua spalla, tra una dolce stanchezza e un sogno. In questo momento un fermaglio in forma di cuore, dono di Varnier, che Enrichetta portava sempre al suo giubbetto, cadde. Dellenoy si abbassò vivamente, le porse il gioiello. Le loro dita si toccarono, senza retrocedere.

         "Lo credereste, signorina, che ho un fermaglio quasi simile? Sì, è ben questo, spagnuolo... tutto quel che mi resta di

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