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Una sorpresa per lo spagnolo: Harmony Collezione
Una sorpresa per lo spagnolo: Harmony Collezione
Una sorpresa per lo spagnolo: Harmony Collezione
E-book158 pagine2 ore

Una sorpresa per lo spagnolo: Harmony Collezione

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Info su questo ebook

Gwen ha sempre immaginato il giorno in cui il milionario Rio sarebbe venuto a conoscenza dell'esistenza della loro bambina. Ma la realtà ha superato qualsiasi immaginazione, perché quando Rio irrompe nuovamente nella sua vita non vuole soltanto sua figlia, ma anche lei... al proprio fianco!

Rio non vuole perdere la figlia che ha appena scoperto di avere ed è disposto a tutto per fare in modo che ciò non avvenga, anche a infrangere la sua regola più ferrea: nessun legame! Nonostante questo, il posto che offre a Gwen è soltanto quello nel suo letto, a meno che non insegni al proprio cuore ad amare di nuovo...
LinguaItaliano
Data di uscita20 mag 2021
ISBN9788830528451
Una sorpresa per lo spagnolo: Harmony Collezione
Autore

Kim Lawrence

Autrice inglese, rivela nei suoi romanzi la propria passione per le commedie brillanti.

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    Anteprima del libro

    Una sorpresa per lo spagnolo - Kim Lawrence

    successivo.

    1

    La musica classica che si diffondeva dall'impianto stereo, regalo di una vecchia alunna dopo il suo primo album di platino, era quasi surclassata dalla cacofonia di giovani voci, dallo scalpiccio di piedi e dallo stridio delle gambe delle sedie mosse sul pavimento di legno mentre una moltitudine di bambini in uniforme affollava l'auditorium.

    Sebbene molte sue colleghe si accigliassero per il livello del rumore, Gwen a malapena si accorgeva del frastuono che riecheggiava sotto l'alto soffitto della sala Tudor, l'auditorium della scuola. I suoi pensieri vagavano altrove, sebbene non troppo lontano. L'asilo nido, un servizio che era stato oggetto di trattativa quando le era stato offerto il lavoro all'istituto scolastico Mere Grange, si trovava a meno di cinquecento metri da dove insegnava lei.

    A dispetto della notte agitata che le aveva fatto temere il peggio, Ellie era sembrata stare bene quel mattino. Vero che le si era aggrappata in modo esagerato quando l'aveva lasciata all'asilo prima del solito, però la temperatura era stata normale, gliel'aveva misurata due volte. Eppure si sentiva ansiosa. Istinto materno, o forse senso di colpa.

    La prima cosa, che aveva sempre creduto un mito, ora sapeva con certezza essere una realtà, e la seconda, pur se irrazionale, era anche quella un dato di fatto. Non sapeva se di tutte le mamme, se di tutte le mamme single, o solo per lei.

    In ogni caso lo provava tutte le volte che lasciava Ellie al nido.

    «Starà benissimo, smettila di preoccuparti.»

    Si girò verso Cassie, l'insegnante di inglese. «Come sapevi che stavo pensando a Ellie?»

    «Tesoro, tu stai sempre pensando a tua figlia. So che è duro essere un genitore single, per quanto tu lo faccia sembrare facile.»

    Gwen chiuse le palpebre sugli occhi blu. Si era confidata con Cassie più che con qualsiasi altro, tuttavia le aveva detto solo il minimo. Cioè che il padre di Ellie non era inglese e non faceva parte del quadro.

    Le sue esili spalle si sollevarono mentre escludeva dalla sua mente l'immagine del padre di Ellie, che era scivolata attraverso le barriere tenacemente erette, anche se ogni volta che guardava gli occhi meravigliosi della figlia non poteva fare a meno di pensare a lui.

    Prima che potesse addentrarsi nell'annoso dibattito sulla propria incapacità di scegliere gli uomini, un grido proveniente da oltre il palco richiamò la sua attenzione.

    Anche Cassie si era girata.

    «Vado ad aiutare» decise Gwen dopo un momento. L'assistente di classe, Ruth, stava faticando a contenere una ventina di bimbetti di cinque anni che si erano seduti per primi nell'auditorium.

    «Buona fortuna» le augurò Cassie in tono di avvertimento. «Il capo vedrà che non sei qui e non ne sarà contento. Ha detto: tutto il personale» citò, imitando il tono dell'uomo.

    «Dubito che la mancanza di un membro possa influire sulla donazione per l'ampliamento della biblioteca. In ogni caso, sarebbe peggio se uno dei miei studenti scappasse, non farebbe una buona pubblicità.»

    E infatti raggiunse la sala giusto in tempo per impedire che uno dei suoi alunni imboccasse l'uscita di emergenza. «Da questa parte, Max» disse accarezzandogli i riccioli rossi e sospingendolo gentilmente verso la poltroncina. «Oh, sei seduto accanto a William... non è una buona idea.» L'aveva imparato a sue spese, e infatti in classe li sistemava ai due lati opposti. «Spostati, Sophie. Max può sedersi vicino a te. Bene, adesso non muovetevi» li ammonì prima di dirigersi verso Ruth. «Ne hai quasi perso uno qui.»

    «Grazie mille, signora Meredith» rispose quella con un sorriso grato.

    Gwen ricambiò il sorriso, pensando che era assurdo che Ruth le si rivolgesse in quel modo, facendola sentire vecchia, sebbene avesse un anno meno di lei, ma la scuola adottava una rigorosa separazione dei ruoli e delle posizioni, impedendo persino qualsiasi relazione interpersonale tra i docenti. Anche se queste avvenivano lo stesso, purché con discrezione.

    Gwen non era interessata alla discrezione. Non era interessata proprio alle relazioni. A volte si chiedeva se la sua libido fosse morta, ma il più delle volte non aveva neppure la forza di chiederselo. Era troppo esausta. Se anche si fosse ancora fidata del proprio giudizio sugli uomini dopo l'esperienza con il padre di Ellie, una storia romantica era l'ultima delle sue priorità in quei giorni. Aspirava più a dormire, o magari a sedersi per qualche ora a leggere un libro o a farsi la manicure. Si era lasciata alle spalle la lussuria e non le mancava proprio per nulla.

    «Niente di grave, Ruth.»

    «Max mi fa le boccacce, signora Meredith» si lamentò Sophie.

    «Max!»

    Lo sguardo di Gwen scandagliò i visi dei piccoli oltre il faccino angelico della testolina rossa, e quando ottenne l'attenzione dilatò gli occhi e si portò un dito alle labbra, e anche se non ottenne proprio il silenzio riuscì a placare gli animi più agitati.

    «È un miracolo!» esclamò Ruth. «Come ci riesce?»

    Gwen fece un cenno di assenso ai suoi pupilli e promise loro di lasciarli correre più tardi se fossero stati così bravi. Aveva sempre pensato che la carota fosse più efficace del bastone. Stava per tornare a prendere il posto dietro il palco, ma una voce dal microfono la avvertì che era troppo tardi, così si sedette accanto a Ruth sulla panca laterale, mentre il direttore dava il benvenuto ai suoi ospiti.

    Continuò a sorvegliare i suoi bambini mentre la voce profonda del direttore riempiva la sala, augurandosi che i discorsi non fossero troppo lunghi, poiché non era facile far stare fermi e seduti troppo a lungo bambini di cinque anni annoiati.

    «E ora lascio la parola al signor Bardales.»

    Bardales. Doveva essere il sovvenzionatore del Premio Cavendish... niente a che vedere con quello che il nome Bardales evocava in lei.

    Da fuori Gwen sembrava lo stesso cigno impassibile che solcava le acque, e solo il fremito delle ciglia che bordava gli occhi blu, o la tensione dei muscoli intorno alle labbra tradiva l'anatra disperata che sbatteva freneticamente le ali per cercare di stare a galla, il cuore che rischiava di sprofondare nel panico più totale.

    Respira, Gwen. Ma quello che emise fu una sorta di sibilo tra le labbra, come di qualcuno che cercasse di risalire dal fondo di una piscina in cui era caduto per sbaglio. Si sfregò gli avambracci con le mani, sentendosi ridicola per quella reazione spropositata. Da tempo non provava una simile reazione, l'ultima volta era stata due mesi prima, quando aveva scorto una testa scura che emergeva tra la folla in un centro commerciale, ma poi aveva notato che non era accompagnata da tratti arroganti del viso, né da quella sinuosa fluidità felina che conosceva. La sensazione era durata solo un momento prima che il suo buonsenso tornasse, insieme all'irritazione per aver permesso che la sua immaginazione avesse preso il sopravvento.

    Anche adesso quella stessa irritazione le fece sollevare il capo per vedere l'origine del suo flashback. Sentì la bocca secca perché l'ospite era alto, e il taglio elegante della sua giacca non occultava affatto il torace muscoloso.

    No, non era stato un flashback. Questo era il flashback in carne e ossa! E di colpo tre anni sembrarono scivolare via, e lei era di nuovo là, a New York.

    Il locale era alla moda e sofisticato come la sua clientela, e Gwen, seduta su un alto sgabello, era del tutto a suo agio. Anche lei era alla moda e sofisticata, o almeno così intendeva apparire. Non che ci fosse pienamente riuscita, ma sarebbe accaduto presto. In realtà era a New York solo da tre mesi e si sforzava di essere positiva, anche se il suo piano strategico quinquennale era già stato minato da un inizio disastroso.

    Il primo mese si era dedicata anima e corpo al lavoro. All'università aveva imparato che per ottenere risultati bisognava impegnarsi duramente, ma dopo qualche settimana di straordinari in ufficio aveva scoperto che lì le cose funzionavano in modo diverso. Il lavoro non era sufficiente, aveva bisogno di ore di socializzazione, di uscite e di contatti.

    La prima volta che aveva accettato un invito era sembrata un pesce fuor d'acqua nella sua tenuta da ufficio, ma ormai era diventata un'esperta a trasformarsi dal giorno alla sera, con un semplice passaggio ai bagni delle signore per le necessarie modifiche. Come tutto nella vita, si trattava solo di organizzarsi. Rinfrescare il trucco, passare a un rossetto più vivace, sciogliere i capelli in folte onde naturali. La giacca del mattino spariva e la semplicità dell'abito nero era rallegrata da un pendente. La giacca ripiegata finiva nella capace borsa all'ultima moda, insieme alle scarpe anonime, sostituite da un paio di stivaletti alle caviglie ornati di punte metalliche.

    Era incredibile quello che si poteva fare quando si era organizzate, e Gwen era molto concentrata. Non si lasciava distrarre, sapeva quello che voleva e procedeva per la strada più breve per raggiungere i suoi obiettivi. Una volta, chiusa in uno dei bagni, aveva udito una conversazione riguardo a una persona spregiudicata e determinata. Solo in un secondo momento aveva scoperto che si trattava di lei.

    «Sei solo gelosa, Trish. Perché Gwen ha il viso e il corpo di chi può permettersi di arrivare al top andando a letto con chi vuole» era stato uno dei commenti crudeli che aveva sentito.

    La rabbia provata in quel momento però oramai se n'era andata, anche se a volte il ricordo la tormentava ancora. Accavallò le gambe e rise, perché era quello che facevano gli altri intorno. Era vero che era determinata a perseguire il suo obiettivo, ma era falso che intendesse farlo andando a letto con chiunque. Tuttavia aveva soppresso l'impulso di confrontarsi con quelle vipere, ingoiando la rabbia e pensando che fosse meglio dimostrare con i fatti che lei era migliore di loro. E non sarebbe servito neppure sbandierare che fosse ancora vergine: era sicuramente più facile essere considerata un'arrivista senza morale.

    «Mi sembri infuriata!» Louise, l'ultima collega arrivata nell'ufficio finanziario dove lavorava Gwen, le lanciò una occhiata curiosa. «Vuoi un altro drink?»

    Gwen sorrise e scosse il capo, prendendo il suo bicchiere ancora pieno. Guardandosi nello specchio oltre il bancone considerò che la fortuna spesa da un prestigioso parrucchiere aveva prodotto un magnifico effetto sui suoi capelli. Bevve un sorso di vino e si sporse ad ascoltare quello che stava dicendo la donna accanto a Louise.

    «Il tuo accento scozzese è così delizioso. Tutti lo pensano.»

    Quando non pensano che vada a letto con chiunque per farmi strada. Si limitò a sorridere. Aveva scoperto che era una magnifica strategia. Meglio che precisare di non essere scozzese, bensì gallese.

    «Non girarti, ma quel tipo non ti ha tolto gli occhi di dosso da quando è entrato» disse Louise facendo un cenno verso lo specchio appeso alla parete. «Ti ho detto di non guardare!»

    «Non lo stavo facendo.» Gwen non era contraria all'idea di una storia romantica al momento giusto, ma non l'aveva prevista in quel frangente della sua vita. Per ora rappresentava una distrazione di cui non aveva bisogno.

    Ma non poteva non rallegrarsi se qualcuno apprezzava gli sforzi che stava facendo riguardo al suo aspetto.

    Louise bevve un sorso del suo cocktail, allungandosi oltre la spalla di Gwen.

    «È davvero... oh mio Dio, sta venendo qui!»

    Lei udì la sua voce prima di vederlo. Profonda, con una nota roca e l'accenno di un accento intrigante. Le fece morire il sorriso che esibiva per l'amica, mentre un brivido la percorreva.

    Era la stessa voce

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