Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Sentieri sepolti
Sentieri sepolti
Sentieri sepolti
E-book134 pagine1 ora

Sentieri sepolti

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Sentieri sepolti è il primo volume di una collana dedicata agli scritti di Claudia Ronchetti.
In questa raccolta vengono presentati due racconti, Pensavi di non trovare nessuno? e La Mappa.
Il primo è un noir incentrato su un delitto passionale che deflagra nella vita routinaria di un imprenditore di provincia.
Le coltri di umidità della tranquilla
LinguaItaliano
Data di uscita3 feb 2015
ISBN9788897028147
Sentieri sepolti

Leggi altro di Claudia Ronchetti

Correlato a Sentieri sepolti

Ebook correlati

Noir per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Sentieri sepolti

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Sentieri sepolti - Claudia Ronchetti

    Colophon

    Sentieri sepolti

    Racconti di Claudia Ronchetti

    Pensavi di non trovare nessuno? © 2003 Claudia Ronchetti

    La mappa © 2012 Claudia Ronchetti

    Sentieri sepolti

    © 2013 Riccardo Condò Editore

    ISBN 9788897028147

    Tutti i fatti narrati e i personaggi citati sono frutto di fantasia e invenzione letteraria e non sono riconducibili in alcun modo ad eventi realmente ac­caduti o a persone esistenti. Ogni riferimento al mondo reale è puramente casuale.

    Ipersegno è un marchio editoriale di Riccardo Condò Editore, Popoli (Pe) - Italia.

    Sentieri sepolti

    Claudia Ronchetti

    racconti

    IPERSEGNO

    Riccardo Condò Editore

    Prefazione

    Claudia Ronchetti si presenta ai lettori con una nuova serie di racconti. Questo primo volume, Sentieri sepolti, racchiude Pensavi di non trovare nessuno? e La Mappa. In essi il tratto elegante e il linguaggio diretto tradiscono subito i segni distintivi della sua narrativa, incentrata sulla speleologia della psiche. Fatti e personaggi più che narrati sono letteralmente vissuti, quasi posseduti dall’autrice che disorienta il lettore con subitanei cambi di prospettiva. Con rara efficacia, Claudia Ronchetti riesce a passare, senza soluzione di continuità, dalla narrazione di una vicenda al vissuto della stessa da parte del protagonista. L’unicità di Claudia Ronchetti sta proprio nel riuscire a precipitare il lettore nell’abisso psichiatrico dei suoi personaggi, senza preavviso. Il mondo fisico si stempera in quello mentale: gli oggetti, i fatti, i luoghi si annullano nella loro percezione, costruendo così un reticolo che, senza punti di riferimento, altro non è che un labirinto.

    Pensavi di non trovare nessuno?, il primo dei due racconti, è la storia di un delitto. Le ambientazioni sono quelle classiche del noir. I personaggi, i ritmi, i paesaggi e le muffe sono quelli di Pavia e della provincia padana. Il delitto è descritto con minuzia e attenzione, sembra tutto chiaro e perfetto. Sembra.

    La mappa, il secondo dei racconti proposto in questa edizione, porta il lettore nel mezzo di una seduta di psicoanalisi. Una donna parla, racconta di sé al suo analista, ma le parti si invertono. I piani di realtà si trafiggono l’un l’altro sino ad annullarsi in un’ossessione che diventa tangibile.

    Riccardo Condò

    Dichiaro ogni riferimento a persone o fatti realmente esistenti del tutto casuale.

    Dichiaro inoltre, qualora qualcuno dovesse leggere di sé tra gli spazi delle mie parole, completamente in errore, poiché fatti, parole e persone sono nati, vissuti e morti solamente nel mio immaginario.

    Claudia Ronchetti

    Pensavi di non trovare nessuno?

    Ne ero assolutamente certo: parte del cervello stava per essere divorata dall’altra che si faceva sempre più prepotente.

    Lo erodeva piano e piano lo sostituiva; non era una aggressione improvvisa; né le cellule si erano fatte maligne.

    Ero certo che nel mio sangue il tasso di tossicità emotiva fosse ormai al livello di guardia. Alcoolismo puro.

    Si era impossessato di me un biochimismo infernale che nessuno avrebbe mai diagnosticato come letale, ma che sentivo progressivamente corrosivo.

    Io sentivo di vivere come il meccanismo voleva. Le risposte agli eventi, alterate da eccessi e malumori. Lo sapevo e mi domandavo se effettivamente era la mia persona a vivere e non una catena di enzimi ed ormoni impazziti.

    Ma non avrei mai detto che quel giorno sarebbe successo.

    Perché il piazzale davanti alla chiesa era rada ghiaietta e umida polvere, il cielo grigio e trasparente, senza alcuna promessa. I mattoni cupi e opachi. La facciata dell’edificio inespressiva come poche volte la si vedeva. La vegetazione semplicemente stanca e annoiata, senza segno di morte imminente, senza possibilità di resurrezione. E il fiume scorreva senza metterci impegno. Tutto appariva distratto come se ogni foglia e ogni fosso avessero assunto l’atteggiamento di chi tanto sa come sarebbe finita.

    Confesso - ho paura mi sussurravo all’orecchio da solo. Ero solo. E niente si staccava da me per assumere sue proporzioni. Diverse dal caos in cui stavo annaspando.

    Provavo una nausea non dissimile dal mal di mare.

    Perché niente era fermo quel giorno. La realtà si specchiava nell’acqua muovendosi al ritmo dell’onda.

    Peggio - niente era vero. Come fosse l’immagine di una stella già morta. La sua luce, solo quella.

    Ero solo e non avevo coscienza. Non riuscivo a vederla in quella giornata trasparente, fatta per essere attraversata senza sforzo, come passa un fantasma tra le mura.

    Pensavi di non trovare nessuno? aveva una smorfia sul volto, che io lessi beffarda.

    Quattro macchine in croce e due bancarelle. Festa parrocchiale d’autunno. Beneficenza. Una ventina di personaggi incolori.

    Sei stata con lui?

    Sì.

    Era seduta al mio fianco. Da giorni la vedevo soltanto passare. Non potevo più toccarla. Non era materia ma soltanto ricordo. Opprimente-esaltante-disperante.

    Un fantasma che la mano attraversa.

    L’avevo ricostruita durante le notti. Con puntiglio. Ma lei passava per strada e se ne andava. Poi girava nella mente calpestando il cervello come il pavimento della mia camera. Si coricava calda e pesante sulla mia fronte e sul mio letto. Pressante.

    Sei una puttana.

    Era stato facile.

    Lei non era più un fantasma, sovrapposizione di ricordi compressi tanto da assumere uno spessore.

    Era lì sul sedile dell’auto. Finalmente materia-mia-assolutamente. Come gli attimi che avevamo condiviso.

    La testa ripiegata da un lato, i capelli composti.

    Non si era ribellata perché sapeva che era destino. Lo sapeva con la stessa coscienza della vegetazione rassegnata. Non si era aggrappata alla vita. Sapeva di volere la morte per non pensarci più, dimenticare la fatica. E cancellare finalmente l’ossessione che covava in mezzo a noi. Nasceva e si spegneva per rinascere ancora più violenta, compulsiva, come se si fosse alimentata di un cibo sconosciuto e portentoso mentre era sopita.

    Eravamo entrambi ad alimentarla, con l’apprensiva attenzione che si riserva a un neonato prematuro. Lo si guarda crescere in incubatrice e lievitare al di là di ogni previsione. Increduli.

    Un neonato fasullo. Perché vivere non può su questa terra.

    Io dunque sono stato il suo destino.

    Guidavo sicuro, dopo avere appena reclinato il sedile perché la testa rimanesse composta. Le avevo sistemato un paio di occhiali da sole sul naso, aggiustato il colletto della giacca intorno al collo sottile.

    Era stato facile. Come era facile non trovare nessuno, più avanti. Oltre la festa parrocchiale dove il sentiero si accosta alla riva, diventa sconnesso. L’auto sobbalza e i rami si piegano a nasconderla. Fra le diramazioni dei tronchi si intravede l’acqua. Senza trasparenze - coprente.

    Qui siamo soli.

    Era già fatta. Le mie dita avevano premuto sul collo senza sbagliare. Era morta.

    Dovevo tornare in ufficio, mi stavano aspettando. Ho chiamato con il cellulare. Ero calmo.

    Sto arrivando.

    Ho rivolto lo sguardo al sedile di fianco.

    Non posso ho considerato.

    Ho richiamato.

    È tardi, penso di non passare se non c’è niente di urgente.

    Niente.

    A domani.

    Domani. C’era una notte di mezzo. Le ore della sera, l’orologio. La luce che cade oltre la riva opposta del fiume, la luce che poi sale e rivela i contorni. La strada che stavo percorrendo, che a quell’ora si spegne e confonde, si sfuma nell’incertezza delle sette di sera in autunno.

    Chissà se l’alba sarà senza nuvole? mi chiedevo aspettando di nascere ancora.

    La notte che doveva venire era una x senza soluzione. Ogni congettura rimaneva sospesa. Dovevo agire soltanto.

    Lei dormiva. L’avrei tenuta al mio fianco per sempre. Mi bastava vederla eppure mi resi conto che avrei dovuto privarmi anche della sua vista.

    L’ho persa per sempre.

    Fu l’angoscia.

    Mi rimane il ricordo.

    Guardavo la strada, i fari che si accendevano e mi venivano incontro.

    Non è più di nessuno.

    Cosa ne avrei fatto non avevo ancora deciso, ma nella notte doveva sparire. Il suo corpo doveva svanire e non calpestare l’asfalto come faceva ogni giorno. Le vie che ogni giorno aveva percorso, le case, portoni e finestre, l’acciottolato avrebbero notato la sua assenza, ma l’avrebbero accettata nella compostezza di giorni tutti uguali. Come la vegetazione dell’autunno, spettatrice indifferente.

    I conti avrei dovuto farli con me stesso.

    Si può amare un cadavere?

    Poteva essere la mia vittoria. Averla ancora, sicuro che il suo pensiero non fosse altrove.

    Invertii la marcia, tornai da dove ero venuto. Tutto sparito. Il piazzale della chiesa ricolmo di notte, le luci piovevano tenui da radi lampioni. Erano tanto deboli da non raggiungere il suolo; nitide in alto, sfioravano appena la ghiaia. Fermai l’auto fra la cascata di foglie autunnali. Spensi i fari. L’accarezzai dal ginocchio verso il pube. Se ne va in fretta la vita dal corpo. Ricordai che in quel luogo l’avevo baciata all’inizio della nostra storia.

    Il primo bacio considerai se ha importanza...

    Accostai la bocca alla guancia; la pelle era fredda. Aveva freddo; presi un plaid dal sedile posteriore e la coprii.

    Non sta bene mi venne istintivo pensare.

    Non esiste balzò fra i pensieri come un agguato.

    Troppo era nella mia testa pronto a rivelarsi con un’apparizione improvvisa. Ne ero cosciente. Pensieri sorgenti e morenti senza percorsi da seguire. Dovevo agire, non riflettere.

    Non l’amai, non poteva. Presi atto che non esisteva o esisteva alla stregua delle lamiere dell’auto, della plastica del cruscotto. In più degradabile e non riciclabile.

    Stava piovendo, poche ore erano passate. L’acqua precipitava a scrosci sul vetro dell’auto, lavava la polvere degli ultimi giorni trascorsi. Le vie strette, disposte irregolarmente in saliscendi appena percettibili. I muri delle case non cadevano perpendicolari, ma si chiudevano in alto. Le luci dondolavano appese nel mezzo; erano violente, si esasperavano nella pioggia. Tutto nitido, si creavano contrasti che non ricordavo. La luce falsava l’immagine attribuendole suggestioni impensate. Ricordava il corridoio di un ospedale dove il neon diffonde chiarore e l’irrealtà si fa apparizione. Incertezza del vivere. I confini fra ossessione e concretezza si andavano sfumando. Era chiaro - esageratamente. Nessuno per strada, nessuno mi avrebbe visto entrare a quell’ora. Forse qualcuno avrebbe potuto sentire il

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1