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Nero
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E-book104 pagine1 ora

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Info su questo ebook

Nero è il secondo volume di Ipersegno dedicato agli scritti di Claudia Ronchetti, l'autrice pavese creatrice del genere letterario del giallo psichiatrico.
Due i testi scelti, L'appartamento e Il gioco.
Il primo, come anticipato dal titolo, è ambientato in una casa, le cui stanze perdono la dimensione fisica per diluirsi in un percorso psichico. Pr
LinguaItaliano
Data di uscita4 ott 2014
ISBN9788897028093
Nero

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    Anteprima del libro

    Nero - Claudia Ronchetti

    Colophon

    Nero

    Scritti di Claudia Ronchetti

    L’appartamento © 1999 Claudia Ronchetti

    Il gioco © 2000 Claudia Ronchetti

    Nero

    © 2014 Riccardo Condò Editore

    ISBN 9788897028093

    Prima edizione

    Tutti i fatti narrati e i personaggi citati sono frutto di fantasia e invenzione letteraria e non sono riconducibili in alcun modo ad eventi realmente ac­caduti o a persone esistenti. Ogni riferimento al mondo reale è puramente casuale.

    Ipersegno è un marchio editoriale di Riccardo Condò Editore, Popoli (Pe) - Italia.

    Nero

    Claudia Ronchetti

    scritti

    IPERSEGNO

    Riccardo Condò Editore

    Prefazione

    Secondo appuntamento di Ipersegno con la narrativa di Claudia Ronchetti, la scrittrice pavese che si è imposta nel panorama letterario con il suo particolarissimo genere del giallo psichiatrico.

    Due i testi scelti per questo volume, entrambi scritti a cavallo tra la fine degli anni novanta e gli inizi del nuovo millennio.

    Claudia Ronchetti riesce sempre nella difficile impresa di stupire anche i suoi lettori più affezionati e, con L’appartamento e il Gioco, affronta il tema della solitudine irreversibile.

    I protagonisti dei due racconti vivono situazioni radicalmente diverse ma, tutti, percorrono le loro esistenze come se le stessero guardando dall’esterno. Azioni, parole, decisioni sembrano sfocarsi in un contesto totalmente impermeabile alla volontà degli uomini e così la solitudine diventa strumento di vita e di equilibrio.

    Particolare è anche il ritmo narrativo, cinematografico, visionario, che sembra anticipare di oltre un decennio i canoni dell’attuale filmografia.

    Claudia Ronchetti utilizza lo spazio fisico come strumento della psiche, riuscendo a creare confini inesistenti, che i suoi personaggi considereranno come assoluti ed invalicabili.

    Il linguaggio asciutto, a volte sincopato, si distacca dallo stile consueto dell’autrice e questo aspetto rende Nero ancora più unico nella vasta bibliografia di Claudia Ronchetti.

    Riccardo Condò

    Dichiaro ogni riferimento a persone o fatti realmente esistenti del tutto casuale.

    Dichiaro inoltre, qualora qualcuno dovesse leggere di sé tra gli spazi delle mie parole, completamente in errore, poiché fatti, parole e persone sono nati, vissuti e morti solamente nel mio immaginario.

    Claudia Ronchetti

    L’appartamento

    Aveva passato gran parte degli anni della sua vita da miope. Non portava gli occhiali. Il mondo le appariva sfumato, la distanza sfocava gli sfondi e niente riusciva mai ad accerchiarla fino a toglierle il fiato.

    Eppure possedeva un paio d’occhi inusuali.

    Riusciva, in un impreciso vortice d’immagini, a inseguire l’essenza. Forse per questo combinarsi di deficit e intuito le capitava sovente di vedere ciò che agli altri appariva diverso.

    Non si stupì quindi il giorno in cui si trovò sola in un grande appartamento disabitato.

    Sconosciuti i proprietari, inesistente il mobilio.

    Fece scorrere lo sguardo sui pochi elementi che doveva conoscere per sapere dov’era.

    Pavimenti a grandi piastrelle. Bianche, nere, screziate di grigio.

    Pareti di tinta neutrale. Grigio-azzurro.

    Finestre ampie. Listate di nero.

    Vetri limpidi e cristallini che qualcuno aveva lavato recentemente.

    Stanze, tante.

    Ad ogni porta che si apriva, uno spazio si rivelava, di varie dimensioni, dipinto degli stessi colori.

    Decise che poteva andare bene e se nessuno lo abitava, lei lo avrebbe occupato. Arredarlo non sarebbe stato un problema. Essenziale. Ci avrebbe portato una branda e due cose in cucina, quelle indispensabili. Nient’altro. Aveva bisogno di spazi che fossero vuoti. Niente tende alle finestre. Aria e cielo.

    Niente armadio della nonna - niente quadri - niente libri. Sussistenza al proprio corpo: sonno e cibo. Poteva bastare. E libertà. Dagli oggetti, dai ricordi.

    In un giorno fece tutto. Quella casa sarebbe stata la sua abitazione per un mese.

    L’agenzia immobiliare che gliel’aveva proposta si trovava nello stesso edificio. Da loro aveva saputo che i proprietari risiedevano all’estero. Le pratiche erano state veloci. Nel giro di poche ore le avevano consegnato le chiavi.

    L’unico elemento d’arredo che aveva trovato era uno specchio, in un bagno. Andava bene. Talvolta nasce il bisogno di vedere la propria faccia.

    Il mattino seguente due ragazzi robusti consegnarono il resto. Lei chiuse la porta e si appoggiò soddisfatta alla parete, di fronte le finestre listate di nero - aperte sul cielo.

    Luce di un giorno meraviglioso, unico nella vita, probabilmente pensava. Ore di ampi respiri. Inspirazioni profonde come fossero boccate d’ossigeno. Preparava una festa privata ospitando solo raggi ed energie, embrioni di pensieri, quelli che sono soliti fuggire e non farsi più trovare, si sarebbero fermati a gioire dello spazio e nutrirsi della luce.

    Provava pena per i pochi rondoni che tagliavano il cielo. Li vedeva attraverso le ampie finestre listate di nero. Si fece l’idea che fossero aerei in ricognizione. Uccelli a caccia d’insetti, due ali forti a sostegno di un corpo tozzo, e nient’altro.

    Era quella per lei una vacanza piuttosto insolita, visto che mezza città si preparava a partire per riscoprire terre lontane o vicine già scoperte o violate, a cercare l’avventura che fosse unica o programmata. La terra è rotonda, sempre quella. Non ci sono nuove terre.

    Lei invece quella vacanza l’avrebbe passata con se stessa e con il cielo, trascorrendo giorni di meravigliosa solitudine. Nessun pensiero estraneo avrebbe turbato l’ordine nascente, ne era certa. Stesso cielo, stessa luce e il vuoto da riempire.

    Nel primo pomeriggio della IV giornata qualche nube grigiastra alterò la visuale. Godette comunque del fatto di non sapere se fossero le prime avvisaglie di un cambiamento o addensamenti casuali, destinati a dissolversi in breve.

    Libertà anche questa, di non sapere.

    Fu la V giornata a portare cambiamenti.

    Il risveglio le aveva riservato un cielo compatto di nuvole grigie, dense come l’ovatta annerita di fumi. Le veniva da pensare alla vecchia Inghilterra inquinata dai fumi del carbone. E la gente per strada stordita dalle ciminiere da cui nuvole di fuliggine scendevano a dipingere i polmoni.

    Ubriachi di alcool e di povertà, ubriachi di un futuro che a vedersi poco aveva di roseo.

    Il sole tramontava dietro l’innaturale nuvola grigia.

    Mentre si perdeva e dondolava fra pensieri liberi di rotolare senza scopo rispettando il programma in ogni dettaglio, l’afa si era insinuata tra le mura di casa. Accese il condizionatore.

    Si respirava meglio, ma gli spazi celesti erano presi d’assalto dalla folla di nubi. I rondoni volavano basso. Fu così che si avvicinò a una finestra per cercare giù, sulla strada.

    Pensava a Kerouac così, per caso, e le venne istintivo considerare quanto fosse il suo opposto. Niente strada, solo, muri e finestre e cielo, la strada giù, da spiare. Amava Kerouac e non lo sentiva lontano quanto l’apparenza poteva dare a pensare.

    La strada se l’aspettava più deserta, da giorni ne era lontana. Eppure c’era gente, nonostante fosse estate. Li vedeva, i suoi simili, accaldati, i movimenti incerti di chi non conosce la sua direzione. Formiche impazzite con le antenne lesionate.

    Solo un uomo sembrava immune dalla confusione di obiettivi e di vie e dall’oppressione provocata dall’afa. Aveva appena attraversato la strada e ora stava aspettando, all’imbocco del centro residenziale. Lo tenne d’occhio per il tempo dell’attesa e lo vide entrare accompagnato da un’impiegata dell’agenzia, la stessa cui si era rivolta giorni addietro.

    Chiuse quella parentesi, ma aveva provato disagio. Si sarebbe coricata presto e avrebbe dormito in attesa dell’alba.

    In onore al programma.

    Si svegliò che era notte e la luce della lampadina appesa al soffitto, accesa. La lasciava così, non avrebbe tollerato il buio in un periodo come quello che ad arte si era progettata, in cui tutto avrebbe dovuto chiarirsi, dentro e fuori di lei, per riprendere a scorrere senza intoppi.

    La voce di una televisione la stava disturbando. Si soffermò per qualche minuto a cercarne l’origine.

    Rimbombava nella stanza come un’eco lontana. Si sforzò per capire da dove venisse. Poi

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