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Dalla strada alla terra
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E-book170 pagine2 ore

Dalla strada alla terra

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Info su questo ebook

Massi è un giovane nato alla fine degli anni ‘60 a Trastevere, quartiere storico e popolare di Roma.
Con il suo amico fraterno Sandrino, fin dall’infanzia, rimangono intrappolati in una città fatta di trasgressioni, criminalità e falsi miti. I due, crescono senza arte né parte, senza alcuna istruzione e senza valori. Quando la vita li costringe a separarsi per molto tempo, Massi prova, senza successo, a gestire da solo la sua vita. Fino a quando non incontra Silvia, una giovane studentessa responsabile di un’associazione di volontariato. Massi prova in ogni modo a conquistarla, ma non avrà vita facile a causa delle loro differenze sociali. Lui, per cercare di assottigliarle, tenterà ogni strada; anche quella che lo porterà fino all’altra parte del mondo. 
“Dalla strada alla terra” non è solo un viaggio nei luoghi e nei sentimenti, ma soprattutto un percorso che va dal particolare all’universale e viceversa.
LinguaItaliano
Data di uscita17 gen 2018
ISBN9788827553565

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    Anteprima del libro

    Dalla strada alla terra - Luciano Natali

    L’ATTIMO

    IL RITORNO

    Casa dolce casa! Atterraggio morbido e viaggio senza turbolenze, a parte il ronfare continuo del passeggero accanto a me. Il sole invade il corridoio dell’aereo, mi acceca. Farà molto caldo fuori! Riflessi nell’oblò i volti dei miei fratelli, già mi mancano. L’hostess apre la porta, provo ad alzarmi, ma mi accorgo che ho ancora la cintura. Sei pronto dai, dai! Spero solo che le valigie arrivino presto. Oltrepasso la porta dell’aereo, ci saranno almeno quaranta gradi, quelli tipici di Roma ad agosto, in questo maledetto tunnel non si respira, c’è un’afa pazzesca, sono già sudato. Mentre cammino, mi chiedo perché la gente sia così agitata quando viaggia. Corrono tutti, anche se, magari, non hanno nulla di urgente da fare. Io me la prendo con calma, sono talmente stanco, dopo quattordici ore di viaggio e due scali, che ho appena la forza di camminare. Eccola lì. La mia valigia gira lentamente, l’attesa infinita per i bagagli non è altro che una leggenda. Non vedo l’ora di stringere Silvia forte a me, chissà se è venuta a prendermi! Dietro le porte scorrevoli c’è una miriade di persone in attesa. Le osservo una per una, alcuni hanno dei cartelli con scritto un nome, altri passeggiano nervosamente, impazienti di rivedere i propri cari. Tra tutta quella gente in attesa, c’è mio fratello.

    «Non ci credo, Francé!»

    «Massi, Bentornato!»

    «Fatti abbracciare. Ti trovo bene. Sei in forma, eh?»

    «Tutta palestra. Allora, fatto buon viaggio?»

    «Il volo è stato tranquillo, a parte il vichingo che mi ronfava accanto. Ho saputo che ti sei fidanzato! Dai, raccontami, sono curioso.»

    «Fatti gli affari tuoi! Lo sai che con te non parlo di certe cose.»

    «OK, ma devi presentarmela presto, deve sapere con chi ha a che fare. Come mai sei venuto solo?»

    «Avevano tutti da fare e hanno mandato me.»

    «Hai preso la mia macchina? Non vedo l’ora di guidare!»

    «Eccola là, tieni le chiavi! Hai avvisato Silvia che sei arrivato?»

    «Oddio, Silvia! La chiamo subito! Dove ho messo il cellulare? Devo cambiare la scheda!»

    «Non serve chiamarla, Massi, guarda dentro la macchina!»

    In un istante, il senso del vuoto, come se stessi ancora in aereo e poi quella voce, quella che per ventisei giorni mi ha rimbombato nella testa, la più suadente e dolce voce del mondo:

    «Ti stavo aspettando... Finalmente sei tornato!»

    Osservo con ansia dentro l’auto, poi sposto il mio sguardo sullo sportello che si apre, quasi ad accogliermi verso di lei. Il sole è ancora alto, è un pomeriggio lucente, ma sbiadisce subito di fronte al suo sorriso meraviglioso: lo ricordavo esattamente così… radioso.

    «Amore!» Finisco immediatamente le parole, non ho voglia di parlare, non c’è bisogno di aggiungere altro, la stringo forte a me, respiro intensamente il suo odore, fino a esserne completamente pervaso.

    Dopo qualche secondo, Francesco comincia a mugugnare:

    «Bene. Volete che torni fra un’oretta?»

    Cominciamo a ridere: «No, ma guido io!»

    Mi avvicino alla macchina, ansioso di metterla in moto, sento che in me cresce il desiderio di risentire finalmente il rumore deciso del motore sotto il mio sedere, accarezzo il volante, è liscio, il profumo del cruscotto e degli interni dell’auto riempiono le mie narici, mi sento elettrizzato, sto guidando di nuovo, dannazione!

    Sull’autostrada, mi accorgo di essere rimasto solo; neanche due minuti e mio fratello già russa, per fortuna la radio è accesa, anche se non trovo nulla che mi piaccia. Così, dopo l’ennesimo cambio di stazione, Silvia inserisce un CD nello stereo e subito un rumore di tamburi inconfondibile attira la mia attenzione. Lei volge subito il suo sguardo su di me: «Ehi, la riconosci amore mio?»

    Tra le note di L’attimo, mi ritrovo di colpo scalzo, sento la terra rossa e arida seccarsi tra le dita dei piedi, il tempo di colpo non esiste più, sorrisi di migliaia di denti bianchissimi passano veloci davanti a me, migliaia di odori, grida e risate di bambini: sono ancora nella terra di nessuno.

    LA TELEFONATA INATTESA

    Poi, ditemi che l’acqua calda non è stata una grande scoperta. È un’eternità che non faccio una doccia bollente, nonostante sia agosto e faccia un caldo asfissiante, sto quasi venti minuti immobile sotto l’acqua. Una goduria. Infilo velocemente l’accappatoio ed esco, Silvia è lì fuori, cammina lentamente verso di me, ammiro la sua andatura provocante, più si avvicina, più sento di desiderarla, mi abbraccia legando le sue mani intorno al mio collo:

    «Hai fame amore?»

    «Da matti…»

    «Che ne dici se ci facciamo due spaghetti, un buon vino rosso e…» Morivo dalla voglia di sentirla mia.

    Lei sorride, mi guarda con uno sguardo sensualmente scorretto, avvicina la sua bocca alla mia, quando improvvisamente lo squillo del telefono rompe bruscamente la magia, i miei occhi corrono all’orologio appeso alla parete: le otto e un quarto di sera.

    Chi sarà a quest’ora? Mia madre l’ho già sentita

    «Pronto!»

    «Parlo con Massimiliano?»

    Non potevo non riconoscere quella voce:

    «Marta?»

    «Sì, sono io…»

    «Ciao, che succede?»

    «Amore, chi è?» Chiede Silvia smascherando tutto il mio imbarazzo.

    «Scusa se ti disturbo, lo so che sono anni che non ci sentiamo, ma…»

    Marta è imbarazzata, non riesce a continuare, sento un brivido gelato correre lungo la schiena.

    «Marta, tutto bene? Che succede?»

    «Non so come dirtelo, ma Sandrino è in ospedale!»

    Le uniche parole che riesco a capire, le sole che mi bastano.

    «Quale ospedale? Che è successo? Quand’è uscito?»

    «È al Santo Spirito!»

    «È grave?»

    Il silenzio che precede la fine improvvisa della conversazione è assordante, non c’è più linea, continuo a parlare da solo, non voglio ancora mettere giù, non posso farlo. «Marta? Marta? Marta!»

    Lo sguardo di Silvia è confuso e sconvolto, sembra stia per fare una domanda, ma poi placa la sua curiosità ricoperta di rabbia ed esclama: «Vai, mi chiami e mi spieghi tutto dopo.»

    Il tempo di un bacio veloce e sono già in macchina sul lungotevere, davanti a me vedo sempre più vicino Castel Sant’Angelo, il contachilometri segna centoventi e mille domande aggrediscono la mia mente. A Sà, ma che cazzo hai combinato? È colpa mia, lo sapevo che se ti avessi lasciato solo sarebbe finita così. Maledetto il giorno in cui ho deciso di andarmene... Cazzo!

    In pochissimi minuti sono lì. Parcheggio in sosta vietata. Chi se ne frega della multa! Mi precipito all’accettazione per chiedere di Sandrino, ma la signora alla reception, dopo essersi accertata che non fossi un parente, mi liquida con tre parole:

    «Sono informazioni riservate.»

    «Le ripeto che sono un amico!»

    «Mi dispiace, signore, ma non posso, sono informazioni riservate.»

    Continua a ripetere la stessa cosa, mentre col dito medio solleva i suoi occhiali rossi, scivolati ben oltre la gobba del naso. Non ci vedo più dalla rabbia, comincio a urlare.

    «Io non me ne vado finché non entro!»

    «Se ne vada, o chiamo la Polizia...»

    «Ah sì?»

    Mentre sto per sferrare un pugno sul vetro della chiostrina, una voce mi raggiunge:

    «Fermo, Massi! Che fai! Sei impazzito?»

    Mi giro e vedo Stefano, un mio amico che lavora proprio qui, al Santo Spirito, è primario.

    «Stefano! Menomale che ci sei tu! Senti, spiega a questa stronza che, se non mi fa salire, distruggo l’ospedale! Ho un amico qui da voi, ma non so cos’è successo, devo vederlo subito!»

    «Sì, sì, sta tranquillo. Agnese, lui sta con me.»

    «Inaccettabile!» Rantola la stronza.

    «Grazie, Stè.»

    «Ma che è successo? Chi cerchi?»

    «Un amico. Mi hanno chiamato, è urgente, ma non so altro.»

    «Come si chiama?»

    «Sandrino, anzi, Alessandro Romano!»

    «Ho capito di chi parli, poveraccio. È arrivato un paio d’ore fa.»

    «Sai che ha fatto?»

    «Non lo so, non l’ho seguito io, ma perdeva molto sangue. Comunque, dovrebbe essere al secondo piano, Terapia Intensiva, ma sbrigati; la sera alle nove e mezza chiudono al pubblico.»

    «Ho ancora un’ora, grazie!»

    «Corri, poi mi fai sapere.»

    Perdeva molto sangue, mi ripeto incessantemente.

    Salgo le scale per andare al reparto, ma, a un certo punto, scoppio in lacrime; sento come se mi mancasse l’aria e mi accascio sui gradini, perdo quasi i sensi.

    Un’infermiera gentile cerca subito di rianimarmi. Mi fa accomodare su una sedia, mi porta dell’acqua:

    «Signore, tutto bene?»

    «Devo trovare Sandrino!»

    «Sandrino? Di chi parla?»

    «Sandrino! Alessandro Romano!»

    «Sì, il ragazzo della 211. È arrivato da poche ore. Lei è un parente? Un amico?»

    «Sono suo amico.»

    «Mmmh. Non credo che…»

    La interrompo bruscamente, urlando:

    «Devo vederlo!»

    «Capisco perfettamente il suo stato d’animo, ma non credo che stasera lo possa vedere. Ora, il ragazzo è in sala operatoria, mi dispiace.»

    «Sala operatoria? Ma che cazzo è successo?»

    «Non so se posso darle questa informazione.»

    «La prego, mi dica che diavolo è successo.»

    «Ferite d’arma da fuoco. Tre colpi all’addome. Purtroppo, uno dei proiettili ha perforato un polmone. I dottori sono bravissimi, vedrà che se la caverà. Per ora, però, possiamo solo pregare.»

    Rimango in silenzio per qualche secondo, la guardo dritto negli occhi, cerco di capire dal suo sguardo se ci sono speranze, o se quel se la caverà è di circostanza, ma il suo sguardo è impenetrabile.

    «Signore, posso farle una domanda?»

    «Certo.»

    «Perché un uomo, con tre colpi di pistola in corpo, in fin di vita, ricoverato ormai da diverse ore, non ha ricevuto una sola visita da un genitore o un qualsiasi parente? Ma questo ragazzo ce l’ha una famiglia?»

    Rimango attonito, non so cosa rispondere; ripenso alla morte in carcere del padre e alla madre che passa le giornate al bar galleggiando tra whisky e rum e, alla fine, accenno un no con la testa. Mi alzo in piedi e, mentre mi avvicino alla rampa delle scale, mi rivolgo a me stesso: «Ero io la sua famiglia.»

    Mentre scendo le scale, incontro nuovamente Stefano, il primario. Gli racconto quanto accaduto. Mi assicura che per qualsiasi novità non esiterà a chiamarmi.

    LA VERITÀ NASCOSTA

    Esco dall’ospedale. Sono già le ventidue. Silvia sarà in pensiero... Provo a chiamarla, ma il cellulare è irraggiungibile. Mi avvicino alla macchina con passo lento e felpato, soldi e paura mai avuti, il motto di Sandrino mi perfora i timpani, lo sento parlare, è qui con me, quella paura che non hai mai avuto, ti ha fregato, amico mio . Cammino sempre più lentamente verso la mia auto, Silvia sarà preoccupatissima.

    Metto in moto e in automatico le note di Shout dei Tears for Fears riempiono l’interno della mia macchina, invasa dal fumo delle mie sigarette, in pochi minuti d’auto ne ho già accese un paio. Non riesco a placare il vortice d’ansia che mi sta risucchiando, sono confuso, stordito da decine di domande: perché? Chi è stato? La morsa allo stomaco si stringe ancora di più, il senso di colpa si avvita su per il petto, sento la punta della vite che mi buca il cuore, mi guardo attraverso lo specchietto retrovisore, fisso i miei occhi, è uno sguardo di sfida: sei un egoista, lo dovevi immaginare, sei un verme, lo hai abbandonato, e ora sta morendo… Non te lo perdonerò mai. Il piede è pesante, a malapena riesco a spingere un po’ l’acceleratore, devo tornare da Silvia , deve sapere la verità, basta segreti, è arrivato il momento di raccontarle tutto, ma non in queste condizioni, devo calmarmi. Decido di fare una piccola sosta al vecchio Bar di Franco, ora è un pub , molto rinomato a San Cosimato. Un paio di birre per inghiottire almeno un po’ di questo mare d’ansia è quel che ci vuole.

    Davanti al pub, la solita gente, le stesse facce di sempre, alcune segnate dalle cicatrici che la vita gli ha lasciato come ricordo; non ho voglia di fermarmi, parlare non mi è possibile, qui dentro tutto mi parla di Sandrino: le foto dei campionati di calcio vinti insieme, le coppe sul bancone Capocannoniere Alessandro Romano; continui flash istantanei mi accecano mentre mi siedo e ordino una pinta. Vedo Sandrino correre sotto i tifosi avversari dopo un goal in mischia all’ultimo minuto, che palla che gli ho

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