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Come un Lupo nell'ombra - Trilogia completa
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Come un Lupo nell'ombra - Trilogia completa
E-book920 pagine12 ore

Come un Lupo nell'ombra - Trilogia completa

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Info su questo ebook

"Potessi tornare indietro resterei a casa quel giorno? Purtroppo la risposta è no. Lo rifarei, perché c’è un mondo nel mondo, una guerra nascosta e senza fine che qualcuno deve combattere e quel giorno io, noi, eravamo lì. In quella mattina calda, luminosa, felice, c’eravamo tutti. E tutti restammo coinvolti."
-----------------------------
“Mi dispiace, tantissimo!” si rammaricò Smir “Non avevo scelta.”
Con la mano deterse il sudore che in lucide gocce le scendeva sul viso. Malgrado la giornata fresca lo sforzo le aveva provate, ma l’adrenalina scivolava nel suo organismo preparandola all’azione. Conosceva quella sensazione e vi si abbandonò grata. Avrebbe accettato tutto pur di non pensare al domani, ma doveva trovare il suo uomo e aveva un pessimo presentimento.
Niente sarebbe più stato come prima, di questo ne era certa.
LinguaItaliano
Data di uscita30 mar 2021
ISBN9791220285698
Come un Lupo nell'ombra - Trilogia completa

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    Anteprima del libro

    Come un Lupo nell'ombra - Trilogia completa - Manfredi Venturini

    Manfredi Venturini

    Come un Lupo nell'ombra - Trilogia Completa

    UUID: e1d22d8c-eca8-4933-8879-299fd295871e

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice dei contenuti

    .

    Vol.1

    .

    Personaggi Principali

    Prologo

    Parte prima - Aria

    1

    2

    3

    4

    5

    Parte seconda - Fuoco

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    Parte terza - Acqua

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    21

    Vol. 2

    Personaggi principali

    Parte quarta - Terra

    Pologo

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    Vol. 3

    Personaggi principali

    Parte quinta - Spazio

    Prologo

    1

    2

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    4

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    Parte Sesta - Tempo

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    Epilogo

    Ringraziamenti

    Vol. 1

    - Il tradimento di Smir -

    Vol. 2

    - L'ascesa di Kino -

    Vol. 3

    - La scelta di Krell -

    .

    A Val, il mio 0Δ F

    Vol.1

    - IL TRADIMENTO DI SMIR -

    .

    Il lupo sa quando il pastore dorme

    Krell

    da Il Libro delle Scelte

    Potessi tornare indietro resterei a casa quel giorno?

    Purtroppo la risposta è no.

    Lo rifarei, perché c’è un mondo nel mondo,

    una guerra nascosta e senza fine

    che qualcuno deve combattere

    e quel giorno io, noi, eravamo lì.

    In quella mattina calda, luminosa, felice, c’eravamo tutti.

    E tutti restammo coinvolti.

    Darell

    da Il Codice delle Potenze

    Personaggi Principali

    Val - Smir : Guardiana, Custode e Incantatrice

    Man - Krell: Guardiano e Custode

    Candia Flesi - Ciaris : professoressa, Guardiana e Custode

    Kino: studente

    MariaGiovanna-MariJo-Magic: studentessa

    Cinzia: studentessa

    Rossana: studentessa

    Alex: ragazzo carnico

    Multy: imago

    Prologo

    Oggi

    Mi dispiace, tantissimo! si rammaricò Smir Non avevo scelta.

    Il volto però non tradiva tali pensieri perché la donna si sentiva costretta a mostrare una solida sicurezza e una ferma determinazione, solo una leggera linea di tensione le attraversava la fronte, il pensiero rivolto a chi con fiducia la stava seguendo pochi passi più indietro.

    Ciaris, nonostante sia tu la causa di tutto non meriti questo destino. È quanto di meglio son riuscita a escogitare, ma tu mi hai costretta a condannarvi tutti. Spero che quando te ne renderai conto riuscirai a capirmi, per quanto sarà del tutto superfluo.

    Con la mano si deterse il sudore che in lucide gocce le scendeva sul viso. Malgrado la giornata fresca lo sforzo le aveva provate, ma l’adrenalina scivolava nel suo organismo preparandola all’azione. Conosceva quella sensazione e vi si abbandonò grata. Avrebbe accettato tutto pur di non pensare al domani, ma doveva trovare il suo uomo e aveva un pessimo presentimento.

    Niente sarebbe più stato come prima, di questo ne era certa.

    Parte prima - Aria

    Un anno addietro

    1

    I Guardiani sognano, come tutti. Ma quando nella stessa notte, benchè lontani tra loro, s’immergono nello stesso sogno, questo prende sostanza nella nostra realtà.

    E la comune visione è uno sciame di luci che fluttua disordinato ma libero nello spazio fintanto che un improvviso vento abbagliante e vorticoso se ne appropria. Nel vuoto lo spostamento è rapido e si arresta appena oltre il nostro cielo. Lì le scintille si raggruppano e assumono la forma vaga di un bambino.

    Prima che la volontà dei Guardiani possa completarne i dettagli sopraggiunge il mattino e una delle menti si desta spezzando il legame onirico. Ma il Bimbo incompleto, scaturito dall’essenza dell’universo e plasmato da menti umane, non si dissolve assieme al sogno. Resta in solitudine a osservare la Terra.

    È un embrione di potere e per molto tempo aspetterà che qualcuno gli indichi la via.

    2

    Il fastidioso ticchettio la distolse dai suoi studenti. La professoressa Candia Flesi guardò oltre la ringhiera: sul marciapiede il corvo, incurante del traffico, becchettava un grumo informe. Lei l’osservò con disgusto quasi percependo sul proprio palato il viscido di quei brandelli di carne strappati con violenza. Stava per distogliere l’attenzione quando quello si fermò come se intuisse di essere spiato, quindi lentamente voltò il capo e la fissò per un lungo istante già indifferente al pasto trattenuto tra gli artigli e, come in risposta a un intimo comando, lanciò il suo ruvido grido spiegando con forza le ali. Colta da una vaga inquietudine Candia ne seguì il volo con la mano tesa sulla fronte per ripararsi dai raggi del sole di giugno. L’uccello volteggiò in cerchi sempre più ampi, finché con un ultimo sgraziato richiamo si dileguò scivolando d’ala verso il golfo. Nonostante l’afa la donna provò un brivido. Non credeva nei presagi, ma collegò quell’insolito incontro con il ronzio sordo e basso che da due giorni accoglieva il suo risveglio. Non era un suono, piuttosto una sensazione che non avvertiva da molto tempo. Si persuase che fosse solo l’avvisaglia di un’incipiente emicrania, così come fu certa che quella bestia fosse soltanto affamata e che la propria ansia nascesse dalla tensione dell’ultimo giorno di scuola.

    La mattina, cominciata male, non sembrava voler prendere il verso giusto. Provò allora a spostare l’attenzione sui suoi ragazzi raccolti nel cortile della scuola media di Cordara, piccola comunità arrampicata sulle colline affacciate sul Tirreno del sud. Erano del secondo anno, i suoi preferiti, camminavano e parlavano in gruppetti. L’odore dei panini e dei cibi confezionati mangiati in fretta si mescolava al profumo dei limoni in fiore, presenti nel giardino di ogni casa attorno e che sin dall’infanzia accompagnavano dolcemente l’estate. Cercò di concentrarsi su quella fragranza e socchiuse gli occhi rivivendo i tempi lontani fatti di corse felici tra l’erba nella luce accecante del sole. Si sentì presto rinvigorita e pronta ad affrontare le ore finali, rapita da quei giovani sull’orlo di quel cambiamento che li avrebbe trasformati in uomini e donne, ognuno con un proprio percorso di vita.

    La mente indugiava in questi pensieri quando una voce interruppe il momento «Le ho portato un tè freddo.»

    Con un leggero sussulto tornò al mondo concreto e, riconoscendo la persona che le si era avvicinata, la ringraziò riconoscente «Grazie Lara! Ci voleva proprio» allungò la mano verso il bicchiere di plastica che la collega le stava porgendo. «E chiamami pure Candia, sono settimane che te lo dico.»

    «Scusa, da ultima arrivata e per di più alla fine del mio unico mese di supplenza, ho ancora addosso la soggezione del primo giorno» spiegò con una punta di disagio nella voce.

    La Flesi le sorrise: come darle torto? Ricordava i propri inizi e sapeva quanto un apprezzamento potesse essere incoraggiante, così, con uno studiato sospiro di soddisfazione, rincarò "Ancora grazie per il tè, ne avevo davvero bisogno.» Lo portò alle labbra e con sorsi lenti ne assaporò la sensazione di fresco, poi lo fece scivolare dolce in gola godendo dello zucchero che le avrebbe ripristinato le energie che quella calura consumava in fretta.

    «Come ti trovi con gli alunni?» chiese cercando di dimostrarle ulteriormente la propria disponibilità

    «Bene, bene. Non posso lamentarmi» assicurò con lo sguardo basso. Il ruotare imbarazzato della punta della scarpa sull’erba fece intuire a Candia altre verità.

    «È difficile tenerli in riga vero?» una domanda con cui voleva comunicarle empatia e che portò la neo professoressa a liberarsi di un malessere trattenuto «Sì, è proprio così, non c’è verso, sono scatenati» sbottò di getto come una diga che cede alla pressione del lago «Temo di non essere adatta per questo mestiere. Non riuscirò mai a essere come te. Persino quelli di seconda non mi danno retta. Con te invece hanno un rapporto splendido, si nota subito. Sei bravissima tu!»

    «Sarà perché la tua materia è matematica. A quanti piace la matematica? Io come insegnante di riferimento di italiano e geografia ho gioco facile" cercò di consolarla.

    «Magari fosse solo una questione di materie! Accetterei perfino le insinuazioni maligne delle colleghe che ti rivolgi a poteri oscuri per ammaliarli. Scusa, forse non avrei dovuto dirlo.»

    «Ma figurati! Le loro opinioni non mi toccano. Per quanto riguarda invece le tue difficoltà, ho avuto anch’io molti momenti amari in cui ero convinta di non farcela, notti passate pensando di mollare tutto, però vedrai che l’esperienza ti porterà a toccare le corde giuste di quei ragazzi. Sono come strumenti che devono essere accordati. Datti da fare in questo senso e scoprirai che possono creare sinfonie uniche.»

    «Messa così sembra facile. È che non son sicura di esserci portata, anzi, sento proprio di essere negata. Neanche urlando mi ascoltano. Tu instauri invece un rapporto naturale, motivo per cui ti invidiano tutti".

    «È vero, con il tempo si è creato un legame speciale, improntato sul reciproco rispetto e che va al di là del rapporto insegnante-studente. La prima cosa da fare è cogliere dentro in ognuno l’adulto che diverrà, cercare di immaginarne il futuro a seconda delle specifiche peculiarità. In alcuni casi, come per me con questa classe, è persino semplice.»

    «Come mai?»

    «Percepisco delle potenzialità rare in questi giovani, pronte a emergere solo se qualcuno, giorno per giorno, ha la costanza di suggerire loro la direzione giusta.»

    « Qualcuno tu?»

    «Me lo auguro. Conto di sfruttare l’ultimo anno per inculcare in loro quei valori che mancano nei libri di testo, pesanti di fredde nozioni senz’anima. Vorrei farne persone in gamba e responsabili, uomini e donne che possano fare la differenza

    «Ce la farai, lo so» esclamò Lara con un tale entusiasmo da strappare a entrambe una risata.

    La Flesi però non era così allegra quanto mostrava. Rimuginava sulla possibilità di aver già dato troppo di se stessa, sacrificando la propria vita anno dopo anno. A quante cose aveva rinunciato? Stava per essere assalita di nuovo dal dubbio se quella sua scelta fosse giusta quando il corvo parve gridarle nella mente, come ad assecondarne i pensieri cupi, mentre le sensazioni positive evocate dai profumi di fiori e agrumi sembravano svanite.

    «Lara… ora faresti bene a tornare dalla tua classe prima che qualcuno si rompa una gamba.» suggerì poi all’altra indicando due studenti arrampicati sull’alta inferriata di recinzione.

    «Oddio, ci mancherebbe… Ehi, voi due!» gridò la supplente allontanandosi in fretta sbracciandosi verso gli improvvisati scalatori.

    Si farà mormorò tra sé Candia. Sarà faticoso, ma si farà.

    Il lato comico della situazione dissipò la nebbia della malinconia e la luce del suo sorriso si riversò sui suoi studenti nell’intima promessa che avrebbe continuato ad accompagnarli seppur col solo pensiero nelle lunghe giornate fatte di sole, mare e momenti sull’erba sdraiati a guardare il cielo.

    L’afa si era fatta più opprimente quindi si spostò all’ombra dell’unico albero nel cortile per alleviare la calura e concedersi un po’ di brezza fresca. Un vento leggero si alzò improvviso scompigliandole i lunghi capelli scuri dandole un momentaneo ristoro quando il refrigerio fu rovinato dal verso stridulo del corvo. Dalla nota di trionfo che le sembrò di intuire dedusse che forse aveva scovato una vittima: un altro capitolo dell’eterna lotta del cacciatore con la preda, della legge del più forte. Intanto il tempo scorreva e di lì a poco avrebbe chiamato i ragazzi per salutarli uno a uno sapendo che nella lunga vacanza tutti le sarebbero mancati. La solita precoce nostalgia di ogni fine anno.

    Si stava preparando a radunarli quando una forte fitta al capo la fece vacillare. Fu un attimo doloroso ma breve che le lasciò però uno strascico di inquietudine. Lo attribuì a un tratto del proprio carattere di cui avrebbe volentieri fatto a meno: sempre tesa come se all’improvviso qualcosa di spiacevole potesse accadere e in quel caso a stimolare la sua apprensione c’era lo sgradevole richiamo del corvo. Appoggiata al tronco dell’albero si lisciò un’inesistente grinza della maglietta azzurro cielo, leggera e aderente che le scolpiva la figura minuta. «Ancora un po’ di brezza, leggera. Non sarà pericolosa» sollecitò tra sé sentendo che il calore e la tensione le stavano facendo sudare copiosamente. Era un normale giorno di inizio giugno sulle pendici della costiera amalfitana: rovente, terso, con quel sottile sentore di salsedine che la gente di mare non sembra mai avvertire, una giornata così normale che niente poteva far pensare che nel giro di pochi minuti la vita di qualcuno sarebbe cambiata per sempre.

    Un soffio d’aria rinfrescò la Flesi che ne percepì il piacere sulla pelle. Stava sorridendo a occhi chiusi quando il corvo gridò con una nota nuova che la professoressa non colse.

    Come ad un segnale dalle crepe nelle pendici del monte qualcosa di oscuro si liberò filtrando lentamente dal terreno fino in superficie. Esili fili di tenebra emersero indisturbati dalle fessure rocciose nei boschi alti, si allargarono tra fusti e cespugli serpeggiando in silenzio giù a valle. Lentamente s’infittirono, divennero più densi. Nere esalazioni si contorsero tra i massi per fondersi una con l’altra e poi dividersi in due scie: una diretta verso i pianori attorno al paese, l’altra verso il mare, come se seguissero una bene precisa strategia, dopodiché si sollevarono verso l’alto togliendo luce alla foresta e al golfo. Fino a quel momento nessuno si era accorto di cosa stesse accadendo, solo Andrea, un ragazzo della seconda classe, notò qualcosa d’insolito che lo distolse dai festeggiamenti in una postura strana che colpì l’attenzione di Candia. Con la capacità acquisita in anni di esperienza, ne colse l’insolita fissità e subito gli si avvicinò rapidamente.

    «Andrea…» gli sussurrò simulando tranquillità.

    «Prof! Guardi il mare, è …è scomparso!» balbettò con occhi colmi di stupore.

    Lei si voltò incuriosita e vide che il golfo era avvolto da una cappa oscura, la distesa d’acqua lucente e azzurra era stata cancellata da un denso strato di nubi che non riflettevano la luce.

    «Deve esserci un temporale veramente grosso in arrivo, ma non c’è da preoccuparsi, è lontano, e comunque tra poco rientriamo» lo rassicurò con un sorriso confortata dalla notevole distanza.

    Nel controllare che qualche studente non si fosse allontanato, lo sguardo le cadde sul pendio della montagna anch’essa ammantata da una coltre nera che inarrestabile si allargava nei prati alzando in vortici l’erba appena falciata mescolandola alla polvere dei sentieri. Un odore di ozono acre e penetrante pervase l’aria annientando i profumi della prima estate. Gli uccelli smisero il loro canto sovrastati dal fruscio della massa che avanzava.

    Un brivido trafisse la schiena della professoressa. Si arrese alla spiacevole constatazione : quella vibrazione alla testa, avvertita appena sveglia era l’allarme del Guardiano. Purtroppo aveva commesso un errore: non avrebbe dovuto evocare la brezza, per quanto fosse leggera.

    Il nemico l’aveva trovata!

    «Ragazzi venite qua.» ordinò mostrandosi calma mentre con un rapido sguardo contava i propri studenti per assicurarsi di averli tutti vicini. L’intero cortile sembrava ormai essersi reso conto dello strano fenomeno.

    «Non preoccupatevi, va tutto bene.» mentì per mantenerli calmi «È un temporale, forse un po’ più grosso del solito»

    Nutriva ancora la remota speranza di sbagliarsi, ma la sensazione di pericolo si faceva sempre più intensa. Come anche la consapevolezza di essere stata localizzata, nonostante la lunga copertura come insegnante. Si era sentita al sicuro e non era preparata a questo sviluppo. Troppi anni di relativa calma l’avevano rilassata fin quasi a farle dimenticare chi lei realmente fosse e ciò che rappresentava.

    Nel frattempo l’intero golfo era stato inghiottito dalle nubi, così come il porto, le colline e il Vesuvio. L’odore pungente di cui ormai l’aria era satura le si insinuò nel naso provocandole una costrizione dolorosa che sfociò in spasmi di tosse, seguiti, in un coro di sofferenza, da quella dei ragazzi. Durò pochi istanti poi sembrò che i bronchi si adattassero al pizzicore e uno stupefatto silenzio si fece strada mentre la tenebra, in progressiva avanzata verso Cordara, immobilizzava qualsiasi cosa sfiorasse. Gli uccelli appena raggiunti cadevano al suolo fissi nell’ultimo frullare d’ali in fuga, i gatti, congelati nell’atto di balzare in cerca di salvezza, così come i cani, bloccati nell’ultimo guaito con la lingua pendente. Le persone, rapite e paralizzate dal fascino arcano dalle ombre incombenti s’irrigidivano nelle più svariate posizioni: fermi in un passo mai concluso, nel gesto di richiamare qualcuno o abbracciati nell’ultimo addio. Tutto era ormai completamente avvolto dalla tenebra, ancora pochi minuti e Cordara sarebbe del tutto scomparsa. Solo l’edificio scolastico non era stato ancora raggiunto.

    Insegnati e ragazzi, superato lo sbigottimento dell’anello minaccioso che li circondava, caddero in un panico incontrollato.

    3

    Candia, consapevole di essere la causa di quanto stava accadendo, avrebbe voluto poter fuggire trascinandosi dietro la minaccia, qualunque conseguenza personale potesse derivarne, ma era troppo tardi, erano circondati. Il Nemico voleva lei: le altre persone erano solo strumenti per raggiungere il suo scopo, pedine innocue e marginali di un piano più vasto.

    La Flesi, disperata, si sforzò di escogitare una strategia difensiva, ma senza risultati, inoltre doveva concentrarsi sui suoi ragazzi e grazie all’apparente calma che ancora simulava, riuscì a tenerli calmi; quelli delle altre sezioni, invece, spinti dal panico, scappavano disordinatamente, seguiti dalle loro insegnanti che, benché sconvolte, tentavano di radunarli, finché furono tutti inghiottiti dall’oscurità, immobilizzati come statue, molti abbracciati nell’ultimo istante di terrore. Candia vide Lara avvolta dal buio mentre stringeva sé una ragazzina di prima media che le affondava il viso nel petto e lo sguardo impotente e rassegnato che le rivolse prima di cadere vittima dell’oscurità le spezzò il cuore. Quando le volute scivolarono inesorabili all’interno degli edifici scolastici, capì che rifugiarsi tra quattro mura sarebbe stato come chiudersi in una trappola mortale, così incitò gli studenti a correre verso il campo di calcio, dove ordinò «Statemi vicino, nessuno si allontani!»

    «Ma cos’è quel buio Prof?» le chiese Andrea affannato.

    In quel momento cruciale Candia non poteva dilungarsi nel segreto che nascondeva da tanto tempo perciò semplificò: "È una forza malvagia che avanza, una manifestazione del Male, ma voi siete con me e non permetterò che ci catturi.»

    «Non lo voglio qui! Non voglio che ci prenda! Facciamo qualcosa!» strepitò l’esile Cinzia stringendo i pugni e affatto intimorita.

    «Hai ragione piccola, purtroppo però il Male esiste e va tenuto a bada. A volte è vicino a noi e sembra vincere, ma c’è sempre qualcuno che si alza per lottare, come tenteremo di fare anche noi.

    «E come prof?» continuò Cinzia, gli occhi castani fermi e fissi in quelli neri di lei come a volerla sfidare.

    Candia, pur scossa da quell’insolita aria indagatrice, prese spunto da quella domanda per rivolgersi a tutti «Ascoltami bene: c’è ancora una possibilità! Ma dovete essere forti, coraggiosi e avere fiducia in me. Farete esattamente ciò che vi chiederò?»

    «Sì prof, sì!» risposero in coro con una disponibilità che in altre circostanze l’avrebbe spinta ad abbracciarli commossa uno a uno.

    «Allora, presto, in cerchio attorno a me!»

    «Un girotondo? Ci vuoi distrarre con un gioco?» chiese Cinzia perplessa e piuttosto indispettita.

    «Cara, il cerchio è una figura di potere: è la forma della vita. Fai come dico senza esitare» quindi, mentre i ragazzi si disponevano rapidamente in tondo, si mise al centro e aggiunse: "Ora non fissate l’oscurità, tenete lo sguardo su di me finché non vi darò altre istruzioni. Dovrete essere ben saldi perciò a braccia tese afferrate il polso dei vostri due compagni a lato.»

    Una rapida occhiata confermò che tutti avevano seguito l’ordine.

    «Ecco, ora che la doppia presa è solida non mollatela per nessuna ragione finchè non ve lo dirò io. Non abbiate paura e continuate a guardare me!»

    L’anello scuro si avvicinava restringendosi inesorabile, in pochi attimi sarebbe stato loro addosso. Candia inspirò, era arrivato il momento, doveva farlo.

    «Adesso dovrete pronunciare una cosa speciale.»

    «Come una frase magica?» domandò sconcertato Kino, il più minuto.

    «Una parola. Una sola parola che può bloccare le ombre se usata correttamente e inizierai proprio tu, » e poi continuando con la ragazzina accanto «poi tu e poi tu e tu... Ognuno di voi dovrà esclamarla un po’ più forte finché l’ultimo la urlerà con tutta la sua voce. Capito? Quando tutti avrete fatto la vostra parte, al mio cenno dovrete concentrarvi sull’oscurità oltre il compagno di fronte a voi. Succederà qualcosa, ma non spaventatevi.

    «Che succederà poi?" volle sapere Kino perplesso sfregandosi con due dita il lobo l’orecchio con una smorfia.

    «Mantieni la presa!» lo riprese subito Candia allarmata «Ciò che farò allontanerà la minaccia, spero, ma è una cosa che non può essere anticipata o suggerita, deve venire dal cuore. Un giorno capirai. Ma non perdiamo tempo, terminata la sequenza con MaryJo, dovrete tendere le mani con i palmi rivolti verso di me: così...» e mostrò il modo

    «Siamo pronti prof.»

    "Kino, la parola è: NO!»

    «No!» cominciò lui un po’ stupito dalla semplicità del comando.

    «No!» continuò l’alunna a fianco.

    «No!» fu il turno di un altro.

    «No!» fece eco Cinzia stringendo con forza i polsi degli amici ai lati trasferendo in modo inconscio il proprio coraggio.

    Il No corse rapido sempre più sicuro a sfidare il Buio. Dapprima lentamente le nubi rallentarono la loro avanzata, fino ad arrestarsi quando ormai stavano per sfiorare le schiene dei ragazzi. Poi con un movimento appena percettibile iniziarono a ruotare lungo il senso dei no per proseguire, sempre più velocemente e diventare un turbine nero che in breve sferzò violento attorno agli studenti, costretto a scorrere senza toccarli. L’odore di ozono e il vento irritavano gli occhi e le mucose, ma il momento critico richiedeva la massima concentrazione, così con inusuale responsabilità nessuno spezzò la presa. In mezzo al cerchio, a gambe leggermente divaricate, stava ritta la loro insegnante con le palpebre socchiuse in strette fessure.

    Mi hai trovato, ma forse sono io che ho trovato te. pensò con un’espressione dura scolpita sul viso mentre il mantra dei ragazzi proseguiva sicuro.

    Quando infine fu il turno di MaryJo, lei con tutta la sua voce, i riccioli scompigliati dal vento impetuoso e con un coraggio che sorprese persino se stessa, urlò oltre il fragore «NO!»

    Il circuito venne finalmente chiuso e la Flesi ripeté «Guardate il buio di fronte a voi! Adesso! E ora allungate le mani nella mia direzione!»

    Tutti allora fissarono l’ammasso di nebbia scura con un’incredibile sicurezza, quindi sciolsero la stretta ai polsi e protesero con decisione i palmi. La presenza ostile fu così svincolata dalla rotazione e spinta contro Candia mentre il gruppo strillava spaventato ma risoluto. La minaccia si avventò sulla Flesi.

    Lei, sorridendo, allargò le braccia e i lunghi capelli corvini le si scostarono dal viso scossi insieme al resto del corpo da una brutale violenza. E più il vento infuriava, più lei irremovibile e serena, girando adagio su se stessa, lo accoglieva facendosi avvolgere. Per un istante sembrò che la tenebra la inghiottisse. Il suo sguardo era mutato, ora ferino e sicuro, del tutto diverso da quello della tranquilla professoressa conosciuto dai suoi studenti. Poi con un movimento fluido, abbassò i gomiti lungo i fianchi e girò le mani all’insù; le dita distese e la fronte aggrottata per l’intensa concentrazione. Trascorsi alcuni secondi in quella posizione, spinse con vigore i palmi verso l’alto con un unico lacerante grido a fendere le ombre compatte: «SÌ!»

    Il nemico si contorse in un risucchio che lo ridusse a un fusto turbinate. La sua energia, imprigionata in uno spazio troppo ristretto, prese allora a pulsare in scariche azzurrine sempre più frenetiche, finché il precario equilibrio interno si ruppe scatenando un assordante boato. Gli alunni, tappandosi le orecchie, si chinarono su se stessi in cerca di sollievo da quel fragore insopportabile. In quel momento il terreno ebbe un sussulto violento e improvviso che li scagliò sull’erba in posizioni scomposte. Poi la colonna nera si squarciò esplodendo contro il cielo in minuscoli frammenti.

    4

    E il Bambino di luce apre gli occhi: la Necessità si è risvegliata, un vincolo si è formato, adesso sa cosa fare. Con il suo potere infinito accoglie l’oscurità sfrecciante verso di sè. Le sue piccole braccia fatte di bagliori si fanno immense e l’accolgono, la schiacciano riducendola a un granello sospeso nella mano e, con un sorriso luminosissimo, la scaglia nelle più remote profondità degli abissi del Nulla.

    Il Bambino Onnipotente ha imparato qualcosa. Molto altro lo apprenderà crescendo, ma il tempo non gli manca e il filo luminoso che lo lega alla Guardiana, sua Creatrice, lo sorregge sicuro.

    5

    Il chiarore si fece strada dove prima era solo tenebra e la vita riprese dall’attimo in cui si era interrotta, come se niente fosse accaduto. Qualcuno si stupì per l’orologio che segnava l’ora sbagliata, marinai e pescatori si sorpresero di essere all’improvviso in un altro tratto di mare. Nessuno ricordava nulla e per imbarazzo, per timore o per incredulità, tutti preferirono non approfondire gli strani eventi. Il giorno dopo qualche giornale avrebbe relegato la notizia nelle pagine interne attribuendo i discordanti racconti al caldo e alle allucinazioni di massa. Solo i ragazzi della professoressa Flesi, avrebbero tenuto per sempre nella memoria ciò che successe esattamente quel mattino, ma rimase un loro segreto. Turbati e ammaccati si alzarono guardandosi attorno, per poi soffermarsi su Candia che, una volta appurato che stessero tutti bene, ma esausta e senza più forze, crollò a terra sentendosi mancare. Con un unico grido i suoi si fecero avanti precipitandosi a soccorrerla e nasconderla alla vista delle altre classi comunque troppo intente a commentare quelle sensazioni di disagio e sconcerto.

    Dopo alcuni istanti d’immobilità Candia si riprese. Rassicurata da quei visi vivaci e preoccupati li esortò ancora stordita: «Aiutatemi a sedere per piacere.»

    Tutti si lanciarono a sostenerla e lei con sforzo, riuscì a raddrizzarsi per poi riordinarsi i capelli arruffati.

    «Prof... ma tu... chi sei veramente?» azzardò intimorito Kino, intuendo una verità nascosta.

    Candia forse troppo debole per pensare a una risposta che li tranquillizzasse e al contempo non la svelasse, rispose stupendo per prima se stessa, lei che avrebbe dovuto tacere sulla sua vera natura «Io? Io sono... Ciaris» sorrise un po’ imbarazzata «Sono una Guardiana", la Custode dell’Aria.»

    «Guardiana? Custode? Cosa vuol dire?»

    «Che sono una che vigila e protegge l’umanità nel limite dei miei peculiari poteri, quelli dell’Aria e del Vento. Non posso più nasconderlo, non a voi. Non dopo ciò che avete visto e vi ho costretti a fare.»

    Alcuni dei ragazzi, a quel punto, indietreggiarono perplessi e intimoriti, così si affrettò a continuare: «Non temete. I Guardiani posseggono dei Doni innati, ma sono rivolti al Bene. So che vi sembra incredibile ma ci sono delle forze nascoste che scaturiscono dalla Terra e c’è chi possiede la capacità di manipolarle. Nei tempi antichi le nostre azioni venivano definite prodigi, oggi qualcuno le crede miracoli mentre per altri sono… magie, in realtà sono la Vis la capacità di plasmare l’energia in modi non ancora noti alla scienza. Io sono una di queste poche persone che riescono a fare ciò. Noi ci definiamo genericamente anche Potenze, ma per chi invece segue le antiche leggende noi siamo appunto i Guardiani Custodi, perché vegliamo sull’umanità. Qualcuno poi ci definisce maghi, ma queste sono sciocchezze, perchè siamo solo delle persone con talenti particolari.»

    «Ma in quanti siete?» chiese Kino.

    «Pochi ma abitiamo molto distanti e non sempre ci conosciamo tra noi» lo disse con una strana luce negli occhi che però non fu colta a causa della tensione del momento. Poi continuò «Possediamo tuttavia delle conoscenze comuni fin dalla nascita che fanno si che ognuno sappia rilevare i pericoli che si presentano. »

    «Perché non ci hai mai detto che hai questi poteri?» incalzò il ragazzo

    "Noi viviamo in mezzo a voi, siamo come voi, conduciamo una vita normale, ma se si sapesse chi siamo davvero, tutti pretenderebbero che facessimo miracoli, anche quelli fuori dalla nostra portata e ogni nostro fallimento li renderebbe astiosi fino ad arrivare a incolparci di ogni problema e calamità, come nel Medioevo. Ricordate la caccia alle Streghe? Inoltre anche noi abbiamo dei limiti: liberare i nostri talenti ha un costo enorme in termini di fatica e dobbiamo serbare le energie per quando servono per qualcosa di veramente importante. Pensateci: quando voi correte o sollevate un peso vi stancate e così noi, più impegnative e più numerose sono le azioni e più in fretta ci indeboliamo, anche per questo non possiamo dedicarci a tutto» sorrise agli sguardi sbalorditi che la circondavano. «Nonostante ciò e pur essendo in pochi, facciamo il possibile per aiutare l’umanità.»

    Mentre parlava il sole si era fatto di nuovo caldo e le sembrò di stare meglio, tuttavia preferì restare ancora un po’ seduta a terra per spiegare la parte più difficile.

    «Dobbiamo però tenerci sempre pronti perché il Nemico cerca di eliminarci uno alla volta per impadronirsi dei nostri Poteri e per farlo si serve di ogni mezzo, seminando dolore e disperazione per farci reagire e quindi scoprirci. Egli è come un lupo nascosto nell’ombra, pronto a sfruttare ogni debolezza della preda e io oggi ho commesso un errore: per sopportare l’afa ho usato il mio Dono per creare un po’ di brezza, ma il Potere genera una specie di suono che l’Oscuro ha avvertito permettendogli di individuarmi. E lui è estremamente scaltro, sa presentarsi all’improvviso e nelle forme più utili allo scopo, camuffandosi in un comune temporale come quello che abbiamo affrontato poco fa composto da Diafani, quelle ombre volteggianti. Sono lo stimolo al terrore cieco, il loro tocco scatena le nostre paure più ancestrali, le più profonde, quelle che neghiamo a noi stessi e che generano un tipo di panico in grado di bloccarci. È stato un attacco massiccio e non ne avevo mai viste tante tutte assieme» il ricordo la fece rabbrividire. L’Oscuro poi si serve anche di altre astuzie. Arriva sempre in modo impercettibile, poi, quando ha finalmente completato il suo piano, fa scattare la trappola. Oggi si è mostrato così, un domani potrebbe scegliere un altro modo, magari servendosi di individui apparentemente normali o di semplici pensieri che ci spingono verso strade pericolose, o chissà cos’altro. Noi Custodi dedichiamo la nostra vita a combattere questa entità, ma per farlo al meglio dobbiamo restare nascosti. Siamo guardiani silenziosi pronti ad intervenire nelle situazioni più gravi.

    Non poteva dire di più, li avrebbe spaventati, sperava anzi che non approfondissero chiedendole il motivo finale per cui il Nemico volesse annientare lei e quelli della sua specie. Fortunatamente, per il momento, lo stupore li aveva ammutoliti. Visto che però per causa sua qualcosa era ormai cambiato drasticamente in loro, doveva comunicare un’ultima cosa e al contempo rassicurarli. Prese così un profondo respiro e continuò: «Ora anche voi sapete e dovrete essere pronti a capire dove e come il Male si nasconde. Oggi siete stati bravi, mi avete aiutato a sconfiggerlo e avete contribuito a mantenere il mondo al sicuro.»

    «Ma perché abbiamo gridato NO e dopo tu

    «Le due parole se usate correttamente sono uno dei catalizzatori per liberare la Vis: il NO serve ad opporsi, il , invece, è necessario per dare seguito all’azione incitando al cambiamento, altrimenti si tratterebbe di un’opposizione vuota che non crea nulla di nuovo che, anzi, tende a bloccare ogni cosa. Con il ho dunque aperto una porta per far uscire il Male e dare spazio al Bene.»

    "E perché ci hai fatto afferrare per i polsi?» chiese Andrea.

    «Dovevate creare un circuito continuo perché il mio potere fluisse attraverso ognuno di voi. Solo così poteva crescere e rafforzare il NO".

    "Non potevamo tenerci solo per mano?»

    «Non in questo caso, la forza delle raffiche era troppo potente e solo la presa sugli avambracci avrebbe potuto farvi resistere perché è la più salda e se uno di voi avesse ceduto l’amico a fianco l’avrebbe trattenuto. Ricordatevene in futuro: potrebbe essere vitale. C’è un’ultima informazione che devo darvi: il Potere che vi ho concesso oggi è il Potere del Vento e non vi potrà essere sottratto» aggiunse consapevole che ciò che gli stava confessando li avrebbe coinvolti per sempre per cui dette un’enfasi particolare al concetto. «Da adesso voi tutti siete i miei... Cavalieri del Vento.»

    Un mormorio di stupore e orgoglio serpeggiò tra i ragazzi che si guardarono sfoggiando sorrisi entusiasti; alcuni si diedero il cinque per l’eccitazione.

    «Finita la scuola, prenderete strade diverse, come è giusto che sia, ma vorrei facessimo un patto: quando l’Oscuro ricomparirà, vi riunirete con me perché solo così avrete di nuovo la capacità di affrontarlo e vincere ancora. Potete dunque promettermi che i Cavalieri del Vento combatteranno sempre l’entità che noi Guardiani chiamiamo EN, l’Eterno Nemico?»

    «Sì, Prof Candia, promettiamo!»

    Il suono generato dal fragoroso coro di assenso si propagò fino alla montagna raggiungendo la causa del loro giuramento che ripiegava nelle profondità della terra.

    «Ora che tutto è tornato come prima, andiamo alla festa» riprese la professoressa «e mi raccomando, facciamo come se nulla fosse accaduto, gli altri non capirebbero.»

    I ragazzi si sparpagliarono ai quattro angoli del cortile, felici di esser stati investiti di un ruolo importante. Candia avrebbe voluto essere altrettanto spensierata, ma sapeva di non poter abbassare la guardia, tanto più che ormai si era aggiunta un’altra preoccupazione: stava forse mettendo in pericolo i suoi alunni? Di certo avrebbe dovuto essere ancora più attenta alle mosse del Nemico, che nonostante la sconfitta, aveva risorse inimmaginabili e avrebbe potuto vendicarsi proprio su di loro. Nel frattempo, però, decise di godersi un po’ di quel momento. Rivolse il viso al cielo tornato terso per godere del calore del sole. La luce schermata dalle palpebre socchiuse giocava in strani bagliori e fu allora che percepì in alto una nuova presenza. Non la avvertì ostile e non le trasmetteva apprensione. Fu solo un momento che si dissolse in fretta. Si girò come attirata verso un orizzonte lontano, ripensando stranamente a qualcuno che non incontrava da molto tempo e con cui preferiva mantenere le distanze.

    Parte seconda - Fuoco

    1

    Mentre la vecchia automobile arrancava sulla salita che portava a Cordara, Candia riviveva nella mente lo scontro con l’Oscurità di mesi prima. Forte della sua lunga esperienza sapeva che quello era un periodo di pausa: dopo ogni violento attacco, il Nemico aveva bisogno di tempo per recuperare le forze, quello che piuttosto la tormentava era la leggerezza con cui aveva sottovalutato la sua emicrania. Come aveva potuto ignorare che si trattava di un chiaro allarme dell’incipiente pericolo? Cercava di consolarsi convincendosi che chiunque, dopo tanti anni di tregua, si sarebbe rilassato, ma il suo grande imperdonabile sbaglio era di essersi illusa che il Nemico si fosse ritirato definitivamente, o perlomeno per l’arco di quella generazione e che lei avrebbe potuto condurre la sua missione sotto copertura in relativa calma. Si ripromise così di non ripetere quell’errore e di mantenersi sempre pronta a qualsiasi piccola avvisaglia di allarme.

    Intanto era sopraggiunto l’autunno con novembre che stava modificando le alture di Cordara. Un leggero vento staccava dai rami le foglie adagiandole a terra mitigando la tristezza per la fine di quell’estate particolarmente lunga con l’esuberanza contagiosa del fluttuare del porpora, del cremisi, e del vermiglio. E ancora l’accendersi di nuovi colori nei cespugli e rampicanti e i lampi giallo vivo dei limoni maturi. Ma, una volta in paese, d’improvviso ogni sfumatura si spense nel grigio delle case affiancate in vicoli erti e angusti. Percorse la via principale, stretta e tortuosa, fiancheggiata da vecchie abitazioni, botteghe e piccole attività artigianali scambiando frettolosi saluti con genitori di studenti attuali e passati, paesani ormai diventati amici, alcuni ex alunni già fattisi adulti. Dopo quasi vent’anni di servizio, iniziato fresca di studi, era un’istituzione di quella cittadina, come il medico e il prete. Il pensiero le regalò un sorriso mentre svoltava nella stradina sterrata di accesso alla scuola.

    Parcheggiò nello spiazzo dedicato, raccolse le proprie cose dal sedile a fianco e, con uno sbuffo, si avviò a lezione. Il cielo era sereno, l’edificio sembrava immerso nella calma, eppure lei era attraversata da un’ansia crescente per le sorti dei suoi ragazzi. Più il tempo passava e meno poteva illudersi che non ci sarebbe stato un nuovo formidabile attacco. Nel tentativo di scrollarsi di dosso quei pensieri, guardò in alto, dove era certa che qualcosa o qualcuno la stesse in qualche modo assistendo. Non ricevette alcun segno quindi provò a concentrarsi sul lavoro. Si lisciò la camicetta blu notte assicurandosi di non averla troppo stropicciata guidando, assestò le proprie cose sotto il braccio e con la mano libera spinse la porta a vetri dell’ingresso. Gli odori di cancelleria, alcool e disinfettanti le invasero le narici e, come sempre, tra questi ne spiccava un altro meno gradevole.

    «Rita, non riuscirò mai a capire come lei possa mangiare pane e cipolle di primo mattino.»

    «Faccio ricreazione presto professoressa» farfugliò la bidella col boccone in bocca «Il mio mestiere richiede energia, che non lo sa? E un panino ogni tanto rende più forti, soprattutto se si deve far rispettare la disciplina a quegli scalmanati!»

    «Su questo non ho dubbi» commentò Candia osservando divertita la mole tozza e massiccia della donna nota da generazioni di studenti come RitBull, l’amato e temuto mastino da guardia dell’istituto che da anni e anni incastonava il volto rubizzo in una massa informe di boccoli grigi, creazione forse di un parrucchiere in vena di scherzi.

    «Non faccia la furba con me, ne ho mangiate di professorine come lei! Che non lo sa?»

    «Certo, certo, non volevo offenderla» sorrise cauta conoscendo carattere irascibile dell’altra «La lascio alla sua merenda , la classe mi aspetta. Faccia buona guardia.»

    In risposta ricevette un mugolio affamato seguito da un rigurgito con zaffata di cipolla che la fece allontanare in fretta verso la sua aula. Buttò un occhio al grande orologio dalle lunghe lancette sbalzate che torreggiava in alto nel corridoio: segnava un minuto all’ora successiva. Si servì di quel breve lasso di tempo per raccogliere le idee e preparare il discorso da fare ai suoi ragazzi. Non era facile risvegliare vecchi timori, ma era indispensabile.

    Il trillo acuto della vecchia campanella la fece sussultare: nonostante una carriera trascorsa là dentro, proprio non riusciva ad abituarsi a quello scampanellio penetrante.

    «Magari domani aspetto chiusa in sala insegnanti» cercò di convincersi, ma sapeva che non lo avrebbe mai fatto, il senso del dovere le imponeva di essere pronta e precisa allo scoccare dell’ora.

    Davanti alla sua aula stava avvicinando l’indice alla cavità dell’orecchio per attutire il fastidio quando la porta si spalancò di colpo e una collega quasi la travolse.

    «Lara!?» esclamò.

    «Candia! Che bello rivederti!»

    La Flesi si ritrovò avviluppata in uno stretto abbraccio chiedendosi cosa avesse mai fatto per meritarsi un gesto così caloroso

    «Sei tornata. Hai una nuova supplenza allora» le disse staccandosi dall’imbarazzante viluppo.

    «Mi hanno dato l’incarico ieri sera, di due mesi. Ci vedremo spesso, ché faccio matematica e scienze proprio in questa classe e ti assicuro che è davvero speciale, molto maturata dall’anno scorso. Ora scappo in prima. A presto» aggiunse prendendole la mano tra le sue come fossero amiche di vecchia data.

    Come Lara sparì di corsa, Candia si accorse dei visi che la squadravano dall’aula e a cui rivolse un sorriso per poi fare il suo ingresso mostrandosi allegra.

    «Ragazzi, posso finalmente comunicarvi la bella notizia» esordì una volta sedutasi mentre meccanicamente seguiva il suo rituale: posava il registro sulla cattedra, agganciava la borsa alla sedia, e chiudeva lo smartphone nel cassetto. «Ho parlato col Dirigente scolastico e posso finalmente comunicarvi che ha acconsentito alla gita sul Vesuvio...» Non fece in tempo a concludere la frase che fu subito sommersa da grida di entusiasmo che lasciò sfogare per qualche minuto.

    «Dunque, preparatevi» riprese svanito il vociare «la prossima settimana dovrete scarpinare per bene. E non vi farà di certo male con tutte le robacce da supermercato che osate ingurgitare.» e scoccò loro un’eloquente occhiata. «Devo poi raccomandarvi di avvertirmi subito se doveste notare qualcosa di strano, qualunque cosa, intesi?»

    «Sì prof!» confermarono guardandosi come a cercare qualcuno che avesse capito cosa intendesse.

    «Ma strano come?» azzardò allora Kino stropicciandosi l’orecchio.

    «Se non smetti di tormentarti il lobo ogni volta che rimugini su qualcosa, prima o poi ti resterà in mano.» lo ammonì per riprendere poi subito l’argomento che aveva a cuore «Abbiamo sconfitto i Diafani, ma può darsi che il Nemico ricompaia, per cui dobbiamo avere occhi come gatti e orecchie come elefanti» tentò di scherzare per dare una nota leggera all’ammonimento

    «L’Eterno Nemico?» chiese conferma Rossana, la ragazzina del quarto banco dal viso tondo

    «Sì. È così che viene da sempre chiamato. Eterno è il Male come è eterno il Bene, impegnati senza tregua in una lotta continua per il possesso del mondo. E il Male è il nostro Eterno Nemico, l’EN!»

    «Che torni pure! » esplose Andrea balzando in piedi dando sfogo al suo carattere bellicoso «Siamo i Cavalieri del Vento! Lo vinceremo ancora. E poi se ci sei tu, che sei una Guardiana, non ci ferma nessuno!»

    «Tieni a mente, caro il mio guerriero, che chi è troppo sicuro di sé perde sempre. Inoltre non mettermi sul piedestallo dell’invincibile. Siamo stati bravi e fortunati, tuttavia io sono solo una Custode e ho solo il potere dell’Aria. Ci sono altre forze altrettanto potenti... e anche altri Guardiani.»

    «Altri Guardiani?! Quali? Chi?» gridarono affascinati da quella nuova rivelazione

    «Per esempio ce n’è uno con un talento molto diverso dal mio, ed è il Custode del Fuoco. Si chiama Krell, ma è meglio non averci a che fare.»

    «E perché?»

    «Perché?» ripeté lei con una smorfia come se avesse morso un limone acerbo «Perché è subdolo ed egoista. Per fortuna vive lontano, su ai confini con l’Austria, in Carnia, che voi conoscete benissimo dato abbiamo studiato il Friuli due settimane fa, vero?!»

    All’improvviso tutti si fecero piccoli, concentrati sulle venature del banco. Candia represse un sorriso e continuò «Tornando all’infido Krell, mi rivolgerei a lui solo come ultima risorsa e non sarei sicura che darebbe il suo aiuto.»

    «È malvagio allora!» sibilò delusa Cinzia serrando il pugno.

    «Forse no, non proprio» rispose la Flesi guardando fuori dalla finestra come se il pensiero vagasse lontano «È fatto a modo suo. Se una cosa non gli va non c’è verso di convincerlo. Segue le proprie regole e soprattutto non gli piacciono i ragazzini, purtroppo. Comunque non preoccupatevi, non c’è da aver paura. È lontanissimo, a mille chilometri da qui, ed è troppo pigro per muoversi» li rassicurò con una breve risata per poi lasciarsi sfuggire come un pensiero rivolto a se stessa «Ma chissà perché non ho mai cancellato il suo numero dal mio smartphone.»

    «Dovresti farlo prof, se non è una brava persona sarebbe meglio» commentò Cinzia.

    «Ho pensato di eliminarlo tante volte, però mi è sempre passato di mente. Probabilmente è un effetto collaterale dell’Incantesimo Estraniante che me lo fa dimenticare.»

    «Incantesimo estraniante?»

    «Oh sì. Un piccolo sortilegio con cui ho avvolto il cellulare. Non fa notare il telefono se non si sa dov’è. È il mio antifurto contro i ladri.»

    «E come funziona?» chiesero in coro.

    Lei sorrise, le piaceva stupirli.

    «Non lo so di preciso e comunque si tratta di un tipo di Vis semplice tutto sommato: quando lo ripongo lo posso vedere solo io o voi che avete notato il gesto e quindi sapete dov’è. Per altre informazioni sugli incantesimi dovete sentire un’incantatrice.»

    «Cos’è un’incantatrice?»

    «Ragazzi, ora basta! Passiamo piuttosto alle interrogazioni. Allora, c’è un volontario?»

    A quell’ultima parola, tutti presero a fare i vaghi, chi fingendo di cercare qualcosa nello zainetto, chi di raccogliere qualcosa da terra, ma Candia scorse il registro e chiamò MaryJo, che dentro di sé si rammaricò di non essere un’Incantatrice e così sparire.

    2

    Nel parcheggio li attendeva il pullman pronto per la breve gita sul vulcano. Il freddo del mattino non sembrava turbare l’autista che, anzi, sfogliava il suo giornale sportivo col finestrino aperto. Come sentì il brusio della comitiva, abbandonò la lettura quel tanto da permettere alla mente di registrarne l’arrivo. Quindi riabbassò lo sguardo, e mentre con una mano girava pagina, con l’altra azionò il dispositivo di apertura delle portiere. Con la stessa meccanica indolenza, ignorò i saluti educati dei ragazzi che fluivano tra i sedili. Solo allora il conducente piegò il quotidiano, e con lenta pigrizia, lo mise nel portaoggetti del cruscotto. Solo allora finalmente si voltò verso Candia sollevando un sopracciglio in muta attesa. Lei si sedette nel posto di fianco, oltre lo stretto corridoio, esortandolo a partire.

    Il mezzo si avviò con un’ardita inversione a U avvicinandosi pericolosamente alle auto ferme nel parcheggio della scuola. Caso volle che l’auto della Flesi fosse proprio lungo la traiettoria della corriera. Candia si aggrappò ai braccioli ammutolita e tesa in avanti aspettando l’urto. I due veicoli si sfiorarono pericolosamente ma la piccola vettura perse non più di qualche atomo di colore, uscendone indenne. Solo allora lei si afflosciò sul sedile borbottando tra sé: Non posso andare avanti così! Ho bisogno di ferie!. Poi guardò il conducente immaginando di scorgere una certa ansia per la spericolata manovra, invece lui sembrava perso nel suo mondo di indifferenza. Affidandosi a tutti i santi del cielo, socchiuse gli occhi, appoggiando la tempia al finestrino e si abbandonò al brusio del motore. I ragazzi vociavano eccitati e lei per una volta non intervenne. Il pullman lasciò Cordara e, dopo alcuni chilometri, superarono gli scavi di Pompei. Verso Ercolano il traffico si fece inteso e, dopo un’ora di strade intasate, raggiunsero il parcheggio alle pendici del cratere, dove salutò lo scontante l’autista ricordandogli l’ora del ritorno e sorprendentemente ricevette un borbottio che suonò vagamente gentile, dopodiché quello girò la chiave d’accensione e si avviò in direzione del successivo incarico senza nemmeno un arrivederci. Lei sospirò rassegnata, e incitò il gruppo ad avvicinarsi al chiosco d’entrata e a sistemarsi accanto al tornello che delimitava la via per il cratere.

    Pagati i biglietti, si accodarono a una comitiva di turisti già ansimanti per i primi metri di salita. Partirono con entusiasmo, ma ben presto fu costretta a spronarli perché qualcuno cominciò a lamentarsi per la fatica accentuata dai piccoli frammenti magmatici che rendevano sdrucciolevole il cammino.

    «Cosa vi avevo detto? Meno dolci e più frutta e verdure! Pensate a quanti chili inutili vi trascinate addosso.»

    Nonostante lo sforzo li stesse accaldando, non permise loro di togliersi i giubbini: un’infreddatura avrebbe potuto decimare la classe: l’influenza aveva già colpito quell’anno, e il tempo inclemente del primo autunno aveva costretto alcuni studenti malati a rinunciare alla gita.

    Intanto una grossa mosca sembrava averla presa di mira, forse attratta dal suo profumo.

    Erano quasi giunti alla vetta quando il panorama le suggerì un’idea che sicuramente avrebbe fatto piacere alla classe

    «Kino, mi presti il tuo cellulare? Ho dimenticato il mio in aula. Vorrei avvertire l’autista che probabilmente ci fermeremo un po’ di più: la giornata è bella e faremo la lezione di geografia lassù, dopo il pranzo al sacco. Non temete, domani non interrogo.»

    La loro approvazione sfociò in un coro entusiasta che la fece sorridere Fossero sempre così! sospirò. Intanto la mosca pareva essersi affezionata al suo viso, finché finalmente volò via e lei si mise a osservare le tante persone che si godevano il suggestivo panorama del golfo, ora perdendosi con lo sguardo ora scattando selfie da mostrare ai loro amici e conoscenti. Oltre la staccionata di sicurezza, lente spirali di fumo si alzavano dalla caldera, un’immagine che subito riportò alla mente dei ragazzi le terribili volute oscure con cui il Nemico li aveva attaccati.

    La Flesi, allora, li rassicurò spiegandone l’origine con una lunga digressione sui cunicoli sotterranei di magma e le camere di roccia create da enormi bolle di gas in dispersione. Terminò la digressione compiaciuta di esser riuscita sia a tranquillizzarli che ad accendere la loro curiosità.

    «Kino, perché ho idea che tu voglia sapere ancora qualcosa?» chiese poi vendendolo intento nel suo tipico gesto elucubrativo.

    Il ragazzino si affrettò a togliere le dita dall’orecchio, lasciando che il povero lobo si riavesse un po’ dalle ripetute torture cui lo sottoponeva, e si decise a parlare.

    «I tunnel con tutto quel peso sopra non crollano?»

    «La roccia vulcanica è molto dura e quando la lava si raffredda crea una volta che lascia scorrere il liquido ardente all’interno. Ma non preoccuparti non entreremo in nessun cunicolo così niente vi crollerà addosso.»

    Fermi e ormai riposati godettero dell’aria limpida e della luce che si riverberava sulle acque del mare. Dalla radura più a valle, su per i declivi, aleggiava una nebbiolina lattiginosa, impalpabile e sfumata. L’insegnante era leggermente perplessa perché, nonostante la mattina restasse luminosa la temperatura continuava ad abbassarsi sensibilmente. Inoltre la bruma parve farsi più fitta alzandosi fino al livello del pianoro e il sole si velò diventando un pallido disco nel cielo.

    «Prof, dobbiamo dirti tutto quello che ci sembra strano?»

    «Certo Rossana" le sorrise distratta dalla foschia bianca.

    «Allora mi sembra che stia nevicando, ho un fiocco sul viso e uno si è posato sulla mia manica.»

    «Non può essere, qua da noi non nevica mai a novembre, è solo nebbia, è normale che...» non fece in tempo a finire la frase che, allarmata, le ordinò «Allunga il braccio!»

    Un piccolo cristallo brillava sulla stoffa scura del giubbino della ragazzina. Poi un altro si posò vicino al primo e un altro ancora, tutti simili a fiocchi che però non si scioglievano al calore della manica. Nel frattempo il paesaggio era stato invaso da un bianco candore opalescente, persone e cose ne erano completamente avvolte e ogni rumore, persino le voci, risultavano ovattati. Candia intu’ con terrore che Lui era tornato e, ne era certa, con l’intento di annientare i suoi alunni prima che si rivelassero un pericolo per i suoi piani!

    «Tutti qui, presto! Radunatevi vicino a me! Penso che il Nemico sia qui.» gridò perentoria senza lasciar trapelare preoccupazione

    «Prof, dov’è? Non ci sono Ombre Diafane. Solo nebbia e non si vede niente» chiese Cinzia guardandosi attorno.

    «Sono sicura che la foschia sia un suo stratagemma per soggiogarci, ma se ne prendiamo il controllo lo allontaneremo. Dobbiamo ricreare il Cerchio Magico. Sapete come fare. Tutti riuniti, subito!»

    Pur sgomenti, si stavano disponendo in circolo, quando una di loro strillò: «Prof! Ho paura!»

    «Valeria, dove sei?»

    «Non lo so» si udì da un punto indistinto e lontano.

    «Segui la mia voce, vieni verso di me.»

    «Non vedo niente! È tutto bianco»

    "Continua a parlare allora che ti raggiungo io!»

    «Prof …» intervenne Kino

    "Non adesso!» lo interruppe spazientita per poi rivolgersi a tutti «Mantenete le vostre posizioni, rallenterete il Nemico fino al mio ritorno.» tagliò corto la professoressa.

    «Sì, però ...» insistette il ragazzo

    «Non ora!» ripeté lei sempre più irritata, poi imponendosi la calma spiegò loro: «il Cerchio vi protegge, il Male non è ancora pronto ad attaccarvi, ha bisogno di tempo per concentrare il potere» concluse per poi andare in cerca dell’alunna.

    Avanzò agitando le mani davanti a sé, finché tastò il parapetto che delimitava la caldera, lo scavalcò con cautela, quasi certa che Valeria fosse sul ciglio del cratere, era quello l’unico punto da cui poteva esser giunta la sua richiesta di aiuto.

    D’un tratto un suono stridulo, quasi una sorta di risata beffarda, la fece sussultare. Lei con il respiro corto come se fosse stata colpita da un pugno secco al petto, si bloccò di colpo e si rese conto dell’inganno. La fastidiosa mosca piombata su di lei appena arrivati al sito era un diversivo del Nemico per coprire il suo l’avvicinamento, il rapido frullare delle ali vicino all’orecchio le aveva impedito di avvertirlo. Scrollò il capo, rimproverandosi per non essere stata più accorta, dopodiché ancora più determinata a fermare i progetti dell’Oscuro, stava ricominciando a cercare Valeria quando si ricordò che la ragazzina era tra quelli rimasti a casa ammalati. Ecco cosa stava cercando di dirle Kino! Quella che sembrava la sua voce era un’esca per spingerla a separarsi dal Cerchio. Nel precedente attacco i diafani, scivolando sui suoi studenti, avevano certamente assorbito informazioni per l’Oscuro. Fatte proprie le voci, ed evocando quella di Valeria, questi aveva preparato la trappola perfetta. Mi conosce bene pensò Ciaris sentendosi annullata dalla propria ingenuità. Sa che la mia priorità è proteggere i miei alunni e ne ha approfittato. Senza più perdere tempo, si affrettò allora a tornare da loro, ma quando stava per raggiungerli i cristalli sospesi presero a muoversi velocemente gettandosi su di lei. In pochi attimi si trovò imprigionata sotto un leggero ma inscalfibile strato di quello strano ghiaccio. L’ennesima mossa a sorpresa: il Nemico l’aveva convinta che volesse attaccare i ragazzi per farle dimenticare che il suo vero bersaglio era lei. Che stupida! Si era servito delle sue debolezze, dei suoi timori nei loro confronti per attirarla: era sempre stata lei il vero bersaglio! Ora capiva: lei era la forza che dava ai suoi il Potere e dunque colei che l’Oscuro doveva sconfiggere. Barcollando irrigidita si sforzò di avanzare e come vide che alcuni dei suoi alunni le stavano andando incontro intimò loro di non avvicinarsi e li implorò di allontanarsi il più lontano possibile, dopodiché fu sovrastata dai cristalli che via via formavano strati sempre più spessi.

    Col petto inesorabilmente compresso dalla stretta iridescente si ritrovò presto in drammatica carenza di ossigeno, privata della lucidità necessaria per evocare la Vis. Le voci concitate e distanti dei suoi furono l’ultimo suono che udì prima di chiudere gli occhi e abbandonarsi al proprio destino.

    Tutto ciò che restava della Guardiana Ciaris era un prisma luccicante, in cui era inglobato come in un diamante il suo profilo appena accennato.

    3

    E lassù, nello spazio siderale, oltre la Terra, oltre il mondo, oltre l’atmosfera, il Bambino di Luce si riscuote dal suo sonno d’attesa. Il filamento luminoso che lo tiene unito alla Creatrice è sempre più sottile, si sta dissolvendo.

    Stupito si osserva le mani, polvere di stelle. Percepisce che qualcosa di grave è accaduto. Deve capire, imparare. Guarda sotto di sé, oltre le nubi, in quel mondo, dentro una fitta nebbia che copre la cima di un vulcano e percepisce che la Creatrice è lì. La luce del Bambino Onnipotente si fa più intensa al vibrare incontenibile del desiderio di sapere.

    4

    La bruma si era dissolta veloce come era arrivata, lasciando la spianata limpida e percorsa ora da un vento tiepido. Quando però tutto sembrava rientrato nella normalità e la gente stava ritrovando il buonumore, la quiete fu interrotta da un forte sussulto che scosse violentemente il vulcano e le sue pendici. Il terreno cedette per poi risollevarsi bruscamente. Presi alla sprovvista, i gitanti persero l’equilibrio cadendo scomposti sugli scabri ciottoli vulcanici. Il terreno vibrò di nuovo e un’altra volta ancora, poi la montagna si acquietò definitivamente. Ammutoliti tutti giacquero per alcuni momenti al suolo finché qualcuno urlò scatenando così altre grida e il panico dilagò. Alcuni scapparono a valle, altri aiutarono chi era ammaccato o ferito a rialzarsi e a fuggire. Molti infine si affannarono a soccorrere i propri cari per poi lanciarsi verso la pianura. Qualcuno di buon cuore si attardò per accompagnare gli anziani meno agili.

    In quel caos, due delle guardie ambientali del sito che stavano organizzando come meglio potevano l’evacuazione si accorsero che gli unici a non scappare erano gli studenti che sembravano in attesa di qualcuno.

    «Forza! Seguite il sentiero a destra. Via!» li incitarono.

    «La nostra insegnante…» balbettò Kino frastornato senza accennare a muoversi.

    «Dov’è? È fuggita via?» chiese una guardia perplessa e allibita.

    «È lì, nel diamante!» rispose il ragazzino puntando un dito verso la caldera.

    «Quale diamante? Cosa dici? Non c’è niente lì! Venite via, subito! È pericoloso!»

    «Era lì, dove credermi! Dobbiamo trovarla!» implorò disperato Kino.

    «Vieni via dalla staccionata! Non c’è niente lì e potresti finire nel cratere. Seguiteci, di sicuro sarà già dabbasso ad aspettavi.»

    Gli addetti usarono quell’escamotage per convincerli a seguirli, ma nulla faceva davvero presagire che si fosse realmente salvata, era ben più probabile che fosse caduta in fondo alla bocca del vulcano. In ogni caso, ignorando le proteste di Kino e le imprecazioni di Cinzia, riuscirono un po’ trascinandoli un po’ spingendoli a portarli tutti al sicuro. Nel frattempo le unità della protezione civile si erano radunate sul posto e stavano allestendo un centro di prima assistenza, dove rapidamente si raccolse un gran numero di persone spaventate le quali solo una volta al sicuro osarono volgere lo sguardo alla cima del vulcano in attesa di un’eruzione che non avvenne.

    Per diverse settimane si discusse di quella insolita e singola attività tellurica che nessun esperto aveva previsto. I giornali ne parlarono, ma non essendoci stati feriti gravi, in breve altre notizie seppellirono l’evento nel dimenticatoio. Gli unici che per qualche tempo continuarono a dar eco alla singolarità furono alcuni periodici di gossip che ricamarono una variopinta storia su segnali profetici e previsioni apocalittiche. Ci fu persino un redattore che associò l’evento a strani racconti narrati da alcuni pescatori mesi prima su ombre fluttuanti e orologi impazziti. Pochi fecero caso al breve trafiletto di un piccolo quotidiano di provincia che accennava alla sparizione di un’insegnate.

    5

    Le ricerche di Candia furono condotte con una certa perizia, furono chiamati anche degli speleologi scalatori che si calarono nella bocca del vulcano per setacciare tra i lapilli farinosi della conca, ma di lei non vi fu traccia. Non servì nemmeno diffondere nella zona la sua foto e meno ancora la sua pubblicazione sul piccolo giornale, così, dopo un po’, gli inquirenti consolidarono la propria convinzione che la bizzarra versione degli alunni fosse frutto di una fantasia indotta dallo shock, del resto che fosse rimasta imprigionata in un guscio di cristallo non era mai parso credibile e alla fine si risolsero ad archiviarla. L’unica perplessità era sulla coerenza del racconto di ognuno: malgrado fossero stata interrogati separatamente e in un lasso di tempo troppo breve per potersi accordare, avevano riferito tutti la stessa identica versione. Perplessità che tuttavia rientrò quando anche gli psicologi inviati a supporto confermarono che si era trattato di un’allucinazione collettiva. Così, in mancanza di indizi e di serie piste da seguire, la scomparsa della professoressa Flesi fu interpretata come una fuga volontaria e le ricerche vennero sospese.

    I ragazzi, amareggiati per non esser stati creduti e affranti per la grave perdita, erano inconsolabili. Solo Lara, a cui nel frattempo era stata affidata la momentanea supplenza anche per le materie di Candia, si sforzava di capirli, tuttavia nemmeno lei riusciva a decifrare il tipo di legame che avevano con la collega. Era consapevole di quanto le fossero affezionati, ma le sembrava stessero andando oltre un normale rapporto insegnante-studenti. In ogni caso si impegnò nel provare a risollevare il morale, dapprima limitandosi a evitare l’argomento, poi, costatando che ne parlavano arrovellandosi comunque, li caricò di compiti nella speranza di distrarli. Loro però erano talmente provati che si risolse ad affrontare la situazione di petto, con domande specifiche su quanto accaduto quel giorno. Le reazioni furono secche e sbrigative, specchio di una delusione profonda verso chi si ostinava a non credere alla loro versione. Delusione a cui, giorno dopo giorno, si aggiungeva il crescente disinteresse per le attività scolastiche e incredibilmente anche per lo svago. Accennavano a qualche segno di vivacità solo nelle pause tra le lezioni, quando si radunavano a parlottare in gruppetti che si scioglievano appena un insegnante compariva nelle vicinanze. A casa si chiudevano nella loro stanza, immersi in pensieri di cui nessuno poteva chiedere conto.

    La situazione si stava prolungando troppo col rischio di degenerare e fu allora che il collegio scolastico, ormai nell’impasse, organizzò un incontro con i genitori nel tentativo di trovare una soluzione alla loro paralisi mentale. Durante la discussione fu finalmente avanzata l’ipotesi che il giorno della gita fosse successo davvero qualcosa di eccezionale, ma la risposta delle famiglie fu unanime: rifiutavano quell’ipotesi assurda e, anzi, incolparono la Flesi di aver sollecitato nei figli un attaccamento morboso nei suoi confronti che li spingeva a credere a qualsiasi cosa dicesse, suggestionandoli. La psicologa del consultorio cittadino li rassicurò affermando che, col passare del tempo, tutto si sarebbe risolto in modo graduale.

    Così rassicurati docenti e famiglie rientrarono alle loro case.

    Ma quanto previsto non accadde, i ragazzi

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