Dietro la Porta
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Info su questo ebook
Mauro Gianoli vive e lavora nelle vicinanze di Milano e da sempre scrive. Ha pubblicato in privato alcune raccolte di poesie. Appassionato di esoterismo e curioso di tutto ciò che è fuori dal normale, è stato conduttore di programmi radio nelle vesti di “giornalista dell’occulto”, sperimentando e approfondendo le antiche arti dell’astrologia, cartomanzia, chiromanzia, pranoterapia ecc...
Da vero alchimista viaggia nei sogni, li studia e li conosce. Convinto che un potente incantesimo imprigiona il pianeta dentro un profondo sonno, sempre alla ricerca di una verità celata e stabile, spera comunque di trovare la chiave per aprire la porta del risveglio che desterà l’umanità dal suo torpore. Per ora però la gente continua a sognare e ognuno a modo suo. E i sogni, miliardi di sogni, si muovono veloci sull’autostrada che unisce la nostra mente alla nostra anima...
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Anteprima del libro
Dietro la Porta - Mauro Gianoli
Mauro Gianoli
Dietro la Porta
© 2022 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Roma
www.gruppoalbatros.com - info@gruppoalbatros.com
ISBN 978-88-306-7046-4
I edizione dicembre 2022
Finito di stampare nel mese di dicembre 2022
presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)
Distribuzione per le librerie Messaggerie Libri Spa
Dietro la Porta
Dentro ognuno di noi c'è una porta che aspetta di essere spalancata. Il momento giusto in cui si aprirà verrà da solo.
Questo racconto è rimasto chiuso in un cassetto per molti anni. Ringrazio di cuore tutte le persone che lo leggeranno.
DIETRO LA PORTA
Il sole verde si rifrangeva sui suoi baffi di diamante in mille riflessi impazziti e abbaglianti: Cosimo Isac camminava sul mare come il Cristo sulle acque del lago di Galilea e se ne compiaceva con tutto sé stesso.
«Il faraone ti attende!» disse il bianco messaggero. «Il tuo cammino porta alla grande piramide».
E fu il deserto dopo il mare e il porfido grigio e liscio della piramide trasudava il sangue degli schiavi nel calice possente del faraone, come l’uva spremuta in autunno riempie i tini di vino.
Poi chi può sulla vita e la morte parlò parole che si scolpirono indelebili nel porfido della piramide, affinché nessuno, tranne la mano del tempo, potesse più cancellarle: «Io, Dio incarnato nell’uomo, ti dono il mio benvenuto. Per una profezia inconfutabile, a te, venuto dal mare, affido lo scettro!».
Non un soffio di vento osò levarsi in quell’attimo che vide l’uomo dio inchinarsi e Cosimo impugnare l’onnipossente scettro: «Accetto il potere!» disse il nuovo re, ed ora, come fu per il faraone, le sue parole scolpirono il porfido con voce terribile.
Il trono gli era davanti altissimo e risplendente, nulla gli era ormai irraggiungibile: i suoi baffi sprizzarono fulmini mentre incedeva verso il cielo, tra due file di popolo inginocchiato e schiavo.
Dopo e d’improvviso, per una reazione a catena irreversibile, la terra dapprima, poi ogni cosa, cominciarono a sfaldarsi a un ritmo via via più serrato, febbrile, finché un vortice di cristalli spezzati lo travolse fin quasi a soffocarlo.
La realtà lo risvegliò grigia di nebbia, la cui monotonia, come un velo opaco, trapelava dalla finestra, fino a ristagnare pesante nella stanza silenziosa. Cosimo si chiese quando sarebbe finito quel maledetto inverno e quando avrebbe riassaporato il tocco tiepido del sole sulla pelle; erano giorni interminabili e la nebbia opprimeva la città marchiando e annullando ogni cosa dello stesso anonimo e impersonale colore: il grigio.
Che ore erano? La sveglia si era fermata sulle tre di notte…
Si alzò di malumore, ma dovette farlo, anche se gli costava non poca fatica. Se avesse indugiato, avrebbe tardato in ufficio, perciò, con le gambe indolenzite e borbottando qualcosa di non molto ortodosso, si trascinò fino al telefono, infilò l’indice nell’uno poi nel tre, quindi attese… Occupato…
Passò qualche secondo o forse era già qualche minuto, prima che ripetesse l’operazione. Finalmente una voce di donna, del tutto priva d’espressione, gli rispose: «Sono le sette e quarantacinque, sono le sette e quarantacinque, sono le sette e quarantacinque sono le sett…». Che incubo terribile sarebbe diventata la vita se il tempo si fosse fermato in quel preciso istante, mentre lui, statua impotente, con l’orecchio incollato alla cornetta del telefono, continuava ad ascoltare quella voce senza limiti di spazio e tempo ripetere senza tregua: «Sono le sette e quarantacinque, sono le sette e quarantacinque sono le… ».
Levò con uno scatto la mano che ancora reggeva la cornetta del telefono, come se impugnasse non un telefono, ma il corpo viscido di un serpente velenoso.
Irritato da quella sensazione di disgusto e dal fatto che avrebbe potuto dormire quasi un’ora in più se la sveglia avesse fatto il suo dovere, infilò la porta del bagno per fermarsi davanti allo specchio. Si torturò un momento i baffi indeciso se fare o meno la barba.
Gli era sempre costato prendere una decisione, anche per cose di poca portata, perciò, brillante come al solito, frugò nella tasca del pigiama finché non trovò una moneta che teneva lì per le situazioni disperate e bisognose di rapida soluzione. Lanciò la moneta in aria e l’acchiappò prima che toccasse terra. Testa, il destino aveva deciso per il sì! Cominciò a insaponarsi il viso e quindi prese a radersi con la lametta già innestata sul rasoio, avendone cercato invano una nuova.
Forse aveva ragione sua madre: se fosse stato sposato, ci sarebbe stato qualcuno a pensare alle lamette e alle piccole cose che lui si dimenticava quotidianamente di fare. Per fortuna che c’era la signora Brinner a svolgergli le faccende più grossolane di casa! Senza quella piccola donna chiacchierona, non poteva tirare avanti, era stato il cielo che gliel’aveva mandata.
Ahi! Dannata lametta, ormai si rifiutava di tagliare tanto s’era consumata! Si passò le dita sulla parte offesa e le ritrasse umide di sangue.
Il sangue…
Con un certo raccapriccio, immagini inconsce cominciarono a danzargli disordinatamente per la testa. Si rivide d’improvviso dinanzi alla piramide sognata da poco, grondante di sangue scarlatto fino ai suoi piedi… Pensò che era un sogno strano, però per un attimo aveva visto il faraone inchinarsi davanti a lui: «Accetto il potere!» esclamò con enfasi.
Come spaventato, si ritrasse dallo specchio. Ma cosa diavolo andava farfugliando? Le parole gli erano sfuggite dalla gola senza che avesse potuto fermare. Non era il caso di perdersi in fantasticherie strampalate quando c’erano cose ben più importanti da pensare e non quelle stranezze senza capo né coda. Si scosse di dosso quei pensieri provando, suo malgrado, una certa riluttanza nel farlo. Avrebbe voluto rifletterci meglio sopra visto l’insolito inizio di quella strana mattina; sentiva un bisogno interno, una misteriosa voglia d’indagare in un mondo che gli apparteneva ma che non sapeva definire.
Finì in fretta di radersi. Indossò il vecchio vestito un poco smunto e mal stirato. Faticò non poco ad abbottonarsi la giacca, perché un paio di bottoni si stavano staccando.
Prese il pullman alla fermata sotto casa come tutti i giorni alle nove e dieci e giunse a destinazione alle nove e venti, come tutti i giorni. Percorse qualche minuto di strada a piedi provando una crescente oppressione. Gli occhi dolevano un poco e stentava a tenerli spalancati; la gente intorno per un attimo passava vicina poi andava a perdersi chissà dove, integrata dalla nebbia che tutto assorbiva e distorceva, anche i suoi pensieri che non sapeva trattenere e analizzare, ma che gli sfuggivano uno dietro l’altro, senza che alla fine avesse pensato a qualcosa di utile o di logico.
Finalmente l’entrata del palazzo che ospitava il suo ufficio gli apparve dinanzi e per lui fu una consolazione salutare la faccia bagnata di nebbia del portiere, infilare l’ascensore e tirare un grosso sospiro, in attesa di arrivare al sesto piano. In un certo senso, era contento che ci fosse la nebbia. Con la sua complicità era riuscito ad arrivare fin lì senza che nessuno l’avesse riconosciuto e lui fosse stato costretto a inutili saluti.
La porta era aperta, entrò e subito lo accolse il coro di buongiorno
dei colleghi. «Buongiorno» aveva risposto una volta sola per tutti, senza guardare in faccia a nessuno e senza indugio si era seduto dietro la sua scrivania ingombra all’inverosimile di carte d’ogni genere.
Erano tanti anni ormai che si ripeteva lo stesso rituale: lui entrava, i colleghi salutavano poi si sedeva e cominciava le fatiche del nuovo giorno. Quanti ne erano passati di anni privi d’emozione, fatti di carta come le pratiche che aveva esaminato, compilato, stracciato e cestinato una dopo l’altra? Dieci, quindici? Non ricordava bene, ma lo sconfortante presentimento che il suo futuro non avrebbe mai avuto giorni migliori non lo abbandonava un momento. Era triste trovarsi davanti a una certezza così sconcertante: il resto dei suoi giorni consumato inesorabilmente come una barca che affoga piano piano in un mare di carta!
Quando tali considerazioni lo coglievano e avveniva spesso negli ultimi tempi, non sapeva trattenere un lungo respiro amaro che gli saliva su dall’anima, allora cercava di pensare ad altro, a qualcosa di meno desolante. Ma in quel momento, non trovando di meglio, rincorse con la mente un pettegolezzo sul capufficio confidatogli da un collega qualche giorno prima. Sorrise cattivo al pensiero delle favolose corna che il capo doveva avere intorno alla testa, provando un poco di consolazione al suo travaglio interno. I suoi colleghi non erano capaci che di spettegolare, per questo non dava