Solo
Di Giorgio Buro
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Solo - Giorgio Buro
EPILOGO
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PROLOGO
Amos Galbraith sollevò il braccio e lo tuffò fuori dal finestrino dell'utilitaria in cui viaggiava accompagnato dai suoi amici di sempre, Thomas e Chad.
Chad, alla guida, gli rivolse un'occhiata e lo imitò, affidando il controllo del veicolo alla mano destra.
«Non ricordo di aver mai vissuto un’estate del genere» sbuffò.
Un nugolo di moscerini emerse da un canale di scolo laterale e incrociò la traiettoria dell’automobile, compiendo una brusca e maldestra manovra per evitare l’impatto. Per qualche istante, il tempo fu scandito soltanto dal ticchettio degli insetti sul parabrezza.
«Avete mai sentito parlare di quel biologo olandese che si è messo a contare uno ad uno gli insetti uccisi dai parabrezza di duecento automobili per fornire una statistica accurata sul fenomeno?» chiese Thomas, allungando il collo fra i sedili anteriori.
Chad scoppiò a ridere e lo cercò nello specchietto retrovisore.
«Non so e non credo di voler sapere come tu faccia a ricordarti cose del genere. E quando parli sei ridicolo.»
Thomas si lasciò cadere sul sedile dipingendo un sorrisetto tranquillo.
«Sarà che ho molto tempo libero. Non quanto quel biologo, comunque.»
Amos si unì alle risate e cercò di tamponare il sudore della fronte con il dorso della mano.
Gli inizi di quel luglio rovente erano stati accompagnati da ottime notizie.
I tre erano in viaggio per incontrare una piccola agenzia pubblicitaria di Austin, che li aveva contattati per discutere riguardo a una possibile collaborazione.
Da quando avevano dato inizio al loro piccolo progetto di illustrazioni digitali, quello era stato il primo, concreto interessamento.
Amos era felice. Dopo la morte di suo padre, Thomas e Chad gli erano stati accanto e lo avevano praticamente costretto ad entrare nella squadra, sostenendo che il suo talento fosse fondamentale per la loro idea.
Amos, dal canto suo, aveva inizialmente creduto che l’insistenza degli amici fosse mossa dal motore della compassione piuttosto che dal suo fantomatico talento, ma alla fine si era dovuto ricredere.
Aveva messo anima e corpo in quell’iniziativa e adesso stava per apprezzarne il risultato.
Chad si riavviò i capelli scivolati sulla fronte e si mise ad armeggiare con la tastiera della radio.
Dopo qualche secondo, l’abitacolo fu avvolto dalle note di It’s All Over Now, Baby Blue, e la voce di Bob Dylan risuonò malinconica attraverso gli amplificatori.
You must leave now,
take what you need, you think will last.
Il paesaggio, accompagnato dalla melodia, correva veloce ai margini del campo visivo di Amos.
But whatever you wish to keep,
you better grab it fast.
Thomas prese il cellulare e iniziò a fare un video cantando a squarciagola.
«Tra vent’anni questo video sarà nel nostro documentario.» abbaiò.
Yonder stands your orphan with his gun,
crying like a fire in the sun.
Chad rise e scalò la marcia, rallentando per rispettare il semaforo posto al centro di un incrocio.
La luce diventò verde e la macchina ripartì.
Amos percepì un movimento proveniente dal lato di Chad e si voltò.
Un’altra automobile, lanciata a folle velocità nella loro direzione, spuntò dal nulla.
Successe tutto in una frazione di secondo.
Amos sentì un rumore tremendo, metallico. Sentì il veicolo accartocciarsi su sé stesso, l’assenza del sedile sotto di lui, lo schiocco secco del timpano sinistro.
Un calore inaudito lo avvolse, ustionandogli il volto e le braccia.
In un luogo che pareva essere molto, molto lontano, la voce di Bob Dylan si spezzò, orribilmente distorta dall’impatto.
Look out the saints are comin' through
and it's all over now, Baby Blue.
CAPITOLO 1
Quando Amos riaprì gli occhi, il calore all’interno dell’auto era insopportabile. In lontananza, l’ululato di una sirena squarciava quel silenzio così paradossale.
Il parabrezza era incrinato in più punti e sembrava sul punto di dover esplodere da un momento all’altro.
Amos provò a ruotare la testa, e solo allora si accorse che la vettura si era ribaltata sul suo lato.
Sentiva un fortissimo dolore alla tempia destra e quasi non riusciva a tenere gli occhi aperti.
Fumo. C’era del fumo nell’abitacolo. Qualcosa stava bruciando.
Ruotò il collo verso Chad e constatò che l’amico penzolava a peso morto sopra di lui, trattenuto unicamente dalla cintura di sicurezza.
Le braccia, ciondolanti, erano striate di sangue. Non dava segni di vita.
Il respiro di Amos si fece più pesante.
Mentre il fumo gli scivolava nelle vie respiratorie, privandolo di lucidità, cercò di girarsi e di capire dove fosse Thomas.
«Thomas! Tom?»
Nessuno parlò.
Amos fu colto da un’improvvisa sensazione di vuoto, poi un sibilo acuto anticipò l’inevitabile. Amos distinse altissime lingue di fuoco levarsi intorno all’automobile. L’aria si fece densa e irrespirabile. Le fiamme avevano raggiunto il serbatoio.
«Chad, Tom! Svegliatevi, cazzo! Svegliatevi o bruciamo qui dentro!»
Si allungò in direzione di Chad, strattonando la cintura nel tentativo di liberarlo. L’amico non diede segno di sentirlo e lui iniziò a perdere la vista.
«Chad, ti prego!» singhiozzò.
Dopo quasi mezzo minuto di tentativi, l’istinto di sopravvivenza prese il sopravvento.
Il fumo nero gli aveva ustionato l’interno delle narici e della gola. Amos provò a effettuare un respiro profondo, e il rumore spezzato e gorgogliante che i suoi polmoni produssero gli trasmise la fugace immagine di un malato terminale.
Lasciò andare la cintura di Chad e provò a sganciare la sua. Ce la fece al terzo tentativo. Si lasciò scivolare in avanti e in qualche modo riuscì a sollevare le gambe sul cruscotto.
Facendo leva con le mani, si diede una forte spinta e affondò i piedi nel parabrezza.
Il vetro si incrinò ulteriormente, ma non diede l’impressione di potersi spezzare.
I condotti lacrimali degli occhi subirono l’effetto del fumo e Amos accusò una forte fitta alla testa.
Riprovò ad aprirsi una via di fuga, questa volta assestando il colpo nei punti più danneggiati del vetro. La scelta diede i suoi frutti. Dopo l’ennesimo calcio, il parabrezza si staccò dalle giunture, lasciando un varco sufficientemente ampio perché ci potesse strisciare dentro.
Con uno sforzo tremendo, Amos raggiunse l’apertura e riemerse strisciando sull’asfalto bollente.
Si trascinò carponi finché le braccia non gli cedettero, lasciandolo boccheggiante a qualche metro di distanza dal luogo dell’impatto.
Quando l’aria pulita gli fluì all’interno dei polmoni, il dolore fu lancinante.
Amos si lasciò sfuggire un lamento e cercò di girarsi sulla schiena per tornare indietro e provare a tirar fuori anche Thomas e Chad.
La visione lo lasciò atterrito. La macchina, adagiata su un fianco come una grossa bestia morente, era un groviglio di lamiere avvolto dal fuoco.
Si alzò in piedi, ignorando il calore insopportabile sul volto, il dolore pulsante alla testa e alle braccia, e si trascinò verso le fiamme.
Afferrò con le mani il parabrezza e tirò con tutta la sua forza. Le sirene a quel punto erano vicinissime.
Amos sentì delle voci alle sue spalle, ma le ignorò, continuando a tirare così da poter liberare gli amici.
All’improvviso,