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La Madonnina nera di Oropa
La Madonnina nera di Oropa
La Madonnina nera di Oropa
E-book133 pagine1 ora

La Madonnina nera di Oropa

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Info su questo ebook

Ripercorrendo le tappe fondamentali della sua vita, dall’infanzia all’età della pensione, l’autore ci rivela gli innumerevoli sacrifici affrontati e le decisioni importanti che hanno costellato la sua esistenza e quella dei suoi familiari. L’intero racconto è, quindi, permeato da una supervisione divina che l’autore vuole attribuire all’aiuto costante e al bene profuso da parte della Madonnina di Oropa. Una devozione viscerale e una fede salda e duratura che sopravvivono ancora oggi e che all’età di sedici anni, lo spinsero a percorrere a piedi il tragitto da Torino, dove abitava, al Monte del Santuario, per la realizzazione dei suoi sogni.

Orlando Errani è nato a Ferrara il 16 gennaio 1942, in piena seconda guerra mondiale.
A quattro anni si trasferisce con la famiglia a Torino dove vive tuttora con sua moglie Giovanna, due figli e quattro nipoti.
Finita la scuola di avviamento industriale, inizia la vita lavorativa in piccole officine meccaniche. A diciotto anni viene assunto dalla Fiat in qualità di operaio e contemporaneamente inizia gli studi serali per diplomarsi come Perito Industriale.
Grazie al diploma, diventa impiegato e successivamente funzionario.
LinguaItaliano
Data di uscita31 dic 2020
ISBN9788830633100
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    Anteprima del libro

    La Madonnina nera di Oropa - Orlando Errani

    LQerrani-piatto.jpg

    Orlando Errani

    LA MADONNINA NERA DI OROPA

    © 2020 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Roma

    www.gruppoalbatros.com - info@gruppoalbatros.com

    ISBN 978-88-306-2851-9

    I edizione dicembre 2020

    Finito di stampare nel mese di dicembre 2020

    presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)

    Distribuzione per le librerie Messaggerie Libri Spa

    LA MADONNINA NERA DI OROPA

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterly. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    LA MADONNINA NERA DI OROPA

    ---- Una storia di guerra e di amicizia ----

    Sinceramente non ho mai ben compreso se fosse per una legge specifica in ambito militare o per una questione del destino (credo a posteriori che anche in questo caso io debba ringraziare la mia Madonnina) che mio papà, durante la guerra, si sia salvato la vita per una coincidenza: la mia nascita.

    Era di stanza a Venezia, in marina, e stava per imbarcarsi su un sommergibile chiamato in azione, quando ricevette in capitaneria un fonogramma che gli annunciava la mia nascita (il suo quarto figlio) che gli consentì di essere dispensato dal servizio e dirottato ad un lavoro d’ufficio. Questo gli salvò la vita…

    Molti anni dopo, a guerra ormai finita, con i miei tre fratelli e i nostri genitori seduti a tavola per pranzo, ascoltammo mio padre raccontare la storia del sommergibile e di come quel fonogramma gli cambiò il destino. "Ero a Venezia e stavo per essere imbarcato su un sommergibile per un’azione di guerra, quando fui chiamato dal comando, per informarmi della tua nascita caro Nanin (così venivo chiamato simpaticamente, perché ero il più piccolo) e ciò mi costrinse a rimanere a terra. Subito ci rimasi male, perché tra commilitoni, specialmente, in tempo di guerra, si forma come un’unica grande famiglia e abbandonare i miei compagni all’inizio di un’operazione bellica e cioè nel momento di massimo pericolo, mi fece sentire un vigliacco".

    Mio padre tacque un momento. Si vedeva che stava pensando ancora a quei momenti particolari. Quando riprese il racconto si era incupito. Vidi i miei compagni salire a bordo del sommergibile e li salutai commosso. Non potevo sapere che sarebbe stato il mio ultimo saluto. Il sommergibile salpò verso il largo e quando raggiunse l’imboccatura del porto, fu silurato ed affondò. Partirono subito le navi di soccorso e quando giunsero sul luogo dell’attacco, cercarono di agganciarlo il più rapidamente possibile, con delle gru apposite, per riportarlo immediatamente in superfice; sicuramente, a bordo, c’erano ancora marinai vivi e dovevano essere salvati. Gli operatori riuscirono ad agganciarlo ed iniziarono a sollevarlo piano piano, per riportarlo a galla. Tutto procedeva nel migliore dei modi, ma quando il sommergibile stava ormai per riemergere completamente, alcuni cavi si spezzarono e lo scafo ripiombò in acqua, affondando inesorabilmente. Diventò la bara per tutti i miei compagni.

    Quando terminò il racconto, papà aveva le lacrime agli occhi. Venne vicino a me, mi baciò sulla testa e mi ringraziò, dicendomi che se non fossi nato al momento giusto, questa famiglia non sarebbe più stata completa e il futuro sarebbe stato molto diverso. Concluse dicendomi Grazie, mi hai salvato la vita e nello stesso tempo, la famiglia intera!!!

    Quel racconto mi commosse molto (mi commuove ancora oggi) e pensai che se anche nella vita non avessi più combinato nulla, qualcosa di buono l’avevo già fatto. Grazie Madonnina!!!

    ---- Torino allo specchio ----

    Quando avevo quattro anni e mezzo, a guerra ormai terminata, mio padre per questioni di lavoro trasferì tutta la famiglia a Torino. Ferrara, la città in cui sono nato nel 1942, non offriva molte opportunità in quel momento, mentre alcune città del Nord Italia cominciavano a ripartire e le occasioni non mancavano.

    Poco tempo dopo il trasferimento, papà fortunatamente trovò subito un bell’impiego presso il circolo sportivo della Juventus (divenuto poi il circolo sportivo de La Stampa).

    I primi tempi alloggiavamo in un piccolo alberghetto di Via Berthollet, in zona San Salvario, vicino alla stazione centrale della città, conosciuta da tutti come Porta Nuova. È una stazione molto bella e recentemente è stata completamente restaurata. Proprio di fronte alla stazione, nella piazza antistante, c’è un giardino con una fontana con un getto altissimo. Sullo sfondo inizia Via Roma che conduce verso il palazzo del Primo Parlamento Italiano, quando Torino era la capitale d’Italia (la prima!) e poi in Piazza Castello. Una via bellissima, tutta attrezzata di portici in marmo da ambo i lati della strada.

    Dopo pochi giorni, mio padre riuscì ad ottenere in affitto un alloggio in Via Sant’Anselmo, non molto lontano dall’alberghetto in cui alloggiavamo. Era al secondo piano, posto in fondo ad un lungo balcone, con due camere da letto e una cucina riscaldata da una stufa a legno e carbone, utile anche per cucinare. A quel tempo i termosifoni erano rarissimi. Solo qualche famiglia molto ricca, poteva permetterseli. Avevamo anche il nostro bagno privato e chiuso (per l’epoca un vero lusso). Una delle camere da letto, aveva la finestra che guardava in Via Sant’Anselmo. Quella era la nostra stanza, dove dormivamo noi quattro fratelli (Abdon, Marco, Daniele ed io, in rigoroso ordine d’età), mentre nell’altra, cui si accedeva dalla cucina, dormivano i nostri genitori. Per qualcuno poteva sembrare normale, ma per noi questa abitazione era meravigliosa!

    Ci eravamo oramai stabiliti da qualche giorno e con i miei fratelli ci venne l’idea di costruire una palla con dei vecchi stracci; non era pericolosa, perché se ci colpiva non faceva male e quindi ci giocavamo spesso, saltando sui due letti e lanciandocela addosso. Un mattino, dopo che i miei fratelli maggiori, Marco e Abdon, erano usciti, Daniele ed io, iniziammo a tirarci la palla, ma, ad un certo punto mi sfuggì involontariamente di mano e andò a colpire il grosso specchio posizionato sul comò, rompendolo in due pezzi. Il tutto avvenne in pochi secondi e senza molto rumore. A questo punto dissi la prima grande bugia…

    Corsi in cucina e informai mia madre dell’accaduto, dando la colpa al camion del latte, che era passato da

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