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Yeshu'a e Ioannes
Yeshu'a e Ioannes
Yeshu'a e Ioannes
E-book436 pagine6 ore

Yeshu'a e Ioannes

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Info su questo ebook

Cosa può offrirci oggi la religione in quanto istituzione e guida morale e la religiosità come fonte di aiuto e riflessione sul senso della vita? La prima viene spesso sfruttata come un’arma aggregante nell’ambito di un popolo e dividente nei confronti degli altri popoli. La seconda attiene più al singolo, alla sua fede, alla sua capacità di interiorizzare alcuni insegnamenti e di trasferirli nella sua quotidianità. Eppure in molti casi i giovani, soprattutto in Occidente, abbandonano la Chiesa dopo la prima adolescenza, i contenuti dei Sacri Testi ‒ che conoscono poco ‒ non li soddisfano e sembrano entrare in contraddizione con i loro bisogni. 
In questo pregevole saggio Edoardo Pessina riporta al centro della religiosità la necessità di analizzare nel dettaglio la Bibbia, e lo fa scegliendo il Vangelo di Giovanni, dove vi è un continuo confronto tra la Parola di Gesù e la Legge data da Mosè. Un volume aperto a tutti coloro che vogliano cimentarsi con una lettura impegnativa ma ricca di fascino, dove le domande superano le risposte e contribuiscono a offrire una molteplicità di sensi intorno a cui costruire il proprio approccio alla vita e al rapporto con gli altri.

Edoardo Pessina è medico, settantenne, con numerose pubblicazioni scientifiche al suo attivo, tra cui quattro monografie edite da Masson, per la prima volta si cimenta con l’interpretazione di uno dei Vangeli più controversi.
Antropologicamente interessato alle maggiori religioni, Ebraismo, Cristianesimo, Islam ed anche alle principali espressioni del Buddismo, appassionato lettore della Bibbia fin dalla giovane età, interpreta il Vangelo di Giovanni in modo non convenzionale, pur col massimo rispetto dell’ortodossismo esegetico delle diverse Chiese Cristiane.
LinguaItaliano
Data di uscita31 dic 2020
ISBN9791220106337
Yeshu'a e Ioannes

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    Anteprima del libro

    Yeshu'a e Ioannes - Edoardo Pessina

    cover.jpg

    © 2020 Europa Edizioni s.r.l. | Roma

    www.europaedizioni.it - info@europaedizioni.it

    ISBN 979-12-201-0415-9

    Yeshu’a e Ioannes

    Il Cristo svelato

    Grazie Franca da sempre compagna e anima

    Grazie Gloria per il dono di occhi nuovi e cuore nuovo

    Grazie Nino che ha fatto scoprire l’altro, fondamentale per cercare di capire il sé

    Grazie a Padre Alberto Magrone per lo spunto da cui traggono origine queste riflessioni

    Grazie al gruppo d’ascolto che con le critiche e gli incoraggiamenti ha contribuito a rendere più intellegibile il pensiero

    Grazie a Don Giuseppe Rizzardi per il rigore scientifico che deve essere applicato nella lettura dei Testi Sacri

    Grazie agli amici della comunità Ebraica per la loro intelligenza e benevolenza

    Libro aperto:

    si ringraziano i lettori per la loro pazienza e buona volontà

    pregandoli, se vorranno, di aggiungere domande, risposte e commenti

    Mappa tratta da: Palestina nel I secolo dopo Cristo, di G. Bastia

    INTRODUZIONE

    Nel nostro tempo l’umanità si confronta con una contraddizione lacerante che appare senza via d’uscita: il bisogno di crescita e sviluppo da un lato e l’esaurirsi delle risorse dall’altro. Se riuscissimo a staccarci dal nostro quotidiano e osservassimo la terra da lontano, come le moderne tecnologie ci aiutano a immaginare, vedremmo un pianeta che ospita diverse forme di vita e una in particolare, la nostra, dotata di un’intelligenza abbastanza evoluta. Questa forma di vita e il DNA che ne costituisce la matrice, sono legati in modo totale, almeno ad oggi, al pianeta che li ospita e all’ambiente che ne permette la sussistenza. Prescindendo dai danni che l’uomo stesso ha provocato e sta tuttora provocando con uno sfruttamento sconsiderato delle risorse, comunque il nostro, come tutti gli altri pianeti, evolve secondo leggi che solo in parte conosciamo ed è esposto a rischi cosmici.

    Giunti al punto in cui ci troviamo sarebbe logico che tutti gli uomini cooperassero al fine di raggiungere l’equilibrio ideale tra il pianeta ospitante e i suoi ospiti, perché è ovvio che, se muore il primo, i secondi ne condividono la fine. La contraddizione nasce dal fatto che, in principio, gli uomini, per l’innato istinto di sopravvivenza, si sono divisi in famiglie, tribù, nazioni che hanno cercato di salvaguardare se stesse a scapito delle altre partendo dall’assunto che la propria salvezza avesse qualcosa di essenziale e più sacro.

    Questo poteva essere giustificato quando la scienza non era ancora in grado di darci quelle informazioni che oggi abbiamo e quando le risorse apparivano senza limiti a una popolazione numericamente sparuta rispetto all’attuale.

    Ciò è la base del concetto di crescita e di sviluppo come elemento di forza da usare per il controllo più ampio possibile delle risorse. Ma proprio questa crescita competitiva provoca il depauperamento e lo spreco delle risorse stesse.

    Per poter coinvolgere le masse in questa corsa al potere economico, militare e culturale, le classi dirigenti dei singoli stati, da sempre, fanno ricorso a elementi in grado di catalizzare il consenso dei popoli da esse governati. Uno degli elementi utilizzati è la religione. Anche in questo caso però ci troviamo di fronte a una contraddizione: se uomini appartenenti a religioni diverse credono in un Dio Creatore e Signore, che chiamano con nomi differenti, è evidente che questo Dio non possa che essere Uno e quindi essi dovrebbero convergere verso questa Unicità così come nella ricerca delle Leggi che governano l’Universo. Invece, sappiamo bene che la religiosità, insita nell’uomo e fonte di aiuto e guida per lui, è sfruttata come un’arma aggregante nell’ambito di un popolo e dividente nei confronti degli altri popoli.

    A Milano vive e opera un sacerdote cattolico, un uomo nel pieno delle forze, colto, attivo, che ogni giorno si lancia nella sua personale battaglia di comunicazione e coinvolgimento. Crede fermamente sia nell’interpretazione che la Chiesa Cattolica dà della Bibbia, sia nel ruolo che essa svolge come istituzione. Egli, partendo dalla lettura dei Sacri Testi, cerca di trasmettere ai molti che lo seguono ciò che ha dentro, rendendolo il più attuale possibile, attraverso agganci alla cronaca e a esperienze spirituali personali o delle persone che lo circondano, con cui ha una grande capacità di relazionarsi.

    Questo, ovviamente, è volto a una crescita spirituale del singolo individuo e a un coinvolgimento sempre maggiore con la religione che egli pratica.

    Ebbene quest’uomo fuori dal comune, esperto cinquantenne, dice una cosa singolare: "Una volta fatta la Cresima, i ragazzi oggi è come se si trovassero sui blocchi di partenza di una gara dei cento metri, emuli di Usain Bolt, l’uomo più veloce del pianeta, e, allo sparo di un invisibile starter, scappano dalla Chiesa e non li rivedi più".

    Le direzioni che essi prendono sono le più disparate, ma spesso sono anche disperanti perché c’è una fuga da quei valori che, secondo lui, possono aiutare l’uomo nella ricerca dell’equilibrio e di una vita che valga la pena di essere vissuta. Da qui il suo impegno che tende a far sì che ognuno scavi dentro se stesso per fare affiorare quelle criticità che lo allontanano dal percorso che il catechismo cattolico indica. E qui nasce la prima domanda di una lunga serie che costellerà queste pagine: Se la grande maggioranza degli individui appena può fugge, siamo sicuri che il problema sia solo dentro ognuno di loro, meglio dentro ognuno di noi, o non sia piuttosto la chiave di lettura dei Testi Sacri che la Chiesa usa, ad apparire ai più contraddittoria, forzata e non adatta a rappresentare quella guida morale certa e chiara che tutti noi, uomini semplici, avremmo bisogno fosse?.

    Purtroppo, a volte, l’interpretazione dei Sacri Testi appare più indirizzata a creare consenso attorno a una religione, ebraica, cristiana o musulmana che sia, piuttosto che a chiarirci e confermarci le profonde verità che effettivamente le Scritture possono trasmettere.

    Se allargassimo lo sguardo al mondo intorno a noi, se cercassimo di alzarci e guardare le cose dall’alto, considerando tutte le informazioni e i condizionamenti che costantemente ci bombardano come rumore di fondo da cui isolarsi, che realtà vedremmo?

    Certamente noteremmo una differenza netta tra il messaggio religioso che riceviamo e la realtà che ci circonda. È sbagliata la realtà e quindi, in buona sostanza, siamo vittime di una sorta di follia collettiva o è l’interpretazione che dei Testi Sapienziali viene fatta, che crea nell’uomo una sorta di rifiuto, di fuga da essi, perché è palese e stridente il contrasto tra qualcosa che ci viene presentato come bene assoluto e insindacabile, come dogma di positività e la realtà che appare ingiusta, violenta, cattiva?

    Un’altra constatazione è che Ebraismo e Cristianesimo fondano la loro comune origine sull’Antico Testamento, con l’esclusione di sette libri che compaiono solo nel Testo Cristiano: Giuditta, Tobia, Maccabei, Siracide, Sapienza, Baruc con la lettera di Geremia, oltre a Daniele 13 e 14.

    Il termine Antico Testamento, in sé, è improprio in quanto sottintende una sorta di sostituzione da parte del Nuovo Testamento. Forse sarebbe meglio parlare di Bibbia Ebraica e di Vangelo. Quando useremo la dizione Antico Testamento, o AT, lo faremo solo perché essa è entrata in uso.

    Come è possibile che da un’origine comune siano nati conflitti e incomprensioni tra i due ambiti religiosi? Le Chiese Cristiane interpretano l’AT come preparatorio e annunciante Gesù. Lo scopo per cui è stata scritta la Bibbia Ebraica e il suo contenuto giustificano questo tipo di lettura?

    È possibile, per un lettore comune, non studioso professionista delle Sacre Scritture, cogliere ciò che distingue la Bibbia Ebraica dal Vangelo, individuare dove e perché le strade, rispettivamente indicate, divergono e qual è il senso e il ruolo delle religioni che ne originano?

    Forse, una volta analizzati, compresi e accettati, questi ruoli o missioni chiarirebbero il fatto che queste due antiche comunità religiose possono, non solo coesistere, mantenendo le proprie peculiarità, ma addirittura collaborare e, in qualche modo riunirsi, abitare sotto la stessa tenda, nella consapevolezza che sono entrambi utili nella ricerca della salvezza, del corpo e dello spirito, dell’essere umano. Quale è stato e qual è oggi il ruolo della religione?

    Oggi le conoscenze storico-scientifiche, lo sviluppo intellettuale, i mezzi di comunicazione e la possibilità data dalle tecnologie di cui disponiamo, consentono di capire ciò che, all’epoca in cui questi Testi furono scritti, non era possibile spiegare e comprendere pienamente?

    I Sacri Testi devono poter essere letti e letti per intero per consentire loro di interrogarci e anche per permettere a noi di interrogarli instaurando quella relazione che può indurre un mutamento e una maturazione di noi stessi. Ciò dà vita a loro e a noi.

    Il motivo della scelta dell’analisi del Vangelo di Giovanni per la ricerca di domande e, se possibile, di qualche risposta, nasce dalla constatazione che in esso vi è un continuo confronto tra la Parola di Gesù e la Legge data a Mosè, da cui scaturisce una contrapposizione apparentemente inconciliabile tra Giudei e Gesù stesso.

    Il versetto 17 del primo capitolo di Giovanni infatti recita: Perché la legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo...

    Giovanni ci dà dei segnali per poter comprendere il perché del Vangelo e la sua peculiarità nei confronti della Bibbia Ebraica. Solo Giovanni fu in grado di fare ciò perché, con nostro grande stupore, scopriremo attraverso l’attenta lettura della parte finale del suo Vangelo, che egli si muoveva liberamente proprio tra Sinedrio e Sommo Sacerdote da un lato e Gesù dall’altro essendo quindi profondo conoscitore di entrambe le realtà. Il Vangelo di Giovanni, ribadiamo, letto per intero e, se possibile, più di una volta, ci spiega i rapporti tra Gesù e il Sinedrio e gli scontri interni tra gli apostoli per l’interpretazione e la gestione di ciò che Gesù ha detto e lasciato. Ci rivela come Israele e Gesù svolgano ruoli diversi, rispettivamente nella storia dell’uomo e nel suo spirito, ma essenziali e complementari. Giovanni ci porta a chiederci: la nostra fede nasce da quanto Gesù ci ha spiegato, dalla Sua Parola, oppure dai Suoi miracoli, da ciò che di straordinario ha compiuto e soprattutto dal fatto che sia risorto? Ci porterà a chiederci se Gesù ha avuto dei fratelli, figli di Maria e Giuseppe.

    Questo scritto pone molte domande, al lettore spettano le risposte, a ciascuno secondo la propria sensibilità.

    L’invito a chi legge è di farsi piccolo, quasi un bambino che vuole diventare adulto, il quale prendendo per mano Giovanni chieda che questi gli spieghi Gesù, la Sua Parola e lo Spirito che Lo ha generato e che ci avrebbe voluto lasciare.

    Il bambino non ha preconcetti né pregiudizi, di solito ha solo curiosità e tante, tante domande. Qui ce ne sono molte, e molte altre ne nasceranno; lasciamo che sia Giovanni a illuminarci e predisponiamoci ad accogliere, cercando di capirne il senso profondo, le sue parole che, nella loro apparente semplicità, cercano di spiegarci la parte spirituale di noi stessi.

    Il titolo: Yeshu’a è il nome di Gesù nella lingua in cui Egli predicava e Ioannes il nome di Giovanni, il discepolo che Gesù amava, nella lingua in cui Giovanni ha scritto il suo Vangelo.

    Cosa significa Vangelo? Questo vocabolo deriva dal latino cristiano evangelium e dal greco cristiano euangélion dove eu sta per bene, buono e a’nghelos per messaggero. Nel Vangelo riferendosi a Giovanni si dice: Il discepolo che Gesù amava. Perché Gesù ama particolarmente Giovanni?

    Secondo la lettura cristiana, Gesù sicuramente ama tutti i Suoi discepoli e non solo loro; Egli ama tutti gli esseri umani, con l’amore di chi li ha creati e per i quali si è incarnato, si è fatto uomo e si è reso olocausto. Forse Gesù sente per Giovanni un sentimento diverso che va oltre il dono totale di sé?

    Forse Gesù vede in Giovanni colui che sa cogliere appieno il vero e profondo significato della Sua Parola, l’essere umano in grado di tradurre e comunicare il Verbo Divino?

    Forse in questo amare di più c’è anche il conferimento di un mandato Superiore?

    I Vangeli sono classicamente divisi in Sinottici (Matteo, Marco, Luca), che vengono così definiti perché sono conformi a un criterio riassuntivo e schematico che presenta parallelismi e affinità tali che potrebbero essere pubblicati in sinossi, a colonne affiancate, e poi c’è quello di Giovanni che si stacca dagli altri presentandoci episodi originali e diversa cronologia.

    Il primo Vangelo a essere stato scritto è quello di Matteo.

    La prima versione in aramaico è andata distrutta e ci è pervenuta la traduzione greca.

    Il Vangelo di Marco e quello di Luca seguono la traccia del Vangelo di Matteo e vengono scritti da due persone che non facevano parte dei Dodici Apostoli, ma assistevano rispettivamente Pietro e Paolo durante la loro predicazione successiva alla morte di Gesù.

    Pietro era uno dei Dodici, Paolo no, essendosi convertito successivamente (vedi Introduzione alla Bibbia di P. Grelot).

    Il Vangelo di Giovanni, parente di Gesù e testimone diretto della Sua predicazione, è stato scritto dopo gli altri avendo la possibilità di soppesare quanto in essi contenuto. Giovanni è meno interessato alla cronaca e cerca di elevarsi alla ricerca della valenza spirituale di Gesù. Non dimentichiamo che il simbolo di Giovanni è l’aquila e chi vola più alto dell’aquila?

    Se ci siamo chiesti che bisogno ci fosse di un Nuovo Testamento (Vangelo) se l’Antico Testamento (Bibbia Ebraica) aveva rappresentato il canone completo ed esaustivo che regola i rapporti tra uomo e uomo e anche tra l’uomo e il Soprannaturale, forse Giovanni ci può dare degli indizi che conducono a una risposta che abbia un senso logico.

    Lo schema che seguiremo sarà molto semplice: leggeremo passo dopo passo tutto ciò che Giovanni scrive nel suo Vangelo e ci interrogheremo sul senso di ciò che di volta in volta avremo letto. Procedendo nella lettura noteremo che, man mano che il racconto avanza, è possibile comprendere meglio il significato di frasi che compaiono nei primi capitoli e che, di primo acchito, possono apparire oscure.

    Questa è una caratteristica comune alla Torah e che richiede un tipo di approccio che potremmo definire lettura circolare.

    È utile, quasi indispensabile, avere una Bibbia a disposizione, per potere approfondire i passaggi che lo richiedessero e verificare quanto affermato. Prima di iniziare è bene avere un minimo di notizie storico geografiche del periodo e dei luoghi di cui si narra.

    Cenno storico geografico sulla Palestina dell’epoca di Gesù

    Dopo la divisione di Israele avvenuta successivamente alla morte di re Salomone nel X sec. a.C., si erano costituiti due regni, uno a sud, in cui dimoravano le tribù di Giuda e Simeone, definito Regno di Giuda o Regno del Sud, guidato inizialmente da Roboamo, figlio di Salomone, e uno a nord, detto Israele o Regno del Nord, comprendente la Samaria e la Galilea, sede delle altre tribù discendenti da Giacobbe, governato da Geroboamo. In particolare la Galilea era occupata dalle tribù di Zabulon e Neftali (Mt. 4, 12-17).

    La capitale del Regno di Giuda era Gerusalemme, dove Salomone aveva edificato il Tempio dedicato al Dio dei Patriarchi.

    Dopo secoli in cui i due stati si trovavano a volte uno contro l’altro e a volte alleati contro nemici comuni, siamo nella Palestina ebraica, corrispondente grosso modo all’area occupata dall’attuale Stato di Israele. Il trauma dell’esilio babilonese, nel VI secolo avanti Cristo, aveva lasciato segni indelebili nel popolo che la abitava. La fede nel Dio dei Patriarchi e nelle sue leggi non era mutata, ma il popolo era depresso e umiliato perché la sua autonomia era sempre più ridotta. Il potere politico-militare all’epoca era nelle mani dei romani, che con Pompeo conquistarono Israele nel 63 a.C.

    Nel 40 a.C. Erode, detto il Grande (un idumeo, abitante di Edom, località a sud della Giudea, perciò uno straniero), venne nominato da Roma re della Giudea. Questi regnò fino al 4 a.C. lasciando tre figli: Archelao, Antipa e Filippo. Il primogenito Archelao divenne re al posto del padre, mentre gli altri due divennero tetrarchi (il tetrarca era colui che governava la quarta parte di un regno).

    Quindi Erode il Grande, personaggio storico, in realtà morì prima della data, considerata canonica, della nascita di Gesù.

    Il regno di Archelao durò fino al 6 d.C., quando fu spodestato da Roma, che al suo posto insediò un procuratore, Valerio Grato. Erode Antipa era il Tetrarca della Galilea, mentre Erode Filippo quello del territorio comprendente Betania.

    Per Roma la funzione del procuratore era eminentemente amministrativa. Alla fine del lungo mandato di Valerio Grato fu inviato in Giudea Ponzio Pilato come prefetto, una carica che per i Romani aveva prerogative più prettamente militari rispetto a quelle del procuratore. E in effetti Pilato si rivelò uomo inflessibile.

    I rappresentanti di Roma avevano potere civile, militare e giudiziario anche se nella pratica la giustizia veniva lasciata gestire, secondo la Legge Ebraica, dal Sinedrio.

    Dal punto di vista sociale, i contadini e i pastori costituivano la classe più disagiata e lavoravano per i proprietari terrieri.

    Le donne portavano il velo, non avevano diritto allo studio, non partecipavano alla vita pubblica e si sposavano solo col consenso paterno. Alla vita religiosa partecipavano diversi soggetti spesso in conflitto tra loro, indice di deterioramento e divisione interna.

    Il Sinedrio, l’assise suprema ebraica, era composto da 71 uomini provenienti dai Sadducei (ricchi, potenti, integralisti dal punto di vista religioso, che negavano la risurrezione dei morti ed erano collaborazionisti dei romani), gli scribi (chiamati rabbi=maestro, dediti allo studio e all’insegnamento della Torah) e gli anziani (personaggi più ricchi e influenti). Il capo del Sinedrio era il Sommo Sacerdote. Altri gruppi presenti erano i Farisei, custodi del patrimonio culturale (integralisti religiosi che però credevano nella vita dopo la morte, e si opponevano a Sadducei e Romani) e gli Zeloti (religiosi in modo fanatico che si opponevano ai romani con la violenza).

    Vi erano gli Esseni, da asaya che significa medici, perché il loro ministero consisteva nel guarire malattie fisiche e morali.

    Erano uomini celibi, di moralità esemplare, benevoli e pacifici nelle loro relazioni. Si erano ritirati a Qumran, vicino al Mar Morto dove si dedicavano allo studio delle proprietà terapeutiche di piante e animali oltre che alla conservazione e alla riscrittura dei testi della tradizione. Famosi i rotoli trovati nel secolo scorso nelle grotte in cui si rifugiavano. Non vi erano schiavi tra loro e per vivere svolgevano lavori di tessitori, falegnami, vignaioli e agricoltori, mai armaioli o commercianti.

    Per entrare nell’ordine occorreva un noviziato di un anno e quando si erano date prove sufficienti di trasparenza, si era ammessi alle abluzioni. Altri due anni erano necessari per essere accolti nella confraternita: allora soltanto si poteva prendere parte alla mensa comune, che si celebrava solennemente e costituiva un vero e proprio rito cui partecipavano con vesti appropriate. Praticavano il battesimo con una cerimonia che si svolgeva ogni cinque anni a Qumran.

    Si opponevano ai sommi sacerdoti del Tempio di Gerusalemme, auspicando un ritorno alla purezza della religione. Alcuni ritengono che Giovanni Battista e forse Gesù stesso avessero avuto contatti con loro.

    Vi erano anche i Samaritani che facevano sacrifici sul monte Garizim della loro regione situata tra la Giudea a sud e la Galilea a Nord, e non a Gerusalemme. Culturalmente, infatti, era ancora molto viva l’influenza ellenica sviluppatasi a partire dal III secolo a.C. dopo che nel 332 a.C. Alessandro occupò la Palestina. Egli lasciò libertà di culto e concesse ai Samaritani di mantenere il loro tempio sul monte Garizim; ciò portò allo scisma della Samaria. Dopo la scomparsa di Alessandro, la Giudea fu controllata dai Tolomei (o Lagidi, dal nome Lago, padre di Tolomeo) che proseguirono la politica del predecessore. Giovanni utilizza proprio il greco come lingua per il suo Vangelo e sicuramente oltre che alla lingua greca l’evangelista è sensibile anche alla cultura e alla filosofia greche. Mentre la simbologia, molto importante in questo vangelo, affonda le sue radici nella cultura Egiziana soprattutto per ciò che attiene ai numeri.

    Giovanni 1

    In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio,

    il Verbo era Dio

    Gv. 1,1

    Giovanni, a differenza di Matteo e Luca, non si preoccupa di spiegarci come Gesù è fisicamente stato concepito, ma cerca di spiegare il senso della Sua Parola e il perché della Sua venuta.

    Verbo è la traduzione del vocabolo greco Logos (λόγος) usato dall’autore nel testo originale.

    In greco logos significa parola così come si articola nel discorso e quindi anche il pensiero che si esprime attraverso la parola stessa. Eraclito però, cinque secoli prima che Giovanni scrivesse queste righe, aveva introdotto il concetto di logos come principio universale di razionalità, la ratio legge di armonia.

    È possibile che con un unico vocabolo Giovanni voglia comprendere entrambi i significati?

    Se infatti Giovanni avesse voluto limitarsi al suono emesso da Dio all’atto della creazione avrebbe usato il termine greco fonema ώυημα). In questa accezione Logos potrebbe significare sia lo strumento usato da Dio per la creazione, sia la Parola di Gesù che si identifica con Gesù stesso, sia, infine, la legge che governa il creato, diciamo la matematica, la fisica, la chimica dell’universo (che sarebbe, pur sempre, espressione di Dio).

    Per esprimere il concetto enunciato da Giovanni, però, molti avrebbero rovesciato la frase scrivendo: in principio era Dio, Dio attuava ciò che voleva attraverso il Logos, Dio era il Logos.

    Perché Giovanni mette Logos prima di Dio?

    Poteva Giovanni pensare che durante l’evoluzione della vita nell’universo fosse, a un certo punto, comparsa la possibilità di comunicazione tra gli esseri viventi e da questa comunicazione fosse nata la ricerca della ratio che governa il tutto, definita Dio?

    Quindi è l’uomo che sente la necessità di creare Dio o è Dio che fa sorgere il bisogno di questo rapporto?

    Giovanni ripete Logos, tradotto Verbo, 3 volte e noteremo che il numero 3, oltre a sottolineare l’importanza del concetto espresso, sarà costantemente accostato a Gesù, diventandone quasi simbolo.

    Ciò che risulterà chiaro attraverso la lettura del Vangelo di Giovanni è che ogni parola, frase e numero ha un senso che va oltre quello comunemente attribuito loro.

    Egli era in principio presso Dio.

    Tutto è stato fatto per mezzo di Lui e

    senza di Lui nulla è stato fatto di tutto ciò che esiste

    Gv. 1, 2-3

    Usando Egli, il traduttore indica nel Logos una individualità, avente un contorno proprio, che Si colloca accanto a Dio.

    Le prime parole del Vangelo di Giovanni tendono a definire il rapporto tra Gesù e il Dio della tradizione Giudaica come descritto nella Torah. Si rende perciò necessario un rimando al brano della Torah stessa che ci consenta di seguire il pensiero di Giovanni.

    La Torah è la parte della Bibbia Ebraica che comprende i primi cinque libri: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio.

    (Ricordiamo che il primo libro che in italiano viene definito Libro della Genesi, nella Torah è detto Bereshit ossia Inizio).

    Se analizziamo il brano di Genesi 1, 3-5, di seguito riportato, vediamo che, all’atto della creazione, Dio disse: sia la luce.

    Per creare la luce, l’elemento determinante è stata sia la parola (disse), sia la regola, che, in questo caso, consiste nel separare la luce dalle tenebre. Il brano recita:

    Dio disse: sia la luce e la luce fu.

    Dio vide che la luce era cosa buona

    e la separò dalle tenebre

    e chiamò la luce Giorno e le tenebre Notte.

    E fu sera e fu mattina: primo giorno".

    Gn¹. 1, 3-5

    Giovanni conclude dicendo che tutto è stato creato per mezzo del Logos!

    In Lui era la vita e la vita era luce degli uomini

    Gv. 1, 4

    Dio/Legge/Verbo è la vita, in quanto vivente in Sé, Io sono colui che sono (Es². 3, 14) e in quanto generatore di vita, di tutte le forme di vita.

    Facciamo una digressione per approfondire il concetto di vita.

    Quando l’essere umano (Adam), abitante del pianeta Terra (Adamà in aramaico), pensa al concetto di vita, pensa a sé e ciò che, in grado di riprodursi, lui conosce. Il concetto di vivo andrebbe però esteso a tutto ciò che si modifica. Oggi, a differenza di 2000 anni fa, sappiamo che il nostro pianeta, il sistema solare, la nostra galassia e l’universo possono essere considerati vivi, in quanto la loro sussistenza è frutto di delicati equilibri che, se alterati, ne possono determinare la scomparsa.

    Questi equilibri rispondono e corrispondono alla Legge che li governa e che, ancora oggi, solo in parte conosciamo.

    Abbiamo visto che in Gn. 1, 3-5, dopo avere detto sia la luce Dio la separa dalle tenebre.

    Le tenebre, al contrario della luce, non sono state generate, quindi non corrispondono al concetto di vivo e possono essere assimilate alla morte. Dio infatti dice che la luce è buona e la separa dalle tenebre, ma non dice nulla delle tenebre, che di conseguenza non possiamo considerare buone. La luce è ciò che consente di vedere il creato e, attraverso di esso, immaginare il Creatore e le Sue Leggi.

    Quando Giovanni dice la vita era luce degli uomini, possiamo intendere che la Legge/Verbo racchiude in sé il concetto di vita che, trasferito all’Adam, gli dà non solo la possibilità di vivere, ma anche quella di capire il senso della sua esistenza sulla Terra/Adamà?

    È fondamentale chiarire questo secondo livello di concetto di vita e di vivente.

    Abbiamo detto che tutto, a suo modo vive, ma Gesù per trasmettere la Sua Parola non si è fatto animale, né pianta, né pietra, ma si è fatto Uomo, perché questi è il solo essere che non vive solo secondo la Legge o le leggi che regolano l’universo mondo, ma è anche in grado di scegliere, e una scelta errata può compromettere irrimediabilmente il grande dono di cui dispone: nascere ed essere dotato di libero arbitrio.

    Una scelta errata può trasformare questo mondo meraviglioso, questo potenziale paradiso, in un peso insostenibile, un inferno senza rimedio. L’uomo spesso non riesce a mettere a fuoco la semplice strada verso la serenità e l’equilibrio, venendo travolto da falsi valori, da falsi dei.

    Giovanni vuole affermare che venendo tra noi Gesù, ci illumina la via?

    Sta a noi, se vogliamo e possiamo, capirne il messaggio e farlo nostro?

    la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta

    Gv. 1, 5

    Dai brevi cenni storici riportati risulta che il popolo Ebraico già da tempo è inaridito dalle invasioni e umiliazioni che ha dovuto subire: la deportazione a Babilonia, l’invasione ellenica non solo militare, ma anche culturale e, all’epoca di Gesù, il suolo sacro di Gerusalemme e di tutto Israele calpestato dalle caligae, i robusti sandali chiodati dei sodati romani. Tutto ciò crea il bisogno di una speranza nuova, di qualcosa che possa risollevare gli spiriti spenti soprattutto dei più umili.

    La frase di Gv. 1,5 va perciò letta tenendo anche conto del contesto di confusione nell’ambito della guida religiosa e spirituale del mondo ebraico che gli eventi storico/culturali avevano determinato.

    Usando tuttavia tenebre e non l’hanno accolta Giovanni è perentorio: Gesù rappresenterebbe un modo diverso, se vogliamo nuovo, di porsi nei confronti della vita affinché la vita abbia un senso, ma le tenebre che rappresentano il non bene, il nulla, non si lasciano scalfire.

    Sembra di cogliere un profondo pessimismo in questo pensiero, perché non si dice: solo pochi si lasciarono illuminare.

    Vuole dire che nessuno ha compreso il messaggio di Gesù, quindi anche i Suoi discepoli?

    Oppure che la Sua parola ha potuto essere colta solo da chi era già, in qualche maniera, nella luce?

    Nella seconda ipotesi quale sarebbe il modo di essere, di vivere, di pensare di coloro che possono recepire Gesù, fondersi in Lui, portarLo in sé?

    Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era

    Giovanni

    Gv. 1, 6

    Giovanni il Battista, da non confondere col nostro evangelista, fu partorito da Elisabetta, parente della Madre di Gesù, quando era ormai da anni sterile.

    L’una donna sterile, l’altra vergine, entrambe madri per volere divino. Giovanni il Battista non è un angelo, un messaggero di Dio, ma è un uomo mandato da Dio. È interessante notare che sia colui che annuncia la venuta di Gesù, Giovanni Battista, sia colui che ce lo racconta e spiega, Giovanni Evangelista, abbiano lo stesso nome che significa dono del Signore.

    Egli venne come testimone per rendere testimonianza alla luce,

    perché tutti credessero per mezzo di lui.

    Egli non era la luce,

    ma doveva rendere testimonianza alla luce

    Gv. 1, 7-8

    Luce viene ripetuta tre volte e quindi, per il nostro evangelista Gesù è la vera luce e Giovanni Battista è il testimone che lo conferma svolgendo una funzione fondamentale in quanto, per la legge ebraica occorrevano due testimoni affinché un fatto fosse ritenuto vero.

    Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo.

    Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui,

    eppure il mondo non lo riconobbe.

    Venne tra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto

    Gv. 1, 9-11

    Il Verbo che illumina ogni singolo uomo, quindi a qualunque popolo egli appartenga, fu, in quei giorni, fisicamente presente nel mondo. Eppure il mondo, creato per mezzo di quell’atto d’Amore che il Verbo ci racconta, non è stato in grado di cogliere il senso della Sua Parola. Egli venne proprio tra la gente di quel popolo prescelto da Dio, ma i Suoi stessi connazionali e correligionari non accolsero il Suo messaggio. Gesù fu respinto perché le Sue parole non erano conformi alla Torah o perché potevano costituire una turbativa per la classe dirigente politico-religiosa?

    A quanti però l’hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio:

    a quelli che credono nel suo nome,

    i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati

    Gv. 1, 12-13

    Quindi qualcuno ha accolto il Verbo portato da Gesù. Il pensiero non può che ritornare al commento del versetto Gv.1, 5 e abbiamo la conferma della validità della seconda ipotesi e cioè che Giovanni ritiene che alcuni sono stati in grado di ricevere e capire la Parola, tanto da potersi considerare fratelli di Gesù e figli di Suo Padre.

    In cosa si differenziavano costoro da coloro che sono rimasti nelle tenebre, se non per la loro valenza spirituale, poiché i loro cromosomi in nulla differivano da quelli di chi non l’ha accolto, o no?

    In questo passaggio si sottolinea la differenza tra coloro che accolgono dentro di sé l’insegnamento spirituale di Gesù e coloro cui, per testimoniare la propria Alleanza con Dio, era richiesto, nel rispetto della Legge Mosaica, di compiere sacrifici durante i quali veniva sparso sangue e la carne della vittima veniva consumata col fuoco.

    Era inoltre, ed è tuttora, indispensabile la volontà umana anche per mantenere una riconoscibilità fisica, in quanto ai discendenti di Abramo è fatto obbligo di circoncidersi e di maritarsi solo con donne di Israele, consentendo una selezione e una tracciabilità genetica di cui è l’uomo stesso appartenente a questo popolo a farsi garante.

    Non da volere d’uomo invece indica che nessun atto fisico che venga dall’Adam, compresa la ritualità, può avvicinare questi al Dio Padre di Gesù. Quindi potremmo concludere che in coloro che sono in grado di ricevere la luce è già preesistente in embrione quello stesso Spirito che ha generato Gesù?

    Una domanda conseguente potrebbe essere: tutti coloro che si proclamano cristiani hanno in sé quel seme d’amore che proviene direttamente dallo Spirito e sono in grado di comprendere e fare proprio il Suo messaggio?

    E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria,

    gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità.

    Giovanni gli rende testimonianza e grida:

    "Ecco l’uomo di cui dissi:

    Colui che viene dopo di me mi è passato avanti, perché era prima di me"

    Gv. 1, 14-15

    Alcuni traducono non in mezzo a noi, ma in noi intendendo proprio dentro di noi.

    Giovanni approfondisce il carattere del rapporto tra chi ha accolto il Verbo da un lato e Gesù e Suo Padre dall’altro.

    Queste righe contengono un passaggio fondamentale per comprendere il Vangelo di Giovanni e forniscono una chiave interpretativa della Torah che consente di renderne comprensibili e logici passaggi che altrimenti apparirebbero oscuri e privi di ratio per la mente umana.

    Noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e verità: se possiamo intendere come Gloria lo Spirito e l’Essenza, Giovanni considera Gesù come l’unico generato da Dio che condensa in sé tutta la Grazia e la Verità di Dio.

    Quindi la kenosi di Dio in Gesù, il trasferimento della Gloria di Dio in Gesù è totale per ciò che attiene alla Grazia e alla Verità. Per queste caratteristiche Gesù è unico, l’unico a essere totalmente ricolmo di esse. Ciò tuttavia non vuole dire che Gesù è l’unico figlio generato dall’Altissimo, ma è l’unico che esprime totalmente la Grazia e la Verità del Padre.

    A questo proposito è utile sapere che verità in ebraico si scrive emet (אמת); se

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