Romanzo diffuso e agenzie letterarie
Di Ezio Saia
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Romanzo diffuso e agenzie letterarie - Ezio Saia
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Altre Vie - Per il nuovo romanzo diffuso
Una agenzia letteraria nella sua recensione mi accusa di voler raccontare tutto. La realtà italiana, quella americana, la storia degli esuli, la realtà ebrea. Tutto
dice proprio tutto.
In realtà racconto molto di più e raccontavo molto, molto di più nella prima versione di circa mille cartelle, poi snaturata dai tagli, dai tagli, dai tagli che l’hanno non solo mutilato, ma hanno tradito il progetto letterario originario. Ora non è più lo stesso romanzo, ma anche se ormai non corrisponde più al mio progetto, e riconosco a stento come mio, è ancora troppo per loro.
Ebbene il mio è un programma del tutto innovativo di scrivere un romanzo, un programma che indica una delle possibili vie per salvare una forma letteraria ormai stanca, volgare, sfilacciata. Il progetto di un romanzo che indico, provvisoriamente, come Romanzo Diffuso.
Che un romanzo debba essere diffuso e non raccontare solo le pieghe del proprio ombelico, o il foro di una pallottola, il cui eco telefonico ha svegliato il solito commissario destinato a risolvere tutto, mi pare una necessità salvifica. Un romanzo sufficientemente elaborato e complesso che cerchi di cogliere la realtà nelle sue articolazioni, nelle sue differenze, nei pregiudizi e nelle teorie che, più o meno consapevolmente, la impregnano, mi pare ormai un’esigenza artistica e letteraria.
Ovviamente non si può raccontare tutto
ma la sforzo dev’esserci, come deve esserci nell’autore la cultura per poterlo fare. Lo dico anche come lettore ostinato, che, ormai, assediato da romanzetti scritti coi piedi, anzi con un piede solo, quello sinistro, da romanzetti di attori, attricette, attricione, giornalisti, professoroni, presentatrici tivù, giallisti veri o improbabili, libri di cuore, di buonismo, di pentimento, romanzoni storici o giudiziari, non riesce più a trovare nulla da leggere e, di conseguenza, da anni non compra più libri, da anni non entra più nelle librerie, da anni non legge più.
Il livello letterario artistico musicale fa schifo tanto s’è rifugiato non sotto l’intero cielo ma sotto la cupola dell’ignavia, dell’impotenza. Senza pilastri duraturi robusti il mondo dei libri muore sepolto da una costrittiva e ignorante asfittica selezione che è prima di ogni cosa politica non nel senso meschino ma nel suo senso più culturale.
Io che, anche in campeggio, anche in viaggio studiavo o leggevo. Una leggite onnivora: più fantascienza che thriller, che fantasy, tanta narrativa contemporanea, del settecento, dell’ottocento e tanta, tanta filosofia, logica e linguistica; tanta scienza e tecnologia.
Oggi la narrativa è scomparsa. La stessa situazione sta succedendo con la musica. Se non esistesse la musica dei secoli passati, da Monteverdi e Palestrina all’ultimo Stravinskij dodecafonico non sentirei più musica. Le canzonette mi fanno orrore: sono troppo semplici banali, brevi, a paragone delle grandi opere liriche, dei grandi requiem, alle grandi sinfonie. Vale di più un solo tempo della sesta, della settima di Beethoven, che tutte le canzonette, rock compreso, prodotte degli ultimi cinquant’anni. Ho citato Beethoven, come esempio ma mi riferisco all’enorme quantità di ottima musica composta da Palestrina allo Stravinskij dodecafonico.
Lo stesso per i romanzi dei contemporanei. Sono entusiasta, ad esempio di De Lillo, (Le ultime duecento pagine di Underworld, e Rumore bianco) o dell’ultimo incompiuto romanzo di Wallace e di pochi altri.
Il resto? Romanzi corti, chiusi, senza respiro interessati solo alla trama veloce, al fiato sospeso, al lieto fine e, oltretutto, mal scritti. Il che non stupisce con le agenzie che non fanno che dire taglia, taglia, taglia, e ancora taglia, taglia, taglia. Arriva in esame la Commedia di un certo Alighieri e loro: Buon stile, ma troppi personaggi, troppi, troppi, due tre al massimo Dante, la donna, l’accompagnatore e basta, altrimenti il lettore si perde, e poi tagli, tagli, tagli: l’Inferno è più che sufficiente e approfondisca la psicologia del protagonista che sembra uno sbalordito pesce fuor d’acqua; ma soprattutto rifare e tagliare.
Arriva un certo Guerra e Pace di un certo Tolstoj. Non riesco neppure ad aprire il suo romanzo quando leggo il numero delle pagine. Non perdiamo tempo signor Lev: Tagliare, tagliare, tagliare! Che ci fanno tutti quei personaggi? E quel Napoleone, chi è?
L’ignoranza di questi consulenti d’agenzia è abissale. La loro formazione umanistica e radical chic permette di vedere solo una parte del mondo, quello sotto la cupola dell’egemonia culturale della sinistra. La cupola che li tiene al calduccio nella loro tana gli ignoranti che si riparano sotto e continua a sussurrare:
Voi Siete belli intelligenti, generosi e colti
Voi Siete belli intelligenti, generosi e colti
Gli altri sono brutti, incolti, cattivi.
Statevene tranquilli sotto la vostra resistente e comoda cupola dove tutti vi danno ragione.
Banalità e orizzonte del cielo
Ormai è evidente che esiste una nicchia di lettori che rifiuta la banalità, le aperture tipo Il trillo del telefono svegliò e il commissario, ancora in coma, udì che era stato trovato il corpo di una cinquantenne uccisa con un colpo alla testa…
e via di questo passo. Esiste un mercato al di fuori della banalità, del tagliare, tagliare, tagliare, del corto, del semplice, degli ombelichi? Un campo che abbracci la complessità di una cultura, non limitata a quella puramente umanistica, ma che comprende la matematica, la meccanica, e, in generale, ad esempio, l’arte di trasformare le indicazioni di una serie di disegni, in un manufatto, elettrico, elettronico, meccanico? Certo che esistono! Come esiste una cultura più ampia e articolata, una nicchia di complessità che corrisponde in campo musicale alle sinfonie, alle opere.
Contemporaneamente, risulta paradossale, anche solo dopo un breve escursus, tanto nella cultura che nell’arte contemporanea, l’enorme produzioni di saggi inutili, di relazioni inutili, di trattati inutili, che proprio in questa inutile ovvietà, in quel pigro girovagare nel già detto, nel rimasticare il già detto, manifestano la loro impotente infertilità. Il numero di pubblicazioni, relazioni, articoli prodotti da quel marcescente truogolo che è l’università umanistica, sociologica, politologica, psicologica, soprattutto italiana, è stupefacente. Le cose non vanno meglio in altri campi: gli articoli degli esperti, di quelli cui l’impaziente lotta contro le elite, irride col titolo di Professoroni, sui giornali sono superficiali, non argomentativi, improduttivi, vergognosi.
Anche in letteratura i professoroni hanno sempre dominato. Gli scrittori fanno la fame e loro, scrivendo inutili saggi sugli scrittori, banchettano sulle loro carni come cimici infestate da parassiti.
Si buttano, si affannano, divorano grandi e medi scrittori, li spiegano, ne fanno analisi, pubblicazioni, ne fanno burocrazia, mestiere cibo, aragoste, ci pasteggiano, criticano la critica altrui, la discutono, la stroncano, si accusano, ne fanno un mestiere, e con quegli elaborati costruiscono posti, carriere, stipendi, potere. Ogni scrittore, ogni romanzo, pilastro
diventa la torta con una miriade di mosche di bruchi, di parassiti che su quelle torte, in quel trogolo, sguazzano, duellano fra loro, conquistano posizioni, costruiscono carriere nelle università, nelle scuole inferiori, nei giornali, istituiscono nuove discipline, nuove cattedre, sempre nuove cattedre. E così avviene con i pittori, vicini e lontani, con i compositori di musica, con i filosofi, con le poche idee sociologiche, psicologiche con gli eventi politici, coi loro protagonisti: una valanga inesauribile di specializzazioni, di posti statali e privati che producono il nulla. Sono i nuovi ANGIOLOGI, i nuovi predicatori del sesso degli angeli, della natura di Maria, i nuovi coltivatori, concimatori, che inquinano il terreno e soffocano i virgulti dei nuovi nascenti narratori, che vogliono banali come loro, parassiti come loro, inutili come loro, scavando fossati, elevando barrire e architetture, tutti agganciati alla grande mucca dalle mille mammelle, alla grande cupola dell’egemonia culturale della sinistra che protegge il loro nulla.
E’ l’impronta culturale del nuovo tempo di cui ho già parlato in cui non fioriscono i nuovi Verdi, i nuovi Mascagni i nuovi Beethoven, ma i registi, i regi-star che registano
le opere di Verdi di Puccini di Mascagni, i Nuovi direttori di orchestra, i Directstar, che guidano orchestre e cantanti ma non sono gli uni e gli altri, capaci di cavare dal loro deserto interiore neppure qualche riga di composizione, qualche atto di commedia o tragedia decente. Non solo non producono nulla ma favoriscono i parassiti, gli imbroglioni come loro: quelli che appendono una banana al muro e quelli che l’onorano come opera d’arte. Tutti fanno parte del gran calderone dell’egemonia culturale di sinistra ai quali le banane onorate come opera d’arte non danno fastidio e ritengono buona cosa l’avvento di queste nuove deità che non disturbano il loro banchetto.
Ci sono romanzi e romanzi
Sono stati scritti nel secolo scorso grandi romanzi che hanno ottenuto successo di pubblico e critica (parlo ad esempio de Il Maestro e Margherita, del Tamburo di latta, di Cent’anni di solitudine) e accanto a questi altri grandi romanzi, più controversi, più lunghi, più accidentati, complessi, meno lineari, come L’uomo senza qualità e Ulisse, che richiedevano al lettore una maggior partecipazione e un maggior impegno, ripagandolo ampiamente, alla fine, per questo sforzo.
Oggi nessuno dei due romanzi citati troverebbe un editore. Lo sforzo letterario innovativo di questi testi non ha avuto purtroppo seguito. E’ mancato il coraggio; sono mancate fantasia e la voglia di sperimentare per giungere ad altre verità umanistiche
Coraggio e fantasie che non sono mancate alla pittura, ad esempio, che da Picasso in poi ha intrapreso vie che ai benpensanti, alla buona società civile, agli utenti di allora apparivano repellenti. Lo stesso accadde con la scultura e la musica, che con l’atonalità prima e con la dodecafonia ha prodotto capolavori come il Woyzeck è Mosè e Aronne.
Nessun romanziere, purtroppo si è più inoltrato lungo quei sentieri o la società letteraria ha imposto la sua censura. Anche se tutti convengono che ciò che può dare un ad esempio la sesta sinfonia non può darlo nessuna canzone, per la letteratura vanno i romanzetti. Così il pur bello ma zuccheroso Cent’anni di solitudine non ci dà, almeno a mio avviso, un lascito così grande come ci hanno lasciato romanzi come Guerra e Pace, come Ulisse, come L’uomo senza qualità. Il primo è un romanzo diffuso senza pari nella capacità di domare i personaggi e le loro relazioni, il secondo è un romanzo enciclopedico dove la molteplicità dei rimandi e degli stili, riesce a dare l’idea della complessità della natura umana, il terzo fa della cultura e del suo articolarsi nella società il vero, poetico, protagonista del romanzo. L’unico tentativo, non portato a termine ma meditato e perseguito con tenacia, è il Bouvard e Pecuchet, di Flaubert cui protagonisti vengono irrisi nella Nausea di Sartre. Ma il grande romanzo in cui la cultura di un’epoca si dispiega senza timore, non è la Commedia di Dante?
Con queste poche righe ho già anticipato le mie idee sul romanzo. Non solo le mie ma quelle di una folta nicchia che chiede visibilità, e di un folto gruppo di lettori che rifiutano l’equivalente letterario delle canzonette.
Come siamo arrivati a questo punto? Per illustrare il lungo processo, è necessario sgombrare il campo da certi elitarismi crudeli e superficiali che inquinano e falsificano i nostri gusti. Ripulire il cielo dall’oscurità dei pregiudizi morali. Sarà una prima apertura nel cielo della letteratura, piccola ma importante. La stessa che mi fa pensare Wagner sarà pur stato un razzista vergognoso ma non rinuncio certo per questo motivo ad ascoltare la sua musica. Ascoltandolo e godendone non condivido certo il suo razzismo. Sarei piccolo moralistico, ignorante censore, se avessi il comportamento opposto.
Liberazione di uno spicchio di cielo
Partiamo per esempio da Celine ma potremmo partire da Ezra Pound, da Wagner, addirittura da Puccini, dal pittore Sironi (il pittore italiano preferito da Picasso) e in genere da tutti coloro che subirono ostracismi per la loro adesione al fascismo.
Esiste addirittura un movimento che vorrebbe abbattere, in America, le statue del generali sudisti e in Italia, ogni scritta, ogni monumento, ogni traccia del fascismo, rendendo la loro già minima comprensione del mondo ancora più piccola.
Non voglio neppure parlare delle tendenze politiche di Celine ma non mi sogno neppure di soggiacere ai dettami morali di tanti idioti perbenisti che sicuramente non amano il suo libro e che quasi sicuramente non lo hanno letto. Anche questo è uno dei tanti pessimi aspetti della cultura della società civile che ha mille sfaccettature. Citano e plaudono, a Chomsky per