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Giosuè in Italia
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E-book171 pagine2 ore

Giosuè in Italia

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Info su questo ebook

Tignoso,

egoista, ateo fin dalla tenera età, s'innamora della sua religiosissima

professoressa d'inglese con la quale intraprende una rovente storia

d'amore. Da lei, dalla nonna, dal padre, dai cugini, pigri anarchici la

cui sorella, Chela, è fuggita in America a far la rivoluzione col Che,

dalle letture, s'impadronisce di una vasta, frammentata cultura.

Diventato giornalista, dopo la fine della sua storia d'amore, parte per

li Cifas. come inviato, alla finta ricerca dei parenti, approdati là

seguendo le orme della Chela
LinguaItaliano
Data di uscita9 apr 2021
ISBN9791220323123
Giosuè in Italia

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    Anteprima del libro

    Giosuè in Italia - Ezio Saia

    info@youcanprint.it

    La giovinezzza

    Vita all’asilo

    Fin dal primo giorno Giosuè fu presente al catechismo di suor Ermengarda che, alta, diritta, severa domava la sregolata marmaglia, disponendola in circolo nella sala più grande. La sala terminava con un gran semicerchio e solenni finestre sormontate da archi che si spingevano fino al soffitto. Tanto grandiose che il lillipuziano Giosuè, in piedi, al centro del cerchio, vedeva il parco, il gioco da bocce e, oltre la cinta, il campanile e le lontane montagne.

    Lungo quel circolo stavano i piccoli banchi dei bimbi sfrenati mentre al centro stava suor Ermengarda che, fin dal suo primo apparire, domò la scomposta feccia col fuoco degli occhi. Diceva: «Seduti!» e la feccia vigliacca s’accucciava in silenzio, ogni bimbo al suo banco. Così l’agglomerato pestifero di piccole belve, ridotte a pecore vili e meschine, ascoltava suor Ermengarda che parlava di Dio.

    Dalla sua voce Giosuè imparò il catechismo e la Bibbia. «Genesi, Esodo, Levitico, Numeri» recitava tonante suor Ermengarda «Giudici, Deuteronomio, Giosuè, Ruth, Primo Re, Secondo Re, Terzo Re, Quarto Re, Primo Paralipomeni, Secondo Paralipomeni, Primo Esdra, Secondo Esdra, Tobia, Giuditta, Ester, primo Maccabei secondo Maccabei Giobbe e Salmi, e tutti i bimbi ripetevano a turno ma Giosuè non riferisce neppure quali spropositi uscivano dalle bocche di quei poveri scemi, capaci solo di sporcarsi come maiali, ridere, piangere, bagnarsi le brache, infilare un dito nel naso e succhiare quel dito.

    Giosuè si chiedeva perché non riuscissero a pronunciare ‘Paralipomeni’, perché ridacchiassero a sentire il nome di ‘Ruth’, perché confondessero Esdra con Ester, perché riuscissero solo a strillare, rugnare, ridere e parlare di ‘pappa’ e di ‘bombo’, di ‘pipì’ e ‘pupù’, mentre solo Giosuè declamava solenne i libri e i profeti: Proverbi, Sapienza, Ecclesiastico, Baruch, Daniele, Ezechiele, Osea, Ioele, Amos, Abdia, Giona, Michea, Nahum Habacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria e Cantico dei Cantici.

    Giosuè, accettato all’asilo nonostante i suoi brufoli, fu subito messo da parte. Questo non dispiacque a Giosuè ché, anzi, fin dal primo e isterico giorno d’asilo, disprezzò quei fifoni rugnanti che volevano mamma, si aggrappavano a mamma e facevan cagnara disubbidendo alle suore, prendendosi a calci e prendendole a calci.

    Suor Eugenia sorvegliava quei bimbi e doveva spesso sgridarli, perché, santo cielo, dopo aver detto e ridetto: «Mettetevi in fila, aprite la valvola, prendete il sapone, bagnate le mani, insaponate le mani, risciacquate le mani, asciugate le mani», doveva correre fra quei tre rubinetti perché il primo non rimboccava, il secondo annaffiava i vestiti, il terzo annaffiava il secondo e così quei gaglioffi, che prima ridevano e urlavano come baluba, alla fine si mettevano a piangere e la suora accorreva per dire «Povero caro! ».

    Questo Giosuè lo capiva perché i gaglioffi rompevano i timpani ma non che la suora facesse le coccole sbaciucchiandoli a destra e a sinistra.

    Giosuè esecrava in silenzio che esseri come le suore sbracassero in quella maniera. Esecrava che fossero fatte - non certo suor Ermengarda - di pasta tanto plebea. Esecrava che, quando un qualsiasi acefalo importunava una volta, un’altra, una terza, suor Eugenia, in nome di una seria statura morale, non afferrasse con una mano quel bimbo e rifilasse uno schiaffone con l’altra. Ma Eugenia era com’era e Giosuè non poteva certo approvare quell’abbandono dell’etica, quel cedimento morale che permetteva al bimbo di fare l’idiota e alla suora di curare l’idiota.

    Così quella suora non avrebbe dovuto sgridare Giosuè quando rifilava qualche sacro ceffone allorché, messosi in fila, svolgeva i suoi compiti con decenza e decoro, non rifilava calci e spintoni, ma neppure li accettava senza fiatare. Perché non capiva che Giosuè collaborava con lei per la dignità dell’asilo? Perché non vedeva quanto Giosuè aspettasse con santa pazienza il suo turno e, senza bagnare, compisse le dovute abluzioni, passando da un’insaponatura completa, a un risciacquo abbondante per, infine, nettarsi con uno straccio ormai lurido dei letami dei bimbi?

    Eugenia diceva ‘Bravo’ a Giosuè, quando, al termine di un’abluzione esemplare, mostrava le mani, sulle palme e sul dorso, ma sgridava quello stesso Giosuè quando, scalciato, rispondeva scalciando. Allora quell’Eugenia plebea dimenticava quei ‘bravo’ e anzi, coccolando il selvaggio, gli diceva «Stai bravo, ecco un bel bombo» regalando davvero un bombo a quel bimbo che pappava quel bombo alla faccia del mondo, della stupida suora e dell’innocente Giosuè che, pigliatosi il calcio, si mangiava la bile, mentre il bimbo, rifilato quel calcio, si mangiava quel bombo.

    Deprecava, Giosuè, che nei cessi la teppaglia la facesse al’esterno del buco, e, non contenta, cadesse in quel buco e, non contenta, si riempisse di cacca, per poi mettersi a piangere e invocare la suora che accorreva a salvare quell’ebete, a rincuorare quell’anima, come se fosse impossibile mettersi in posa e restarci invece di alzarsi, girarsi, toccarsi e lasciarne da tutte le parti. Deprecava, Giosuè, che quella suora ordinaria accompagnasse le pesti fuori del bagno, prendesse uno straccio - sempre lo stesso - e, dopo averlo inzuppato, pulisse i culetti, controllando la cacca e addirittura assaggiandola, per poi assolvere con buffetto affettuoso il caccatore di turno e, col sorriso e un «Avanti!», avviare la peste seguente, la cacca seguente.

    Giosuè non volle mai accennare come nel suo bagno di casa, sgrossasse con la carta la cacca, per poi farsi il bidè con acqua e sapone, come conviene a un bimbo civile e non a quei barbari e a quella porcacciona di suora, ma ribadì di rifiutare lo straccio e di volerne uno nuovo. Un nulla secondo Giosuè, ma un obbrobrio per quella suora plebea che gli assaggiava la cacca e dava un giudizio, che Giosuè, per decenza, non vuole ripetere. Ma tant’è, pensava Giosuè, c’era pur un motivo se Ermengarda declamava i profeti e Eugenia puliva le cacche.

    E così da quel giorno Giosuè portò da casa il suo straccio con cui si nettava e puliva per poi nasconderlo in un sacchetto di nylon in cartella e farlo lavare. Ma la cosa creò un’inimicizia profonda tra Giosuè e quella suora indecente che continuò a pulire, annusare, assaggiare la cacca di tutti ma non di Giosuè che rifiutava tanto lo straccio che l’esame del gusto dal quale forse la suora, nella sua indegna ignoranza, rintracciava essenze sulfuree o tracce di demoni.

    Ciò nonostante Giosuè non può che concludere che fu molto felice all’asilo; correva in cortile, correva nel campo da bocce, saliva sui piccoli platani, scavava, sradicava gramigna, cantava nel coro, recitava con tutti preghiere e, da solo, i profeti. I nomi di Genesi Esodo Levitico Numeri Giosuè e quelli di Isaia, Geremia e Giona, risuonavano nel grande stanzone mentre l’agglomerato taceva e sentiva Giosuè declamare i profeti guardando verso suor Ermengarda che mandava lampi d’orgoglio.

    Poi continuava, Giosuè, con le corse in giardino e coi giochi nell’aula, dove, conscio dei bubboni del volto, appartato in un angolo, osservava il flusso del mondo, le bave dei bimbi e i loro disastri.

    Benché Giosuè li evitasse e si tenesse lontano, i ragazzi non sempre lo lasciavano in pace. Lui, nel suo angolo, tutto voleva tranne che sentirsi toccato da loro che, perversi com’erano, cercavano invece Giosuè.

    Così, all’improvviso, Giosuè veniva visto, raggiunto, scrutato, interrogato nella lingua ostrogota dei bimbi che volevano macellare i suoi occhi, strizzargli i bubboni, prenderlo a calci e, alla fine, mettersi a piangere quando Giosuè rispondeva ai calci coi calci e, in nome di un’etica biblica, assumeva un aspetto diabolico. Gonfiava il collo, Giosuè, gonfiava le vene, digrignava i canini e tratteneva il respiro, fino a che il sangue affluiva colorando di rosso carminio la faccia, le gote, le vene e le pustole. Poi ringhiava rabbioso, Giosuè, aprendo e chiudendo le fauci, per spaventare la feccia e tenerla lontana.

    Un fatto vuol citare Giosuè. Accadde, alla fine dei suoi anni d’Asilo, che si perse Graziano, un gran prepotente che detestava Giosuè che detestava Graziano. All’appello, dopo l’ora di giochi e balocchi, Graziano mancava e allora la suora si mise a cercare Graziano e a chiamare «Grazianoo!... Grazianoo!» assieme a tutte le pesti mentre Giosuè rimaneva tranquillo nel suo solito angolo, finché la suora non disse «Giosuè cerca anche tu!»

    Giosuè, portandosi dietro la suora, si diresse al piano di sopra e in punta di piedi, entrò nella camera bianca, linda, pulita di suor Ermengarda. Ammirò, Giosuè, quella stanza essenziale con un rosario di grani nerissimi e un gran crocifisso Ciao piccola stanza linda e pulita disse Giosuè mentre di sotto la giuda arrivò ai bordi del pozzo dove giaceva Graziano.

    Giosuè e le pale

    A Natale, la nonna regalò a Giosuè La Bibbia dei grandi Maestri: un libro più grande di lui. Tanto grande e pesante che per spostarlo la nonna doveva aiutarlo. Giosuè avrebbe voluto guardarlo con mamma e papà, ma così non avvenne perché mamma, sollevando da terra Giosuè per baciarlo, chiese: «Cosa borbotta il mio angioletto con quel libro più grande di lui?» e tanto sorprese Giosuè che la preziosa reliquia rovinò sul tappeto.

    Giosuè indicava il suo libro, mentre la mamma continuava a baciarlo. Giosuè gridava che voleva il suo libro, ma la mamma rideva e baciava Giosuè che, irritato, dopo aver parlato e indicato, parlato e indicato, sbraitato e indicato, diede un morso al suo braccio e tutti rovinarono a terra sul libro, che Giosuè abbracciò con calore, mentre mamma, che prima baciava e rideva, ora urlava e correva a disinfettare la mano.

    Giosuè spinse il libro sotto il sofà e quando mamma, tornata dal bagno, lo afferrò e cominciò a schiaffeggiarlo, Giosuè ci rimase di sasso, pianse di rabbia e, perso il controllo, quando mamma minacciò di bruciarlo, urlò: «Non è tuo, è di nonna! Non è tuo, è di nonna!» e, furente, afferrato il cappello di mamma, minacciò di distruggerlo, «Guai se lo fai!» sibilava la mamma «Guai se lo fai!» Ma Giosuè ormai tanto odiava la mamma che pensò di farlo comunque e, afferrato il cappello dai lati, fissò con odio la mamma, che divenne di ghiaccio. «Non farlo!» sibilò e Giosuè non lo fece per salvare il suo libro ma così tutto virò in situazione di stallo con una mamma furente che fissava Giosuè e un furente Giosuè che fissava la mamma, fino a che non intervenne la nonna che, pretesi il libro e il cappello, salvò la mamma e Giosuè.

    Questo fu il primo grande contrasto fra Giosuè e la mamma, troppo diversi per indole e percezione del mondo per convivere in pace. Per Giosuè da quel giorno la mamma fu teppa come gli acefali compagni d’asilo ai quali, se mamma fosse stata una suora, avrebbe solo pulito le cacche, non certo spiegato la Bibbia.

    La nonna e Giosuè, con gran rabbia di mamma e della sua stupida gru di plastica gialla da lei regalata a Giosuè, passarono intere giornate a sfogliare quel libro. La mamma diceva a Giosuè di giocare con quella stupida gru ma Giosuè protestava che la gru era gialla, era brutta e cadeva da sola. Tantomeno volle giocarci quando la mamma, legatala a un filo come un cane al guinzaglio, cominciò a trascinarla. «Cammina!» diceva la mamma «Vedi che bella!» Ma bella non era per niente e Giosuè, fattosi un giro di casa trascinando quella gru deficiente, non ne fece un secondo e, lasciata la gru, tornò a guardare il suo libro, tanto pieno di rabbia che, calata la notte, scese dal letto e col martello e tre colpi distrusse la gru e, giunte le urla e gli schiaffi di mamma, sopportò con pazienza perché la mamma era com’era e mica poteva far altro che urlare e donare stupide gru.

    Giosuè passò giorni felici a perlustrare il suo libro. Lui e la nonna percorsero i visi dei severi profeti e le atrocità dell’inferno, Caino che uccideva il fratello e il vero Mosè. Giosuè recitava i libri e i profeti e la nonna diceva: «Giosuè! Quanto sei bravo!», «Giosuè ripeti i profeti!» E Giosuè ripeteva.

    Sfogliavano il libro mentre nonna parlava incantando Giosuè. Narrò di Cimabue, di Leonardo, di Giotto e trasportò Giosuè su un tappeto volante in un viaggio nel tempo in cui visitarono Roma, Firenze, Milano, l’Olanda e Venezia e poi ci fu il gioco del chi, del come e del quando; del ‘Chi l’ha dipinto?’ , del ‘Dove’ è il dipinto? , del ‘Quando ha dipinto?’ in cui Giosuè cominciò presto a vincere mentre gli occhi di nonna ridevano pieni di luce: «Giosuè sono tanto orgogliosa di te!», «Giosuè sarai Papa!»

    Al mare

    Quell’anno i dotti dottori decretarono per Giosuè il mare iodato dove il sole avrebbe prosciugato le pustole, livellato i crateri e dato al volto un superbo colore dorato.

    «Lo porterete a casa in barella» replicava scettico papà che aggiungeva che mai e poi mai sarebbe andato alla spiaggia a respirare e mangiare la sabbia.

    «E’ letame! La marmaglia ci mangia, ci sputa, ci piscia e ci sbava. E come volete vedermi? Distrutto dalla sabbia, dal sole, dai coglioni iodati, dalla bile e dal

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