I Quindici Arcani
Di Alan Palma
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I Quindici Arcani - Alan Palma
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CAPITOLO 1
Sympathy for the Devil
– The Rolling Stones (Decca, 1968)
Il sacco di juta sulla testa gli consentiva a malapena di respirare. Un lieve flusso d'aria riusciva a filtrare attraverso il tessuto fibroso, ma il laccio che stringeva il sacco attorno al collo gli rendeva faticosa la respirazione. Provò a muoversi, ma quando sentì i polsi torcersi e le caviglie pulsare, un'ondata di panico lo sommerse.
Nick aveva i polsi legati dietro lo schienale e le caviglie erano state fissate alle gambe della sedia. Cercò di gridare e chiedere aiuto ma la voce non gli obbedì, sembrava soffocata dal terrore.
Si costrinse a restare calmo, cedere al panico non l'avrebbe di certo aiutato, mentre mantenere la lucidità forse sì.
Era stato davvero uno stupido a farsi fregare in quel modo. Un tizio lo aveva fermato proprio sotto casa sua al 101 di Cromwell Road e gli aveva chiesto se era così gentile da dargli una mano a caricare sul suo furgone un Bernstein nuovo di zecca. Quel pianoforte a muro gli era costato una fortuna e non voleva rischiare di graffiarlo o danneggiarlo. Così Nick aveva accettato nonostante fosse in ritardo per le prove. Dopotutto, quel gruppo di stronzetti con cui si era dato appuntamento in sala prove, gli Acid, arrivava sempre in ritardo.
Era montato sul retro del Renault Trafic e aveva aiutato il tizio a issare il pianoforte. Non si era però accorto dell'altro tizio all'interno del furgone che, cogliendolo di sorpresa, gli aveva bloccato il collo tappandogli la bocca con un tampone imbevuto di un narcotizzante.
Una debole luce si accese.
Nick batté gli occhi terrorizzato, fissando attraverso il tessuto fibroso della juta l'ombra che si muoveva davanti a lui.
«C-cosa volete da me?» chiese tutto tremante.
L'ombra silenziosa restò immobile di fronte a lui mentre delle mani iniziarono a cincischiare col laccio che stringeva il sacco attorno al suo collo.
«Io non ho una famiglia ricca, quello che guadagno col mio lavoro mi basta appena per vivere. Avete sbagliato persona. Lasciatemi andare, non racconterò...»
Un improvviso lampo di luce lo accecò.
Con un gesto istintivo Nick voltò la testa di lato stringendo gli occhi.
L'uomo gli aveva sfilato quel maledetto cappuccio e adesso poteva finalmente sentire l'aria scorrere libera nei polmoni. Nick si voltò verso di lui e quando le sue pupille si abituarono alla luce, riuscì a distinguere il suo volto. Aveva il viso pallido e scarno, gli occhi brillanti, i capelli biondi impomatati all'indietro.
L'uomo gli sorrise come a rassicurarlo che tutto andava bene, che presto sarebbe tornato a casa, ma ad un tratto alzò lentamente il braccio mostrandogli la pistola che stringeva in mano. Vedendo l'arma, Nick fu sopraffatto da un'ondata di paura mista a panico, rendendosi subito conto di quello a cui stava per andare incontro.
Senza dire una sola parola, l'uomo si avvicinò a lui, fermandosi a pochi centimetri dal suo volto. Lentamente sollevò il braccio finché la canna della pistola non toccò la sua stessa tempia, come a voler inscenare un folle quanto improbabile suicidio. Nick continuava a guardarlo dritto negli occhi col respiro bloccato in gola e col cuore che gli martellava nel petto.
L'uomo fece un sorriso a metà fra il sarcastico e il compassionevole e lentamente spostò la canna della pistola sull'orecchio destro di Nick.
Il cuore gli martellò nelle tempie, sentì il sudore che gli scendeva copioso dalla fronte, i muscoli tesi e rigidi.
«C-chi sei?» chiese Nick con un filo di voce.
Il viso dell'uomo cambiò espressione, lo sguardo vacuo e il bonario sorriso fecero posto a una granitica maschera di impassibilità e risolutezza. Poi, dopo aver inspirato profondamente, l'uomo intonò una cantilena che rimbombò sorda dentro il metallo del furgone:
« Pleased to meet you
Hope you guess my name
But what's puzzling you
Is the nature of my game. »
CAPITOLO 2
Saint Stephen
– Grateful Dead (Warner Bros., 1969)
«Non me ne frega un cazzo se lei è bravo!»
La voce del capitano McIntosh percosse i timpani del detective Livingston con la stessa irruenza di una rullata di John Bonham.
Livingston sbuffò e si appoggiò allo schienale, tamburellando le dita sul bracciolo della sedia.
«Dobbiamo stare alle calcagna di questa setta... o gruppo segreto... o qualsiasi cosa esso sia.» continuò McIntosh con voce grave «Ma dobbiamo essere cauti, non fare alcun passo senza aver calcolato ogni minimo dettaglio, dobbiamo seguire la procedura, osservarli e poi scovarli.»
«Al diavolo le procedure!» ribatté Livingston «Si tratta di fermarli prima che uccidano di nuovo. Dobbiamo anticiparli, non osservarli.»
McIntosh serrò la mascella al massimo e distolse lo sguardo, sapeva che il detective aveva ragione. Inspirò a fondo e si alzò dalla poltrona di pelle, avvicinandosi alla finestra del suo ufficio al Criminal Investigation Department. Il tempo a Londra era cambiato più volte nelle ultime settimane, con giornate nelle quali la pioggia e il sole si erano alternati quasi ogni ora. L’inverno stava lasciando posto alla primavera, la stagione che lui odiava di più, con gli alberi che si riempivano di fiori e con quel dannato polline che svolazzava dappertutto.
«Mi lasci agire da solo. Mi lasci fare quello che so fare meglio.» disse Livingston.
Il capitano McIntosh si voltò di scatto e lo guardò con espressione dura.
«Quello che sa fare meglio... e cosa sa fare meglio, detective Livingston?»
«Sono il solo in grado di entrare nella mente criminale del loro capo, Nemesi, come si fa chiamare. E per farlo ho bisogno di agire da solo.»
«Potrebbe essere troppo pericoloso.» affermò secco McIntosh.
«Sono disposto a correre il rischio pur di togliere dalla circolazione quel bastardo.»
Il capitano si passò la mano sulla testa, i suoi capelli corti e dritti come setole di un cinghiale crepitarono e sprigionarono delle vere scintille.
«A lei non interessa salvare le vittime. A lei interessa battere Nemesi.»
«Non può dire che non mi importi delle vittime.»
«Non sto dicendo questo, sto solo...»
Un rumore stridulo, simile a quello di una lamiera battuta, interruppe McIntosh: la suoneria del suo telefono.
Si avvicinò alla scrivania e premette il tasto del viva voce: «Si!?»
«L'agente speciale Slick è qui, capitano», annunciò l'agente Morgan, gracchiando attraverso l'altoparlante.
«Era ora, cazzo.» disse McIntosh chiudendo la comunicazione. Senza dare troppe spiegazioni, spalancò la porta e uscì dal suo ufficio camminando a passo deciso nel corridoio.
Livingston sbuffò, sapeva che tipo era il capitano Winston McIntosh e che sarebbe stato inutile insistere nel chiedergli di poter agire da solo, la discussione sarebbe anche potuta andare avanti tutta la notte.
Mentre pensava a tutto ciò, sentì il rumore di passi affrettati lungo il corridoio e poi la porta spalancarsi di botto. Alzò lo sguardo, curioso di conoscere questo agente speciale che era stato annunciato dall'agente Morgan. Quando il capitano entrò, Livingston fu sorpreso nello scoprire che si trattava di una donna.
Era giovane e piuttosto carina, indossava una giacca nera e un paio di jeans che le fasciavano le lunghe gambe e aveva i capelli raccolti in una coda di cavallo che le dava un'aria vagamente sensuale.
«Le presento l'agente speciale Patricia Slick.» disse McIntosh rivolgendosi a lui. «Patricia, il detective Brian Livingston.»
Patricia gli strinse la mano accennando un sorriso, il suo sguardo era sicuro e deciso.
«Okay, possiamo accomodarci, adesso.» disse McIntosh, facendo il giro della scrivania e sedendosi sulla sua poltrona di pelle, lucidata alla perfezione.
«L'agente speciale Slick è una criminologa proveniente dall'ufficio di Newcastle. Nel suo curriculum può annoverare diversi casi di killer psicopatici, tanto da stilare una tipologia di questi individui. Una classificazione che aiuta a inquadrare i casi e ad abbozzare una profilazione psicologica degli assassini. Vorrei assegnarla a lei.» disse guardando Livingston dritto negli occhi.
Questi sostenne il suo sguardo per qualche istante, poi con tono piatto disse: «È una sua decisione, signore.»
«Infatti, così ho deciso. Lavorerà al caso in assoluta autonomia, ma l'agente Slick seguirà ogni sua mossa. Patricia ha studiato il caso a fondo e potrà essere un ottimo supporto.»
McIntosh lanciò un'occhiata a Patricia, la quale la interpretò come un invito a inserirsi nella conversazione.
«Si tratta di un gruppo di fanatici che agisce sotto la convinzione che la musica rock rappresenti il male assoluto per la nostra società. Non sappiamo da quanti elementi sia composto, ma sappiamo che ha un capo che si fa chiamare Nemesi. Nemesi ha tutte le caratteristiche del grande leader di un gruppo: agisce nell’ombra e prende le decisioni più importanti, compresa la scelta delle vittime. Tutti i suoi discepoli lo venerano come se fosse una divinità.»
Patricia parlava con voce piatta e professionale e mentre lo faceva la sua espressione restava impassibile.
«La prima vittima risale a diciotto mesi fa. Fu rinvenuta nell'appartamento di sir Frank Thomas, proprietario della Quadrophenia Records. John Curtis, questo il suo nome, fu freddato con un colpo di pistola sparato all'altezza dell'orecchio destro. Due membri sequestrarono lo stesso Frank Thomas e Haroldo Rodriguez, un suo amico transessuale già noto alle forze dell’ordine per spaccio e piccoli furti. Questi fu ritrovato cadavere all'interno dell'Hammermith Apollo Theater, mentre Frank Thomas, il vero obiettivo dei rapitori, fu liberato grazie all'intervento di una nostra squadra. Come tutti sappiamo, nell'operazione perse la vita la detective Janis Atkinson.»
Lo sguardo di McIntosh si incupì ancora di più, la sua fronte si corrugò. Patricia se ne accorse ma continuò a parlare.
«A questi omicidi è seguita una serie di atti dimostrativi dalla gravità sempre crescente, tutti caratterizzati dall'odio per la musica rock: sabotaggi di apparecchiature nei concerti, atti incendiari di negozi di dischi o di strumenti musicali, aggressioni ai danni di personaggi legati al mondo del rock.»
Patricia lanciò un'occhiata al suo block notes. «L'ultima di queste aggressioni riguarda Laura Floyd, ventiquattro anni, corista tournista. La sera del 6 marzo, mentre Laura rincasava da sola su Leybourne Road, è stata assalita da due di loro che le hanno sfregiato il viso con una bottiglia rotta, sfigurandola orrendamente. Le telecamere di sorveglianza hanno ripreso la scena ma gli aggressori avevano i volti coperti da maschere di gomma raffiguranti John Lennon e Jimi Hendrix»
Patricia fece una pausa proprio nel momento in cui il telefono del capitano prese a squillare.
«Cosa succede, agente Morgan?» grugnì McIntosh, dopo aver premuto il tasto del vivavoce.
«Capitano, c'è un giornalista New Musical Express, che intende farle qualche domanda sul...»
«Hai interrotto la nostra riunione solo per un giornalista ficcanaso, agente Morgan?»
«Io, ehm... Sì, signore.»
McIntosh fece appello a tutto il suo autocontrollo e si costrinse a restare calmo.
«Ascoltami bene. Da ora in poi ti ordino di non interrompere la riunione per nessun motivo. Intesi?»
Troncò la conversazione, senza che l'agente Morgan potesse aggiungere altro; quindi fece cenno a Patricia di proseguire.
«Su ogni scena del crimine sono state raccolte diverse prove: impronte, campioni di capelli, cellule epiteliali, tracce di saliva e in alcuni casi anche di sangue. Il laboratorio ha elaborato i dati incrociandoli con quelli contenuti nel database del DNA del Criminal Investigation Department, ma i profili genetici non compaiono in nessuna indagine.»
«Le loro azioni sono organizzate e pianificate con cura, hanno evidenti motivazioni religiose e seguono un preciso modello.»
«Mi chiedo come faccia un soggetto normale a diventare adepto di una setta del genere» osservò McIntosh. «Deve per forza essere vittima di lavaggio del cervello, non vedo altra spiegazione».
«Più che di lavaggio del cervello parlerei di condizionamento mentale.» intervenne Livingston
«Qual è la differenza?» chiese McIntosh corrugando la fronte.
«La persona che subisce il condizionamento mentale in una setta è inconsapevole di ciò che gli sta accadendo, a differenza del lavaggio del cervello in cui è invece perfettamente cosciente che sta subendo una costrizione ed è obbligata, suo malgrado, ad eseguire gli ordini imposti.»
«Ma è comunque una sua decisione quella di venire in contatto con la setta» replicò McIntosh.
«Nessuno decide deliberatamente di entrare a far parte di una setta, ma è la setta stessa che recluta i suoi potenziali adepti.» intervenne Patricia sotto lo sguardo leggermente irritato di Livingston. «Magari mentre stanno attraversando un momento di difficoltà