Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

AMBOKALA: Storie di persone in un ospedale psichiatrico
AMBOKALA: Storie di persone in un ospedale psichiatrico
AMBOKALA: Storie di persone in un ospedale psichiatrico
E-book240 pagine3 ore

AMBOKALA: Storie di persone in un ospedale psichiatrico

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

“Sarebbero state mille le storie da raccontare…come circa mille sono state le persone ricoverate in ospedale in questi dieci anni. Ne ho riportate qui solo alcune, alcune tra quelle che mi hanno costretto a tenere gli occhi aperti e pigiare i tasti del pc…alcune tra quelle che non ho perduto, dentro alle memorie esterne che ospiti sconosciuti hanno ripetutamente fatto sparire dalla mia casetta.
Scrivo per rendere conto del grande privilegio di aver vissuto questi ultimi dieci anni della mia vita ad Ambokala.
Ambokala è un ospedale psichiatrico statale sulla costa sud-est del Madagascar, l’unico di tutto il sud dell’Isola. Ufficialmente il suo nome è ‘Emokala’, ma nessuno lo conosce, per tutti è ‘Ambokala’, che letteralmente significa ‘là dove ci sono le patate dolci’… quelle coltivate dagli ammalati nel grande cortile dell’ospedale.
Sento la responsabilità di condividere, non tanto la mia piccola esperienza, quanto piuttosto le storie dei miei fratelli nel breve tratto di strada che abbiamo percorso insieme.
Scrivo per il desiderio di dare voce a chi spesso non ha alcuna voce, né forse pretenderebbe mai di averne…di dare colore a chi ha mille sfumature e, come tutti noi cerca il suo posto su questa terra.
A chi spesso è considerato fuori dal mondo e fuori di sé …
“E’ fuori di sé”. Lo dicevano anche di Gesù.”
(dall’introduzione di Enrica Salsi)


Enrica Salsi. Nata a Reggio Emilia nel 1976, conseguita  la maturità al liceo scientifico si è laureata in Ingegneria all’Università di Bologna. Per cinque anni ha lavorato nel settore di Progettazione Pianura  del Consorzio di Bonifica Burana di Modena e nel 2008 è partita come volontaria insieme all’Ong RTM per un progetto sanitario di sviluppo nella cittadina di Manakara, nel sud est del Madagascar. Conclusi i due anni di progetto, ha deciso di restare come missionaria fidei donum della Diocesi di Reggio Emilia per intraprendere una nuova strada: occuparsi  del sostegno economico e sociale delle persone con disturbi psichici. Da ormai oltre dieci anni risiede stabilmente a Manakara, presso l’Ospedale Psichiatrico Statale di Ambokala come Responsabile dell’Aumonerie Catholique des malades à  Ambokala.
LinguaItaliano
Data di uscita12 apr 2021
ISBN9791220291071
AMBOKALA: Storie di persone in un ospedale psichiatrico

Correlato a AMBOKALA

Ebook correlati

Scienze sociali per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su AMBOKALA

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    AMBOKALA - Salsi Enrica

    1.png

    © Edizioni San Lorenzo

    Proprietà letteraria riservata

    Edizioni San Lorenzo

    ®

    Autorizzazione Tribunale di Reggio Emilia n°565 del 12 marzo 1984

    via Gandhi, 18a/b

    42123 Reggio Emilia – C.P. 181

    tel. e fax: 0522.323.140

    e–mail: edizionisanlorenzo@gmail.com

    PRIMA EDIZIONE DICEMBRE 2020

    SECONDA EDIZIONE MARZO 2021

    Progetto editoriale: Edizioni San Lorenzo

    Impaginazione e grafica: StudioForte – Reggio Emilia

    Finito di stampare nel mese di febbraio 2021 da Centro Stampa San Lorenzo

    I nostri libri sono stampati con carte ed inchiostri ecologici

    Enrica Salsi

    AMBOKALA:

    là dove crescono le patate dolci

    Storie di persone in un ospedale psichiatrico

    in Madagascar

    Edizioni San Lorenzo

    "Non so cosa sia la follia.

    Può essere tutto o niente.

    È una condizione umana."

    Franco Basaglia

    Perché questo libro?

    In questi anni di Madagascar, l’idea di mettermi seduta al tavolo e scrivere era per me come pensare di comprarmi un diamante con i soldi destinati ai poveri, l’ultimo dei lussi... anzi, una rapina.

    Mi sarei permessa di impiegare del tempo e delle energie per scrivere solo nei momenti in cui tutto il resto fosse stato a posto. Quando avessi risolto tutti i problemi quotidiani ed esaurito il tempo richiestomi dalla mia famiglia malgascia. Cioè mai.

    Se poi si fosse verificata questa congiuntura astrale, ci sarebbe comunque stato un altro impedimento: mi sarebbe servito un buon nascondiglio, giacché non è mai passata una mezz’ora di fila senza che qualcuno bussasse alla mia porta sapendomi in casa. Di giorno. Ma grazie al Cielo c’è anche la notte... e durante la notte in Madagascar tutto tace e si ferma: alle otto e mezza di sera ognuno rientra a casa sua e quel che è fatto è fatto. Non esiste neanche l’idea di riunioni serali o di sessioni di lavoro notturne. Si stacca la spina e si riattacca all’alba del giorno seguente, che tu sia il sindaco o il mendicante. Buone abitudini.

    Ma io sono pur sempre italiana e dopo tanti anni ancora non ho imparato la lezione. Forse non la voglio imparare, perché la notte, per me, ha sempre rappresentato quel segreto ‘buco nero’ in cui finalmente l’orologio scorre più lentamente, fino a fermarsi e lì dentro anche i diamanti hanno un prezzo affrontabile.

    Dunque, i miei scritti sono soprattutto notturni, alla fine di quelle giornate in cui succedono cose che vincono il sonno, che non vuoi dimenticare e allora, se ti fanno la grazia di non staccare l’elettricità, le fissi così, nude e crude sulla carta. Che lascino una traccia. Sarebbero state mille le storie da raccontare... come circa mille sono state le persone ricoverate in ospedale in questi dieci anni. Ne ho riportate qui solo alcune, alcune tra quelle che mi hanno costretto a tenere gli occhi aperti e pigiare i tasti del pc... alcune tra quelle che non ho perduto, dentro alle memorie esterne che ospiti sconosciuti hanno ripetutamente fatto sparire dalla mia casetta.

    Scrivo per rendere conto del grande privilegio di aver vissuto questi ultimi dieci anni della mia vita ad Ambokala.

    Ambokala è un ospedale psichiatrico statale sulla costa sud-est del Madagascar, l’unico di tutto il sud dell’Isola. Ufficialmente il suo nome è ‘Emokala’, ma nessuno lo conosce, per tutti è ‘Ambokala’, che letteralmente significa ‘là dove ci sono le patate dolci’: quelle coltivate dagli ammalati nel grande cortile dell’ospedale.

    Sento la responsabilità di condividere, non tanto la mia piccola esperienza, quanto piuttosto le storie dei miei fratelli nel breve tratto di strada che abbiamo percorso insieme.

    Scrivo per il desiderio di dare voce a chi spesso non ha alcuna voce, né forse pretenderebbe mai di averne, per dare colore a chi ha mille sfumature e, come tutti noi, cerca il suo posto su questa terra.A chi spesso è considerato fuori dal mondo e fuori di sé.

    E’ fuori di sé. Lo dicevano anche di Gesù.

    Capitolo 1 – INSEPARABILI

    1.1 Il militare ed il filosofo

    Rija ed Ernest, stessa età, diciotto anni. Inseparabili. Da mattina a sera passeggiano per il grande cortile dell’ospedale psichiatrico, abbracciati. Si tengono d’occhio a vicenda amorevolmente. Denominati: il militare e il filosofo

    Rija dopo dieci giorni di camminate instancabili con le catene ai piedi ha vinto un’infezione paurosa in un calcagno... eppure, con il pantalone appositamente arrotolato per esibire la gloriosa ferita di guerra, pensa bene di continuare le ronde attorno all’ospedale. Si sorregge con un bastone che diventa anche un’arma, qualora incontri qualcuno che non sta nei ranghi, cioè la maggior parte degli ammalati. Grazie al cielo però c’è Ernest che riesce a dissuaderlo da azioni violente, con i suoi lunghi discorsi filosofici.

    Mi dovete tenere qui come guardia mi ha detto oggi il militare, Enrica, facciamo così: tu parli e se non ti ascoltano io li picchio con questo! Programma spettacolare.

    Oggi, ad esempio, faceva il servizio di sicurezza volontario durante la preghiera in chiesa: ogni volta che Jean Baptiste o Joel tentavano di uscire, ecco che lui si metteva sulla porta e li minacciava con il bastone, poi mi guardava, per cercare approvazione.Pensavo che fosse per eccesso di zelo verso la preghiera, in realtà mi ha spiegato che stava difendendo la moto del frate parcheggiata fuori. Dice che lui sapeva per certo che quei due volevano ‘trafficare’ con la moto e per questo li teneva in chiesa. La sola cosa certa è che sarebbe piaciuto a lui salire su quella moto. Ad un certo punto sono dovuta intervenire: in mezzo all’assemblea si era caricato sulle spalle Joel, colpevole solo di incontinenza, per riportarlo con la forza a sedere nel primo banco e nel mentre bastonava i poveri piedi di Jean Baptiste, che cercava di difendere l’amico..

    Ernest doveva prendere la maturità alla fine di quest’anno scolastico. Invece è qui con noi, accompagnato dalla mamma e dalla sorellina. Li ha inviati in ospedale Père Emeric, un missionario lazzarista francese che collabora con noi nella presa in carico degli ammalati più poveri ed è responsabile di un grande centro di formazione per disabili a Vohipeno, una cittadina a circa 40 km a sud di Manakara. Ernest fa la guardia alla mia macchina, sperando di essere finalmente riportato da Père Emeric, Perché Père Emeric sa fare miracoli di ogni tipo e mi guarirebbe in un minuto Sono le sue parole.

    Ma ultimamente c’è stata una svolta: Stanotte Père Emeric mi è apparso in sogno e mi ha detto che anche io posso fare miracoli... mi ha detto. Così adesso siamo nella fase in cui ogni cosa che accade è un miracolo. Un suo personale miracolo.La luna che sostituisce il sole durante la notte è un miracolo, il sole che cambia di posizione, la luna che cambia forma, il vento che soffia e poi si calma. Percorre instancabilmente il cortile dell’ospedale insieme all’amico Rija, e mentre il militare cerca di imporre la sua idea di disciplina, il filosofo ogni dieci minuti grida: Fahagagana!, Miracolo! e ci chiama tutti per assistere all’evento soprannaturale.

    La sua passione più grande è entrare nell’orto e fermarsi a contemplare le melanzane, anche per ore e ore. Che cosa stai facendo Ernest, qui nell’orto?? Fuori!!! Grida Berthine, la nostra responsabile della cucina, con una certa diffidenza. Faccio crescere le melanzane... stai a guaradare: miracolo!! la risposta del filosofo.

    L’altro ieri è stato redarguito dalla dottoressa: Finché ripeterai cento volte al giorno ‘Fahagagana’ di certo non ti mandiamo a casa! lo ha minacciato. Da allora ci sta più attento: fissa ancora le melanzane, il movimento del sole, ci chiama ancora a vedere. Ma non pronuncia più la parola incriminata. Oggi, però, mentre ammiravamo insieme la figlia di Frida che muoveva i primi passi da sola, non ce l’ha fatta a trattenersi e con entusiasmo ha gridato: Miracolo, Enrica! Non è vero? Sì, proprio vero, Ernest, ma miracolo di Chi, Ernest?? Ho incalzato io. Lui mi ha guardato un po’ smarrito e ha chiesto: L’ho fatto io questo miracolo?? No. E neanche Père Emeric gli ho risposto.

    Allora ci ha pensato un po’ su e poi si è illuminato: Deve essere un miracolo del Creatore, perché Lui è il più bravo!.Ecco. Ci siamo. Penso che sia bastato relativamente poco per correggere la sua vista e adesso lui sì che vede bene. E continua a meravigliarsi ogni minuto per i miracoli da cui siamo circondati, gettando nello sconforto la dottoressa.

    Siamo davvero assediati dai miracoli. Senza tregua. Ha ragione Ernest!

    1.2 Avances

    Brigitte è in cella di isolamento da due giorni perché ha tentato clamorosamente di scappare durante la notte.Dopo aver sapientemente distolto l’attenzione da sé, dispensando consigli saggissimi alle altre ammalate, verso le otto di sera, mentre tutti già riposavano, ha fatto velocemente i bagagli ed ha cominciato a correre per la strada asfaltata verso la stazione dei pullmini. Sua sorella maggiore, insieme ad alcuni altri familiari, l’ha raggiunta e poi l’hanno fatta rinchiudere in cella d’isolamento.Brigitte è una donna di circa quarant’anni, magrissima, portata qui in stato confusionale qualche settimana fa. Parla molto.

    Appena arrivata è stata protagonista di un colpo di scena, sullo stile di ‘Carramba che sorpresa’ per la teatralità e l’esplosione emotiva: lei e Bao Justine, una delle veterane di Ambokala, abitavano nello stesso villaggio da piccole e si sono rincontrate qui. Dopo trent’anni! Abbracci, balli e tante tante chiacchiere. Quella nostra amica là è andata ad abitare a Tulear, quello è diventato ricco... e poi l’elenco di tutti i morti... tutto il mondo è paese. Purtroppo, qui, i discorsi sui morti sono già in voga tra le quarantenni.

    Tuttavia, ieri, le confidenze sono andate un po’ oltre quello che di solito si è abituati a sentire in Madagascar e si era radunata una certa folla ad assistere allo spettacolo: Perché non andiamo ad abitare insieme io e te, quando usciamo da qui? Io ti posso fare da marito! ha iniziato Brigitte, da dentro la cella d’ isolamento,Mi piacciono gli uomini la secca risposta di Bao mentre porgeva il piatto per ricevere il riso, Guardati intorno! Dove sono i nostri uomini? Il mio è andato via ed ha venduto i miei due figli e dove è il tuo? ha incalzato ancora Brigitte, Io ho avuto tre mariti e questo è il quarto ha risposto allora Bao con un certo orgoglio da donna vissuta, cercando con lo sguardo Jannot, l’oggetto del suo desiderio.Sei vecchia, Jannot non ti sposerà mai! Io invece ti prendo lo stesso, staremo benissimo insieme, senza nessuno che ci comanda! insisteva Brigitte.

    Ma questa è matta!, protestava Bao tra le risa generali.Brigitte le ha poi dedicato alcune danze e canzoni d’amore... finché Bao Justine, ormai troppo imbarazzata, è andata a fare la siesta in camera sua.

    Nel frattempo Jannot era introvabile: nascosto chissà dove per la vergogna e per la coda di paglia.

    Jannot è un ragazzo molto giovane e soprattutto molto povero, che non ne vuole sapere di Bao Justine, ma che accetta sempre di buon grado tutti i regali che lei gli fa. I doni sono i frutti o i dolcetti della nostra mensa: lei rinuncia ai suoi per donarli a lui...e lo fa sempre con una certa enfasi. Non dovremmo più dargliene, mi ripete sempre Berthine. Ma lei non ha nient’altro da regalare e poi esercita la sua legittima libertà! rispondo sempre io. Così ormai il corteggiamento dura da più di sei mesi.

    Si fa così a sedurre gli uomini, Enrica, mi ha spiegato un giorno Bao, con il cibo!. Lo terrò a mente! le ho risposto, mentre cercavo di ricordare chi mi avesse già ripetuto questo concetto qui in Madagascar... Sì, ecco, era stata Suor Margherita, la mitica superiora della Casa di Carità di Ambositra! Erano i tempi in cui studiavo malgascio sull’altopiano e si abitava in comunità con gli altri volontari. Adesso capisco perché siete ancora zitelle ragazze mie! ci aveva detto sorridendo la suora, quando aveva saputo che quella sera, io ed Elena, le due donne di casa, avremmo ‘cucinato’ solo caffelatte...

    Ad essere sinceri, qui in Madagascar, anche per corteggiare una donna, spesso basta offrire del cibo, soprattutto se ha dei figli da sfamare. Se poi fai il macellaio o anche il garzone del macellaio, sei quasi destinato ad essere infedele a tua moglie, tante sono le donne che ti girano attorno... A parte gli scherzi, al mercato di Manakara conosco donne che si prostituiscono anche per una ‘kapoaka’ di riso.

    La ‘kapoaka’è un barattolino di latta che nasce come contenitore di latte condensato per poi diventare l’unità di misura di volume più usata in Madagascar. Qualsiasi venditore ne possiede un paio, una kapoaka di riso corrisponde a circa 250 grammi. E’ la razione di un pasto, per un lavoratore.

    Dunque, ci si prostituisce per un piatto di riso, magari incoraggiate dal marito affamato.

    Comunque, tornando alle donne di Ambokala, oggi Brigitte è uscita dalla cella. A tu per tu, senza le sbarre di mezzo, niente più discorsi arditi... ma le due signore sono inseparabili!

    1.3 Ambizioni

    Che cosa vorresti fare da grande? chiede la suora a bruciapelo a Samoela. Ataoko dahalo la sua risposta, dopo un attimo di riflessione. Significa: Faccio il brigante. I briganti qui da noi sono quelli che assaltano le auto e i pullmini, quelli che rubano gli zebù, incendiano le case ferendo o addirittura uccidendo le persone, per capirci...Io e la suora ci guardiamo negli occhi e scuotiamo la testa sorridendo. Questo il proposito dopo anni di cure. Son soddisfazioni.

    Samoela fa parte di una famiglia in cui tutti gli uomini sono ammalati. Lui è il più giovane, oggi avrà circa venticinque anni e nel 2008, al mio arrivo, era già qui all’ospedale. Suo padre e i suoi due zii sono stati dimessi e li abbiamo aiutati a costruire una casa vicino alla ferrovia, dove abitano insieme alla vecchia mamma. Lui invece è rimasto qui, contravvenendo alle disposizioni dell’ospedale, che non consentirebbero il ricovero senza la presenza di un gardemalade cioè di un accompagnatore.

    Quasi dovunque,negli ospedali del Madagascar, il personale sanitario è responsabile esclusivamente delle prestazioni tecniche: iniezioni, flebo, prelievi e medicazioni, ma non si occupa del reperimento farmaci, della stretta sorveglianza degli ammalati, dell’igiene quotidiana, della pulizia della stanza e dei pasti. Queste incombenze sono a carico dell’accompagnatore. Perfino la pulizia della sala parto è delegata ai famigliari della partoriente! Nel corso di una qualsiasi operazione chirurgica è indispensabile la presenza del gardemalade nell’anticamera della sala operatoria, per correre in farmacia a comprare il filo di sutura, le garze, le siringhe, man mano che servono. Durante l’operazione agli occhi di Marie Claire sono stata mandata in farmacia ben 2 volte: aggiunta di guanti dopo una mezz’ora e poi aggiunta di garze sterili. Se non vai, tutto rischia di bloccarsi, perché l’ospedale non anticipa nulla a livello di farmaci e presidi. Non vuole rischiare di rimetterci soldi.

    Dunque, il ricovero di una persona in ospedale, spesso lontano da casa, stravolge completamente la vita di una famiglia: occorre trasferirsi, lasciare il lavoro, spesso costringendo anche i bambini piccoli ad abbandonare la scuola... bisogna portare con sé sacchi di riso, pentole, legna, biancheria e pregare che quei pochi soldi messi da parte, possano bastare. Negli ospedali pubblici, vedi la gente letteralmente accampata nelle stanze e i cortili diventano cucine, lavatoi, stenditoi e campi di gioco per i bambini.

    Qui da noi ci sono quaranta ammalati, a carico di un unico infermiere in turno. Abbiamo allestito una mensa, abbiamo un’assistente sociale, degli educatori per le attività di ergoterapia, ma la presenza di un famigliare gardemalade resta determinante per l’igiene quotidiana, per la gestione delle medicine e soprattutto per facilitare il reinserimento affettivo e sociale dell’ammalato. Tuttavia ,per permettere anche alle persone abbandonate dalla famiglia di curarsi, insisto per fare qualche eccezione...

    Nel caso di Samo, permettergli di stare qui è l’unico modo per stabilire un qualche contatto umano e fargli prendere le medicine in attesa di idee migliori. Altrimenti sarebbe già un brigante.

    Per la verità in ospedale ci sta poco: è sempre in giro per conto suo, ma non batte mai la strada principale. Come tutti i personaggi poco raccomandabili che si rispettino, Samo fa giri strani: lungo il canale, per i campi, attorno alle case e trova spesso qualcosa da fumare... che non è mai tabacco. La gente ha paura di lui.

    Tutti tranne Rhino, l’ammalato con cui divide la stanza. Rhino ha un grave ritardo mentale insieme ad altri problemi e non parla quasi mai. Ma sorride. Sorride sempre. Abitava qui insieme alla vecchia mamma, Marie Anne, ma da qualche tempo la donna si è gravemente ammalata ed è stata presa in casa dalla sorella. Rhino, per ora, l’hanno lasciato qui.

    I due ragazzi costituiscono la coppia più improbabile che si sia mai vista: Samoela con la postura e lo sguardo minaccioso da cattivo dei film western e Vanomanana Christophe, detto Rhino, con un sorriso dolcissimo imperturbabile, tipo orso Joghi.

    Un giorno Rhino se n’è andato, crediamo per fare visita alla vecchia mamma e non è mai più tornato a dormire qui. Passa, di tanto in tanto, quando ha fame, e si ferma qualche ora. Lui e Samoela però sono rimasti in contatto in qualche misterioso modo: incredibilmente Samo ha un’idea abbastanza precisa di quando passerà... e indovina sempre! Eppure, Rhino non conosce i giorni della settimana, né i mesi,

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1