Madre Mediterranea
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Il teatro dei misfatti questa volta è il triangolo dei templi di Erice, Segesta e Selinunte, e la vera protagonista è la Grande Madre mediterranea, la misteriosa dea venerata da tempo immemorabile lungo le coste trapanesi e del Mare Nostrum, che con la sua energia influenza persone e determina eventi. Così, sotto il tempio di Venere Ericina un eterogeneo gruppo di criminali tenta, indisturbato, di impiantare un’industria di dubbio valore artistico. Traffici ambigui si svolgono invece all’ombra del tempio di Segesta, mentre ai piedi del tempio di Selinunte si consuma un delitto per cancellarne un altro, non di sangue ma ugualmente atroce.
Un intrigo dal risvolto non affatto scontato, non un grande intrigo internazionale, ma piuttosto un mosaico di piccoli crimini sottilmente collegati fra loro nei confini di una piccola provincia. Qualche nota musicale e un pizzico di buona cucina, a stuzzicare palato e sentimenti.
Rocco Pollina
Rocco Pollina è musicista e insegnante. Con Coppola Editore ha pubblicato i romanzi Il XXI Mistero (2008), Madre Mediterranea (2009) e Le teste di Cozzo (2011), ora riediti in versione ebook da VandA.ePublishing (2014). Sempre per Coppola Editore, ha curato con Umberto Leone il libro-cd dedicato al cantastorie Pino Veneziano Di questa terra facciamone un giardino (2009). Con il gruppo etno-rock Mondorchestra ha pubblicato il cd La mafia non esiste (2007) e si esibisce dal vivo con le sue canzoni in siciliano.
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Anteprima del libro
Madre Mediterranea - Rocco Pollina
Il monte di Venere
1
Il professor Rallo stava seduto su uno scoglio in riva al mare con i piedi a mollo e i pantaloni arrotolati fino alle ginocchia. Il suono della risacca accompagnava l’andirivieni dei suoi pensieri che scorrevano sull’acqua e arrivavano fino alla linea dell’orizzonte per poi scomparire oltre. La canna da pesca era al suo fianco, fissata tra le rocce, con la lenza che sprofondava in quello che Omero aveva chiamato il mare color del vino
.
Il tramonto visto da Torre di Ligny è uno spettacolo in technicolor 365 giorni all’anno, e il professore se lo godeva ogni volta che poteva, con la scusa della pesca o di una passeggiatina prima di cena.
Quel giorno si era dato appuntamento con il tenente Nicola Sammartano per pescare, ma l’amico non si era ancora visto. Comunque, non era a lui che pensava, seduto al tramonto fra il Mediterraneo e il Tirreno.
Pensava a Elsa e alla sua decisione di trasferirsi in Sicilia. Pensava che gli sarebbe piaciuto invecchiare con quella nipotina intorno. Pensava al coraggio dei giovani e alle sfide di cui sono capaci. E quella era una bella sfida. Quanto avrebbe resistito?
Quell’emigrata al contrario
avrebbe dovuto trovarsi un lavoro, ma era sicuro che sarebbe riuscita a cavarsela da sola molto presto.
Piuttosto il problema era un altro.
Elsa non avrebbe mai accettato di chinare il capo davanti alla cultura dei favori, alla prostituzione dei rapporti sociali, al familismo siciliano così estraneo alla cultura del diritto.
Mentre questi pensieri affollavano la sua mente, sentì la voce del tenente Sammartano che lo chiamava dal ciglio della strada poco distante. Gli fece un cenno di saluto, si alzò, infilò i sandali e gli andò incontro. Il tenente Sammartano era di buon umore e salutò calorosamente il professore. Poi i due si sedettero in riva al mare senza parlare. A volte tra amici non è necessario. A volte tra amici è sufficiente condividere l’esperienza.
Non era rimasta molta luce, ma dopo una giornata di caldo asfissiante la penombra e il fresco della sera erano una benedizione.
Nicola Sammartano e Peppe Rallo guardavano in silenzio l’orizzonte da dieci minuti quando il professore esordì chiedendo: «Sei un siciliano di scoglio o un siciliano di mare aperto?»
«Cosa intendi dire?»
«Io, per esempio, sono un siciliano di scoglio. Gira e rigira quest’isola non la mollo. Anche se mi allontano, resta dentro di me ovunque vada e ogni volta non vedo l’ora di tornare. Invece ci sono siciliani che hanno abbandonato la loro terra e non vogliono tornarci mai più. Hanno affrontato il mare aperto, superato difficoltà quasi insormontabili e costruito la loro casa altrove. Quando vengono in Sicilia… vengono, non tornano, e ci vengono solo in vacanza.»
«Ma ovunque vadano si portano dentro anche loro, volenti o nolenti, la sicilitudine
e la loro nascita isolana!», ribatté Nicola Sammartano. «Comunque, se proprio devo dirti che tipo di siciliano sono, posso solo dirti che sono un siciliano di terra. Un terrazzano, come dite voi a Trapani. Sono nato a Enna e ho imparato ad amare il mare solo da adulto.»
«E come sei finito a Trapani?»
«Come tutti i carabinieri… Mi hanno trasferito un po’ qua e un po’ là. Ho lavorato a Catania, a Partanna, a Porto Palo, a Siracusa. Per qualche anno ho vissuto anche in continente
, a Bollate, vicino Milano», disse il tenente con lo sguardo perso oltre la linea dell’orizzonte. Poi, come risvegliandosi da uno stato di torpore, si alzò per prendere da mangiare in una borsa che aveva portato con sé. La aprì e tirò fuori una pagnotta e un barattolo con delle olive condite.
«Hai saputo di mia nipote Elsa? Si sta per trasferire in Sicilia. Ha deciso di tornare alle origini.»
«E non ti fa piacere?»
«Certo! Ma sono un po’ preoccupato per lei…»
Nello stesso istante si sentì un’esplosione. Voltandosi d’istinto, Peppe Rallo vide l’amico accasciarsi al suolo, lo afferrò con tutt’e due le mani e insieme rotolarono tra gli scogli puntuti per cercare riparo. Qualcuno aveva sparato da un’auto che adesso si stava allontanando a tutta velocità dopo avere fatto inversione sgommando.
«E che cazzo!», esclamò Sammartano, accorgendosi che non riusciva a rimettersi in piedi per una ferita alla gamba. «Hai visto che auto era?»
«Per niente!»
Mentre il tenente chiamava in caserma per chiedere aiuto si avvicinarono dei curiosi, ma quando il professore domandò che cosa avessero visto, ebbe delle risposte così vaghe da risultare inutili. L’auto era nera, grigia, blu, sportiva, elegante, con due, tre, quattro uomini a bordo, forse giovani, con il volto coperto. Nessuno sapeva dire quale fosse il modello preciso, tanto meno aveva fatto caso alla targa.
L’auto di pattuglia arrivò in pochi minuti seguita da un’ambulanza. Per fortuna la ferita alla gamba era lieve e il tenente non aveva perso molto sangue. Fu portato al pronto soccorso dell’ospedale Sant’Antonio a sirene spiegate.
Peppe Rallo aveva seguito l’ambulanza con la sua auto e adesso era davanti alla porta del pronto soccorso in attesa dell’uscita dell’amico. Mentre aspettava decise di telefonare a Ciccio Bellezza, detto Africa, per via del suo aspetto magrebino. Aveva bisogno di sfogarsi con qualcuno. Sentiva ancora nelle orecchie lo sparo e continuava a chiedersi il perché di quanto era accaduto. Avrebbero potuto uccidere Nicola. Si era trattato di un avvertimento o di un errore?
Quando Ciccio Bellezza, detto Africa, sentì la notizia salì immediatamente sulla sua 126 e raggiunse il professore all’ospedale. Abitava lì vicino, quindi arrivò in pochi minuti. Peppe Rallo lo stava aspettando ed era visibilmente nervoso.
Trovarono un muretto su cui sedersi e Ciccio si fece raccontare tutto nei minimi dettagli.
«Mi pari n’avvertimentu ’a stili mafiusu», commentò alla fine.
«E tu cosa ne sai della mafia?»
«Picca e nenti! Ma si avissiru vulutu…», e si interruppe facendo intendere con un gesto eloquente del pollice passato sulla gola che la mafia avrebbe potuto ucciderlo in qualsiasi momento e senza particolari problemi.
«Questa supposta onnipotenza della mafia è una credenza radicata che è davvero difficile da sconfiggere, più della mafia stessa! Comunque, caro Ciccio, questa volta hai ragione. Vogliono mettere paura al nostro tenente, ma temo che riusciranno soltanto a farlo incazzare di più!»
A conferma di ciò, proprio in quel momento si aprì la porta del pronto soccorso e videro uscire sulla sedia a rotelle Nicola Sammartano che santiava e sacramentava come uno scaricatore di porto. Gli sentirono dire tante di quelle bestemmie che si preoccuparono potesse essere indemoniato.
Fortunatamente non fu necessario alcun prete e gli bastò la vista dei due amici per ricomporsi. Ciccio e Peppe gli andarono incontro e Nicola cercò di alzarsi dalla sedia ma un medico glielo impedì. Naturalmente si beccò anche lui una buona dose di improperi.
«Proprio puntuali! Giustu giustu oggi!», sbottò il tenente.
«Che vuoi dire?»
«Voglio dire che domani c’è il processo a Totò Giglio e qualcuno ha cercato di convincermi a non essere presente.»
«Non gli è bastato scomodare i soliti amici in parlamento. Adesso si serve di strumenti meno sofisticati per salvarsi il culo. Deve aver chiesto aiuto a qualche amico di famiglia.»
«E viditi chi alle prossime elezioni u fannu ministru!»
«Sì! Ministro del tesoro!!!», disse sghignazzando il professore.
Anche il tenente si sciolse in una risata liberatoria.
L’indomani mattina Nicola Sammartano si presentò in tribunale con un paio di stampelle nuove nuove e, quando fu chiamato al banco dei testimoni, vi si recò zampettando con grande dignità. Il tenente era stato responsabile delle operazioni che avevano condotto all’arresto di Totò Giglio, cassiere della cosca locale. Ma più che la divisa da carabiniere e il suo ruolo nell’operazione furono le stampelle a dare rilievo giornalistico alla sua testimonianza.
Naturalmente il tenente sapeva benissimo che da quel momento rischiava la vita più di prima, ma se ne fotteva con la sana incoscienza degli eroi, dei pazzi e dei bambini. Quel servo dello stato
aveva sempre disobbedito alla mafia. E Nicola Sammartano, a modo suo, era un disobbediente. Forse era per questo che non aveva fatto carriera.
Passarono pochi giorni e, non si sa come, Totò Giglio scappò di galera prima della sentenza definitiva. Dopo pochi altri giorni ancora, Nicola Sammartano fu trasferito a Erice per incompatibilità ambientale
.
2
Ciccio Bellezza, detto Africa, aveva un discreto orecchio per la musica. Sapeva suonare il tamburo e conosceva qualche accordo di chitarra, ma non aveva mai