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Ritratti del Giappone
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E-book235 pagine3 ore

Ritratti del Giappone

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Info su questo ebook

Una raccolta di lavori di viaggio dedicati al Sol Levante. Racconti frutto della capacità dei valenti partecipanti che hanno voluto dare il meglio di loro stessi per trasmettere avventure senza pari, dove il Giappone non è un semplice luogo fisico, ma un altro pianeta in tutto e per tutto.
LinguaItaliano
Data di uscita18 apr 2021
ISBN9791220293716
Ritratti del Giappone

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    Anteprima del libro

    Ritratti del Giappone - AA.VV.

    AA.VV.

    Ritratti del Giappone

    A cura di Linda Lercari

    Ritratti del Giappone

    AA.VV.

    © Idrovolante Edizioni

    All rights reserved

    Editor-in-chief: Daniele Dell’Orco

    1A edizione – aprile 2021

    www.idrovolanteedizioni.it

    idrovolante.edizioni@gmail.com

    introduzione

    di Linda Lercari

    E siamo arrivati al secondo anno del contest Racconta il Giappone. Difficile spiegare l’emozione nel constatare che ci sia tanto interesse per il paese del Sol Levante e che le persone si sentano così legate a un immaginario non consueto. La partecipazione anche per questa seconda edizione è stata entusiasta e la selezione è stata dura, durissima. Hanno partecipato scrittori più o meno noti e il cui stile di anno in anno è migliorato e cambiato sensibilmente mostrando una maturità letteraria soddisfacente. Sono rimasta affascinata da tutti gli scritti che ho selezionato perché in essi ho rivisto tanti aspetti del Giappone che conosco e tanti altri del Giappone da me immaginato di cui ho una vaga consapevolezza grazie ai miei molti amici nipponici – sono praticante Kendo alla Scuola Kendo Lucca - che spesso mi hanno narrato scene e particolari della loro mitologia.

    Il Giappone è anche questa volta diviso in due grandi temi: Giappone reale e Giappone Immaginato. Per l’occasione Idrovolante ha voluto creare due raccolte tematiche separate per far sì che il lettore possa fruire appieno sia di un tipo di atmosfere che di un altro.

    Ci immergeremo coi Ritratti Giapponesi in un ambiente moderno, attuale e tecnologico dove la tradizione fa appena capolino per insinuarsi ostinatamente come una piantina che cresce in mezzo al cemento. Un Giappone fatto di agglomerati urbani, ma anche di fortissima eppure estraniata umanità.

    Le Novelle giapponesi, invece, ci faranno assaporare tutto il misticismo, l’eterea bellezza e il paranormale che noi occidentali abbiamo sempre desiderato conoscere e di cui abbiamo la nostra personalissima visione. Si va da leggende più o meno note rivisitate a veri e propri voli pindarici di fantasia. Un’atmosfera magica che ci avvolge e ci culla nel sognato e nell’immaginario che ognuno di noi desidera conoscere.

    Due raccolte, quindi, imperdibili. Frutto della fantasia e della capacità dei valenti partecipanti che hanno voluto dare, anche stavolta, il meglio di loro stessi per un’avventura senza pari dove il Giappone non è un semplice luogo fisico, ma un altro pianeta del tutto e per tutto.

    Buona Lettura

    Rio di Verzuno, 11 aprile 2021

    la divina shibuya

    di Alessandro Venuto

    A Kenzaburo Oe per Gli anni della nostalgia

    «Nel mezzo del cammin di nostra vita

    mi ritrovai per una selva oscura,

    ché la diritta via era smarrita.

    Dante Alighieri

    Che cosa la gente venga a fare tutti gli anni a Tokyo io davvero non lo posso capire. Tokyo è una cloaca a cielo aperto, un miscuglio male assortito di nevrotici e maniacali, geishe e anime: ma nessun essere umano. Abbiamo creato cuscini a forma di grembo materno per poter dormire più tranquilli e preferiamo una buona conversazione con una bambola a quella con una ragazza perché ci terrorizza meno il silenzio della prima che quello che potrebbe dire di noi la seconda.

    Vivo in un buco di trenta metri quadri. Di fronte alla mia finestra vedo un palazzo immenso e minuscoli uomini che lo abitano come formiche, su e giù, avanti e indietro tutto il giorno. E io? Io scrivo. Guardo fuori dalla finestra, e scrivo. Di cosa? Della vita degli altri. E leggo anche molto. Sempre della vita, cazzo.

    Sembra che della vita m’importi tutto tranne che di viverla.

    Ma chi in questa dannata, santa e puttana città chiamata Tokyo può davvero dire di vivere la propria? Vivo a Shibuya, che conta 12960 abitanti per km². Così, tanto per dire. Riuscite a immaginare tante persone in uno spazio tanto piccolo? Faccio lo scrittore e ho sempre avuto il grande vantaggio di non doverle incontrare. Mi basta scriverne. Non ho amici, nessun conoscente del cazzo, i miei parenti abitano nelle foreste dello Shikoku e Dante Alighieri è l’unica persona con la quale mi rapportavo dentro il mio Inferno.

    Mi bastava, dico davvero, per fare i conti col dolore.

    Almeno fino all’incontro con lei da Oè. Di fronte a me ho una sua mail. Non oso aprirla.

    La villa del mio professore di letteratura, K. Oè, sorgeva appena fuori Tokyo ed ero stato invitato lì per una conferenza che avrebbe tenuto in forma privata per pochi appassionati. Avevo cercato fino all’ultimo buoni motivi per declinare l’invito ma non ne avevo trovati quindi, con il cuore in mano e la Divina Commedia in italiano con traduzione a fronte sotto braccio, mi ero diretto mio malgrado alla stazione dei treni.

    L’alba tingeva il cielo di una luce sinistra.

    Le luci dei grattacieli erano spente, in giro non c’era nessuno a parte me e chi puliva le strade in attesa che l’umanità intera venisse vomitata fuori dai palazzi.

    Ahi quanto a dir qual era è cosa dura

    esta selva selvaggia e aspra e forte

    che nel pensier rinova la paura!

    Legge Dante in italiano?

    Abbassai appena il libro e mi trovai davanti due grandi lenti, dietro alle quali brillava un paio d’occhi neri e svegli. Feci finta di non aver capito e continuai a leggere.

    Sta andando alla conferenza di Oè, vero? Ci vado anche io.

    Non so davvero di cosa parla, mi dispiace. Scendo alla prossima.

    Salutai, mi alzai dal posto e mi diressi verso le porte del treno, sperando che ci fosse davvero una prossima uscita prima della nostra destinazione e che arrivasse presto ma, dopo alcuni minuti di attesa con quegli occhi addosso, cambiai carrozza, trovai un sedile vuoto e tornai a sedermi. Che scocciatrice, pensai prima di tornare a leggere.

    Lo giorno se n’andava, e l’aere bruno

    toglieva li animai che sono in terra

    da le fatiche loro; e io sol uno

    m’apparecchiava a sostener la guerra

    sì del cammino e sì de la pietate,

    che ritrarrà la mente che non erra.

    Le parole si scioglievano in bocca. Come si poteva scrivere qualcosa di così perfetto? Come si scrivono le cose in questo modo? Quando il treno arrivò presso la stazione di Nakameguro scesi per ultimo, sperando di non incrociare nessuno, soprattutto lei. Mi mossi a piedi, costeggiando il fiume Meguro. I ciliegi, sulle due sponde, erano in fiore.

    "Sakura", disse qualcuno alle mie spalle. Qualcuno di fastidioso.

    Lo so che i ciliegi sono in fiore, grazie.

    "No, intendo dire che mi chiamo Sakura".

    Mi girai con un sorriso beffardo sul viso ma lei non rideva affatto. In quel momento, un’auto accostò piano e si fermò vicino alla ragazza. Ci vediamo là disse prima di entrare nella grossa Suzuki, che vidi svanire veloce tra i petali rosa dei ciliegi.

    Il mio cuore, che tenevo stretto tra le mani, per un attimo diede un battito. Che idiota, gli dissi.

    La sala conferenze della villa di Oè era piena di persone, distanziate di un metro come si conveniva. Le telecamere, che avrebbero trasmesso la lezione in tutto il mondo, puntavano verso un tavolo di noce massiccio dietro al quale erano state disposte due sedie. Un inserviente portò due tazzine e una teiera di ghisa, che dispose con ordine. Ovunque, mazzi di fiori composti con l’ikebana davano un tocco di colore alla sala.

    Trovai, tra le molte, una sedia col mio nome, presi posto e attesi. Gente andava e veniva, molti parlavano tra loro. Ma di cosa? Perché le persone avevano tanto da dirsi?

    Oè entrò nella sala e passò tra le persone che s’inchinavano al suo passaggio, rispondendo appena. Era umile ma non modesto, conosceva il proprio valore.

    Dopo i saluti di rito, fece una breve introduzione poi disse qualcosa che mi fece battere di nuovo il cuore:

    Io era tra color che son sospesi.

    Era così che definivo me stesso. Da sempre. Oè me lo diceva spesso, a scuola. Sei un genio, ragazzo - mi chiamava sempre così- E per questo farai una vita infelice e solitaria. Come me.

    Solo che lui vendeva milioni di libri in tutto il mondo ed era sempre in giro per conferenze, io invece… lasciamo stare.

    "E donna mi chiamò beata e bella,

    tal che di comandare io la richiesi.

    Signori, ho l’onore di presentarvi mia nipote, Sakura Oè".

    Non potevo crederci. Adesso sì, che il cuore batteva. La scocciatrice con gli occhiali era la nipote di Oè e avrebbe tenuto la conferenza con lui? Sì. Parlarono per circa due ore sul tema dell’amore e del perdono in Dante Alighieri e io avrei voluto uccidermi. Sapevo di una nipote di Oè che aveva fatto furore negli Usa come esperta di letteratura ma non credevo che l’avrei mai incontrata. O maltrattata. Alla fine della conferenza, vennero a cercarmi.

    So che hai conosciuto mia nipote sul treno, venendo qui, disse Oè.

    Era arrabbiato? In Giappone, mancare di rispetto a qualcuno non è qualcosa che si prenda alla leggera.

    Il fatto è che io odiavo un po’ tutti, in modo democratico.

    Lei mi guardava fisso da dietro le lenti dei suoi occhiali. Che voleva?

    Sì, ecco. Sì, niente male per uno che legge Dante in italiano.

    "Bene, ho detto a Sakura che sei un esperto di Tokyo. Lei manca da molto, come sai. Dovresti farle da guida fino a questa sera. Domani riparte per New York".

    Certo. Fantastico. A dopo.

    Sul treno che ci portava a Shinjuku non dissi quasi nulla ma guardavo fuori la città che, ormai sveglia, si muoveva frenetica sotto un sole tiepido.

    "Or movi, e con la tua parola ornata

    e con ciò c’ ha mestieri al suo campare,

    l’aiuta sì ch’i’ ne sia consolata".

    Come dici?

    È come nel secondo canto di Dante, non trovi? Solo che tu mi devi fare da Virgilio, oggi. Sai cosa mi piace di un Virgilio? Che restando un passo indietro conduce, guida senza imporre, consiglia senza indurre, svela, rivela e ama il buon viaggiare. Soprattutto se porta a riveder le stelle.

    Sorrise. Niente male, quelle fossette sulle guance.

    Solo che io non so condurre nessuno, nemmeno me, che stavo dicendo?

    Come mai tanto livore? Non mi manca proprio, il nevrotico giapponese tipo.

    Aveva ragione. Sentii una punta di rammarico. La scacciai.

    Era lei di troppo, lì. Dovevo essere a casa mia, io, a… a fare che? Già.

    "I’ son Beatrice che ti faccio andare;

    vegno del loco ove tornar disio;

    amor mi mosse, che mi fa parlare", disse piano e sorrise ancora.

    Scendemmo a Shinjuku poi visitammo Ueno, Asakusa e Ginza. Sakura sembrava irrefrenabile.

    Non ne aveva mai abbastanza. Di ogni cosa chiedeva, si stupiva, si meravigliava. Rise della Statua della Libertà.

    Senza rendermene quasi conto, prima di sera mi ritrovai con lei a Shibuya davanti alla statua del cane Hachiko. I grattacieli iniziavano a illuminarsi sotto il tramonto.

    Ti va un caffè?

    Mi tirò per un braccio fino a Starbucks, ci sedemmo al primo piano con due brodaglie nere e dense a guardare la gente che viveva la propria vita attraversando il famoso incrocio.

    Ti ho capito, sai? Tu sei uno di quelli che usa la cultura per nascondersi. Ma Dante non è questo. Dante ci invita a conoscere e ad amare. A entrare dall’Inferno, ma con destinazione Paradiso.

    Aveva ragione. Vista dalla prospettiva di Dante, la mia vita faceva abbastanza schifo.

    La guardai negli occhi, cercando di non notare la forma morbida delle labbra. Erano sempre state così carnose? E i seni sotto la camicetta che, quali fioretti dal notturno gelo chinati e chiusi, poi che ’l sol li ’mbianca, si drizzan tutti aperti in loro stelo, c’erano anche stamattina? Il mio cuore batteva.

    Ti è venuto un ictus?, Sakura sorrise, bevendo un sorso di caffè.

    "Stavo pensando alla leggenda di Sakura, la conosci?", storse il labbro un poco. Sì, la conosceva. No, non la affascinava.

    "Immagino tu sappia dell’albero solitario che non fioriva e della fata che gli permise di farsi uomo per provare le emozioni umane. Solo che nel mondo vedeva solo guerra e devastazione, niente di bello o di buono finchè non incontrò Sakura".

    Dovevo spingermi oltre?

    "Ebbene, Sakura e il giovane parlarono a lungo di libri e storie stupende e più si conoscevano più lui sentiva qualcosa nascergli dentro, capisci? Ma quando le confessò di essere un albero, lei se ne andò. Un giorno, però, ricomparve e, grazie alla fata, si fusero insieme dando vita alla prima sakura, alla fioritura dei ciliegi. Sai come si chiamava il giovane?"

    Lei mi guardò negli occhi, il caffè in mano, poi sussurrò un nome:

    Yohiro.

    Come me.

    Le nostre mani si fecero vicine.

    "Amor che move il sole e l’altre stelle, insomma", disse.

    Poi si alzò e, dopo avermi dato un bacio, uscì dal locale chiedendomi di non seguirla.

    E adesso eccomi al pc con una sua mail da aprire.

    La apro?

    La apro.

    Lo duca e io per quel cammino ascoso

    intrammo a ritornar nel chiaro mondo.

    E quindi uscimmo a riveder le stelle.

    Seguiva il suo indirizzo di New York e, in allegato, un biglietto aereo offerto da Oè in persona.

    A me la scelta.

    il bacio

    di Alma Prese

    In piedi davanti allo specchio, era intenta a sfilacciarsi le calze, tirando su’ le piccole smagliature fino a che non diventavano lunghi squarci, ragnatele di ordito nero sotto cui occhieggiavano gambe rosa.

    Era in fondo soltanto un altro paio di calze che si sfilavano - pensò - ma l’immagine di se stessa nuda con quei collant graffiati le metteva agitazione.

    Squillò il telefono e si sentì come colta sul fatto: sobbalzò e con lei quella donna strana e sensuale nello specchio. Inciampò nel bordo del letto, quasi si buttò contro la mensola. Lo squillo era amplificato in quella camera piccola e squadrata e le era entrato nel cervello come un raggio laser.

    Pronto?

    Alma tesoro sono io, mi senti?

    Gabriele!

    Come stai? Com’è andato il viaggio?

    Benissimo... il solito terrore all’atterraggio… Ma sai che qui è quasi mezzanotte? Stavo andando a letto. Stasera c’è stato il primo incontro: vedessi i soggetti! C’è sempre il solito Kimura-san che non ride mai e altri persino più grigi di lui!

    Come hai trovato Tokyo?

    Assurda come sempre... Domani poi pare che si debba andare in un paesino termale… Ma credo di avercela fatta! L’accordo è in pratica firmato!

    Che gentili a farti fare un pò di turismo! Mi raccomando rilassati, non pensare solo al contratto! Approfittane per guardarti intorno!

    C’è poco da guardare: sarà la quinta volta che vengo in Giappone e mi sembra di andare a Milano o a Londra! Uffici, alberghi, tutto uguale, se non peggiore! Senti, stai attento alla cucciola, non farla mangiare troppo e dì a Ester di non annaffiare le piante dall’alto come suo solito!

    Con baci telefonici si chiuse la conversazione. Alma ebbe un senso di vuoto e si addormentò senza nemmeno struccarsi.

    L’indomani quello strano gruppetto che nulla teneva unito se non la legge elementare del business, si ritrovò a camminare lesto per stradine tortuose, fra campi di riso, giardini dalle quattro stagioni, laghetti pieni di carpe colorate e bambù ondeggianti nell’azzurro. Era febbraio e i primi pruni erano in fiore.

    Alma camminava eretta, consapevole della sua bellezza e insuperbita dalla vicinanza di quei piccoli uomini in doppiopetto. Una donna anziana a dir poco adorante la seguiva lesta, agghindata nel kimono color tortora.

    Da questa parte signora! Prego prego!

    Alma sapeva che era un privilegio, in quella terra dove gli affari venivano considerati di esclusivo monopolio maschile, venire considerata al pari di un uomo. All’inizio, nei suoi primi rapporti come direttore generale dell’azienda, con i Giapponesi aveva inghiottito amari bocconi, ma infine ce l’aveva fatta. Potere e successo!

    Secondo il copione, avrebbe dovuto sorridere compiaciuta quella sera mentre il signor Kimura faceva il solito discorsetto prima del consueto brindisi kanpai, tessendo le sue lodi di donna manager. Invece era distratta da pensieri del tutto diversi. Suggestioni provenienti dall’aria sulfurea che avvolgeva l’antico albergo in legno e tatami, pulsazioni nuove alimentate dal calore del sakè riscaldato e dalla musica del koto, che si confondeva al suono del ruscelletto nel padiglione interno.

    Kimura le spiegò poi - mentre piatti meravigliosi si alternavano sul tavolo che li riuniva inginocchiati - che in Giappone in paesini come quelli uomini e donne si bagnano insieme come vuole la tradizione in quei laghetti di acqua caldissima, protetti da discreti cespugli di azalee o nascosti fra le rocce. Anche dietro l’albergo c’era il rottemburo, una splendida pozza d’acqua sulfurea: la signora l’aveva per caso già notata?

    Andrò dopo a fare un giretto. Qui è tutto bellissimo!

    L’anziana padrona dell’albergo portò il piatto forte della cena.

    Kimura sorrise.

    "Alma-san è già venuta molte volte in Giappone e sono sicura

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