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Il ritratto del visconte
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Il ritratto del visconte
E-book267 pagine5 ore

Il ritratto del visconte

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Info su questo ebook

Inghilterra, 1816. Uno scambio di persona, un rapimento, una liberazione rocambolesca: ci sono tutti gli elementi perché Florentia Hale-Burton non scordi per molto tempo questa brutta avventura. In particolare quello che lei non riesce a dimenticare, però, sono gli occhi magnetici del suo misterioso rapitore. Per questo, anni dopo, decide di porre fine al proprio esilio e di rientrare a Londra insieme alla sorella e al cognato sotto le mentite spoglie del pittore Frederick Rutherford. Il travestimento le consente di dedicarsi liberamente alla sua passione, la pittura, e di mettersi alla ricerca dell'uomo che non è ancora riuscita a dimenticare. Non dovrà aspettare a lungo: James Waverley, Visconte Winterton - questo il suo nome - è infatti un amico del cognato. Inizia così una sessione di pittura in cui il soggetto del ritratto è anche l'oggetto del suo desiderio...
LinguaItaliano
Data di uscita20 dic 2017
ISBN9788858974674
Il ritratto del visconte
Autore

Sophia James

Neozelandese, laureata in Letteratura inglese e Storia all'Università di Auckland, ha scoperto la passione per la scrittura leggendo insieme alla sorella gemella i romanzi di Georgette Heyer.

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    Anteprima del libro

    Il ritratto del visconte - Sophia James

    successivo.

    1

    Londra, 1810

    La carrozza le si fermò accanto all'improvviso, e lo sportello si spalancò.

    «Dentro!»

    «Come, prego?» Lady Florentia Hale-Burton stentò a credere alle proprie orecchie, finché lo sconosciuto che torreggiava sopra di lei sul primo gradino della carrozza senza livrea lo ripeté con voce ancor più stentorea. «Ho detto: dentro

    L'uomo si rabbuiò quando lei non si mosse, e si chinò in avanti, finché il volto non fu vicino al suo. Un volto magnifico, come un angelo, pensò lei, benché la sua voce non avesse niente di celestiale.

    «Statemi a sentire. A differenza del vostro paziente spasimante, non intendo prestarmi ai vostri stupidi giochi. Se non entrate all'istante, vi trascinerò dentro, così la faremo finita. Avete capito?»

    «Non farò niente del genere, signore. Certo che no.» Ritrovata la voce, Florentia si guardò intorno in cerca di aiuto da parte della sua cameriera, Milly, ma la ragazza era arretrata, la bocca spalancata dallo sgomento, in procinto di darsi alla fuga. Sembrava un sogno, pensò Flora, orribile, come un incubo dal quale era impossibile fuggire, per quanto lo si desiderasse. Si irrigidì per la paura. Il cielo era grigio, la giornata ventosa, sentiva l'odore dell'erba tagliata e il cinguettio degli uccelli nel parco dall'altra parte della strada. Un mercoledì del tutto normale, lungo un marciapiede che aveva percorso centinaia di volte, in precedenza, finché...

    Quando lo sconosciuto scese dalla carrozza e le afferrò il braccio, Florentia trovò la forza di resistere e lo colpì al viso con la pesante pompadour. I due volumi all'interno della borsa erano tomi di storia dell'arte, rilegati in pelle e ponderosi. Il bordo di uno gli tagliò la pelle sopra l'occhio destro, e il sangue prese a scorrergli sulla guancia, ma, invece di andare su tutte le furie come sarebbe stato lecito aspettarsi, lui scoppiò a ridere.

    «Diavolo!» esclamò. «Thomas è in debito con me, anche se mi aveva avvertito che avreste potuto protestare, se lui non fosse stato presente. Ora basta, però. Cominciamo ad attirare l'attenzione e, se volete che vi sia di aiuto, dobbiamo andarcene subito.»

    L'uomo l'afferrò per stringerla a sé e lei gli morse la mano. Imprecando, la cinse premendole un braccio sul petto quando la giovane gridò con tutto il fiato che aveva in gola, dopodiché strinse le dita sulla spalla destra, e lei fu avvolta dalle tenebre.

    James Waverley, Visconte Winterton, non riusciva a crederci. Stava sequestrando la sgualdrina di suo cugino di fronte a Hyde Park e le stava facendo perdere i sensi. Tom aveva insistito e implorato, e alla fine aveva reclamato qualunque favore James gli avesse mai promesso. Così aveva accettato.

    «È esuberante, vedrai» lo aveva avvertito il cugino di secondo grado. «Se potessi andare a prenderla io stesso lo farei, ma...» Aveva abbassato lo sguardo sulla gamba fasciata dalla caviglia alla coscia. «Deve lasciare Londra, Winter, deve essere al sicuro da quanti potrebbero farle del male.» E dal momento che uno dei suoi cavalli bizzosi era il responsabile della gamba rotta del cugino, James aveva acconsentito.

    «Che aspetto ha?»

    «È bionda e sensuale. Senza dubbio sarà vestita di rosso, come sempre, e aspetterà all'angolo con Mount Street di fronte a Hyde Park alle cinque precise.»

    Che Dio mi aiuti, pensò James. Tom aveva omesso che avrebbe potuto gridare a pieni polmoni per la rabbia o colpirlo con una borsa piena di libri.

    Non sembrava una prostituta, con l'abito da giorno rosa e rosso dalla scollatura modesta e il cappellino fuori moda, ma James non aveva idea di quale fosse l'aspetto di quelle donne. Non aveva mai richiesto i servigi di una dama della notte, anche se gli era capitato di vederle nei pressi di Covent Garden e di Haymarket, e molte gli erano parse del tutto... ordinarie. Forse Acacia Kensington era una di quelle ragazze che le circostanze e la necessità di sopravvivere avevano costretto a quel genere di vita.

    Di certo aveva un'ottima dentatura. Il morso sulla sua mano bruciava, la pelle scalfita, gonfia e pulsante.

    Dopo averla deposta sul sedile di fronte al suo, si sfilò la giacca e gliela arrotolò sotto la testa a mo' di cuscino. Presto si sarebbe svegliata e sarebbe stato un inferno, visto che il tragitto sarebbe durato alcune ore. Distolse lo sguardo, rabbuiandosi.

    Cos'era diventato? Un uomo disposto a far del male a una donna? Un uomo disposto a optare per un comportamento del genere, quando era chiaramente la cosa sbagliata da fare?

    Si appoggiò allo schienale con un'imprecazione e guardò fuori del finestrino. Una giovane gridava a pieni polmoni correndo lungo la strada, e presto una coppia la raggiunse. Quando l'uomo levò il pugno serrato lui fu percorso da un brivido, come se le cose non stessero andando secondo i piani, e fu lieto quando la carrozza svoltò sulla strada principale a nord e accelerò.

    Il sangue del taglio sopra l'occhio destro gli offuscava la vista e lui si asciugò con la manica, tamponandosi con la lana nera.

    Gamba rotta o no, all'occasione successiva Thomas se la sarebbe sbrigata da solo, pensò. Se la ragazza si fosse svegliata furente come era stata poco prima, non avrebbe saputo come comportarsi. Scaricarla e lasciare che tornasse da sola a Londra, oppure no, per la verità non gli importava più.

    Al medio della mano destra portava un anello dannatamente costoso, i cui diamanti scintillavano alla luce. Non era vetro tagliato né oro falso, patina e forma del gioiello gli rivelarono che era autentico. Forse il dono di uno spasimante. Thomas disponeva dei fondi per procurarsi un ninnolo del genere, se avesse voluto, forse era opera sua. Era un uomo incline a gesti eclatanti.

    La rabbia che lo accompagnava sempre minacciò di soffocarlo e respinse la familiare furia. Una volta avrebbe detto al cugino cosa farne, dei suoi piani idioti per procurarsi una donna, ma ormai...

    La guerra lo aveva svuotato, era ritornato scosso dall'Europa e dalla guerra d'indipendenza spagnola. Non si sentiva più a casa, non possedeva proprietà né profondi vincoli familiari, eccetto un padre sempre più propenso all'alcol. Voleva allontanarsi da Londra e dalle sue aspettative ma, più di ogni altra cosa, voleva allontanarsi dalla brutalità della guerra. I postumi delle violenze cui aveva assistito lo rendevano nervoso e incerto, e i fantasmi dei ricordi si intrecciavano perfino con gli aspetti più comuni della sua vita.

    Imprecò di nuovo alcuni momenti dopo, quando due occhi azzurri come il cielo si aprirono e lo fissarono, il pallore delle guance allarmante. «Sto per... dare... di stomaco» ansimò lei.

    E fu proprio ciò che fece, sugli stivali di Winter e sul suo vestito, rigettando nello spazio tra loro, scossa da conati spaventosi. Le si riempirono gli occhi di lacrime, il naso colò, nell'aria si diffuse un forte tanfo e lei cominciò a piangere.

    James batté il bastone sul tetto e fu lieto quando la carrozza si fermò, la campagna intorno a loro ampia e verde, la strada vuota in ogni direzione. Non tentò di fermarla quando lei scese in tutta fretta, ma gettò l'acqua che aveva portato per il viaggio sul pavimento del veicolo, asciugandolo come poté con grossi ciuffi di erba che aveva strappato dal ciglio della strada.

    Quando ebbe finito la giovane era scomparsa tra alcuni cespugli dietro un muretto di pietra. Colse un guizzo della sua gonna rossa in lontananza, tra gli alberi di una piccola radura.

    Una parte di lui avrebbe voluto lasciarla lì e proseguire, ma si stava facendo tardi e presto sarebbe calato il crepuscolo. Se fosse caduta in un fosso o fosse incappata in qualcuno che avrebbe potuto farle davvero del male...

    Imprecando per l'ennesima volta, ordinò al cocchiere di Thomas di aspettarlo e la seguì.

    Florentia correva da un albero all'altro, il respiro irregolare a causa di un attacco dell'asma di cui soffriva fin da bambina, scatenato da quello sforzo inatteso.

    Piangeva e al tempo stesso correva e cercava di respirare, mentre rami taglienti le laceravano la gonna e la pelle scoperta di braccia e gambe.

    Il suo rapitore l'avrebbe inseguita? L'avrebbe uccisa? Le avrebbe dato la caccia, intrappolandola lì tra i boschi, lontano da Londra, mentre calava l'oscurità?

    Inciampò e cadde, poi si rialzò, il sentiero più difficile da scorgere. Colse il gorgoglio di un ruscello e il latrare di alcuni cani.

    Cani? Le balzò il cuore in gola. Grossi cani? L'orrore la paralizzò mentre il suono di passi si avvicinava. Nel frattempo due enormi mastini neri e marrone emersero dalla boscaglia e si diressero verso di lei, le zanne messe in mostra da un ringhio.

    «Non muovetevi.» La sua voce. L'uomo della carrozza, grezzo, brutale, furioso. Sembrava pronto a ucciderla insieme ai due animali, benché ciascuno dei due cani avesse il pelo irto sul dorso ossuto, pronto ad aggredirla.

    Lui si chinò a raccogliere alcune delle pietre più grosse ai loro piedi e ne scagliò una. Un colpo in pieno fianco indusse il cane più vicino ad appiattirsi a terra, arretrando. Nella luce morente Florentia scorse due lunghe cicatrici dietro la testa del suo rapitore e si domandò come fosse possibile sopravvivere a ferite simili.

    «Indietro, maledizione!» Le parole di lui parvero sortire un qualche effetto quando il secondo cane seguì il primo.

    «Avanzate piano verso di me.» Stava parlando con lei. «Non correte. Sono cani da caccia, addestrati a proteggere e a difendere. Un movimento brusco, e vi saranno addosso, e le mie pistole sono sulla carrozza.»

    «Spa... sparereste a questi cani?»

    Lui scoppiò a ridere, un suono ruvido e selvaggio. «All'istante, se fossi armato e attaccassero. Ora fate come vi dico.»

    Florentia obbedì, perché in quel momento i denti dei due cani da caccia la preoccupavano assai più della possibilità che quello sconosciuto le facesse del male. Ancora una volta. Fu lieta quando le si mise di fronte, schermandola dalla minaccia. «Ora camminate all'indietro, tenendo il mio corpo tra voi e gli animali. Non guardateli negli occhi. Non inciampate. Date l'impressione di avere il controllo finché non arriverete ai cespugli sul limitare della radura, poi voltatevi e correte verso la carrozza più in fretta che potete ed entrateci. Mi avete capito?»

    «E... voi?»

    «Me la caverò.»

    Raccolse un'altra pietra con una mano e un ramo secco da usare come arma con l'altra e lo brandì di fronte a sé. Uno dei cani reagì ringhiando, e quel rumore la indusse ad arretrare oltre i cespugli. Dopo aver superato la boscaglia sul limitare della radura, si voltò e corse verso la carrozza, gridando al cocchiere per informarlo dei cani e del pericolo, prima di chiudersi lo sportello alle spalle.

    L'abitacolo era umido e odorava di fieno, sebbene il suo vestito emanasse un forte tanfo di vomito. Presa una borraccia d'acqua da una mensola in fondo al veicolo, se la versò sulle gonne. Il freddo attraversò la mussola a fiorellini rossi e la fece rabbrividire.

    Il respiro era peggiorato, riusciva a malapena a inspirare e sentiva crescere il panico, che avrebbe aggravato la situazione. Appoggiò la testa al sedile e chiuse gli occhi. A volte l'aiutava, ma le sarebbero serviti l'espettorante e i medicamenti che sua madre si procurava dal dottor Bracewell a Harley Street. Aveva bisogno di calma, pace e serenità.

    Sarebbe morta lì, sola sul ciglio di una strada di campagna? La sua famiglia avrebbe mai saputo cosa le fosse successo? Il suo corpo sarebbe stato lasciato in balia dei cani, dopo che degli sconosciuti le avessero rubato gioielli, libri e abito?

    Per non parlare della verginità.

    Il terrore la pervase e cominciò a sentirsi strana, distante da ogni cosa. Era l'aria, non riusciva a respirarne abbastanza.

    Alla fine, con un gemito sommesso, sprofondò di nuovo in una misericordiosa oscurità.

    Diavolo, quel viaggio si stava trasformando in un fiasco completo, si disse James quando raggiunse l'amante di Thomas sulla carrozza. Lei giaceva a terra in una pozza d'acqua, il liquido freddo le aveva imbevuto il vestito rosso, rendendolo scarlatto. Respirava in modo strano, la pelle del collo tesa, le labbra bluastre.

    Preso il pugnale, si chinò e tagliò il tessuto stretto dell'abito dal corpetto all'orlo, sfilandoglielo. Gettò l'indumento maleodorante fuori del finestrino senza esitazione e l'avvolse nella sua giacca, prima di sistemarla sul sedile. La posizione eretta avrebbe facilitato la respirazione, pensò, perché una volta aveva aiutato un soldato con il medesimo disturbo sulle strade gelate tra Lugos e Betanzos, e l'uomo aveva insistito affinché la sua testa restasse più in alto dei polmoni, o sarebbe morto.

    Frugò nella rete in fondo al veicolo alla ricerca dell'unguento alla menta acquistato da un guaritore in una locanda mentre si recava a Londra. I polmoni di suo cugino erano deboli, e l'uomo aveva insistito sulle proprietà curative dell'unguento. James aveva trovato una moneta e lo aveva acquistato.

    Si mise sul palmo della mano una noce traslucida di gelatina e la strofinò sulla pelle del collo della giovane, benché l'odore dell'unguento fosse così intenso che gli fece lacrimare gli occhi. Di certo un balsamo così potente avrebbe aiutato il respiro. Avrebbe voluto che lei gli rivolgesse la parola per capire come stesse, ma la giovane rimase seduta immobile, una presenza rigida e rabbiosa. Sapeva che aveva ripreso i sensi, gli anni da soldato gli avevano insegnato a cogliere la differenza, ma non voleva assillarla ricordandole la situazione in cui si trovava e l'abbigliamento succinto, pertanto la lasciò tranquilla, sperando che il viaggio terminasse al più presto.

    Aveva le gambe graffiate, sotto le gonne, lo aveva notato quando l'aveva sollevata, e le scarpette che indossava erano di pelle sottile e seta. Una donna abituata al boudoir e a una vita al chiuso. Nella luce morente i suoi capelli avevano il colore del miele e dell'oro. Si era immaginato che le prostitute fossero volgari, tutte apparenza in mostra per i potenziali clienti. I riccioli di Acacia Kensington, invece, sembravano del tutto naturali.

    Quaranta minuti dopo, quando la carrozza rallentò per lasciar riposare i cavalli presso una locanda, i suoi occhi si aprirono. Quando si mosse, la giacca di James le scivolò dal collo e le guance impallidirono nuovamente appena realizzò che non indossava più il vestito.

    Quella recita lo infastidì. «Non ho alcun dubbio che, data la vostra professione, vi sia già capitato di trascorrere giornate intere senza sottovesti, Miss Kensington.»

    «Miss... Kensington?» La voce era roca, la paura evidente in ogni sillaba. «Penso che vi siate... sbagliato» pronunciò con un tremito.

    «Acacia Kensington?» Colse l'orrore nella propria voce. «Voi siete Acacia Kensington, l'amante di mio cugino Thomas, non è vero?»

    «No, signore. Sono... Lady Florentia Hale-B... Burton... figlia minore del... Conte di Albany.» Ogni respiro era reso penoso dallo sforzo di parlare.

    «Diavolo!» No, non era possibile. «Diavolo!» ripeté lui, e tutti i tasselli del rompicapo scivolarono al loro posto. La cameriera che correva gridando lungo la strada di fronte al parco. L'anello. L'abito castigato. La sua voce.

    Aveva rapito la donna sbagliata, le aveva fatto perdere i sensi, l'aveva spogliata e le aveva fatto vivere il genere di pericolo e terrore da cui probabilmente non si sarebbe mai più ripresa.

    Per la prima volta in vita sua James rimase quasi senza parole. «Quanti anni... avete?» gracchiò poi.

    «Diciotto. Questa era... la mia prima... Stagione.»

    Giovane, inerme, innocente.

    «Siete sposata?»

    «No, signore. Ma presto... potrei esserlo. Ho... un corteggiatore cui... interesso e sono sicura che...»

    Non finì la frase, il cortile della locanda si riempì di grida quando un altro veicolo sopraggiunse a rotta di collo. Alcuni uomini scesero a terra e si diressero verso di loro, lo sportello venne spalancato e James fu sopraffatto dal dolore quando un'arma da fuoco gli esplose in piena faccia, l'odore di polvere da sparo uno dei suoi ultimi ricordi.

    Era morto.

    Suo padre lo aveva ucciso, il sangue gli sgorgava dal collo e dalla bocca.

    Il suono dello sparo l'aveva assordata, vedeva soltanto persone che muovevano le labbra, gole contratte e mani che gesticolavano, impazzite.

    Lo sentì cadere e cadde insieme a lui, lo sconosciuto dagli occhi verdi che l'aveva rapita. Vide lo zampillo del suo sangue e i movimenti rapidi dei cavalli spaventati. Vide anche il volto duro e teso di suo padre sopra di lei.

    Piangeva.

    Quel singolo dettaglio la colpì più di tutto il resto, le sue lacrime sul viso di lei mentre cercava di aiutarla a rialzarsi.

    Tutto aveva l'odore sbagliato.

    Il sangue, la polvere da sparo, la paura dei cavalli, il suo sudore, le ultime tracce di vomito nell'aria.

    Era l'odore della fine, per lui e per lei. Una punizione rapida e definitiva per qualcosa di tanto terribile che riusciva a stento a immaginare cosa sarebbe successo.

    Il suo rapitore giaceva a terra accanto a lei, giovane e vulnerabile, un braccio piegato sotto di sé, un osso che sporgeva dalla camicia di lino, il sangue che si allargava sul tessuto. Avrebbe voluto aggrapparsi a lui, sentire la mancanza del polso, comprendere la sua morte, ma suo padre la stava trascinando via, lontano dalle persone che si erano radunate intorno alla carrozza, lontano dal cocchiere che gridava, lontano dal chiarore di una luna crescente.

    La seguì il profumo di menta, radicato e assoluto, il suo calore subito sopra il cuore che le batteva rapido.

    Le aveva spalmato un unguento, se lo ricordava. L'aveva sistemata sul sedile e le aveva messo la giacca sulle spalle per celare la sua nudità, per nasconderla. Le aveva tolto il vestito affinché potesse respirare, proteggendola come aveva fatto dalla minaccia dei cani.

    La persona sbagliata.

    Lo aveva detto lui stesso.

    Anche la punizione sbagliata. Cominciò a tremare con violenza quando suo padre le tolse la giacca cui si era aggrappata, prima di chiamare cocchiere e lacchè. Poi i cavalli partirono e lasciarono la locanda di campagna, correndo verso la sicurezza di Mayfair e Londra.

    Si sentì avvolgere da una calda coperta di lana e udì le preghiere del padre. Fuori aveva cominciato a piovere.

    «L'ha rovinata, John?» Era la voce di sua madre, piena di lacrime, esitante.

    «Non lo so, Esther. Giuro, non lo so.»

    «L'ha...» La voce di sua madre si fermò, le parole troppo dure per essere pronunciate a voce alta.

    «Non penso, ma le sue sottovesti erano in disordine e l'abito era sparito.»

    «I tagli su braccia e gambe?»

    «Suppongo che abbia opposto resistenza. Finché le è mancato il respiro, e forse è stato proprio questo a salvarla. Perfino la depravazione di un mostro deve avere i suoi limiti.»

    «È morto?»

    «Sì.»

    «Chi era?»

    «Dio solo lo sa. Florentia respirava a malapena, e ce ne siamo andati. Non voglio mandare nessuno a informarsi alla locanda, nel caso...»

    «Nel caso il nostro nome fosse riconosciuto?»

    «Milly ha detto che gli Urquhart avevano visto Florentia nel parco un momento prima del rapimento e che aveva parlato con loro. Non sono persone capaci di mantenere un segreto. E dubito che Milly sia una ragazza molto discreta. Ma non hanno visto nostra figlia come l'ho vista io. Non l'hanno vista spogliata in compagnia di uno sconosciuto, i capelli sciolti. Potrebbe esserci una speranza.»

    Il singhiozzo della madre fu soffocato, poi seguirono sussurri allarmati, fruscio di seta, la candela fu spenta, la porta si chiuse dietro di loro e, infine, il silenzio.

    Si trovava in camera sua a Mayfair, nel suo letto,

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