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La notte di San Lorenzo
La notte di San Lorenzo
La notte di San Lorenzo
E-book396 pagine5 ore

La notte di San Lorenzo

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Info su questo ebook

È la magica notte di San Lorenzo, la più stellata dell'anno. Come ogni sera, Valentina e Fosco si incontrano e passeggiano in silenzio. La loro storia è avvolta da un alone di tensione palpabile. Non si tratta di vero amore: a legarli è soprattutto la paura che Valentina nutre nei confronti dell'amante, e in particolare delle sue reiterate minacce. È su questo denso sfondo che si sviluppano le vicende dei personaggi, portando alla luce intrecci drammatici, avvincenti e inaspettati.-
LinguaItaliano
Data di uscita1 giu 2022
ISBN9788728195291
La notte di San Lorenzo

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    Anteprima del libro

    La notte di San Lorenzo - Flavia Steno

    La notte di San Lorenzo

    Copyright © 1930, 2022 SAGA Egmont

    All rights reserved

    ISBN: 9788728195291

    1st ebook edition

    Format: EPUB 3.0

    No part of this publication may be reproduced, stored in a retrievial system, or transmitted, in any form or by any means without the prior written permission of the publisher, nor, be otherwise circulated in any form of binding or cover other than in which it is published and without a similar condition being imposed on the subsequent purchaser.

    This work is republished as a historical document. It contains contemporary use of language.

    www.sagaegmont.com

    Saga is a subsidiary of Egmont. Egmont is Denmark’s largest media company and fully owned by the Egmont Foundation, which donates almost 13,4 million euros annually to children in difficult circumstances.

    La vicenda prende le mosse da una situazione familiare infelice ma piuttosto banale per poi svilupparsi senza freno in intrighi che via via assumono tinte drammatiche, avventurose, patetiche ed appassionate. I personaggi si incontrano fuggevolmente, trasportati continuamente lontano da opposte passioni, da eventi imponderabili suscitati da altri personaggi che non si conoscono neppure fra di loro ma che interferiscono senza sosta a separare chi si cerca e ad unire chi vorrebbe sfuggirsi, in un intreccio che non concede respiro. Poi, come in un complicato ma rigoroso puzzle, tutti i frammenti finiscono per combaciare, concludendo armoniosamente il disegno fantastico che ci aveva trasportati per tante pagine.

    I.

    Come ogni sera, Valentina aveva raggiunto Fosco Silenzi in piazza Castelletto e subito si erano avviati insieme lungo il Corso Firenze, deserto, in quella stagione, a quell’ora, non soltanto sul bel viale alberato ma anche nell’aspetto delle sue case dalle finestre tutte chiuse.

    Si erano salutati con un sorriso indovinato più che veduto alla scarsa luce dell’unica lampadina che rischiarava la baracchetta di attesa del tram che era il punto preciso del loro convegno.

    Non una parola si erano scambiata, né incontrandosi, né avviandosi, ma subito l’uomo aveva afferrato con sicurezza da padrone il braccio della donna e adesso camminava cosí, con quel braccio stretto contro il suo, la piccola mano chiusa nella sua mano, la personcina di lei attirata accosto alla sua, stretta alla sua per le spalle e il fianco e la stringeva, con una determinazione volontaria di dominio più espressiva, nella imperiosa evidenza di qualsiasi parola.

    Per tutto il corso, cosí.

    Soltanto quando furono in vista del Castello D’Albertis, Valentina osò chiedere:

    — Non parli?

    — No. Ti sento. Lo sai che mi piace tanto tacere con te.

    Sempre tenendola stretta, la trasse verso via Paleocapa che saliva, solitaria, ancora non tutta aggredita dalle case, verso le pendici d’Oregina.

    Valentina si lasciava condurre rassegnata, ma a malincuore. Sempre temeva un poco, andando con lui, nell’allontanarsi dall’abitato. Tanto piú temeva quella sera, indovinando nel silenzio di Fosco, un’ostilità complessa pronta a scattare in una di quelle violenze che sempre contenevano la minaccia di una soluzione tragica.

    — Come stai? — gli chiese per rompere il senso d’angoscia che la notte, la solitudine, il silenzio le addensavano intorno.

    — Male!

    Ella si rivolse un poco a passargli la destra sul viso col gesto d’una mamma che voglia placare un bimbo con una carezza.

    — Sii un po’ sereno: guarda quante stelle!

    — È la notte di San Lorenzo — spiegò Fosco breve.

    Il silenzio ricadde intorno interrotto soltanto dal rumore sincrono dei loro passi sul breve rialzo lastricato lungo la ringhiera.

    Man mano che salivano, la solitudine si faceva piú solenne: a destra della strada e innanzi, era la collina brulla, tutta roccia e terriccio, con scarsa erba e senza alberi; a sinistra, sotto lo sbalzo della strada, nella via inferiore già abitata, le case, adesso, finivano.

    L’ultima, proprio sotto lo svolto della strada, aveva il terrazzo a livello di via Paleocapa, e tutte le finestre delle stanze da pranzo spalancate lasciavano scorgere per due, tre piani degradanti gli interni illuminati con le tavole apparecchiate e le famigliuole raccolte intorno.

    I due amanti si fermarono e stettero a guardare in silenzio.

    Nell’interno piú vicino, quello dell’ultimo piano, un bimbo s’era arrampicato sulla tavola e picchiava il cucchiaio contro la zuppiera.

    S’indovinava la voce della mamma levata a sgridarlo con un viso pieno di orgogliosa gioia, mentre il babbo, deposto il giornale, aiutava il piccolo a rimettersi a sedere, tranquillo, nel suo seggiolino alto.

    Improvvisamente, Valentina sentí tremare il braccio che la teneva allacciata, mentre, alterata e torbida, la voce di Fosco comandava:

    — Vieni via.

    Ella gli si rivolse dolcissima e triste:

    — Andiamo pure. Ma perché? Credi che abbia bisogno di vedere i bimbi degli altri per pensare al mio Luli?

    — Non è a Luli, è all’altro che non voglio che tu pensi.

    — L’altro… non conta. Tu lo sai. Se contasse, non sarei qui con te.

    — Chi lo sa? Chi può dire quante cose contradditorie passano nell’animo di voi donne? Poco fa, certo, guardando quella famigliola, hai desiderato la tua casa, la tua sala da pranzo, l’intimità della tua famiglia. Io l’ho sentito. L’ho sentito, capisci? Giura di no, se puoi!

    S’era esaltato parlando e la concitazione del suo dire era passata dall’accento al gesto delle mani che adesso stringevano la donna alle spalle squassandola.

    Valentina sospirò.

    — Perché dovrei mentire? — disse — È vero: ho pensato che, a quest’ora, anche Luli è seduto a tavola e aspetta la sua mamma, e trasalisce a ogni passo che sente in anticamera, e vorrebbe chiedere di me a suo padre, che sta pure lui leggendo il giornale come il babbo del bimbo di poco fa, ma non osa chiedere, povero piccolo Luli, perché indovina la tempesta che c’è nel silenzio del babbo e sa che se domandasse di me, quella tempesta scoppierebbe anche piú grave al mio arrivo.

    — Vedi? Vedi?

    — Che cosa? — ribatté Valentina con voce di ribellione — che voglio bene a mio figlio? Sicuro! È un delitto, forse? È un torto che faccio a te? Ma se faccio soffrire lui per te! Dovrei essere con lui, a quest’ora, e son qui!

    — E bruci d’andartene, vero? E mi detesti?

    — Lasciami! — ella pregò strappandosi alla morsa di quelle mani che le martoriavano le braccia.

    Soggiunse subito:

    — Non brucio d’andarmene e non ti detesto. Ma vorrei che in cambio della mia sofferenza di mamma e di amante, tu fossi un po’ piú buono con me. Fosco! Fosco come il tuo nome!

    — Ma come vuoi che io sia buono se ti amo!

    — Appunto per questo dovresti esserlo. L’amore è anche bontà.

    — È falso. L’amore è tempesta, è disperazione, è inferno! Almeno, cosí è questo ch’io sento. Ah — proseguí con amarezza — se io fossi al posto di colui che ti aspetta a quest’ora in una bella sala da pranzo col suo bimbo accanto, un po’ inquieto e molto sospettoso per il tuo ritardo, ma sicuro di averti fra poco per sé, con sé, sotto il suo tetto, nella sua camera, fra le sue braccia — e qui le mani del giovane riafferrarono Valentina alle spalle con violenza spasmodica strappandole un gemito — allora, forse, anzi, certo potrei anch’io essere buono…

    — No. Non lo saresti nemmeno allora.

    Egli parve non accorgersi della protesta e proseguí:

    — … Ma cosí, cosí, costretto ad averti un’ora al giorno, fra mille ansie, col terrore atroce che tu non venga, che qualche cosa ch’io non so t’impedisca di muoverti; cosí, tagliato fuori da tutta la tua vita, all’oscuro di tutto quello che tu fai, della gente che ricevi, di quella che frequenti… ah, è orribile, intollerabile!

    — E per me?

    — Per te? Ma tu, di che cosa soffri? Hai la tua vita, la tua casa, la tua famiglia, e non hai nessuno dei miei tormenti. Nessuno! Non sei nemmeno gelosa!

    — Perché dovrei esserlo? Ti amo e tu mi ami. Ti sento mio come tu dovresti sentirmi tua. Nessuna costrizione ti lega a me: nessuna lega me a te: soltanto l’amore!

    Sentí di mentire.

    No, non era vero che nessuna costrizione la legasse a Fosco Silenzi. La costrizione c’era e piú forte, dell’amore: la paura.

    Una paura folle della violenza di lui, della realizzazione delle minaccie che ogni giorno egli le faceva, della possibile conclusione tragica di una delle tante tempeste che all’improvviso e senza provocazione alcuna si scatenavano nel suo torbido cervello.

    — Valentina, io ti adoro e ti ammazzerò — era il ritornello quotidiano dell’amante.

    Una volta ella gli aveva risposto:

    — Ed io ti perdono fin d’ora.

    La frase rassegnata, detta con malinconia infinita, aveva provocato nell’amante una reazione di commozione eccessiva e morbosa anch’essa come le sue violenze, con imprecazioni contro se stesso, lagrime, preghiere di perdono, promesse che, naturalmente, avevano avuto la durata d’un ora.

    Un malato.

    Da un pezzo, ormai, Valentina ne era convinta. Forse lo aveva intuito sempre, fin da quando, cioè, ella aveva avvicinato per la prima volta Silenzi in una piccola stazione montana e l’ozio e la solitudine l’avevano portata a fantasticare sulla malinconia del giovane, sul suo amore di solitudine che diventava quasi selvatichezza, sul pallore del suo viso e l’ombrosità del suo contegno.

    Era stata la curiosità di conoscere il segreto di quella tristezza che l’aveva perduta.

    Silenzi le aveva parlato della sua ricerca disperata di serenità ed ella s’era illusa a tutta prima di potergli dare la serenità attraverso un’amicizia amorosa che desse a lui il conforto di non sentirsi solo nella vita e a lei quella tenerezza ambita piú dell’amore che il matrimonio non le aveva dato né ancora poteva darle il suo piccolo Luli.

    Un inganno terribile.

    Fosco Silenzi non le aveva dato la tenerezza e le aveva dato invece la passione.

    Da un anno ormai ella ne era martoriata. Passata la vertigine breve dei primi tempi che aveva travolto lei pure, l’incantesimo era svanito ed era rimasta solo la catena. Una catena cosí greve che a Valentina pareva fosse per se stessa espiazione.

    Ella continuava a essere l’amante di Fosco Silenzi, tradendo suo marito, offendendo l’innocenza del suo piccolo bimbo, ma il suo enorme peccato le dava ormai cosí poca gioia e cosí tanto tormento che ella non ne provava quasi piú rimorso.

    Ogni giorno si trovava con Fosco. Sovente per istrada, come quella sera. Talvolta — il meno possibile — da lui. Ma sempre, anche quando nei loro ritrovi la passione ardentissima dell’amante riusciva ancora a trasfonderle il proprio ardore, il momento piú bello per Valentina era quello in cui, ritta dinanzi allo specchio, nell’appartamento di Silenzi, si rimetteva il cappello pensando:

    — Fra mezz’ora sarò a casa mia, a casa mia, a casa mia!

    Aveva sempre, trovandosi in istrada dopo uno di quei ritrovi, la sensazione di essere sfuggita a un pericolo mortale.

    — Per stavolta… — si diceva.

    E quando, prima di uscir di casa per andare verso l’amante, si chinava a baciare il suo bimbo pensava:

    — Chissà se ti rivedrò piú, stasera?

    Lo pensava anche adesso.

    Dopo quella dichiarazione che ella aveva fatto sentendo di mentire, Silenzi aveva riso del suo breve riso di scherno che a Valentina era intollerabile. Poi aveva detto:

    — Parole, parole! Risolvi sempre tutto con delle parole tu! L’amore non lo si declama: lo si prova!

    — Tormentando!

    — Anche!

    E il lamento tante volte udito aveva ripreso:

    — Lo so che ti tormento. Ma credi tu ch’io lo voglia? Credi che sia un piacere per me? Ti par proprio ch’io abbia l’anima di un torturatore? Non saprei far del male a un nemico! non sarei capace di privare della libertà un uccellino! e tormento te, te che amo! e so che piú ti tormento, piú ti stacco da me e questa convinzione che mi arrovella si risolve anch’essa in violenza! Che m’hai fatto, che m’hai fatto? Non ti posso piú cavare dal cuore e dal cervello! Sei nelle mie vene come il sangue! Sei in tutto quello che faccio, dovunque vado. Mi hai straniato dalla vita con l’ossessione di te. Non vivo piú che per aspettare quell’ora della giornata che tu mi concedi…

    — E quando viene — concluse amara Valentina — ne fai un’ora di veleno per entrambi.

    — Cosí — confermò l’amante.

    Erano giunti sul sagrato della chiesetta d’Oregina: chiusa, silenziosa, sommersa nell’ombra.

    Valentina s’inginocchiò sul primo dei gradini che portavano su alla soglia, giunse le mani, mormorò a mezza voce:

    — Che la Madonna ci perdoni e ci salvi!

    Fosco Silenzi era andato a sedersi sul muricciolo che circonda il sagrato, presso l’eucalipto secolare che stagliava i suoi rami sullo stellato come braccia levate verso il cielo.

    — Vieni! — egli chiamò imperioso.

    E appena Valentina gli fu accanto:

    — C’è un modo di salvarci — disse — uno solo.

    — Morire? — chiese la donna con semplicità.

    — Partire, Valentina. Andarcene insieme lontano lontano, dove nessuno ci conosca, dove io ti abbia tutta per me, per me soltanto, e sempre sempre sempre!

    — E Luli?

    Faceva la domanda sicura già della risposta. Fosco non avrebbe voluto suo figlio. Fosco era geloso anche di Luli, anche del piú piccolo pensiero che la madre gli dedicasse. Fosco detestava suo figlio come detestava chiunque gli avesse distolto per un solo istante l’amante.

    Non arrischiava niente, con quella breve domanda Valentina. E se non fosse stata sicura non l’avrebbe posta, poiché neppure ove Silenzi le avesse detto:

    — Lo portiamo con noi, Luli — ella non avrebbe accettato di partire con lui.

    Forse, nell’alternativa di partire o di morire avrebbe scelto di morire.

    Ma Fosco rispondeva, adesso:

    — Luli ha suo padre.

    — Ma ha il diritto d’avere anche sua madre.

    L’amante scattò.

    — E io? e io? e io? Non ho nessun diritto, io? Io devo impazzire, uccidere, morire perché ho commesso il delitto d’amarti? È questo che tu vuoi? dí, è questo?

    La donna non rispose. Chinò il capo fra le palme aperte e nel breve silenzio che seguí, Fosco indovinò piú che non sentí che ella piangeva.

    La violenza cadde in lui ma non caddero l’ostilità e il rancore, né si sciolse il viluppo torbido di esasperazione e di passione che sconvolgeva il suo spirito. Si alzò, senza toccare la donna, senza parlare e prese a camminare su e giú, dinanzi a lei, con la nervosità d’una belva tra le sbarre, monologando fra sé piú che rivolgendosi a Valentina.

    — Se potessi farne a meno di proporti questo! Se potessi fare a meno di te! Ma non posso! Capisci cosa vuol dire questo? Non posso! Senza di te soffoco, non ho requie, muoio. Muoio. E averti cosí mi fa impazzire. Non c’è che una via: andarcene. Averti sempre. Forse guarirò. Andarcene. Oppure… morire. Prima te, poi io.

    Valentina sentí che bisognava concedere qualche cosa per prender tempo e sottrarsi al pericolo immediato.

    — E sta bene — disse — se non c’è altra via per salvarti, partiremo.

    Si aspettava un grido di vittoria e di gratitudine.

    L’amante, invece, disse:

    — Allora andiamo.

    — Dove?

    Egli s’era alzato aveva avvinto la donna alle spalle e si avviava con lei giú dalla gradinata.

    — A casa mia — rispose. — Hai promesso si o no di partire con me?

    — Ma non vorrai partire stasera?

    — Stasera p mai piú.

    — Ma è impossibile! Io non ho nulla con me…

    — Che grande ostacolo! Come se col denaro non si comprasse tutto! Tu non pensavi di partire ma io sí. Sono mesi che ci penso. Mesi. E ho realizzato tutto il possibile. Ho di che portarti lontano lontano e di che vivere insieme per oltre un anno. Poi, lavorerò. È pronto tutto. Anche il rifugio dove ti porterò…

    Valentina non lo udiva. Un terrore atroce la teneva. Come avrebbe fatto a liberarsi? Come avrebbe potuto sottrarsi alla tirannide di quel pazzo? Non un istante ella aveva concepito la possibilità di realizzare quel folle progetto. Non la concepiva nemmeno adesso. Provava un solo bisogno: di fuggire, di rifugiarsi nella sua casa, di stringersi Luli fra le braccia.

    Luli! Luli! Chissà se l’aspettava ancora o se si era addormentato? E suo marito? Ah, lui l’aspettava sicuramente! E, come sempre, il suo interrogatorio pieno di sospetti che non osavano prender forma avrebbe formato anche quella sera la corona del suo martirio quotidiano.

    Eppure, come avrebbe voluto trovarsi adesso sotto il pungolo di quell’interrogatorio!

    Invece era lí, nella stretta, interminabile discesa d’Oregina incassata tra i muri alti, irta di ciottoli risonanti sotto i passi cadenzati, illuminata soltanto agli svolti da un fanale a gas che pareva messo lí a illuminare sorprese misteriose che attendessero i passanti oltre gli svolti: era lí, chiusa nell’arco del braccio destro di Silenzi che la trascinava portandola, quasi, giú verso il Lagaccio e Principe, e, scendendo parlava, parlava.

    — Stanotte stai da me e domattina, col diretto delle sei, partiamo per Milano e Arona. Sai dove ti porto? In Valle d’Antrona, a Antronapiana. Vedrai che bel posto! Chi vuoi che venga a rintracciarci lassú? Vedrai com’io sarò buono quando sarò felice!

    Passò un marinaio che probabilmente saliva all’Ufficio Idrografico. Valentina ebbe la tentazione di chiamarlo e di gridargli: — Salvatemi! Strappatemi da questo castigo! Aiutatemi a ritrovar la mia casa!

    Il marinaio spari. Ella rimase con la sua angoscia. Ma adesso, quasi inavvertito, un piano andava formandosi nel profondo del suo «io» interiore, là dove in sussidio della debolezza e della fragilità femminile entra in giuoco l’astuzia e si elaborano le batterie di difesa della creatura sottoposta contro il piú forte armato di violenza.

    — Tutto bene, Fosco, ma tu non hai pensato che se io non vado a casa stasera, mio marito si metterà in moto per cercarmi e che prima di domattina alle sei, la Questura sarà già informata della mia scomparsa.

    — Allora anticipiamo. Partiamo a mezzanotte.

    — E ti illudi che non saremo veduti, scoperti, identificati? Tu, lo scrittore che è conosciuto, qui, anche dalle pietre; io, la moglie del primo avvocato della città? A mezzanotte la stazione è piena di gente. E ad ogni ora ci sono i funzionari che conoscono, certo, te, che conoscono, forse, me.

    — Ma a qualunque ora di qualunque giorno sarà cosí. E allora, secondo te, non si dovrebbe poter partire.

    — Ma non è necessario partire insieme. Uno può precedere l’altro. Io potrei recarmi ad attenderti in una stazione qualsiasi dove tu mi raggiungeresti.

    Ella non vide Silenzi corrugare la fronte come quando un sospetto balenava nel suo cervello.

    — No — disse reciso — non mi fido.

    — Oh! Fosco! E come puoi credere nel mio amore se mi ritieni capace di un inganno?

    Piú che le parole, l’intonazione della voce parve commuoverlo.

    — Ti credo, ma sei mamma, e, se io accettassi la tua proposta, tu vorresti certamente rivedere tuo figlio prima di partire.

    Col cuore che le batteva in gola, per la trepidazione, Valentina osò dire:

    — Voglio vederlo, Fosco. E tu che stai chiedendomi il piú grande dei sacrifici, quello di rinunciare a mio figlio per te, non puoi rifiutarmi quest’ultima grazia di mettere ancora un bacio sulla fronte di Luli addormentato.

    — Lo vedi? Lo vedi che ami piú tuo figlio di me?

    — Fosco, tu non sai quello che dici! Come puoi fare un confronto fra due sentimenti cosí diversi? La maternità esclude forse l’amore? E come puoi dubitare del mio per te se sono disposta a sacrificarti mio figlio? Avrei potuto rivederlo senza dirti questo mio desiderio supremo…

    — In che modo?

    — C’è un’altra importantissima ragione perché io vada a casa mia ancora una volta. Le tue lettere. Mio marito sospetta ma non sa. Non voglio che sappia. Quando sarò lontana, troverò modo di fargli credere che soltanto l’impossibilità di continuare a vivere con lui mi ha determinata a partire. Poiché sa che non lo amo, che non l’ho amato mai, che il suo carattere chiuso freddo cinico mi è sempre stato di peso, crederà… forse. Almeno, non avrà nulla che lo autorizzi a lasciar credere piú tardi a mio figlio che io l’ho abbandonato per un amante!

    — Tu hai un bel umiliante concetto del nostro amore, Valentina, se credi che il confessarlo possa diminuirti un giorno nel cuore di tuo figlio!

    — Sei tu, povero Fosco, che sei fuori della realtà: il nostro amore è cosí grande (cosí triste, pensò invece) che certo giustifica tutto in faccia a noi stessi. Ma gli altri non vedono che il fatto, condannabile. E un figlio — concluse malinconicamente — non vede che la diserzione dal suo posto di colei che gli ha dato la vita… Credimi e dammi retta. Non discutere piú, Fosco. Fidati, invece, di me.

    Nell’estremo tratto d’ombra, poi che stavano per sboccare dalla discesa buia sulla strada ampia illuminata, nei pressi della stazione, Valentina si fermò e offerse le labbra al compagno.

    — Dimmi che mi vuoi tanto bene e che per questo mi ubbidirai.

    Come sempre avveniva quando Valentina aveva l’iniziativa di un’espansione, quel gesto commosse l’amante. Egli bevve il bacio sul viso pallido, subito inebbriato, sconvolto.

    — Come ti amo, Dio come ti amo! — mormorò soffocato.

    Soggiunse, riprendendosi:

    — Bada, Valentina, che tu giuochi la mia vita.

    Ella sorrise, scherzosa, sentendosi in quel momento, la piú forte.

    — Non piú la mia? — domandò.

    — Non scherzare. Ti ho detto, ti ripeto, che tu giochi la mia vita. Farò come tu vuoi. Ti lascio andare a casa, stasera. Distruggerai le lettere, bacierai Luli… E domani, alle nove, ti aspetto da me. Giurami che verrai!

    — Giuro!

    Fosco la cinse un’altra volta alla vita, ebbro di passione, esaltato di speranza.

    — Sta bene — disse. — Ma ascolta anche questo mio giuramento se alle dieci tu non sarai venuta, io mi sparo.

    La donna che stava col viso alzato rabbrividí tutta, a un tratto. Perché, mentre Fosco Silenzi pronunziava il suo giuramento sinistro, ella aveva visto una stella solcare il cielo e precipitarsi in mare.

    Ma non lo disse.

    II.

    Nel taxi, preso a Principe, che la trasportava velocemente verso casa, Valentina, rientrata immediatamente nell’altra sua vita, quella dalla quale Fosco Silenzi era escluso, rifletteva.

    Si trattava, adesso, di affrontare suo marito e di trovare una menzogna plausibile per spiegare il suo ritardo. Non era facile.

    Raramente le era accaduto di attardarsi con Fosco sino a quasi mezzanotte e, quando lo aveva fatto, era sempre stato in circostanze previste che le avevano permesso di architettare in precedenza qualche scusa o pretesto talvolta anche con la complicità indulgente della sua amica Sofia Marini. Ma Sofia era a Curmayeur da un mese, e, a quell’ora, ella non avrebbe nemmeno saputo dove trovare il marito di lei, quell’indulgentissimo amico che, al corrente della sua situazione, compativa e perdonava soprattutto perché consapevole delle sofferenze che Valentina attraversava.

    Il taxi si fermò, dinanzi al palazzo di via Cesarea dove Valentina abitava, prima che ella avesse trovato una qualsiasi soluzione alla sua preoccupazione. Automaticamente scese, pagò, si ritrovò dinanzi al portone chiuso, dovette suonare perché il portinaio venisse ad aprirle, e soltanto quando udí squillare il campanello nell’interno del suo appartamento, nel breve istante d’attesa sul pianerottolo, in faccia alla porta chiusa, il coraggio le tornò a un tratto, lucido, freddo. Dopo tutto, suo marito non sapeva e non aveva alcun fatto preciso ad alimento dei suoi sospetti. Le sarebbe bastato giuocar d’audacia per superare il difficile momento dell’incontro.

    Appena la porta si aperse le venne in soccorso un grido di Luli:

    — Mamma! Mamma!

    — Tesoro! — ella esclamò correndo rapida nella cameretta del bimbo mentre la cameriera severa e arcigna nella fisionomia, informava con aria disapprovatrice:

    — Non c’è stato modo di farlo dormire. E nemmeno di farlo mangiare. Ha aspettato la mamma, seduto a tavola, fino alle dieci. Ha fatto un capriccio grosso per lasciarsi portare a letto e da oltre un’ora non ha fatto che piangere e chiamarla. D’altronde — concluse — nemmeno il signor avvocato ha voluto mangiare.

    La donna stava ancora parlando che già madre e figlio, abbracciati, si spiegavano con piú baci che parole, l’uno lagnandosi e interrogando, l’altra, scusandosi con la menzogna preparata che andava sciorinando ad alta voce per venir udita anche dal marito che sentiva passeggiare di là, nella sala da pranzo, in un silenzio che non presagiva niente di buono.

    — Povero Luli mio che mi hai tanto aspettata! Lo sapevo, sai, lo sentivo, e ho corso tanto per far piú presto. Ma la strada è lunga da Granarolo a qui.

    — E perché sei andata in Granarolo?

    — Te l’ho detto. Ho accompagnato una signora del nostro ufficio di assistenza per i bambini che andava a Granarolo a visitare una povera famiglia.

    — Perché non hai portato anche me?

    — Perché non sapevo che ci sarei andata, tesoro mio. La signora mi ha proposto di accompagnarla dicendomi che siccome si andava e tornava con la funicolare, era questione di un paio d’ore, e io ho accettato. Siamo salite, infatti, con la funicolare, ma quando siamo tornate per prenderla, alle sette, ci dissero che c’era un guasto e che non funzionava piú per stasera. Figurati come si rimase! Ma poi venne il peggio. Né la signora né io sapevamo la strada per scendere a piedi cosicché dopo aver camminato per tre ore, ci trovammo, al buio, sole, sotto il forte del Castellaccio!

    — Povera mamma, chissà che paura! Papà, papà! vieni a sentire, povera mamma! S’è perduta nel buio sulla montagna, come Puccettino!

    Valentina si chinò a calmare il piccolo, accarezzandolo:

    — Ora vado io, caro, da papà. Tu dormi, adesso, e subito. Va bene?

    Ora, bisognava affrontare il marito.

    Risolvette di farlo subito.

    Con una disinvoltura simulata a forza d’audacia, ella lo raggiunse nella sala da pranzo senza neppure essersi tolta di testa il cappello.

    — Buona sera, Antonio — disse — ti chiedo scusa d’avervi scombussolati tutti, ma, hai sentito: non è stato per colpa mia e non ho nemmeno avuto la possibilità di telefonarti.

    Soggiunse, guardando la tavola apparecchiata e ancora intatta:

    — Perché non hai mangiato?

    Invece di rispondere, il marito si fermò, la squadrò dalla testa ai piedi e disse:

    — Non mi giudicherai cosí imbecille da credere alla favola che hai raccontato a tuo figlio!

    L’istinto femminile prevalse in Valentina e le suggerí immediato il contegno da prendere:

    — Ah! — esclamò con un intraducibile accento dove si confondevano stupore, sorpresa, orgoglio ferito — cosí pensi? Sta bene.

    E gli girò le spalle per andare a chiudersi nella sua stanza.

    Fu una brutta notte: insonne e tormentata dalla visione, adesso chiara e inesorabile, della tragicità della sua situazione.

    Silenzi l’aspettava al mattino: l’avrebbe aspettata invano. Era decisa, assolutamente decisa, a farla finita con lui. Non credeva alla minaccia tragica con la quale egli l’aveva lasciata: ma era invece convinta che l’amante si sarebbe vendicato chissà in qual modo per la sua mancata promessa.

    Il punto critico della sua situazione era questo: che cosa avrebbe fatto Silenzi? Il resto — cioè l’atteggiamento sospettoso del marito e il suo contegno irritato — non contava; una settimana di vita regolare, senza ritardi e senza uscite misteriose, lo avrebbero persuaso d’essere stato una volta di piú ingiustamente sospettoso e cattivo.

    Suo marito aveva cinquant’anni e lei ventisette: sono sproporzioni che influiscono sempre positivamente sulle disposizioni di un coniuge ad assumersi i torti dell’altro. Fra otto giorni, suo marito sarebbe stato ai suoi piedi piú innamorato di prima se lei fosse riuscita a liberarsi di Silenzi.

    Ci sarebbe riuscita?

    Bisognava prendere una determinazione entro poche ore. Silenzi l’aspettava alle nove…

    — Se no, alle dieci si spara — soggiunge dentro di lei una voce sinistra.

    Rispose alla voce

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