La vendetta dello spagnolo
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Assicurarsi la mano di Leonie gli permetterebbe di mettere in atto una dolce e terribile vendetta nei confronti dell'uomo che lo ha privato di tutto ciò che amava. Il primo passo? Convincere la dipendente più ribelle che abbia mai avuto a raggiungerlo all'altare!
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Anteprima del libro
La vendetta dello spagnolo - Jackie Ashenden
1
L'ultima cosa che Cristiano Velazquez, attuale duca di un antico ducato spagnolo, nonché playboy straordinario, avrebbe voluto vedere alle due del mattino all'uscita del suo club preferito di Parigi era una banda di ragazzini accovacciati di fronte alla sua limousine in attesa. Meno ancora udire il sibilo di una bomboletta spray.
Dio solo sapeva dove fosse finito André, il suo autista. Di sicuro non era lì a controllare la sua macchina come avrebbe dovuto.
Le due donne strette al suo braccio sussultarono spaventate, mormorando qualcosa riguardo alle guardie del corpo, ma lui se n'era sempre infischiato della sicurezza.
A essere sinceri c'erano delle sere in cui non disdegnava l'eccitazione di un'aggressione e una gang di strada era qualcosa fuori dall'ordinario. Peccato che quei delinquenti gli avessero appena verniciato la macchina.
A ogni modo quei giovinastri stavano agitando le sue due amiche e, se voleva trascorrere il resto della notte con loro, doveva risolvere la situazione.
«Se permettete...» esordì avvicinandosi alla banda.
Uno dei teppistelli lo vide e gridò qualcosa al resto del gruppo, che si disperse alla velocità della luce, eccetto quello con la bomboletta, che stava scrivendo sulla portiera del passeggero una frase volgare. Indossava un paio di jeans scuri e una felpa nera con il cappuccio alzato sulla testa. Non sembrava essersi accorto del suo arrivo, talmente era concentrato ad aggiungere uno scarabocchio finale.
Cristiano gli si fermò accanto, ammirando il suo capolavoro.
«Molto bene, ma ti sei dimenticato una e» commentò.
Il ragazzo balzò subito in piedi gettando la bomboletta per darsi alla fuga, ma lui lo trattenne agguantandolo per la felpa. Il cappuccio gli scivolò dalla testa, rivelando una massa di capelli ramati.
Cristiano si bloccò di fronte a quella sfumatura così inusuale, che però trovò familiare. Un ricordo sepolto chissà dove gli affiorò nella memoria e prima ancora di rendersi conto di quello che stava facendo, afferrò il teppista per le spalle, obbligandolo così a voltarsi.
La folta chioma rossa incorniciava un viso pallido e delicato, con due grandi occhi viola.
Non era un ragazzo, bensì una ragazza.
Anzi, una donna.
Lei gli disse qualcosa di disgustoso con un tono in totale contrasto con il suo aspetto apparentemente innocente. Una voce adatta al sesso, roca e dolce, che gli arrivò dritta all'inguine. Non che fosse un problema, dato che tutto di solito si concentrava proprio lì.
La donna imprecò contro di lui cercando di liberarsi, agitandosi come un gatto furioso.
Cristiano la studiò rafforzando la presa. Era forte per essere così minuta e probabilmente avrebbe dovuto lasciarla andare, considerando che aveva una doppia compagnia femminile che lo stava aspettando e con cui voleva divertirsi.
Ma poi, di nuovo, si riaffacciò insistente quella sensazione di familiarità. I suoi capelli, gli occhi e quella bocca sensuale...
L'aveva già vista da qualche parte? Forse aveva dormito con lei? Impossibile. Indossava dei vestiti luridi e il suo sguardo era selvatico e affamato.
Era stato in diverse bettole in giro per il mondo e sapeva riconoscere l'espressione di una persona che viveva per strada, e lei l'aveva stampata in viso, gergo compreso.
Non che gli importasse un linguaggio scurrile. Quello che gli interessava era la gente che verniciava la sua limousine e interrompeva la sua serata.
«Stai ferma, gatita» le ordinò. «Altrimenti chiamo la polizia.»
Nel sentire menzionare la polizia lei lottò ancora di più, estraendo un coltello che teneva nascosto da qualche parte e agitandoglielo contro minacciosa.
«Lasciami andare!» gridò, aggiungendo una volgarità riferita a una parte molto virile della sua anatomia.
Sì, era alquanto risoluta, pensò Cristiano, e probabilmente non valeva tutti i guai che gli avrebbe causato. Certo, era carina, comunque non era nelle sue intenzioni sforzarsi con una donna che gli resisteva quando ne aveva a disposizione molte altre più consenzienti.
A ogni modo aveva dei gusti eclettici, apprezzava la diversità, e quella tipa diversa lo era di certo. Un po' giovane, forse.
«No» le disse calmo. «Potrei anche soprassedere alla personalizzazione della mia auto, però hai interrotto la mia serata e spaventato le mie amiche, e su questo non posso sorvolare.»
Lei lo ignorò imprecando di nuovo e minacciandolo con il coltello.
«E adesso abbiamo a che fare anche con un'aggressione» aggiunse lui, per nulla preoccupato.
«Infatti sei stato tu ad aggredirmi!»
Cristiano sospirò. Non aveva molta pazienza con quel genere di assurdità e in quel momento, dato che era tardi o presto, a seconda dei punti di vista, voleva andare a letto... possibilmente non da solo. Quindi doveva sistemare quella incresciosa situazione, in un modo o nell'altro.
Allora meglio lasciarla andare.
Sì, doveva, ma solo dopo avere scoperto perché gli era così familiare, cosa non facile finché continuava a sventolargli sotto il naso quella lama.
Tra le molte abilità acquisite nel tentativo di colmare il suo profondo vuoto interiore, c'erano anche due arti marziali, per cui non fu difficile disarmarla e farla salire sulla limousine.
Lui la seguì e bloccò le portiere. Lei cercò di aprirle ma senza successo, e quando fu evidente che non poteva andare da nessuna parte, si voltò a fissarlo con un misto di furia e paura nei suoi grandi occhi viola.
«Fammi uscire!» gli ordinò senza fiato.
Cristiano si appoggiò allo schienale del sedile di fronte e infilò le mani nelle tasche dei suoi pantaloni di sartoria. Mossa stupida, dal momento che non sapeva se la donna aveva nascosto da qualche parte un altro coltello, tuttavia era pronto a scommettere che non era così.
«No» ribatté studiandola in viso.
Lei si irrigidì.
«Hai intenzione di violentarmi?»
Lui aggrottò la fronte davanti a quella domanda così cruda. Non sapeva se sentirsi offeso o arrabbiato, specialmente considerando che aveva trascorso l'ultima parte della sua vita alla ricerca del piacere sia personale sia delle proprie partner.
A ogni modo, se davvero quella giovane viveva per strada, una delle sue principali preoccupazioni era certamente quella di non essere aggredita, soprattutto se si ritrovava chiusa in una macchina con un uomo molto più forte di lei.
«No» le disse piatto, così che non ci fossero dubbi. «Richiederebbe uno sforzo e ne faccio volentieri a meno.»
«Allora perché mi tieni bloccata qui dentro?»
«Perché hai cercato di darmi una coltellata.»
«Non sarebbe successo se mi avessi lasciata andare.»
«Hai imbrattato di vernice la mia limousine. Mi costerà un sacco di soldi farla sistemare.»
Lei gli lanciò un'occhiata carica di disprezzo. «Sei ricco. Te lo puoi permettere.»
Cristiano non si offese. «Vero. Sono ricco. E sì, posso permettermi di farla riverniciare, tuttavia è un inconveniente. Tu sei una seccatura, gatita, e io detesto le seccature. Quindi cos'hai intenzione di fare?»
«Assolutamente niente» dichiarò lei sollevando il mento. «Fammi uscire, fils de pute!»
«Che linguaggio» la rimproverò lui, divertito suo malgrado. «Dove hai imparato le belle maniere?»
«Telefono io alla polizia, dicendo che mi stai trattenendo contro la mia volontà» inveì lei estraendo dalla tasca della sua felpa un cellulare scassato e brandendolo trionfante. «Hai dieci secondi di tempo prima che chiami il servizio di emergenza.»
Cristiano rimase impassibile. «Fai pure. Conosco abbastanza bene la polizia. Sono sicuro che sarai in grado di spiegare come mai ti trovavi accucciata accanto alla mia auto a scrivere frasi volgari sulla carrozzeria, per poi minacciarmi con un coltello quando ho cercato di fermarti.»
Lei aprì la bocca per poi chiuderla di nuovo.
«Qual è il tuo nome?» le domandò lui senza riuscire a scrollarsi di dosso quella sensazione di familiarità. Era sicuro di averla già vista prima.
«Non sono affari tuoi» sibilò lei abbassando il capo e rimettendo via il cellulare. «Ridammi il coltello.»
Cristiano era divertito. Quella gatita aveva del fegato a chiederglielo indietro dopo che aveva tentato di colpirlo. Ed era anche coraggiosa ad affrontarlo in quel modo, tenendo conto dello svantaggio in cui si trovava. Del resto, quando si toccava il fondo del barile, non si aveva più nulla da perdere. Lo sapeva bene perché era capitato anche a lui, seppure solo spiritualmente.
«Purtroppo non è possibile» rispose chinandosi in avanti e appoggiando i gomiti sulle ginocchia.
Lei lo fissò sospettosa e faceva bene a esserlo, perché Cristiano stava perdendo la pazienza, e quando succedeva diventava pericoloso.
«Te lo chiedo per l'ultima volta» le disse con una sfumatura di avvertimento nella voce. «Qual è il tuo nome, gatita?»
L'uomo seduto di fronte a Leonie, il ricco bastardo che l'aveva caricata sulla sua limousine, la stava spaventando a morte e non sapeva spiegarsi il motivo. Non la stava minacciando. Se ne stava semplicemente seduto a guardarla con i suoi occhi verdi intensi e profondi. Era vestito di nero e non occorreva essere ricchi per sapere che quegli abiti erano stati cuciti su misura. Non c'era altro modo per spiegare il modo in cui gli modellavano le ampie spalle, il ventre piatto e le gambe lunghe e muscolose.
Puzzava di soldi e non solo di quelli. Anche di potere. Percepiva in lui una forza fisica che sembrava prosciugare tutta l'aria dell'abitacolo, soffocandola.
Ma c'era qualcos'altro che non riusciva a identificare. Aveva a che fare con il suo volto, splendido come quello di un angelo scolpito sulle tombe del Père Lachaise, sebbene sembrasse più caldo. Forse era un angelo caduto dal cielo, o magari semplicemente un bellissimo diavolo. Capelli neri come la notte, sopracciglia dritte e quegli intensi occhi verdi...
Era una pantera nera della giungla che la fissava pigramente dal ramo di un albero, pronta a scattare.
Tutto quello la spaventava, però non si trattava di una minaccia conosciuta. Dormire per le strade di Parigi aveva acuito la sua percezione del pericolo, specialmente quello relativo a una violenza fisica, e non era ciò che provava in quel momento.
No, si trattava di qualcos'altro.
«Perché vuoi sapere il mio nome?» Non aveva intenzione di rivelarglielo. Non lo diceva mai a nessuno. Negli ultimi anni aveva sviluppato una totale sfiducia verso il genere umano, cosa che l'aveva salvata in più di un'occasione. «Così che tu possa riferirlo ai tuoi amici della polizia e farmi sbattere in prigione?»
Non avrebbe dovuto imbrattare la sua auto, visto che una delle sue regole era quella di mantenere un basso profilo per non farsi notare. Però era stata seguita fino al vicolo dove aveva deciso di dormire e, dato che essere una donna sola di notte poteva costituire un problema, si era unita alla banda di ragazzini con cui era già stata qualche altra volta. A loro piaceva distruggere tutto e lei aveva dovuto dimostrare di poter fare lo stesso per stare nel gruppo, pertanto non si era fatta scrupoli a usare la bomboletta spray.
A dire la verità non le era importato molto rovinare la limousine di quell'uomo. I ricchi non si accorgevano mai della gente di strada e le era piaciuta l'idea che la sua esistenza venisse