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Visioni di sangue
Visioni di sangue
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E-book407 pagine5 ore

Visioni di sangue

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Info su questo ebook

Addestrata fin da piccola secondo il gelido Protocollo Silence, Faith NightStar è all’improvviso tormentata da oscure visioni di sangue e di morte. Un brutto segno per chiunque, molto peggio per Faith, una Cardinal P-Psy, con l’eccezionale e rara abilità di predire il futuro. Ogni Psy previsore sa che la propria vita è minacciata da una inevitabile follia che sopraggiunge con gli anni, ed è per questo motivo che Faith vive costantemente monitorata, isolata in una sorta di gabbia dorata dalla quale produce le sue redditizie previsioni commerciali. All’inizio, Faith teme che le sconvolgenti immagini di omicidi siano solo l’esordio prematuro della sua malattia, questo finché sua sorella non viene assassinata proprio come nella sua ultima visione. C’è un assassino fra di loro e Faith è determinata a trovare le risposte che nessuno Psy assoggettato al Silence le darebbe. L’unica a cui può rivolgersi è la Psy rinnegata che ora vive con i mutaforma: Sascha Duncan.
Vaughn D’Angelo è un mutaforma capace di assumere le sembianze di un giaguaro ed è lui a trovare Faith, quando lei evade dalla sua prigione dorata per inoltrarsi nella foresta, in cerca di Sascha. Il giaguaro, guidato dall’istinto, vorrebbe rivendicare la rossa Psy da cui è immediatamente attratto, ma Vaughn è una Sentinella e la sua lealtà va al suo Branco e al suo Alfa, non di certo a una gelida Cardinal di cui non può e non deve fidarsi. Una Cardinal che, in ogni caso, non potrebbe ricambiare il suo desiderio, se non rischiando di spezzare gli ultimi fili della propria sanità mentale.
LinguaItaliano
Data di uscita15 mag 2021
ISBN9788855312950
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    Anteprima del libro

    Visioni di sangue - Nalini Singh

    Capitolo 1

    Faith NightStar del Clan NightStar sapeva di essere considerata la P-Psy più potente della sua generazione. A soli ventiquattro anni, aveva già guadagnato più soldi della maggior parte degli Psy in tutta la loro vita. Lavorava da quando aveva tre anni, dal primo momento in cui aveva acquistato la voce. Le ci era voluto più tempo della maggior parte dei bambini, ma c’era da aspettarselo: era una Cardinal P-Psy di straordinaria abilità.

    Nessuno si sarebbe sorpreso se non avesse mai parlato.

    Ecco perché gli P-Psy appartenevano ai Clan, che si prendevano cura di tutto ciò che i Previsori non potevano gestire, dall’investire i loro milioni fino al controllo del loro stato medico, in particolare assicurandosi che non morissero di fame. Gli P-Psy non erano molto bravi negli aspetti pratici della vita. Erano inclini a dimenticare. Anche dopo più di un secolo di previsioni sulle tendenze degli affari, piuttosto che su omicidi e incidenti, disastri e guerre, loro dimenticavano.

    Negli ultimi tempi, Faith aveva dimenticato molte cose. Ad esempio, quella volta si era dimenticata di mangiare per tre giorni di seguito. Era stato allora che i componenti del NightStar erano intervenuti, allertati dal sofisticato computer Tec 3 che gestiva la casa. Tre giorni erano il massimo che il computer le consentiva, anche quando la P-Psy andava in trance, cosa che a volte succedeva. In quel caso, le avrebbero messo una flebo e l’avrebbero lasciata continuare.

    «Grazie» disse Faith, rivolgendosi al capo degli M-Psy, gli Psy Medici. «Adesso starò bene.»

    Xi Yun annuì. «Finisci l’intero pasto. Contiene il numero esatto di calorie di cui hai bisogno.»

    «Certamente.» Lo guardò andarsene, preceduto dal suo staff. Nella mano reggeva un piccolo kit medico che lei sapeva contenere sostanze chimiche utili a scuoterla da uno stato di trance catatonico o farla rientrare da uno stato maniacale. Nessuna di quelle sostanze era stata necessaria quel giorno. Si era semplicemente dimenticata di mangiare.

    Dopo aver consumato tutte le barrette nutrizionali e le bevande energetiche che le aveva lasciato, si era rimessa a sedere sulla grande sedia reclinabile dove di solito trascorreva la maggior parte del suo tempo. Progettata per fungere all’occorrenza anche da letto, era collegata al Tec 3 e gli forniva un flusso costante di dati sulle sue funzioni vitali. Un M-Psy sarebbe stato allertato qualora avesse avuto bisogno di cure mediche, in qualsiasi momento del giorno o della notte. Non era una procedura normale, neanche per la designazione P, ma Faith non era una normale P-Psy.

    Era la migliore.

    Ogni previsione che Faith avesse mai fatto, se non deliberatamente aggirata, si era avverata. Ecco perché valeva milioni di dollari. Forse anche miliardi. Il NightStar la considerava la sua risorsa più preziosa. Come ogni risorsa, veniva mantenuta nelle migliori condizioni, per garantire una funzionalità ottimale. E come ogni risorsa, se avesse dovuto rivelarsi difettosa, sarebbe stata revisionata al fine di riutilizzare alcuni suoi pezzi.

    Gli occhi di Faith si spalancarono a quel pensiero improvviso. Fissò il verde pallido del soffitto e lottò per rallentare il battito cardiaco. Se non l’avesse fatto, l’M-Psy avrebbe potuto decidere di farle una ulteriore visita e lei non voleva che qualcuno la vedesse in quel momento. Non era sicura di cosa avrebbero rivelato i suoi occhi. A volte, gli occhi del cielo notturno di un Cardinal Psy raccontavano segreti che era meglio non condividere.

    «Pezzi» sussurrò ad alta voce. Anche quella sua dichiarazione venne registrata, ovviamente. Gli P-Psy in talune occasioni facevano previsioni durante gli stati di trance. Nessuno voleva perdere una sola parola di ciò che usciva loro dalla bocca. Forse era per quello che gli Psy della sua designazione preferivano mantenere il silenzio, quando potevano.

    Avrebbero usato i suoi pezzi.

    Sembrava un’affermazione illogica ma, più ci pensava, più si rendeva conto che ancora una volta le sue capacità le stavano mostrando un futuro che non avrebbe mai potuto immaginare. La maggior parte degli Psy difettosi venivano riabilitati, le loro menti ripulite con un lavaggio del cervello psichico che li lasciava funzionanti al livello di umili lavoratori, ma non gli P-Psy. Erano troppo rari, troppo preziosi, troppo unici.

    Se fosse diventata pazza oltre i livelli accettabili, quelli in cui poteva ancora fare previsioni, l’M-Psy avrebbe fatto in modo di provocare un incidente che le avrebbe lasciato il cervello illeso. Poi avrebbero usato quel cervello difettoso per la sperimentazione scientifica, sottoponendolo ad analisi. Tutti volevano sapere cosa facesse funzionare gli P-Psy. Di tutte le designazioni Psy, la P era la meno esplorata, la più nebulosa: era difficile trovare soggetti per la sperimentazione quando la loro presenza nella popolazione era di poco superiore all’uno per cento.

    Faith affondò le mani nella spessa stoffa rossa della poltrona, consapevole del suo respiro che cominciava a diventare irregolare. Non era ancora al punto in cui sarebbe stato ritenuto necessario l’intervento dell’M-Psy, poiché gli P-Psy mostravano comportamenti insoliti durante le visioni, ma non poteva rischiare che il proprio sovraccarico sensoriale si trasformasse in una valanga mentale.

    Anche mentre cercava di tenere a bada il proprio corpo fisico, nella sua mente lampeggiavano le immagini del suo cervello su una serie di bilance scientifiche, mentre dei freddi occhi lo esaminavano da ogni angolazione. Sapeva che quelle immagini erano prive di senso. Niente del genere sarebbe mai accaduto in un laboratorio. La sua coscienza stava semplicemente cercando di tradurre in una rappresentazione concreta qualcosa che non aveva senso. Proprio come i sogni che avevano tormentato il suo sonno nelle ultime due settimane.

    All’inizio non era stato nient’altro che un vago presagio, un’oscurità che le riempiva la mente. Aveva pensato che potesse annunciare una visione imminente, un crollo del mercato o un improvviso fallimento aziendale, ma, giorno dopo giorno, quell’oscurità era cresciuta fino ad assumere proporzioni schiaccianti, senza mostrarle nessuna immagine reale. Eppure, lei aveva sentito. Sebbene non avesse mai provato nulla del genere prima, in quei sogni era stata impregnata dalla paura, soffocata dal peso del terrore.

    Era un bene che da tempo avesse chiesto che dalla sua camera da letto fosse eliminato qualsiasi dispositivo di monitoraggio. Qualcosa in lei sapeva cosa stava per succedere. Qualcosa in lei lo aveva sempre saputo. Ma, quella volta, non era riuscita a dare un senso al crudo orrore di una rabbia che le aveva quasi mozzato il fiato. I primi sogni le avevano dato la sensazione che qualcuno la stesse soffocando, fino a percepire se stessa come nient’altro che l’incarnazione del proprio terrore.

    L’ultima notte era stata diversa: quando mani sconosciute si erano chiuse intorno alla sua gola, non era riuscita a svegliarsi. A prescindere da quanto si fosse sforzata, non era riuscita a liberarsi dall’orrore, non era stata in grado di ancorarsi alla realtà.

    Quell’ultima notte, lei era morta.


    Vaughn D’Angelo saltò giù dal ramo su cui stava avanzando e atterrò con grazia sul suolo della foresta. Nella luce argentea che aveva trasformato l’oscurità in penombra, il suo manto nero-arancio avrebbe dovuto brillare come un riflettore, invece il giaguaro risultava invisibile, ben sapendo come usare le ombre della notte per nascondersi. Nessuno aveva mai visto Vaughn quando non voleva essere visto.

    Sopra di lui, la luna pendeva come un disco luminoso nel cielo, visibile anche attraverso la fitta chioma degli alberi. Per lunghi istanti rimase a guardarla attraverso la filigrana scura dei rami che si intrecciavano. Sia l’uomo sia la bestia erano attratti da quella bellezza scintillante, anche se nessuno dei due sapeva dire il perché. Non importava. Quella sera era il giaguaro a prevalere e si limitava semplicemente ad accettare ciò a cui l’uomo sarebbe stato tentato di dare una spiegazione.

    Un leggero odore nella brezza gli fece sollevare il naso in aria. Il Branco. Un secondo dopo, identificò l’odore come quello di Clay, una delle altre Sentinelle. L’attimo successivo era scomparso, come se il maschio di leopardo avesse colto la precedente rivendicazione di Vaughn su quella zona. Aprendo la bocca, Vaughn emise un lieve ringhio e allungò il suo potente corpo felino. I suoi letali canini affilati brillarono alla luce della luna, ma quella sera non era fuori per cacciare e catturare delle prede, né per dare una morte misericordiosa con un solo morso fatale.

    Quella sera voleva correre.

    La sua andatura poteva coprire grandi distanze e, di solito, preferiva correre nelle profondità delle foreste che si estendevano su gran parte della California. Ma quel giorno si era ritrovato a dirigersi verso la popolata città lacustre di Tahoe. Non era difficile per lui camminare tra gli umani e gli Psy, anche nella sua forma felina. Non era una Sentinella che dava nell’occhio: poteva infiltrarsi anche nelle cittadelle più sorvegliate senza tradirsi.

    Tuttavia, quella volta non era entrato nella città vera e propria, perché attratto da qualcosa di inaspettato ai suoi margini. Situato a pochi metri dalla distesa verde scuro della foresta, il piccolo complesso era protetto, tra le altre cose, da recinzioni elettrificate e telecamere con sensori di movimento. Sapeva che c’era una casa all’interno, nascosta dietro diversi strati di vegetazione e forse un altro recinto. Ciò che lo sorprese fu sentire l’odore metallico degli Psy intorno all’intero complesso.

    Interessante.

    Gli Psy preferivano vivere circondati da grattacieli, in città, ognuno nella propria celletta. Eppure, all’interno di quel recinto c’era uno Psy e, chiunque fosse, era protetto da altri della sua specie. Raramente uno Psy che non faceva parte del Consiglio beneficiava di un simile privilegio. La curiosità gli fece percorrere tutto il perimetro, fuori dalla portata dei dispositivi di sorveglianza. Gli ci vollero meno di dieci minuti per scoprire come entrare: l’arroganza della razza Psy li aveva portati, ancora una volta, a sottovalutare gli animali con cui condividevano la Terra.

    O forse, pensò l’uomo all’interno della bestia, gli Psy semplicemente non erano a conoscenza del fatto che anche le altre razze possedessero delle capacità. Per loro i mutaforma e gli esseri umani non valevano nulla, dal momento che non avevano le abilità mentali degli Psy. Avevano dimenticato che tra mente e corpo esisteva un legame simbiotico, e gli animali erano molto, molto bravi a usare i loro corpi.

    Si era dunque arrampicato sul ramo di un albero che lo avrebbe condotto oltre il primo recinto, presso chiunque si trovasse al suo interno, con il cuore felino che batteva per l’adrenalina. Ma perfino in forma di giaguaro aveva ricordato di non poterlo fare, non quella sera. Non poteva entrare e rischiare di mettersi in pericolo. L’idea di correre dei rischi non turbava né l’uomo né la bestia, ma la curiosità del felino era frenata da un’emozione più profonda: la lealtà.

    Vaughn era una Sentinella dei DarkRiver e quel dovere prevaleva su ogni altra emozione, e ogni altro bisogno. Quella stessa sera, avrebbe dovuto fare da guardia a Sascha Duncan, la compagna del suo Alfa, mentre Lucas partecipava a una riunione presso la tana degli SnowDancer. Vaughn sapeva che Sascha aveva accettato con riluttanza di non andare, e solo per consentire a Lucas di viaggiare più veloce senza di lei. E Lucas se n’era andato solo perché era certo che le sue Sentinelle l’avrebbero tenuta al sicuro.

    Con un’ultima occhiata al complesso sorvegliato, Vaughn si era spostato indietro lungo il ramo, era balzato a terra e aveva iniziato a dirigersi verso la tana di Lucas. Non avrebbe dimenticato e non si sarebbe arreso. Avrebbe risolto in un altro momento il mistero di uno Psy che viveva così vicino al territorio dei mutaforma. Non si sfuggiva al giaguaro, una volta che era sulle tracce di qualcuno.


    Faith fissava fuori dalla finestra della cucina e, sebbene davanti a sé ci fosse solo l’oscurità, non riusciva a scrollarsi di dosso la sensazione di essere spiata. Qualcosa di molto pericoloso circondava i recinti che la tenevano isolata dal mondo esterno. Tremando, si avvolse con le braccia. E si bloccò. Era una Psy: perché reagiva in quel modo? Erano le visioni oscure? Stavano influenzando i suoi scudi mentali? Lasciando cadere le braccia con la pura forza di volontà, fece per voltare le spalle alla finestra.

    E scoprì che non poteva.

    Invece, si spinse in avanti, alzando una mano per premerla contro il vetro, come per allungarla verso l’esterno. Fuori. Era un mondo che conosceva appena. Aveva sempre vissuto all’interno di quelle mura, aveva dovuto. All’esterno, la minaccia di disintegrazione psichica sarebbe stato un continuo rullare di tamburi nella sua testa, un’eco martellante impossibile da bloccare. All’esterno, le emozioni l’avrebbero colpita da ogni angolazione, portandola a vedere cose disumane, crudeli e dolorose. All’esterno, Faith era fragile. Era molto più sicuro vivere dietro quei muri.

    Ma in quei giorni le pareti si stavano rompendo. Le paure erano penetrate all’interno e lei non poteva evitarle. Lo sapeva, con la stessa certezza con la quale sapeva di non poter sfuggire a qualunque cosa si aggirasse ai margini della sua proprietà. Il predatore che le dava la caccia non si sarebbe fermato fino a quando non l’avesse avuta tra gli artigli. Avrebbe dovuto avere paura. Ma lei era una Psy. Non era di quello che aveva paura. Piuttosto, il terrore giungeva quando dormiva. Era allora che sentiva tutto, e aveva motivo di preoccuparsi che i suoi scudi nella PsyNet si spezzassero, rivelando il suo sentire al Consiglio. Era arrivata al punto di non volersi addormentare. E se fosse morta di nuovo, e quella volta per davvero?

    La consolle di comunicazione risuonò nel silenzio infinito che era la sua vita. A tarda notte, fu un’interruzione inaspettata: l’M-Psy le aveva prescritto alcune ore di sonno.

    Alla fine, distolse lo sguardo dalla finestra. Mentre camminava, una sensazione di disastro imminente sembrò avvolgerla, una sinistra consapevolezza che giaceva da qualche parte nel regno delle tenebre, tra una vera predizione e il più semplice presentimento di ciò che poteva accadere. Anche quella era una novità, la pesante consapevolezza di qualcosa che aleggiava maliziosamente dietro le quinte, in attesa che lei abbassasse la guardia.

    Costringendo il proprio viso a non mostrare nulla della sua confusione interiore, spinse il tasto di risposta sul touch pad. La faccia che apparve sullo schermo non era quella che aveva previsto. «Padre.»

    Anthony Kyriakus era il capo della sua famiglia. Fino a quando lei non aveva raggiunto ufficialmente l’età adulta, a vent’anni, aveva condiviso la sua custodia con Zanna Liskowski, con la quale aveva stretto un contratto di fecondazione, venticinque anni prima. Entrambi avevano avuto voce in capitolo sulla sua educazione, anche se la sua infanzia non sarebbe mai stata etichettabile come tale. A tre anni dalla nascita, era stata sottratta alle loro cure, con la loro piena collaborazione, e collocata in un ambiente controllato, dove le sue capacità sarebbero state sviluppate e utilizzate appieno.

    E dove i viticci invadenti della follia si sarebbero potuti tenere a bada.

    «Faith, ho delle brutte notizie riguardanti la nostra famiglia.»

    «Sì?» Il suo cuore divenne di colpo un martello da fabbro. Utilizzò tutte le proprie forze per contenere quella reazione. Non solo era insolita, ma era il presagio di una potenziale visione. E in quel momento non poteva avere una visione. Non il tipo di visione che aveva avuto negli ultimi tempi.

    «Tua sorella Marine è deceduta.»

    La sua mente si svuotò. ««Marine?»

    Marine era sua sorella minore, una sorella che non aveva mai conosciuto davvero, ma che aveva tenuto d’occhio da lontano. In qualità di Cardinal telepate, Marine aveva suscitato abbastanza interesse nella famiglia. «Come? Una malformazione fisica?»

    «Per fortuna, no.»

    Per fortuna equivaleva a dire che Faith non correva rischi. Sebbene avere due rari Cardinal in famiglia avesse conferito alla NightStar un potere notevole, era indiscutibile che fosse Faith la risorsa più importante. Era stata lei a procurare entrate e lavoro sufficienti a dare lustro all’intero Clan. Era la salute di Faith a essere veramente importante: la morte di Marine era un semplice inconveniente. È così freddo, così brutalmente freddo, pensò Faith, anche se sapeva di essere altrettanto fredda. Era una questione di sopravvivenza. «Un incidente?»

    «È stata assassinata.»

    Il vuoto che era stato la sua mente vibrò di rumore bianco, ma si rifiutò di ascoltare. «Omicidio? Un umano o un mutaforma?» chiese, perché tra gli Psy non c’erano assassini da ben cento anni, sin dall’attuazione del Protocollo Silence, che aveva cancellato la violenza, l’odio, la rabbia, la gelosia e l’invidia dagli Psy. L’effetto collaterale era stato la perdita di tutte le altre loro emozioni.

    «Naturalmente uno dei due, non sappiamo quale. Stanno indagando. Riposati.» Si congedò con un brusco cenno della testa.

    «Aspetta.»

    «Sì?»

    Si costrinse a chiedere: «Com’è stata uccisa?»

    Anthony non batté nemmeno le palpebre quando disse: «Strangolata.»

    Capitolo 2

    Vaughn atterrò sulla piattaforma esterna della tana che Sascha condivideva con Lucas, dopo aver superato Mercy che scendeva. Non fu contento di trovare Sascha lì fuori: la tana poteva essere posizionata in alto, ma era mezzanotte passata e il Consiglio degli Psy non avrebbe desiderato niente di meglio che vedere quella particolare Cardinal morta.

    «Ciao, Vaughn. Perché non vieni qui a farmi compagnia?»

    Con un ruggito unico per la sua specie, le fece capire cosa pensasse di quell’idea.

    «Sì, so che dovrei dormire, ma non riesco.» Si appoggiò allo schienale della sedia che aveva trascinato all’esterno. «Mercy ha giocato a scacchi con me.» Nell’oscurità, i suoi occhi di cielo notturno erano illuminati da puntini bianchi. Le sue dita battevano con regolarità sul bracciolo in legno della sedia.

    Rispondendo con un ringhio, Vaughn entrò in casa. Si spostò in camera da letto e, dopo essere tornato in forma umana, prese un paio di jeans e una vecchia maglietta nera dal baule in cui tutte le Sentinelle tenevano un cambio di vestiti. Quando tornò fuori, Sascha indicò con un cenno la sedia vuota, dall’altro lato del tavolino pieghevole che aveva davanti. Lui sollevò un sopracciglio e si appollaiò invece sulla ringhiera che circondava la piattaforma, agganciandoci le gambe.

    «Non mi abituerò mai al modo in cui voi felini riuscite a fare queste cose.» Sascha scosse la testa e strofinò i piedi nudi sul pavimento di legno. «Ti rendi conto che potresti cadere e romperti ogni osso del corpo?»

    «I felini atterrano sempre in piedi.» Vaughn annusò l’aria della notte e tutto era come si aspettava, ma procedette a una scansione visiva per averne conferma. Anche in forma umana, la sua vista acuta rimaneva immutata. «Sei sempre così quando Lucas non c’è?» Sembrava nervosa, agitata, anche se di solito era calma come uno stagno rispetto alla turbolenza predatoria dei DarkRiver.

    «Sì.» Continuava a battere il dito. «Stavi correndo?»

    «Sì.» Guardò la compagna del suo Alfa, comprendendo cosa in lei aveva colpito Lucas. Sascha era bellissima e assolutamente unica. Non solo per gli occhi del cielo notturno o per il viso, ma per la sua stessa essenza. Brillava dentro e fuori, e c’era da aspettarselo. Dopotutto, era una E-Psy: empatica, in grado di percepire e curare i numerosi danni delle ferite emotive.

    Ma sebbene comprendesse il motivo per cui Lucas ne era affascinato, non poteva immaginare di provare lo stesso. Sascha faceva parte del Branco. Come Sentinella, avrebbe dato la vita per lei, ma non si sarebbe mai accoppiato con lei, perché il concetto stesso di accoppiamento gli era estraneo. Non capiva come i leopardi potessero legarsi a una persona per il resto della vita. Non che lui fosse promiscuo. Era molto esigente riguardo alle sue amanti, ma gli piaceva la sua libertà, gli piaceva non dipendere da nessuno e sapere che nessun altro dipendeva emotivamente da lui.

    La sua morte non avrebbe distrutto l’anima di nessuno.

    «Non so mai cosa stai pensando.» Sascha lo fissò, piegando leggermente la testa di lato. «Non sono nemmeno sicura di piacerti.»

    Al felino piaceva essere visto come imperscrutabile. «Sei la compagna di Lucas.» E quindi aveva la sua lealtà.

    «Ma che pensi di me come individuo?» ribadì.

    «La fiducia richiede tempo.» Sebbene se ne fosse già guadagnata una buona fetta, il giorno in cui era quasi morta cercando di salvare la vita di Lucas. Quell’uomo per Vaughn era la cosa più vicina a una vera famiglia, un fratello di sangue nel senso più viscerale.

    «C’è qualcosa in te: sei meno... umano degli altri.»

    «Sì.» Non c’era motivo di negarlo. Era molto più animale della maggior parte dei mutaforma predatori. Era dovuto diventare così per sopravvivere. Come Sascha era dovuta diventare parte del Branco. «Ti mancano mai gli altri come te?»

    «Certo.» Lei distolse lo sguardo indirizzandolo verso la foresta, uno Psy solitario in mezzo a un branco di leopardi. «Come posso non sentire la mancanza del mondo in cui ho vissuto per ventisei anni?» I suoi occhi tornarono su di lui. «Tu?»

    «Ho vissuto in un altro mondo solo per dieci anni.» Tempo più che sufficiente perché le cicatrici del tradimento gli bruciassero dentro. «Dimmi una cosa. Perché uno Psy dovrebbe vivere da solo, lontano dalla folla?»

    Sascha non lo rimproverò per la mancanza di una vera risposta da parte sua. «Be’, perché magari è una donna accoppiata con una pantera che preferisce vivere in mezzo al nulla, in cima a un albero.» Fece una smorfia, ma il suo sorriso la tradì. «È raro, ma alcuni Psy preferiscono vivere in un ambiente isolato: di solito si trovano all’estremità più debole del gradiente. Forse perché i loro doni non minacciano di sopraffarli come fanno con tutti noi.»

    «No.» Lui scosse la testa. «Questa qui era sorvegliata come se fosse il presidente.» Questa. L’animale dentro di lui fu improvvisamente certo che si trattasse di una donna.

    «Sei sicuro?»

    «Recinzioni. Telecamere nascoste. Guardie. Sensori di movimento.»

    Le sopracciglia di Sascha si sollevarono. «Ho capito. Deve essere una degli P-Psy.»

    «Un previsore?» Aiutava avere uno Psy nel Branco. Prima di Sascha, erano quasi ciechi riguardo alle complessità del mondo Psy. «Pensavo fossero estremamente rari. Il Consiglio non preferirebbe tenerli rinchiusi in un posto più vicino, dove poterli tenere d’occhio?»

    Lei scosse la testa. «Ho sentito dire che i più potenti di loro hanno bisogno di spazio, lontani anche dagli altri Psy. Quindi, anche se hai visto delle guardie, è probabile che nessuno viva in casa tranne la P-Psy stessa. Non ne so molto su di loro, i previsori sono simili a una sottorazza all’interno degli Psy e appartengono ai Clan Psy, che li rappresentano in pubblico. Incontrarne uno faccia a faccia è quasi impossibile. Si dice che alcuni di loro non lascino mai le loro case. Mai.»

    Vaughn comprendeva la necessità della solitudine, ma ciò che Sascha stava descrivendo evocava più una malsana patologia. «Sono prigionieri?»

    «No, non credo. Sono troppo importanti per essere resi infelici» disse, poi sembrò riprendersi. «Sai cosa intendo: uno Psy non prova felicità o infelicità, ma se la designazione P smettesse di fare previsioni, le conseguenze economiche sarebbero devastanti. Quindi no, non credo che siano prigionieri, solo che preferiscono vivere in un guscio dove non devono affrontare il lato oscuro della luce.» La sua voce si ridusse a un sussurro. «Forse, se uscissero di tanto in tanto, ricorderebbero il mondo che hanno abbandonato e si renderebbero conto della grandezza del loro dono.»

    La guardò e capì che stava pensando alla tortura feroce che il suo compagno aveva subito da bambino e alla successiva vendetta, a distanza di anni, occasione che aveva cementato il legame tra Vaughn e Lucas. Forse, se gli P-Psy non si fossero affiliati a Silence, se non avessero smesso di prevedere disastri e omicidi, a Lucas sarebbe stato risparmiato quell’orrore.

    E forse Vaughn avrebbe potuto crescere da giaguaro, invece di essere abbandonato a morire dai suoi stessi genitori. Forse.


    Strangolata.

    Faith fissò il soffitto della sua camera da letto buia, con quella singola parola a martellarle il cranio in un ciclo inarrestabile. Era forte la tentazione di definire tutta quella faccenda una coincidenza e ficcarla in un angolo della sua mente. Una parte di lei avrebbe voluto fare proprio quello. Sarebbe stato molto più facile, molto più sopportabile. Ma sarebbe stata una bugia.

    Marine era morta.

    E Faith aveva previsto il suo assassinio.

    Se solo avesse saputo interpretare le visioni, sua sorella minore avrebbe potuto essere ancora viva. Se solo. Le era stato insegnato fin dall’infanzia che non faceva bene piangere sul passato, che non faceva affatto bene piangere, e quindi Faith non stava piangendo. Non pensava nemmeno di doverlo fare, ma, nel profondo di se stessa, una parte di lei ingabbiata e prossima a spezzarsi urlava di dolore.

    Faith era sorda alle urla agonizzanti della sua psiche rovinata. Però, sapeva di non poter tornare indietro. Non si trattava soltanto di una tendenza di mercato mal giudicata, ma di una questione di vita o morte. Non poteva scegliere di distogliere lo sguardo... non quando continuava a sentire il peso dell’oscurità, violenta e orribile, premerle contro le palpebre.

    L’assassino non aveva finito.

    Un discreto rintocco squarciò il pesante silenzio. Fu contenta che il collegamento nella camera da letto fosse vocale ma non visivo, per cui rispose senza accendere le luci: «Sì?»

    «Non riceviamo rilevamenti da ieri.» Era lo stesso Xi Yun.

    «Sono stanca.» E non aveva voluto sedersi su quella sedia rossa per dare il via, con ogni probabilità, al tumulto nella sua mente. «Ho bisogno di recuperare il sonno, come mi hai suggerito.»

    «Capito.»

    «Non mi collegherò per qualche giorno.»

    «Quanti?» La domanda avrebbe dovuto essere una precauzione contro la tendenza della sua specie a dimenticare, ma negli ultimi tempi Faith aveva iniziato a risentirsi per quell’intrusione, aveva cominciato a vederla come un altro modo per incatenarla, per assicurarsi che i suoi talenti non fossero mai fuori portata.

    «Tre giorni.» Era il tempo più lungo che le avrebbero concesso. Se avesse chiesto più tempo avrebbero dubitato della sua capacità di prendersi cura di se stessa. Aveva pensato spesso che fosse un bene che il NightStar e il Consiglio agissero in maniera cauta con lei, onde evitare di danneggiare le sue capacità. Altrimenti, avrebbero potuto abbattere i suoi scudi nella PsyNet e monitorarla nel privato a un livello più intenso, attraverso il controllo mentale. Tutto per il suo bene, ovvio.

    Rabbrividì e si disse che era dovuto alla bassa temperatura della stanza. Non aveva niente a che fare con la paura. Lei non aveva paura. Non sentiva niente. Era una Psy. Inoltre, era una P-Psy. Il suo condizionamento era stato più duro rispetto a quello di altri Cardinal: le era stato insegnato a non permettere nemmeno al più debole filamento di emozione di filtrare nella sua mente cosciente, perché farlo sarebbe equivalso alla distruzione totale della sua psiche. Questo era quello che credeva. Il suo PsyClan aveva una lunga storia di produzione di P-Psy e, prima dell’avvento del Silence, uno su quattro era finito in un istituto psichiatrico ancora prima di completare il secondo decennio di vita.

    Tre giorni.

    Perché li aveva chiesti? Indipendentemente da ciò che pensava Xi Yun, non era stanca. Dormiva meno della maggior parte degli Psy, quattro ore al massimo le erano sufficienti, ma non aveva chiesto quei tre giorni per rimanere a non far niente. La sua mente aveva uno scopo, una destinazione, anche se non ne era ancora consapevole a livello conscio. Nonostante ciò, si alzò di scatto dal letto e iniziò a preparare un piccolo zaino, con vestiti e articoli da toeletta sufficienti per qualche giorno.

    Un mese prima, aveva chiesto a un membro del suo PsyClan di comprarle quello zaino senza un motivo reale. A nessuno era parsa strana la sua richiesta, avevano supposto che quello specifico oggetto fisico le servisse per una visione. Non li aveva disillusi riguardo a quella convinzione, perché non era stata sicura che non fosse in effetti la verità. Tuttavia, in quel momento si accorse che, ancora una volta, la sua abilità l’aveva portata ad agire per prepararsi a qualcosa che doveva ancora succedere.


    Mentre Faith si preparava per un viaggio senza sapere cosa stesse per intraprendere, una porta psichica si chiuse all’interno della PsyNet, sigillando sei menti in una cerchia privata, apparentemente impenetrabile. Il Consiglio Psy era in riunione.

    «Sta diventando imperativo trovare un sostituto per Santano Enrique.» Nikita guardò le menti che circondavano la sua, ognuna delle quali appariva come una fredda stella bianca contro l’oscurità della Rete, e si chiese chi al momento stesse complottando per pugnalarla alle spalle. Qualcuno lo faceva sempre. Il fatto che i loro corpi fisici fossero sparsi per il mondo non era una garanzia contro gli attacchi.

    «Forse non è solo Enrique che abbiamo bisogno di sostituire.» Il vellutato suggerimento veniva da Shoshanna Scott. «Sei sicura di non essere stata tu a trasmettere una deficienza genetica a tua figlia?»

    «Sappiamo tutti che Sascha non ha carenze genetiche» rispose Marshall. «Nikita ha prodotto una Cardinal: quanti Cardinal ci sono nel tuo albero genealogico, Shoshanna?»

    Nikita rimase sorpresa dal ricevere il sostegno di Marshall. In quanto membro più anziano del Consiglio e tacito leader, tendeva a rimanere neutrale. «Non possiamo permetterci divisioni in questa fase» sottolineò. «I DarkRiver e gli SnowDancer trarranno vantaggio da qualsiasi debolezza.»

    «Siamo sicuri che daranno seguito alla loro minaccia?» La domanda proveniva da Tatiana Rika-Smythe, la mente più giovane del caveau.

    «Abbiamo tutti ricevuto dei pezzi di Enrique, dopo che lo hanno giustiziato.

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