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Due Strade Diverse
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E-book448 pagine7 ore

Due Strade Diverse

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Info su questo ebook

Kean e Shane sono due gemelli che, crescendo, percorreranno due strade diverse, all'ombra di un padre ricco, malvagio ed egoista, il quale terrà la famiglia soggiogata al suo volere in qualunque modo possibile. La loro madre, seppur riluttante a certe pratiche messe in atto dal marito, rimarrà consenziente per paura e per non andare contro alla figura predominante dell'uomo all'interno del nucleo familiare. Hidd, che verrà da loro adottata, inconsapevolmente diventerà il fulcro di questo precario equilibrio. La loro consuetudine, un pomeriggio d'estate subirà un drastico e violento cambiamento. Successivamente ognuno di loro sarà costretto, suo malgrado, a seguire il proprio destino che li rimetterà uno di fronte all'altro esattamente dieci anni dopo.
LinguaItaliano
Data di uscita7 mag 2018
ISBN9788827829615
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    Anteprima del libro

    Due Strade Diverse - Giancarlo Pittau

    Racine

    Giancarlo Pittau Normal Giancarlo 2 593 2017-11-01T17:08:00Z 2018-04-10T12:19:00Z 2018-04-10T12:19:00Z 120 108728 619752 5164 1454 727026 15.00 88-488-0000-?

    Kean - Oggi

    La maledetta luce al neon. Conosceva ogni dettaglio della luce che era attaccata in alto al soffitto. Era sempre accesa, giorno e notte. Serviva per casi di emergenza, quelle rare circostanze in cui se qualcuno degli infermieri fosse dovuto entrare d'urgenza, non avrebbe perso tempo a cercare la luce e avrebbe potuto evitare qualche sorpresa organizzata dal paziente per aggredirli.

    Quando chiudeva gli occhi, continuava a vederla, ricca di tutti i suoi particolari, come se li avesse ancora aperti. Due lunghi tubi di neon che ogni tanto avevano dei leggeri cali di tensione, sostenuti da una struttura in metallo bianca leggermente arrugginita e una grossa ragnatela in uno dei suoi lati.

    I secondi, i minuti e le ore erano scanditi dal ticchettio di un orologio analogico appeso a una delle pareti. A lui non era possibile scorgerlo, ma il suo suono era l'unico che cadenzava la sua giornata e accompagnava i suoi pensieri. Era stato un regalo del fratello se non ricordava male, o forse, più probabilmente era lì da sempre. Un modo come un altro per ricordargli il lento scorrere del tempo all'interno di quelle mura.

    Eppure, nonostante l'orologio fosse messo lì per regolare il tempo, lui non era a conoscenza di che ore potessero essere in quel momento, oppure se fosse mattina o notte e nemmeno quanti anni e mesi esatti erano passati dal giorno in cui era stato rinchiuso la dentro. In qualche modo erano solo i suoi ricordi a potergli dare quelle risposte che ogni tanto si poneva. Purtroppo si stava accorgendo che la sua mente dopo circa dieci anni chiuso dentro l'ospedale psichiatrico, in maniera subdola, iniziava a mancare qualche colpo ogni tanto, come un vecchio orologio, nonostante avesse ancora solo ventotto anni.

    Nell'ultimo anno aveva provato a marcare la giornata in qualsiasi modo, ma quei maledetti sedativi interrompevano sempre la sua veglia, facendogli perdere la cognizione del tempo. Almeno però questo problema era riuscito a risolverlo.

    Da un po' di tempo nessuno, a parte lui, si era reso conto che i nuovi medicinali che gli stavano somministrando funzionavano male. Dal momento in cui gli iniettavano il farmaco, passavano appena dieci minuti e in seguito subiva un blocco muscolare quasi totale che terminava parecchie ore dopo. Se l'iniezione avesse funzionato, il suo effetto avrebbe dovuto farlo dormire per tutto quel periodo. Era vigile e sentiva tutto, poteva sbattere gli occhi e ingoiare, ma non poteva parlare né muovere un arto per grattarsi. Per quasi tutto il giorno quindi vedeva solo la stessa porzione di soffitto, poiché non poteva spostare il collo per girarsi a vedere altro.

    I medici gli avevano assicurato che la sua condizione attuale, di sedato in semi isolamento, sarebbe stata solo temporanea, ma ormai durava da quasi un anno. Era stata un'azione restrittiva e allo stesso tempo punitiva, questo per riuscire a controllare meglio le sue grosse intemperanze nei confronti di alcuni degli infermieri e di certi pazienti.

    Lui ricordava bene i motivi per cui ogni volta era stato costretto a reagire, non era pazzo e nemmeno violento per sadismo. Il problema era che quando arrivavano a fargli perdere la pazienza e cominciava a spostare la sua mole, essendo alto, grosso e aggressivo poi era difficile riuscire a fermarlo.

    Quel posto era come una prigione, anzi era un surrogato con le stesse regole di un carcere, sia per quelle imposte dalla direzione e così per quelle di comportamento che vigevano tra i pazienti. La differenza era che al posto dei secondini vi erano gli infermieri e le robuste guardie di sicurezza a supporto dei primi, alcuni con una grande integrità morale e altri che invece non ne possedevano per nulla. Al posto dei carcerati vi erano i pazienti, alcuni che non avevano nessun contatto perché pericolosi per chiunque e senza alcun motivo valido a scatenarli, altri innocui ma incapaci di fare un ragionamento sensato, il resto, quindi la maggior parte, sani come pesci. Individui che, senza andare troppo lontano, si trovavano appunto anche nelle carceri di massima sicurezza. Magari molto aggressivi per un non nulla, persone che avevano ucciso in modo cruento e fantasioso qualcun altro, gente che aveva fatto fuori tutta la propria famiglia, ma tutti in grado di pensare e fare delle scelte, che poi compissero spesso quelle sbagliate questo era un altro paio di maniche. Il più delle volte erano gli avvocati a convincere il proprio assistito a dichiararsi incapace di intendere e di volere per evitargli il carcere e magari uscire prima, ma di frequente era la scelta sbagliata perché la differenza col carcere era davvero sottile. Risse, accoltellamenti e aggressioni avvenivano anche all'interno dell'ospedale psichiatrico. Kean ad esempio era stato messo in semi isolamento per aver picchiato quattro persone causandogli gravi traumi: uno con un braccio rotto, un altro con il setto nasale spezzato e perdita di alcuni denti; altri due con grossi lividi e contusioni in gran parte del corpo. Era stato aggredito nella sala ricreativa mentre si sintonizzava sul suo canale preferito, i quattro aggressori forti del numero in cui erano, non erano stati d'accordo con lui sul canale da guardare, da lì era nato qualche piccolo contrasto con annesse minacce. Nella stanza era presente anche la persona addetta alla sicurezza, ma prima di intervenire aveva dovuto chiamare i rinforzi e quando questi erano arrivati, quello che avevano potuto fare era stato solo prendere in consegna Kean e portare in infermeria i quattro, senza sapere nemmeno come fosse successo e perché. Kean era stato più veloce di loro ad agire e a sedare a modo suo la disputa. Prima di quel giorno nella stanza ricreativa sostava una sola persona, avevano valutato che poiché la dentro non erano mai successi grossi incidenti, una guardia bella robusta poteva bastare a risolvere delle piccole liti. Da quel giorno le guardie nella sala ricreativa diventarono ufficialmente tre, era riuscito a modificare il regolamento.

    Kean non era in grado di valutare se fosse meglio prima, con i vecchi farmaci, o peggio adesso con questi nuovi. Quando i medicinali facevano ancora il loro normale effetto, dormiva per la maggior parte della giornata e le sue sveglie erano programmate solitamente per farlo mangiare o per lavarlo. Ogni tanto provavano anche a farlo ricreare con dei giochi a quiz, che però servivano solo a loro per capire in che stato fosse la sua mente e la sua capacità di ragionamento. In qualche modo era pur sempre un ospedale, che in teoria cercava di risanare un individuo con grossi problemi mentali.

    In questa nuova situazione, c'era di positivo che la sua testa stava riacquistando la lucidità di un tempo, purtroppo però il suo corpo era totalmente immobilizzato per la maggior parte delle sue ventiquattro ore.

    Le stanze erano totalmente insonorizzate per non disturbare il paziente, quindi a parte il ronzio incessante della luce al neon e il ticchettio dei secondi dell'orologio, lui non sentiva nient'altro per tutte le ore in cui era a letto. Per come la pensava Kean, le stanze isolate acusticamente erano solo un altro modo per farlo diventare matto, giacché ancora non si riteneva tale.

    A volte ormai gli pareva di sentire delle voci, delle urla, ma era la sua testa a produrle. Forse erano i suoi ricordi o solo delle semplici fantasie.

    Sapeva che tra meno di un'ora sarebbe stato in grado di cominciare a muoversi, il sedativo smetteva il suo effetto in concomitanza con l'orario del pasto. Sarebbe stato il primo break della giornata e non vedeva l'ora di potersi mettere in movimento.

    Ora era anche in grado di ricordare l'ultimo cibo ingerito, anche se parecchie ore prima, quindi stava compiendo dei miglioramenti seppure minimi. Il suo prossimo pasto sarebbe stata la colazione.

    Il mangiare non era nulla di elaborato, il classico cibo da ospedale. Non aveva un grammo di grasso addosso grazie a quella dieta, gli sarebbe solo occorso fare un'oretta di palestra o di ginnastica al giorno per far riprendere intensità ai suoi muscoli che avevano perso tonicità a furia di stare a letto.

    Era da undici minuti e quaranta secondi che avrebbe voluto grattarsi la schiena, stare fermo nella stessa posizione gli faceva venire prurito e dolori in tutto il corpo. Era devastante restare immobilizzato senza nessuno a potergli dare una mano anche solo per grattarsi il naso. Almeno prima, di positivo c'era che quando dormiva poteva girarsi e muoversi. Non capiva proprio perché il medicinale nuovo ora agisse così. Gli venne il dubbio che gli avessero cambiato sedativo apposta, ma per quale motivo avrebbero dovuto farlo?

    Una zanzara gli si posò su un braccio. Era insolito vedere mosche o zanzare lì dentro, ma talvolta poteva capitare. Tenendo gli occhi tutti verso il basso gli parve di riuscire a vederla, ma non ne era sicuro. Tuttavia riuscì a capire tramite la sua puntura, dove aveva posizionato esattamente il suo pungiglione. Avrebbe voluto schiacciarla e grattarsi, invece non poté che stare fermo a farsi succhiare il sangue e trattenere il prurito successivo al pizzico.

    Durante i pasti avrebbe potuto parlarne con gli infermieri di questa situazione, eppure solo il pensiero che loro riconoscessero il malfunzionamento del sedativo, ripristinandolo con un altro più efficace, lo faceva desistere dal comunicarglielo. Con un medicinale valido, lui avrebbe dormito per quasi tutta la giornata e questo avrebbe compromesso le sue condizioni psichiche. Certo, anche così era una tortura, ma almeno era cosciente e in grado di pensare e questo gli dava la speranza di poter modificare in futuro la sua situazione attuale.

    Il sonno indotto dai medicinali non gli permetteva di avere dei sogni, o almeno non di ricordarli. Ora invece, questo nuovo stato di coscienza gli consentiva a volte di riviverli. Purtroppo però erano sempre delle visioni enigmatiche e spesso angoscianti.

    Non dava molta importanza alle immagini che la sua mente produceva durante la notte, non credeva nella superstizione e nemmeno nella religione. I sogni nascevano dalla sua mente e quindi nel tempo libero, che purtroppo era parecchio, provava ad analizzare quello che volevano cercare di comunicargli, ma non arrivava mai ad alcuna conclusione che avesse un senso.

    Le sue visioni erano ripetitive e ricorrenti. Un sogno che faceva spesso, lo vedeva prepararsi per uscire e scendere dal piano di sopra di una grande casa, verso il pianterreno. Mentre faceva gli scalini guardava da una finestra, posizionata nelle scale, il sole molto forte e diretto gli faceva socchiudere gli occhi senza permettergli di vedere l'esterno. La sua riflessione, guardando fuori dalla finestra, era che fosse una fortuna che ci fosse una bella giornata dopo tutti quei giorni di pioggia appena passati. Quando arrivava di sotto lo colpiva il silenzio assoluto e ovattato, rotto solo dal ronzio distante di sciami di insetti. Svoltava l'angolo per andare in cucina a bere un sorso di latte prima di uscire, con quel caldo adorava berlo fresco. Appena entrato nella stanza, trovava subito di fronte a sé sua madre e suo padre morti, con la stanza invasa dalle mosche. La madre aveva la faccia rivolta verso di lui e lo guardava con un occhio solo perché l'altro non c'era più e nell'orbita vuota, banchettavano gli insetti. I cadaveri erano sicuramente lì da parecchio tempo. Non sapeva perché fossero morti, ma in cuor suo non era tanto turbato da quell'avvenimento. Apriva il frigo per prendere la bottiglia di latte, ingoiava un lungo sorso, quindi una volta rimesso a posto cercava di raggiungere la porta che conduceva all'esterno, stando attento a non sporcarsi le scarpe bianche e a non scivolare nel lago di sangue. Mentre varcava il passaggio che portava al giardino, pensava che sarebbe andato a farsi un giro al lago. Magari con una giornata come quella, se fosse stato fortunato, avrebbe potuto incontrare la bella Hope.

    Quel sogno si interrompeva sempre allo stesso modo. Aveva avuto modo di valutare quelle immagini e capire cosa significassero, ma la sua testa ancora non era in grado di capirle né di procurargli qualche informazione utile, sempre che ne possedessero una. Forse non voleva dargli un significato, d'altronde si trattava solo di immagini dettate dall'inconscio, seppure così vicine alla realtà. Lo psicologo della struttura gli aveva chiesto un sacco di volte se lui facesse dei sogni e se volesse condividerli, ma rispondeva sempre col silenzio e un cenno secco di diniego. Ogni cosa che lui rivelava loro, l'avrebbero usata per continuare a fargli del male, di questo ne era sicuro. In teoria sarebbe dovuta essere una struttura curativa, ma nella realtà era un inferno per la maggior parte dei pazienti, coscienti o meno.

    Al suo risveglio, ripensava a quel sogno e lo turbava ricordare che lui usciva dalla casa con serenità, nonostante i genitori morti nella sua cucina. Il secondo pensiero era che ancora non aveva dimenticato Hope nonostante tutto.

    Individuò la zanzara che lo aveva punto poco prima di volare lenta nella stanza, appesantita dal suo sangue.

    Aveva bisogno di grattarsi e di andare in bagno, cercò di muovere la testa istintivamente verso l'orologio per vedere che ore fossero e stavolta ci riuscì. L'ora della colazione stava per arrivare.

    Erano, infatti, le cinque e tre minuti del mattino e la colazione sarebbe stata servita dalle sei alle sette. Immaginava che fuori fosse ancora buio, ma erano solo ricordi, lui da un anno circa vedeva sempre e solo la luce artificiale, notte e giorno, giacché la stanza era priva di finestre.

    Provò a muovere un braccio e lentamente ci riuscì. Si grattò senza troppa forza dove lo aveva pizzicato la zanzara e si girò di fianco, per cercare di stare più comodo e dare un po' di sollievo al corpo, fermo nella stessa posizione per tante ore.

    La stanza con un po' di fantasia poteva anche sembrare una camera d'albergo. Ovviamente uno di quelli spartani ed economici, nonostante sapesse per certo che il fratello spendesse una fortuna ogni mese, per permettergli di stare rinchiuso con più comodità. Perlomeno questo era quello che gli aveva garantito lui. C'era da valutare se il fratello gli dicesse la verità o se invece non fosse il direttore dell'ospedale a tenersi i soldi che gli venivano dati. A lui non faceva molta differenza, il fratello lo vedeva poco e niente e le sue condizioni erano uguali a quelle degli altri pazienti chiusi lì dentro. In teoria l'ospedale doveva essere uguale per tutti, giacché la pena detentiva era scontata dentro la clinica invece che in carcere, ma in pratica al suo interno i soldi giravano liberi e permettevano a chi li aveva di poter acquistare qualche favore e qualche piccolo lusso, proprio come i normali detenuti in prigione.

    Il suo letto era in mezzo alla piccola stanza di forma rettangolare, lontano dal resto della mobilia. Alla sua sinistra vedeva un mobiletto di legno scuro con delle vecchie riviste posate sopra. Non sapeva di cosa parlassero, per lui potevano essere anche dei porno, tanto non era mai riuscito a sfogliarne una.

    In tutto l'anno durante i pasti era sempre vagamente sedato, anche se capace di intendere e di volere. Appena poi finiva di mangiare, solitamente gli somministravano un'altra dose che durava sino al pasto successivo. Ora avrebbe potuto leggere qualcosa con quel nuovo medicinale mal funzionante, poiché la sua mente restava lucida per tutto il giorno e il suo corpo iniziava a muoversi molto prima di quanto avesse dovuto, cioè prima dell'arrivo dell'infermiere.

    Di fianco al mobiletto scuro stava una sedia e un mobile più alto con sopra una vecchia televisione a tubo catodico, staccata e probabilmente nemmeno funzionante. Sempre a sinistra vi era anche un armadietto che sarebbe dovuto servire per degli abiti, ma che invece era certo fosse inutilmente vuoto. Lui aveva sempre addosso un pigiama bianco, che gli veniva cambiato con un altro pulito solo al momento della doccia.

    Alla sua destra, dietro un separé, c'era un piccolo lavandino e un water in metallo grigio con uno spesso coperchio in metallo. Kean capiva perché la tazza del water non fosse in ceramica, poiché una scheggia di quest'ultima poteva tranquillamente divenire un'arma nelle mani giuste, ma non capiva il perché del coperchio, giacché ci avrebbe messo un minuto a staccarlo e utilizzarlo per sbatterlo addosso a una persona ferendola gravemente. Tendeva a notare queste incongruenze e negli edifici statali, creati da gruppi di persone che non avrebbero mai messo un piede al suo interno, ce n'erano tante. Appesi alle pareti c'erano dei quadri di paesaggi e nature morte, però non abbellivano per niente la stanza e non lo rendevano nemmeno sereno, se quello voleva essere il loro intento appendendoli.

    Si ricordò che con l'infermiere di turno, sarebbe dovuto stare attento a comportarsi come se si fosse appena risvegliato dal sedativo. In teoria era davvero così, ma in pratica solo il suo corpo si stava risvegliando e aveva difficoltà a muoversi, la sua mente era tersa e col tempo stava riacquistando anche la memoria.

    Mancava ancora mezz'ora prima che Elmer entrasse col carrello delle colazioni. Si sollevò dal letto e lentamente si mise a fare un po' di ginnastica. Qualche movimento per sciogliersi e poi qualche esercizio mirato ad irrobustire i muscoli bloccati dal tempo, come ad esempio qualche flessione o addominale.

    L'infermiere a cui era stato affidato era uno stronzo che detestava. Da quando era arrivato alla clinica, Elmer lo trattava con disprezzo e spesso con cattiveria. Di questo se n'era reso conto con più lucidità da quando era immobilizzato a letto con la testa funzionante. Più che altro in questi giorni aveva avuto modo di ragionarci su e pian piano cominciare a covare del rancore nei suoi confronti.

    Venti minuti dopo si aprì la porta ed entrò l'infermiere con il carrello delle colazioni.

    L'uomo non era più giovanissimo, era gracile e senza tanti capelli. Aveva un camice logoro ma pulito e teneva i primi bottoni slacciati, lasciando intravedere il petto ossuto, villoso e una grossa catenina in oro col crocefisso. La sua postura ingobbita e il viso smunto davano la sensazione di un uomo apatico, stanco e senza motivazioni.

    «Avanti Kean alza il culo dal letto e siediti qui, senza farmi perdere tempo.» Gli disse Elmer, con la voce rauca da accanito fumatore, senza tanti convenevoli e con modi bruschi.

    *

    Kean fingendo di essere intontito, si alzò con lo sguardo vacuo e sbavando leggermente andò a sedersi lentamente dove l'infermiere gli aveva detto di mettersi. Kean in piedi era quasi il doppio dell'infermiere, sia in altezza sia in larghezza, nonostante ora fosse dimagrito e debilitato.

    Elmer nel frattempo gli aveva versato del latte in una scodella e messo qualche biscotto di fianco ad essa.

    «Ehi idiota, quanto zucchero vuoi?» Domandò Elmer ridendo e mostrando un dente più scuro degli altri tra gli incisivi giallastri.

    «Ah già, è vero che non puoi rispondermi. Io però conosco i tuoi gusti amico mio e so che a te il latte piace fresco, senza caffè o cioccolato e senza zucchero. Manca però un ingrediente e non lo ricordo!» Dichiarò l'infermiere, fingendosi sconsolato, mentre faceva credere di pensare all'ingrediente mancante.

    Kean aveva capito che Elmer stava per mettere in pratica qualcuno dei suoi soliti dispetti e lo guardò torvo. Non voleva mettersi a parlare per non tradirsi, ma restò tentato di farlo. «Ah ecco! Porca miseria, che sbadato!» Esclamò gridando a un tratto l'infermiere.

    «Come potevo dimenticare che a te piace con tanta schiuma!» Detto questo, tirò su col naso e raschiando con la gola sputò nel latte una grossa e densa palla di saliva e catarro.

    «Et voilà, la schiuma è pronta, calda e tutta da gustare.» Asserì il vecchio infermiere, ridendo sguaiatamente.

    Kean era da ore che pensava a quel latte desiderandolo tantissimo. Adorava quella bevanda, ma ora avrebbe dovuto farne a meno. Sentì la rabbia montargli, mentre fissava con aperta ostilità l'infermiere. Prese un biscotto e lo portò alla bocca mangiandolo lentamente, cercando di stare calmo e di regolare il suo respiro che nel frattempo gli era diventato affannoso.

    «Che fai Kean, mi vuoi spaventare guardandomi in quel modo? Non è che magari ti alzi e mi rincorri per tutta la stanza?» Domandò ironicamente l'infermiere.

    «Dovresti anche fare una doccia sai? Puzzi un po' più del tuo solito. Eppure a guardarti bene, non sei malaccio sai Kean? Lo sai che in prigione succede che un bel ragazzo aiuti i propri compagni a sopperire alla mancanza di una donna? Tu saresti perfetto. Probabilmente ti piacerebbe. Io sono stato dentro lo sapevi? Per sciocchezze, ma c'era un ragazzino che stava da noi che era la fine del mondo, certe cose... ma sai che nemmeno con una donna? Quasi quasi... eh Kean che dici? Tanto resta un nostro segreto. Non oggi però. Non ho tempo per dedicarmi a te, devo andare a vedere una macchina, una Ford Explorer del 2008 che vende mio cugino. Ora bevi tutto il latte e non sprecarne nemmeno una goccia se non vuoi farmi incazzare. So che non lo vuoi perché noi siamo amici. Io da incazzato sarei una vera sciagura per te, mentre se mi fai felice potresti avere dei vantaggi.» Affermò Elmer avvicinando il bicchiere di latte sputato vicino a Kean.

    Quest'ultimo non voleva proprio perdere la pazienza, perché questa nuova possibilità di rimanere lucido poteva permettergli di escogitare una fuga o di ristabilirsi. Farla pagare all'infermiere avrebbe significato essere punito e avere altre restrizioni, se non un aumento della sua permanenza all'ospedale. In cambio avrebbe ottenuto solo una breve soddisfazione personale. Certo che però se si fosse azzardato a mettergli un dito addosso per provare a mettere in pratica le sue schifose intenzioni di violentarlo, allora avrebbe mandato al diavolo tutti i suoi progetti. Elmer in quel caso se la sarebbe vista brutta.

    In seguito però gli ritornò in mente la volta che l'infermiere l'aveva costretto per puro divertimento a pulirsi il sedere con le mani dopo aver defecato, perché altrimenti non gli avrebbe dato da mangiare. Oppure quando gli aveva versato il pasto per terra e l'aveva costretto a mangiare con la bocca, come un cane, anche se non aveva toccato cibo. Così come quei due episodi ne ricordava tantissimi altri in cui Elmer usava il suo potere per attuare dei soprusi. Tutte le volte che aveva dovuto subire quelle angherie però, lui non era in grado di difendersi perché profondamente sedato e confuso.

    Alla fine prevalse il buonsenso, quello che normalmente ha una persona sana e lucida. Quello che solitamente è in un uomo che ha la forza per combattere. No, quel giorno no, quel latte sputato non lo avrebbe bevuto, si disse Kean. Già prima delle sue parole fremeva nervoso per il latte, perché dopo averlo desiderato tanto non poteva berlo, ma ingoiare quella schifezza non l'avrebbe mai fatto.

    Elmer si avvicinò alla sua faccia e poté sentire l'alito fetido che emanava la sua bocca che sapeva di tabacco, di caffè, ma anche quell'odore tipico, sgradevole e raccapricciante, che gli davano le carie che aveva sparse tra i suoi denti.

    «Senti un pochino Kean, facciamo così, se ti bevi tutto il latte dopo ti permetto di pranzare, diversamente oggi starai a dieta. Il tuo cibo lo butto via da qualche parte prima di venire qua e in qualche modo, il tempo che doveva essere dedicato al pranzo potremmo impiegarlo in qualche altra maniera.» Ghignò untuosamente Elmer mettendogli una mano sulla spalla e carezzandogliela. «Resterà un segreto tra me e te. Senza contare che in seguito escogiterò qualche punizione degna di potermi divertire. Devi imparare l'ubbidienza amico mio. Tuo padre non te l'ha insegnata?» Rise sguaiatamente l'infermiere.

    «Ecco tra le tante cose che potevi dire, hai toccato il tasto sbagliato, quello dell'ubbidienza legata alla persona di mio padre.» Disse Kean muovendosi molto velocemente e afferrando la gola di Elmer con la sua grossa mano. «Vorrei spezzarti l'osso del collo, stracciarti la gola, ti vorrei fare male, picchiarti e romperti ogni osso che hai addosso, vorrei farti tutto questo e anche di più. Facciamo così invece Elmer, non voglio ucciderti perché questo non mi porterebbe dei vantaggi, ma solo una breve soddisfazione e tu non meriti gli anni che mi aggiungerebbero da passare qua. Ora prendi questo latte, lo bevi e a me ne versi un altro pulito.» Affermò Kean rosso in viso e col respiro in affanno mentre avvicinava con una mano il bicchiere sputato a Elmer e con l'altra, teneva il collo di quest'ultimo.

    L'infermiere era cereo, strabuzzava gli occhi per la sorpresa e per la presa al collo, che gli permetteva di respirare con molta fatica. Non si sarebbe mai aspettato quella velocità e quella forza da Kean vista la sua condizione, ora temeva per la sua incolumità memore anche delle vicende del passato.

    «Allora che ne dici Elmer di questa soluzione che ti permetterebbe di vivere?» Lo incalzò Kean che non allentava minimamente la presa, ancora indeciso se spezzargli il collo.

    L'infermiere si limitò a fare dei cenni frenetici di assenso con la testa, avrebbe detto e fatto qualunque cosa in quel momento.

    Kean alla fine lo liberò dalla presa, anche per non lasciare delle lesioni che avrebbero facilitato l'accusa di aggressione che era sicuro ci sarebbe stata, e fece un gesto verso il carrello dove c'erano i bicchieri e il latte fresco. Elmer con le mani tremanti versò un bicchiere di latte pulito e lo posò di fronte a Kean.

    «Aspetta Elmer, non mi va di bere da solo oggi. Brindiamo alla nostra nuova amicizia.»

    Detto questo, Kean prese il bicchiere di latte sputato da Elmer, tirò su col naso e grattò con la gola fino a riempirsi la bocca, quindi sputò all'interno dello stesso bicchiere che prima doveva essere destinato a lui.

    «Bevi pure Elmer. Alla nostra salute!» Esclamò Kean facendo l'occhiolino all'indirizzo dell'infermiere, che ancora sussultava, sollevando il suo bicchiere di latte.

    Elmer guardò il bicchiere che aveva di fronte ormai colmo di catarro più che di latte e diede una rapida occhiata alla porta d'uscita.

    «Non pensarci nemmeno. Tra te e l'uscita ci sono io e come avrai capito, non sono più deboluccio come prima. Scegli: bevi lentamente e gustati a piccoli sorsi quello che c'è all'interno del bicchiere, oppure ti prendo a pugni e poi ti spezzo il collo. Decidi tu.»

    Kean prese il bicchiere di latte e iniziò a sorseggiarlo, guardando attentamente i movimenti di Elmer.

    Quest'ultimo avrebbe quasi preferito farsi spezzare il collo che bere quell'intruglio schifoso.

    Non poteva urlare perché nessuno avrebbe sentito. Non era armato e non c'erano telecamere, perché solitamente in quel piano i pazienti erano talmente sedati, che anche se grandi e grossi come Kean non erano in grado di far del male a nessuno.

    Elmer non poteva fare altro, sembrava non avere altra scelta. Prese il bicchiere e cercò di non guardare all'interno ma l'occhio ci andò a finire lo stesso. Poteva vedere chiaramente il miscuglio denso di sputo marroncino e verdastro.

    «Forza Elmer, non pensarci troppo e gustatelo. D'altronde era la stessa bevanda che con tanta generosità volevi offrire a me pochi minuti fa.»  Affermò Kean.

    Elmer era schifato e allo stesso tempo molto spaventato. Non si capacitava di come Kean fosse così in forma e lucido di testa. Se avesse provato ad affrontarlo in un corpo a corpo, era sicuro che avrebbe avuto la peggio vista la stazza così differente tra loro, era più che certo di non arrivare integro alla porta. Cercò quindi di prendere tempo per trovare una soluzione.

    «Dammi tempo Kean, lo abbiamo a nostra disposizione e io sono ancora scosso. Spiegami com'è possibile che tu sia così lucido, forte e in forma.» Domandò Elmer con tono amichevole, sinceramente incuriosito.

    Kean sghignazzò per la proposta dell'infermiere. «Ma si! E' da una vita che non mi faccio una chiacchierata, per quanto l'interlocutore lasci a desiderare, ma questo c'è e questo prendiamo.» Ghignò Kean, guardando con malvagità Elmer.

    «Si tratta di quel cazzo di sedativo che mi state dando. Non è efficace come dovrebbe: mi paralizza gran parte del corpo ma non la mente e smette prima il suo effetto. Appena quindi termina di circolarmi nel sangue, prima del tuo arrivo mi avanzano anche una ventina di minuti per fare attività fisica. Ah e tra l'altro riguardo a quella Ford Explorer che dovresti andare a vedere da tuo cugino, lascia stare, non prenderla nemmeno gratis. Di macchine me ne intendo.» Sostenne Kean.

    «Perché mai mio cugino dovrebbe rifilarmi un bidone. Che cosa avrebbe l'Explorer che non va, grande intenditore?» Domandò Elmer, cercando di riprendere il suo atteggiamento abituale.

    Kean sorrise. «Nulla a parte che è stato richiamato dalla ditta diverse volte, che ci sono stati duecento morti grazie alle gomme che si staccavano senza preavviso e tanti altri problemi. No Elmer, vorrei che non rischiassi la tua vita con l'Explorer. Desidererei ucciderti io appena mi sarà concesso. Non restiamo a bocca asciutta però! Parliamo mentre di tanto in tanto sorseggiamo la nostra bibita Elmer, forse con un pochino di fantasia ci sembrerà di essere in un bar all'aperto, come due vecchi amici che si rincontrano dopo tanto tempo.» Sorrise Kean.

    Elmer capì di non avere speranze. Aveva cercato di prendere tempo, però ora Kean si aspettava che lui bevesse. Doveva bere o azzardare qualche mossa per tirarsi via da quell'impaccio. Se però come diceva Kean, si teneva anche in forma da un po' di tempo, per Elmer non c'erano speranze in un corpo a corpo.

    Lo avrebbe dovuto fare, ma giurò a se stesso che gliel'avrebbe fatta pagare in tutti i modi.

    «Sai che anche se berrò questa roba quando uscirò di qua tu passerai dei guai. Sai anche che non potrai nasconderti da nessuna parte e che quindi la mia vendetta sarà talmente grande che quello che ti ho fatto sino a oggi ti sembreranno dei giochi innocui. Se tu capisci tutto questo, evita di costringermi a bere, fammi buttare questa roba, lasciami prendere il mio carrello e andare via. Io mi dimenticherò di questo imprevisto e tu non avrai da temere.»  Disse Elmer provando a convincere Kean.

    Quest'ultimo rise molto forte e di gusto.

    «Ma credi che io sia scemo? Tu berrai, perché la mia posizione è compromessa alla stessa maniera, ma almeno le mie future sofferenze saranno più liete mentre ricorderò questi momenti. Per ultimo sappi sempre che la tua vendetta sarà ridicola confronto alla mia il giorno che ci rivedremo ad armi pari. Ora basta chiacchiere e minacce bevi immediatamente o te lo faccio bere con la forza!» Concluse Kean.

    Elmer era rassegnato. Si stava avvicinando il bicchiere alla bocca, quando tutto a un tratto la sua mente, nonostante tutto, si rifiutò di ingurgitare quella densa poltiglia. Riguardò una volta ancora al suo interno e provò una profonda repulsione. Azzardò allora una mossa dettata dalla disperazione: scagliò il bicchiere verso Kean cercando di colpirlo, ma quest'ultimo prontamente lo schivò per pochissimo, facendolo infrangere sul muro. Elmer allora approfittò del momento di confusione per arrivare alla porta. Nonostante l'età non più giovanissima si alzò e scattò per provare a superare Kean, ma sfortunatamente inciampò subito nel piede del letto e volò dritto con la testa sul muro, spezzandosi l'osso del collo e morendo sul colpo.

    Giancarlo Pittau Normal Giancarlo 2 593 2017-11-01T17:08:00Z 2018-04-10T12:19:00Z 2018-04-10T12:19:00Z 120 108728 619752 5164 1454 727026 15.00 88-488-0000-?

    Shane - Oggi

    Shane Other aveva l'abitudine di arrivare al lavoro prima degli altri. Quella mattina non faceva differenza. Erano le cinque quando varcò la porta di legno pregiato del suo ufficio.

    Gli piaceva gustare il silenzio tipico dell'alba, senza nessuno intorno a rovinare quella pace e senza i telefoni che squillavano a ogni minuto. A quell'ora le uniche persone presenti nel palazzo erano le guardie della sicurezza all'entrata e il personale addetto al bar, che iniziava a prepararsi al caos che si sarebbe scatenato qualche ora più tardi, all'arrivo di tutti i dipendenti.

    Era una grande impresa la sua e all'interno di quell'edificio avevano anche il bar, la cucina, la sala mensa, il baby parking e la palestra. Aveva in mente di far costruire anche un campo da basket e il suo sogno sarebbe stato uno da football americano, di cui era patito. Per quello da basket avrebbe dovuto aspettare ancora per poco tempo, quel progetto sarebbe potuto essere messo in pratica non appena gli avessero dato i permessi per poter ampliare la sua ditta. Mentre per il sogno di creare un piccolo stadio di football e allestire una squadra che avesse potuto difendere i colori della piccola città di Childhood, avrebbe dovuto aspettare ancora tanto per mancanza di fondi. Si sarebbe potuto accontentare di creare solo un campetto, mettere quattro giocatori, dargli le maglie e iscriverli al campionato, ma lui non era una persona che si accontentava. Il suo sogno era creare un piccolo stadio di quindicimila o ventimila spettatori, ricco di tecnologia e comodità, chiamarlo col nome della sua ditta e fare da sponsor ufficiale alla squadra. Quest'ultima poi, sarebbe dovuta essere creata per vincere perché lui non avrebbe mai accettato di fare da comparsa.

    Shane era a capo dell'azienda di famiglia da dieci anni. Da quando ne aveva preso in mano lui le redini, il fatturato era triplicato. Quella che altri avevano definito una magia, altro non era che l'aver modificato i metodi di lavoro antiquati e obsoleti, con nuove tecniche all'avanguardia. Certo, questo aveva significato inizialmente anche un taglio al personale. Ad esempio aveva dovuto allontanare tutti quei lavoratori assunti dal padre che non avevano una qualifica vera e propria, che magari c'erano da tanto ma che per lui erano diventati un peso gravoso in termini monetari. Con alcuni di loro era anche cresciuto e ci aveva lavorato assieme, soprattutto con i loro figli. Quando però si trattava di denaro, Shane non guardava in faccia nessuno e lasciava da parte tutti i sentimentalismi che avrebbero potuto offuscare il suo giudizio e le sue decisioni.

    Ora che però gli affari erano in continuo rialzo, stava pian piano di nuovo assumendo. Certo però non i vecchi lavoratori che aveva licenziato. Potevano entrare a far parte della sua grande famiglia, solo dipendenti laureati e qualificati a usare i nuovi macchinari e le nuove tecnologie. Non aveva più bisogno di dieci persone di fatica per compiere un lavoro, bensì di una persona sola che sapesse guidare i macchinari adatti a eseguire quello stesso lavoro. Un giorno non avrebbe avuto più bisogno nemmeno di quella persona, sarebbe bastato un tecnico che periodicamente avrebbe controllato tutta l'azienda. Meno personale da gestire e da assicurare, meno assenteismo, meno ferie e permessi.

    Sapeva sin da bambino che avrebbe guidato quella società, l'aveva voluto con tutte le sue forze e riteneva anche di essere l'unica persona di famiglia qualificata per poterlo fare. Kean non sarebbe mai stato in grado di portarla avanti, con lui a capo di tutto avrebbe dovuto discutere per ogni decisione da prendere. Hidd, sua sorella, era una donna e Shane non l'avrebbe mai presa in considerazione. Meno male però che Kean aveva fatto tutto da solo mettendosi automaticamente da parte, forse involontariamente, ma lasciandogli a prescindere campo libero.

    La sua segretaria non era ancora arrivata, non gli era quindi possibile chiederle di portargli un caffè doppio, d'altronde era stato lui a dirle di non venire prima delle sei e mezzo. Quell'ora e mezzo di solitudine gli serviva per riordinare le idee e non l'avrebbe barattata con la comodità di avere qualcuno a portargli un caffè. Sentiva però l'esigenza di fare colazione, quindi si alzò e varcando la porta del suo ufficio si avviò verso la sala bar che stava tre piani sotto di lui.

    Preferì prendere le scale invece dell'ascensore. Fare un po' di moto gli avrebbe solo giovato. Quando poteva scegliere, preferiva sempre percorrere le scale invece di prendere l'ascensore oppure andare a piedi al posto di guidare la macchina.

    Già appena disceso un piano iniziò a sentire l'odore invitante delle paste calde, fragranza che poi divenne molto forte appena sceso nel piano dove era ubicato il bar.

    Entrò in quest'ultimo e percepì i dipendenti cambiare atteggiamento al suo arrivo, da sciolti e informali divennero rigidi, silenziosi, con un sorriso teso e leggermente forzato. Inizialmente, quando era subentrato al posto del padre alla guida dell'azienda, questo cambiamento nei dipendenti, persone che conosceva da una vita e con cui aveva un approccio informale, l'aveva infastidito. D'altronde sin da quando era piccolo e nei mesi estivi, tra un anno scolastico e l'altro, lavorava nell'azienda, gli era sempre sembrato di non essere entrato nei loro cuori. Anche crescendo aveva potuto constatare che loro lo rispettavano, lo temevano ma in ogni caso era palese che non lo amavano quanto lui avrebbe voluto, nonostante si sforzasse di mostrarsi simpatico a loro il più possibile. Una

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