Lo scandalo della vedova: Le Spose dell'Arcano, #3
Di Erica Monroe
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Lo scandalo si rivela fatale in questo romanzo Regency gotico…
Lady Jemma Forster sa fin troppo bene quanto crudeli possano essere le malelingue. Ha sacrificato la felicità per riparare la reputazione della sua famiglia. Il matrimonio di convenienza con un ricco conte è stato il suo addio alla passione, alla possibilità di amare l’affascinante investigatore che le ha incendiato l’anima. Conduce una vita tranquilla e pratica come Contessa di Wolverston, finché non viene assassinato il marito e l’unico che può fare giustizia è l’uomo che ama davvero.
L’investigatore di Bow Street Gabriel Sinclair ha trascorso gli ultimi tre anni a cercare di dimenticare la bella e intelligente Lady Jemma, che gli ha spezzato il cuore sposando il suo migliore amico. La morte del Conte di Wolverston spinge Gabriel e Jemma di nuovo insieme, mentre lavorano per scoprire l’assassino. L’indagine li porta negli angoli più bui e pericolosi di Londra, con minacce che arrivano da ogni parte. Sono soci perfetti per risolvere il mistero, ma possono anche diventare compagni di vita?
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Anteprima del libro
Lo scandalo della vedova - Erica Monroe
Capitolo 1
Ci si può aspettare una gran folla al funerale del beneamato Conte di Wolverston, dato che chiunque faccia parte dell’Alta Società si raccoglierà nel villaggio di Monmorte. Si dice che anche Prinny farà un viaggio speciale da Brighton per commemorare il vecchio amico…
-I bisbigli di Lady X, giugno 1816
Tenuta di Wolverston
Essex, Inghilterra
Quattro giorni dalla morte del Conte di Wolverston
Il giorno in cui Jemma Forster, Contessa di Wolverston, seppellì il marito Philip, la pioggia scendeva giù a catinelle. Era come se anche il Cielo sentisse il bisogno di esprimere la devastazione della perdita. Le gocce pesanti battevano contro il tetto pieno di guglie di Wolverston, un tamburellare continuo che ricordava a Jemma la marcia funebre suonata tanto tempo prima al funerale di un garzone di stalla nella tenuta dei genitori.
All’epoca era una bambina, innocente come i vestiti color giglio che indossava e ribelle come i riccioli castani che aveva in testa. A sette anni aveva già terrorizzato fino alla fuga due governanti, perché non le piaceva stare ad ascoltare e nessuno riusciva a persuaderla a fare ciò che non voleva. Dato che le bambine che si rifiutavano di essere ragionevoli non avevano il privilegio di essere viste o sentite dagli adulti, finiva spesso confinata nella propria stanza.
Quando quella fatale notte l’orologio batté l’ora delle streghe la sua governante era da tempo nelle braccia di Morfeo e Jemma poté scivolare giù dal letto senza essere notata. Si sedette sulla rientranza della finestra che dava sul giardino e vide il garzone tutto vestito di nero, e non con la solita livrea verde scuro, che camminava lungo il giardino sul retro e verso il laghetto nascosto nella nebbia. La luna piena argentata lo illuminava, rifletteva sull’acqua e proiettava l’ombra degli alberi come se fossero perfide braccia che ne afferravano il cappotto nelle loro grinfie.
Jemma non gli urlò dalla finestra di fermarsi mentre si faceva strada nel lago. Non sapeva che avrebbe dovuto. Le sembrò che affondare nell’acqua buia fino a essere solo vagamente visibile fosse un gioco per l’uomo. Con gli occhi aperti e un sorriso deliziato, la bambina guardò e attese che uscisse. Di tutte le notti in cui era sgattaiolata fuori dal letto, quella si stava rivelando la più interessante.
Allora non capiva cosa significasse morire. Non riusciva a considerare l’uomo che aveva visto galleggiare nel laghetto come la causa dell’espressione del maggiordomo, la stessa sul viso del cugino di Philip, Nicholas, dopo che un giovane vicino lo aveva colpito allo stomaco con un pugno. Quando finalmente la governante aveva avuto pietà di lei e le aveva spiegato, le erano rimasti ancora più dubbi. Per mesi dopo quella conversazione si era aspettata che, come aveva sempre fatto, il garzone di stalla spuntasse dalla selleria con le mele lucide che il suo pony adorava.
Non aveva ancora imparato a temere la morte. Come tutti i bambini conosceva solo il presente. Le sfuggiva il concetto stesso di irrevocabilità insito nella morte.
Adesso lo comprendeva fin troppo bene. Suo padre era deceduto in seguito a un attacco di cuore solo l’anno prima e, quando Jemma aveva sedici anni, la madre aveva contratto l’influenza ed era morta.
Ma nessuna di quelle perdite l’aveva scossa come la più recente. Non era mai stata particolarmente vicina ai genitori, figure distanti durante l’infanzia, più che felici di delegare la sua educazione e quella della sorella minore Rose a legioni di governanti e tutori. Jemma ne aveva pianto la morte e poi aveva continuato con la propria vita.
Quello… quello era diverso. Suo marito era morto, il sangue a macchiare i ciottoli di Soho Square. Sarebbe stato messo a riposare in una bara di olmo senza nodi rivestita di fine crespo bianco, tutto ciò che rimaneva di lui infine calato giù in un buco nero e umido nella terra.
No, Jemma non aveva bisogno di un costante memento dell’irrevocabilità della morte.
Ciò di cui aveva bisogno era giustizia.
E niente, né la minaccia di uno scandalo, né la disapprovazione della famiglia di Philip, né il dolore per i passati errori, l’avrebbe trattenuta dall’ottenerla. Pregò con fervore che tutti i suoi sforzi fossero vani e che la morte di Philip si rivelasse solo una casualità come tutti dichiaravano.
Mentre posava un altro mazzetto di rosmarino sul vassoio d’argento, non riuscì a scrollarsi di dosso la nauseante sensazione che la morte di Philip non fosse stata solo lo sfortunato esito di un’altra rapina a Covent Garden. Se quell’istinto si fosse rivelato giusto, allora significava che suo marito era stato ucciso proprio da chi avrebbe dovuto proteggerlo.
Dal suo stesso fratello.
Colui che avrebbe ereditato tutto ciò che Philip possedeva, eccetto la piccola casa a Londra dove Jemma si sarebbe trasferita il giorno dopo.
Si mise una mano sullo stomaco, quasi volesse ordinare alla colazione di rimanere giù. Doveva calmarsi. Concentrarsi sul funerale.
I preparativi erano in moto. Metri e metri di tessuto nero erano arrivati da Londra per il funerale: lana spessa per coprire gli specchi di casa, mantelli per i partecipanti più importanti del funerale, panni scuri stesi su ogni cosa nella stanza dove era steso il corpo di Philip. Tessuto nero a coprire anche l’interno della Chiesa di All Souls, dove si sarebbe celebrato il funerale.
Entrando a Wolverston gli ospiti avrebbero ricevuto rametti di rosmarino, ognuno tagliato a tre pollici. I mazzi erano composti da tre rami legati insieme da un nastro di seta nera. Ogni partecipante al funerale li avrebbe posati sulla bara di Philip per assicurarsi che non fosse mai dimenticato.
Rosmarino per ricordare. Così diceva il vecchio detto, ma Jemma non aveva mai avuto bisogno di aiuto per ricordare. Aveva una memoria impeccabile, ricordava tutto. Anche le cose che avrebbe tanto desiderato dimenticare, come il bacio ricevuto dall’uomo che non vedeva da tre anni, ma che sarebbe andata a cercare il giorno dopo.
Fece un fiocco attorno a un altro mazzolino e lo lasciò cadere sul vassoio. Gran parte degli ospiti non venivano a onorare la memoria di Philip. Le loro domande taglienti erano come gli artigli di un avvoltoio che beccavano sulla carcassa del suo lutto per scovare pettegolezzi e riferirli agli amici. Lo avevano fatto dopo lo scandalo in cui era stata coinvolta sua sorella Rose e lo avrebbero fatto di nuovo quel giorno.
Come a darle riprova di quello, la cugina di Philip strisciò dentro la stanza. Georgina Harding Middleton non camminava mai se poteva scivolare; non parlava mai in maniera diretta se poteva pontificare.
«Perché ti stai occupando tu dei doni per il funerale, Jemma? Ci sono i domestici per quello.»
Jemma continuò a sistemare i mazzolini, ignorando il rimprovero. Doveva far finta che tutto fosse normale – o almeno normale per quanto potesse esserlo dopo la morte del marito. «Volevo fare qualcosa. E inoltre i domestici sono impegnati a preparare la casa per gli ospiti.»
«Uff.» Georgina riusciva a dare un tono perentorio anche a un semplice schiarimento di voce. «Ti avevo detto di chiamare altri domestici in più per l’occasione. I fazzoletti sono pronti?»
Jemma annuì. «Avvolti in tessuto di seta e già posizionati all’entrata, da dare agli ospiti con i mazzi di rosmarino.» I fazzolettini neri da ricordo erano stati ordinati apposta dal merciaio preferito di Philip a Bond Street.
Dopo essersi fermati in casa, gli ospiti si sarebbero diretti in chiesa. David si sarebbe seduto in prima fila, come se avesse davvero tentato di salvare il fratello con coraggio, almeno stando ai giornali scandalistici.
Jemma si premette una mano sulla bocca, combattendo un’altra ondata di nausea. Dio, se avesse avuto ragione…
Si disse di non pensare alle possibili ramificazioni, non ancora. Il giorno dopo avrebbe dichiarato guerra.
Adesso doveva seppellire il suo migliore amico nel cimitero di Wolverston.
«Bene.» Georgina si accomodò sul divanetto vicino a lei, ma non si offrì di aiutarla. Una tale mansione sarebbe stata indecente per lei. «Il tempo là fuori è spregevole. Spero che basti almeno a farti passare il desiderio di partecipare alla processione. Persino tu non puoi pensare di arrancare nel fango mentre sei a lutto.»
Jemma era decisa a fare proprio quello, ma sapeva che era meglio tenerlo per sé. Rimase ferma, le mani lungo i fianchi, le dita a stringere la stoffa nera del vestito da lutto. La società richiedeva che lo indossasse per un anno, come se le servisse quello per piangere il marito. Come se avesse mai potuto dimenticare che Philip era morto, probabilmente per mano del fratello.
Ma si adattava. Aveva fatto colorare di nero tutti i suoi vestiti. Faceva ciò che ci si aspettava da lei, perché sapeva troppo bene che l’Alta Società aveva l’abitudine di rivoltarsi contro chiunque fosse diverso.
David non aveva badato a spese per il funerale e aveva ordinato quattro giacche nuove da Schweitzer & Davison a Cork Street, a Londra. Non era mai stato frugale e per lui era importante essere invidiato dal resto dell’Alta Società.
Stava cercando di fare lo stesso in quel momento, di trasformare il funerale di Philip in un evento della Stagione o nascondeva qualcos’altro?
«Inappropriato», disse Georgina altezzosa, parlando come se Jemma avesse espresso ad alta voce il desiderio di partecipare al corteo funebre. «Siamo donne di qualità, Jemma, non ragazze di taverna. Non facciamo cose del genere. L’ultima cosa di cui abbiamo bisogno è che Lady X venga a sapere che sei qui. È già grave che abbia rivelato dove è stato ucciso Philip.»
Jemma si sforzò di prendere un respiro profondo, prima di dire qualcosa di cui si sarebbe pentita. La faccia tosta di Georgina che aveva il coraggio di farle una ramanzina sull’impatto del giornale scandalistico di Lady X, quando era stato proprio quello a riportare lo scandalo di Rosie, costretta poi a rifugiarsi in un convento per dare alla luce il suo bambino. Anche dopo che era stato adottato, Rosie era rimasta all’abbazia.
Devi andare avanti, le aveva scritto nella sua ultima lettera. Io l’ho fatto. Mi sono costruita una nuova vita qui, Jemma.
«Non si scherza con Lady X.» Georgina arcuò le sopracciglia all’ingiù per mostrare la propria disapprovazione, come sembrava fare sempre. Proprio per quello Rosie paragonava sempre le sopracciglia di Georgina a due grossi millepiedi.
«Sono più che consapevole del potere di Lady X.» In qualche modo Jemma riuscì a evitare di far tremare la voce di rabbia. Erano passati tre anni, era vero, ma il tempo non aveva attutito il dolore per la sorella o per il nipote che non aveva mai conosciuto.
Per Georgina, invece, per il resto dell’Alta Società, Rose Gregory aveva cessato di esistere appena entrata in convento. Una donna perduta non poteva sperare in un buon matrimonio e quindi non serviva più a nulla.
Jemma legò il nastro di seta nera che si era sciolto attorno a un mazzolino e mise tutto di nuovo sul vassoio. Ogni decisione che aveva preso da adulta era stata per il bene della propria reputazione e cosa le restava? Nulla.
Rosie non aveva voluto tornare a Londra, nemmeno dopo che Jemma aveva sposato Philip. Aveva rifiutato le offerte della sorella di andare a trovarla nel Nottinghamshire e aveva chiesto a Jemma di smettere di comunicare con lei.
E ora Philip era morto. Nessuno metteva in discussione la versione di David.
Nessuno tranne lei.
Le labbra di Georgina si arricciarono in un ghigno soddisfatto. «Bene. Sapevo che avresti capito una volta che ti avessi spiegato le conseguenze delle tue azioni sulla famiglia.»
A Jemma non importava della reputazione della famiglia Forster. A lei interessava di Philip e di ciò che gli era davvero successo. «Io sarò al cimitero stasera.»
Georgina saltò su dal divanetto color avorio, quasi facendo sobbalzare il vassoio pieno di rametti sul tavolino. «Jemma, è assurdo…»
«No, cugina, l’assurdità sta nel dirmi come devo comportarmi al funerale di mio marito.» Jemma parlò con calma, anche se avrebbe voluto urlare contro Georgina. Urlare contro la maledetta Alta Società per intero, che aveva deciso che la scandalosa visita di Philip alla White House