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Gustoso ricatto: Harmony Collezione
Gustoso ricatto: Harmony Collezione
Gustoso ricatto: Harmony Collezione
E-book178 pagine2 ore

Gustoso ricatto: Harmony Collezione

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Info su questo ebook

Un perfetto uomo... da odiare!



Mai e poi mai Elena Ricci si sarebbe aspettata che una vacanza di due giorni si sarebbe potuta risolvere in un ricatto, con tanto di matrimonio forzato e richiesta di un erede. Ma è proprio quello che le succede quando Gabriele Mantegna, di fatto, la rapisce! Gabriele è in possesso di documenti compromettenti, e non c'è nulla che lei si rifiuterebbe di fare pur di impedirne la diffusione e salvare la reputazione della propria famiglia. I veri problemi per lei cominciano, però, quando scopre che il suo corpo prende letteralmente fuoco quando è lui a sfiorarlo...
LinguaItaliano
Data di uscita19 giu 2017
ISBN9788858966709
Gustoso ricatto: Harmony Collezione

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    Anteprima del libro

    Gustoso ricatto - Michelle Smart

    successivo.

    1

    Il grido lacerò il silenzio della cappella di Nutmeg Island.

    Gabriele Mantegna, che aveva appena risalito le scale del sotterraneo, si immobilizzò.

    Da dove diavolo era arrivato?

    Spense la torcia elettrica e ascoltò, immerso nell'oscurità.

    Una voce di donna? Possibile? Quella sera sull'isola erano di turno solo gli uomini della sicurezza.

    Chiuse con attenzione la porta del sotterraneo e raggiunse l'unica finestra della cappella che non fosse decorata a vetrata. Fuori era tutto buio, ma poco dopo in lontananza comparve una piccola luce. Proveniva dalla casa dei Ricci, dove in quel momento una banda armata stava facendo razzia di opere d'arte e antichità.

    Gli uomini della sicurezza non se l'immaginavano nemmeno, con i monitor delle telecamere oscurati a distanza e inondati di immagini fasulle.

    Gabriele controllò l'orologio, poi abbozzò una smorfia. Era già rimasto sull'isola dieci minuti in più del previsto e ogni secondo che passava aumentava il rischio che lo scoprissero. La spiaggia meridionale dell'isola, da dove contava di mettersi al sicuro a nuoto, era lontana dieci minuti a piedi.

    Però il grido non l'aveva sognato. Non poteva, in buona coscienza, venir via da lì senza controllare.

    Imprecando tra sé, schiuse la pesante porta della cappella e uscì nell'aria calda dei Caraibi. La prossima volta che Ignazio Ricci fosse venuto a cercare pace e contemplazione, avrebbe trovato manomesso il codice di allarme della cappella.

    E comunque, come edificio religioso, la cappella era già stata sconsacrata dai traffici di Ignazio medesimo.

    Tutti i documenti erano là sotto, proprio in corrispondenza dell'altare, un archivio che andava indietro di parecchi decenni. Una traccia segreta di denaro insanguinato, il ventre molle dell'impero dei Ricci, tenuto ben riparato dagli occhi indiscreti del mondo esterno. Nel breve spazio di tempo che Gabriele aveva passato là sotto aveva trovato prove evidenti di operazioni illecite sufficienti a mandare Ignazio in galera e a tenercelo per il resto della vita. Lui, Gabriele Mantegna, avrebbe portato personalmente le copie dei documenti incriminati all'FBI e avrebbe assistito ogni giorno al processo, facendo in modo che Ignazio, l'uomo che aveva ucciso suo padre, non potesse mai fare a meno di vederlo.

    Voleva che Ignazio sapesse che era stato lui a provocare la sua rovina.

    Ma mancava ancora qualcosa. La prova regina che gli serviva, il documento capace di scagionare completamente sia lui sia suo padre ancora non si trovava.

    Oh, l'avrebbe trovato, a costo di passare tutta la vita a cercarlo, se necessario.

    Per il momento però si mimetizzò tra gli alberi e, chinato, si fece strada verso la villa dei Ricci.

    Nell'edificio a tre piani c'era una luce accesa, al pianterreno. La banda aveva ormai abbandonato ogni cautela.

    Qualcosa era andato storto.

    Gli uomini erano guidati da un genio criminale soprannominato Carter, specializzato nel furto di opere d'arte su commissione: vasi Ming, quadri di Picasso e Caravaggio, diamanti blu... La leggenda raccontava che in tutto il mondo non esisteva sistema di sicurezza che Carter non potesse violare. Si diceva avesse anche un sesto senso per tutti quei valori che i proprietari non si sarebbero mai sognati di denunciare alle autorità. Lui li individuava e li teneva per sé.

    La porta d'ingresso era stata lasciata socchiusa.

    Avvicinandosi, Gabriele captò il suono di voci soffocate, sicuramente irritate.

    Sapeva di correre un grosso rischio, ma il grido di poco prima gli risuonava ancora nelle orecchie. Si appiattì contro il muro esterno di fianco alla finestra adiacente all'ingresso, prese fiato, poi si sporse per guardare all'interno.

    L'atrio era vuoto.

    Lui schiuse la porta di qualche centimetro.

    La discussione soffocata continuava.

    Varcò la soglia. L'impiantito di legno scricchiolò sotto la calzatura da sub.

    Lui imprecò tra sé e abbozzò un altro passo, appoggiando il piede per intero. Questa volta niente scricchiolii.

    Si guardò intorno. C'erano tre porte e quella centrale, vicino alla scala, era socchiusa.

    La raggiunse, con cautela. E sbirciò all'interno. Aguzzò le orecchie per capire a che proposito si discuteva. Se si fosse trattato di semplici recriminazioni tra soci lui sarebbe ritornato al piano originale, per lasciare quella maledetta isola al più presto.

    Ma quel grido...

    Era stato sicuramente di una donna.

    Le voci che discutevano erano tutte maschili. Non si riusciva ancora a capire quale fosse il problema. Magari, se fosse andato più vicino...

    Prima che potesse fare un altro passo, qualcuno scese pesantemente le scale. Una grossa figura vestita di nero oltrepassò la porta dietro la quale lui si nascondeva e raggiunse il resto del gruppo. Essendo rimasta spalancata la porta, adesso si sentiva tutto.

    «Quella piccola strega mi ha morso» disse, con accento britannico. Sembrava incredulo.

    «Le hai fatto male?» chiese un altro, che sembrava americano.

    «Gliene farò certo di più quando la porteremo via da qui.»

    «Non la portiamo da nessuna parte. La lasciamo qui» replicò l'altro, in tono reciso.

    «Mi ha visto in faccia!»

    Seguirono parecchie altre imprecazioni, finché il primo non riuscì a imporsi di nuovo.

    «La porterei con me anche se non potesse riconoscermi... chiunque sia, deve pur valere qualcosa, e io ne voglio una fetta.»

    Ricominciarono a parlare tutti insieme, impossibile distinguere le parole, ma il senso era chiaro. Di sopra c'era una donna, probabilmente legata, e gli uomini si interrogavano su cosa farne di lei.

    All'improvviso quello che era stato morso si mise a urlare. «Voi potete discutere quanto volete. Quella piccola bastarda è mia e viene con noi.»

    Sbatté la porta e corse su per le scale. In alto, svoltò a destra.

    Gabriele colse l'occasione al volo.

    Senza fermarsi a considerare le opzioni, salì i gradini due alla volta.

    Sul pianerottolo si affacciavano diverse porte, ma solo una era aperta.

    Sbirciò con cautela all'interno.

    L'uomo era in piedi in una camera dai muri azzurri e gli girava la schiena. Davanti a lui, con i polsi legati alla testiera del letto, c'era una giovane donna imbavagliata, con gli occhi pieni di terrore e le ginocchia strette al petto.

    Senza perdere tempo, Gabriele balzò in avanti e colpì l'energumeno al collo. L'uomo svenne e lui fece in tempo a sostenerlo quanto bastava per attutire il tonfo.

    Gli tastò il polso.

    Bene. Non l'aveva ucciso. Abbassò la zip della muta e tirò fuori il coltello a serramanico.

    La donna spalancò ancor più gli occhi, poi cominciò a mugolare sotto il bavaglio.

    Lui la raggiunse.

    «Non voglio farti del male» le disse in inglese. «Mi capisci quando parlo?»

    Lei mugolò ancora, ma annuì.

    Aveva qualcosa di familiare...

    «Ho bisogno che ti fidi di me. Non sono con quegli altri» le spiegò. «Se ti sentono gridare verranno qui e probabilmente ci uccideranno entrambi. Ora ti libero, poi ce ne andremo, ma voglio la tua parola che non urlerai. D'accordo?»

    La donna annuì ancora. Negli occhi verdi il terrore si era leggermente attenuato. Sembrò guardarlo con attenzione, come se anche lei riconoscesse qualcosa di familiare.

    «Dobbiamo andarcene» ripeté Gabriele. Si sedette sul bordo del letto e le slegò il bavaglio. Le mise un dito sulle labbra. «Non ci rimane molto tempo» l'avvertì. «Usciremo dalla finestra, a meno che tu non conosca un modo migliore, senza passare per le scale.»

    Lei indicò con la testa la porta alle sue spalle. «Il guardaroba dà sul tetto. Di là è più facile scendere dalla finestra.» La voce era rauca, come se avesse sforzato le corde vocali per gridare. Gabriele si augurò che non avesse subito altro.

    Apprezzò il fatto che, nonostante la paura, conservasse il sangue freddo per valutare quale fosse la via di fuga migliore.

    Pensò a Paul, il capitano del suo yacht, che se non lo avesse visto tornare si sarebbe allarmato.

    «Dammi un secondo» mormorò, estraendo il cellulare dalla custodia e pigiando un bottone. «Paul» disse in fretta, «voglio l'acquascooter al porto nord, subito.» Era uno dei piani di emergenza che avevano elaborato nei due giorni passati, ma in nessuno di quei piani si prevedeva il suo ritorno con una donna.

    Fatta la chiamata, tagliò in fretta le corde che la tenevano legata e si scostò. Vide che aveva i polsi lividi.

    Dal pavimento si levò un gemito.

    Gabriele ignorò l'impulso di andare verso l'uomo disteso a terra e di prenderlo a calci. Non potevano permettersi di perdere neanche un istante.

    «Riesci a camminare?» chiese. Aiutò la donna a mettersi seduta.

    Era minuta. Con i capelli biondi legati in una coda ormai scompigliata e quegli occhi verdi immensi gli ricordava una bambola di porcellana. Fragile.

    Lei annuì e si lasciò aiutare a rimettersi in piedi. Gabriele arricciò il naso. Sapeva di... un falò? Guardandola meglio, più che una bambola gli sembrò uno scugnizzo.

    Di colpo capì perché avesse un'aria così familiare.

    Dai ricordi della sua infanzia emerse il ricordo di una bambina minuta, con i lineamenti da bambola ma vestita come un monello, capace di scalare un albero meglio di chiunque altro e di saltar giù da cinque, sei metri come se niente fosse.

    Aveva davanti l'unica figlia di Ignazio, Elena.

    Stava rischiando la vita per la figlia del nemico?

    Gabriele intendeva distruggere Ignazio con tutta la sua famiglia, dunque anche lei era il nemico, proprio come suo padre.

    L'uomo sul pavimento gemette di nuovo. Anche Elena lo guardò come se avesse voluto prenderlo a calci.

    «Dobbiamo andarcene.» Gabriele la prese per mano, con l'accortezza di non toccarle il polso, e la tirò verso il guardaroba.

    Qualunque fossero i sentimenti che provava per lei e la sua famiglia, non poteva lasciare una donna indifesa in balia di quattro uomini armati, uno dei quali già intenzionato a farle del male.

    Non poteva abbandonarla a un destino del genere, anche se odiava lei e la sua famiglia.

    Arrivò alla finestra e guardò giù. Come aveva detto lei, c'era un tetto appena sotto.

    Gabriele scavalcò il davanzale e atterrò sul tetto, mezzo metro più giù.

    «Vieni» disse, dopo essersi accertato che fosse solido abbastanza.

    La tenne per la vita, mentre l'aiutava a scavalcare a sua volta il davanzale. Era vestita nel modo più adatto per una fuga: dei bermuda neri e un'ampia maglietta beige.

    Senza una parola, cominciarono ad avvicinarsi al bordo del tetto.

    «Gli aiuti ci aspettano al porto nord» le spiegò, cercando di mettere a fuoco la loro posizione. «Dobbiamo metterci a correre sulla destra.»

    Lei annuì, con espressione determinata. Poi con grande agilità scese dal tetto, appendendosi al bordo.

    Lui, che era più pesante, ci mise di più. Erano appesi sopra il porticato che circondava la casa. In un attimo, Elena saltò giù, scavalcò la ringhiera e prese a correre verso la salvezza... peccato che corresse verso sinistra, a dispetto di quel che aveva detto lui.

    Gabriele atterrò con un balzo, ignorò il dolore che gli risalì lungo la gamba, poi si mise a correre dietro di lei, cercando di chiamarla.

    «Ehi! Hai sbagliato direzione!»

    Lei non si voltò nemmeno. La coda di cavallo si era sciolta, e i lunghi capelli biondi le fluttuavano dietro le spalle.

    Corri, Elena. Corri.

    Pensò alla piccola casa sul grande albero che suo padre aveva fatto costruire per lei e i suoi fratelli quando erano bambini. Se solo fosse riuscita a raggiungerla, sarebbe stata al sicuro.

    Ma per quanto corresse veloce sulla spiaggia, sentiva che lui stava guadagnando terreno.

    Gabriele Mantegna. Lo ricordava appena, da quando era piccola. Un uomo che le metteva soggezione, come tutti gli uomini della sicurezza in casa.

    Lui era quello che aveva passato due anni nelle prigioni federali americane e che aveva cercato di implicare anche suo padre nelle attività criminali per cui era stato condannato.

    Poco lontano, davanti a lei, c'era il sentiero per la foresta, e il suo santuario segreto.

    Cercò di accelerare, ma lo sentiva ormai alle spalle.

    Non ce l'avrebbe fatta.

    Sentì la collera salire, sovrastando anche la paura. Non aveva alcuna intenzione di lasciarsi catturare da lui.

    Si arrestò di colpo, ruotò su se stessa e caricò, a testa bassa. Era come puntare dritto contro un muro.

    Ma il diversivo sembrò funzionare. Colto di sorpresa, Gabriele inciampò e cadde sulla sabbia. Non prima, però, di aver fatto lo sgambetto anche

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