Clausura Liberatoria
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Protagonisti Carolina, madre single e libera professionista espatriata a Bruxelles, e suo figlio Arturo. I due si ritrovano coinvolti in un’odissea senza fine, in vicende ai limiti del grottesco causate dalla presenza di babysitter uomini e inaffidabili. Rari purtroppo i collaboratori meritevoli.
Durante la clausura dovuta al coronavirus, Carolina prova un paradossale sollievo, liberandosi da quei personaggi destabilizzanti.
In quel limbo, lontani dal caos quotidiano, la donna comincia consapevolmente a riordinare la propria vita, grazie all’incontro ravvicinato con se stessa. Si connette con empatia al figlio ribelle. Tenta di recuperarne la complicità ed il dialogo perduti, sia pur conscia delle difficoltà nell’interagire con lui. Si avvia fiduciosa verso il futuro, con cauto ottimismo ed una ‘pandemica voglia di fare’. Non intende ancora commettere errori per la fretta, assolutamente da evitare in futuro.
Cinzia De Marzo cinquantenne avvocato barese, specialista in diritto ed economia dell’Unione europea. Residente a Bruxelles dal 2011, è madre single con figlio unico che porta il suo cognome. Appassionata di viaggi, ha girato il mondo, spesso da sola con zaino in spalla. Ama nuotare in mare, specie fuori stagione e andare in bicicletta, suo mezzo di trasporto urbano preferito. Adora leggere romanzi, testi di attualità, saggistica e narrativa e ascoltare musica jazz e classica.
Clausura Liberatoria è la sua prima esperienza di pubblicazione di un’opera di narrativa, per la quale ha ricevuto il Diploma d’Onore dalla Giuria del Premio Letterario Milano international 2020. Il racconto risulta anche tra i finalisti del Concorso Letterario 2020 per inediti ‘Pubblica il tuo libro’, nella categoria romanzi a tema libero.
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Anteprima del libro
Clausura Liberatoria - Cinzia De Marzo
Cinzia De Marzo
Clausura Liberatoria
© 2021 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Roma
www.gruppoalbatros.com - info@gruppoalbatros.com
ISBN 978-88-306-3226-4
I edizione febbraio 2021
Finito di stampare nel mese di febbraio 2021
presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)
Distribuzione per le librerie Messaggerie Libri Spa
Clausura Liberatoria
Dedicato ai miei genitori
Persone straordinarie che mi hanno trasmesso i valori della famiglia e permesso di coltivare le mie inclinazioni.
Ringrazio Maria Lucia Irlandese, una cara amica italiana, per il suo costante affiancamento ed incoraggiamento
Prologo
Da bambina sentivo di voler diventare scrittrice o fare la giornalista. Ero affascinata dall’idea di libertà e creatività che associavo a tali professioni, poiché rispecchiavano la mia indole ricca di fervida fantasia e curiosità. Mezzo secolo dopo, pare che questo sogno possa diventare realtà.
Prefazione di Barbara Alberti
Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.
È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.
Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi
Non esiste un vascello come un libro
per portarci in terre lontane
né corsieri come una pagina
di poesia che s’impenna.
Questa traversata la può fare anche un povero,
tanto è frugale il carro dell’anima
(Trad. Ginevra Bompiani).
A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.
Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.
Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.
Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov
.
Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.
Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.
Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.
CAPITOLO I
Tutti a casa!
Eravamo nel mese di marzo 2020. Il nostro risveglio quel mattino era diverso dalla solita routine quotidiana. Niente corse affannose, condizionate dagli orari da rispettare. Non ero costretta a ripetere meccanicamente a mio figlio: «Muoviti è tardi, altrimenti perdi il bus della scuola! Prendi la bici e vai alla fermata... mancano pochi minuti alla partenza!».
«Lo so mamma... non mi rompere… sei assillante!», mi rispondeva lui, sbuffando. I suoi ritornelli diventavano ben più astiosi quando rientravo a casa, dopo giorni di assenza per motivi professionali: «Non ti azzardare a toccare la PlayStation, altrimenti spacco il tuo computer! Adesso vai via dalla mia camera...mi disturbi!», sbraitava ogni volta, in preda ad un livore galoppante.
Avvertivo quanto mi odiasse, lo leggevo nel suo sguardo minaccioso. Arturo non sopportava il mio zigzagare continuo, le presenze a intermittenza. Era stufo di essere messo in disparte, ritenendo di non essere prioritario nella mia vita. Dunque, non perdeva occasione per rinfacciarmelo, insultandomi.
Eppure, a partire da quel giorno inconsueto, assistevo ad una inversione di rotta tra noi. Le sue continue ritorsioni sembravano attenuarsi come d’incanto.
L’adrenalina che innervava i nostri gesti abituali era come appiattita, sospesa in un limbo di incredulità. L’agenda degli impegni era congelata, perdendo consistenza se paragonata alla gravità della pandemia, sopraggiunta come un tornado invisibile.
Le autorità belghe avevano imposto il lockdown in tutto il paese, per un tempo indefinito. A quel punto, una valanga d’interrogativi cominciava ad affastellarmi la mente. Quale impatto avrebbe avuto questa nuova condizione per noi?
Nell’immediato assistevo impotente ad una battuta d’arresto dei miei frequenti viaggi di lavoro. Intravedevo conseguenze deleterie per la professione. Ero seriamente turbata.
Impreparata ad affrontare il peggiore degli scenari, rifiutavo di credere che questo dannato virus potesse insinuarsi tra le mura domestiche degli affetti a me più cari. In quel frangente era impossibile ricongiungermi con la mia famiglia, vivendo loro nel Sud d’Italia. La distanza geografica che ci separava sembrava insormontabile.
Purtroppo il dramma familiare si consumava proprio nella cerchia ristretta dei parenti. Lo zio Giacomo, un uomo discreto e di poche parole, appassionato ornitologo, era venuto a mancare. Ennesima vittima innocente, spazzata via dal coronavirus, in completo isolamento e solitudine. Rabbia, dolore della perdita, paura per la diffusione del contagio.
Si respirava una tensione insopportabile, specie da quando anche mio padre cominciava a star male, accusando i primi sintomi della malattia, con febbre, spossatezza e tosse. Il panico regnava ovunque, poiché sapevano di essere esposti a potenziali rischi di contagio, abitando sotto lo stesso tetto. Vani i tentativi di richiedere il tampone da effettuare almeno per papà! Il protocollo sanitario della regione Puglia prevedeva l’intervento con l’ambulanza ed il personale dedicato solo in casi disperati, ovvero in fin di vita. Ci siamo appellati ai dottori sino allo sfinimento e, quando finalmente è stato sottoposto al test, era risultato positivo. A quel punto temevo la stessa sorte per la mamma e mio fratello Valerio, pur essendo quest’ultimo notevolmente più giovane di me!
Sembrava una tragedia annunciata, una distopia della realtà. Parole d’ordine: resistere e lottare contro quel mare in burrasca, mantenendo la giusta rotta. Mi sentivo depauperata delle solite energie positive. Non avevo riferimenti certi ai quali aggrapparmi. Anche il reddito da libera professionista diventava sempre più precario, con gli incarichi di lavoro part-time temporaneamente sospesi.
Inoltre l’attività del mio bed&breakfast, gestito con passione e tanto apprezzato dagli ospiti per la calorosa accoglienza, sprofondava nel vortice delle disdette. Le cancellazioni si susseguivano a raffica, una dietro l’altra, senza sosta.
«Coraggio, mamma, cerca di reagire e prenditi cura di papà, restandogli vicina come puoi. Lui ha estremo bisogno di te», le ripetevo sino allo sfinimento, anche più volte al giorno.
Ci tenevo ad incoraggiarla, evitando di renderle note le mie difficoltà finanziarie. Non era il caso di tediarla ulteriormente.
«Capisco, Carolina, sei molto cara. Qui stiamo attraversando un momento infernale e viviamo alla giornata, con l’angoscia dentro. Tu piuttosto, concentrati su Arturo come meglio puoi», mi rispondeva lei con un filo di voce, sconvolta.
Tutto sommato aveva ragione. La veemenza interiore e l’istinto materno di protezione mi erano serviti per sdrammatizzare quelle circostanze avverse. Mio figlio non meritava di subire qualsivoglia privazione. Lui non aveva nessuna colpa e spettava a me sola provvedere al suo mantenimento!
Con Arturo non avevo segreti, per cui aveva il diritto di essere informato su vicende che lo riguardavano. «Cuore di mamma, abbiamo tanti problemi in questo periodo, specie a livello economico», gli ho annunciato una sera a cena, con titubanza. «Come se non bastasse, il caro nonno ha il coronavirus ed è molto spaventato. Ma grazie alla sua tempra dura verrà fuori da questa malattia invasiva, vedrai. Intanto tu cerca di comprendere la situazione, mostrandoti più collaborativo», ho aggiunto, evitando di apparire demoralizzata.
Non mi aspettavo calorosi abbracci da parte di Arturo. Tuttavia ne apprezzavo la reazione composta ed empatica: «Capisco, mamma, me ne rendo conto. Stai tranquilla. Andrà tutto bene. Dobbiamo solo restare uniti, sia pur essendo fisicamente lontani da loro», ha ribattuto con fierezza. Così facendo mi dimostrava implicitamente quanto fosse solidale con la famiglia, nonostante la sua giovanissima età.
Dal mio canto, abituata a districarmi tra le difficoltà, avevo avviato l’iter burocratico per ricevere dallo stato federale belga una temporanea liquidità, in modo da fronteggiare i bisogni di prima necessità nel quotidiano.
Quale respiro di sollievo conseguire quei piccoli quanto provvidenziali traguardi!
«Arturo, facevi bene a restare ottimista! Abbiamo ottenuto il contributo richiesto, così potremo andare avanti senza affanno per qualche mese», gli ho detto giuliva. «Peraltro, anche restando in casa, sto investendo in nuove progetti che daranno i loro frutti a breve, o almeno spero», ho concluso.
«Altra bella notizia riguarda i nonni e mio fratello che da oggi sono fuori pericolo! Il risultato dei test del Covid è stato negativo per ben due volte!», gli ho annunciato con la voce tremula dall’emozione. «Tu comunque non esitare a confidarti con me, magari senza assillarmi con i giochi della PlayStation, la tua ossessione», ho aggiunto con fare concitato, ad un ritmo incalzante.
Dal canto suo Arturo non appariva stupito, limitandosi a rispondere con scarso entusiasmo. Per lui l’esito positivo di quella triste vicenda era scontato in partenza. «Hai ragione mamma, sei stata brava! E sono felice per il nonno, la nonna e lo zio Valerio, così potremo riabbracciarli presto!», ha esclamato, passandosi una mano tra i crespi capelli, dal colorito biondo tendente al castano. «A proposito, potresti comprarmi nuovi videogiochi? Tanto adesso non stai pagando i baby-sitter. Ti prego, farò il bravo e non ti deluderò!»,