Voci dal Molise: Francesco Jovine e Lina Pietravalle
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Info su questo ebook
Al centro della vicenda letteraria dei due autori sta il mondo contadino di quasi un secolo fa, brulicante di una quantità di creature umane, tanto piccole davanti a una natura spietata e ancestrale, quanto titaniche nello sforzo di renderla generosa, prospera, famigliare.
Uomini e donne di una campagna infinita, sempre sospesa tra il magico e il dramma, sono raffigurati nelle loro vicissitudini di vita, di lavoro, di morte, di amore, con la vividezza di un linguaggio originale, capace di cogliere sentimenti primitivi e inarrestabili, così puri da echeggiare nel mito.
Gioconda Marinelli e Maria Stella Rossi compongono un dittico di saggi in cui la rigorosa ricerca storica si eleva sulle ali di un’emozione appassionata, propria di chi quella terra fiera, aspra e segreta la porta nel cuore. Il loro testo, omaggio a scrittori tanto amati, è un raffinato invito a riscoprire due importanti interpreti della letteratura italiana del Novecento, le cui pagine custodiscono intatto il fascino di luoghi, eventi e tradizioni di un tempo che sembra distante, ma le cui radici sono ancora forti, e preziose per riconoscere una propria identità personale e sociale.
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Anteprima del libro
Voci dal Molise - Gioconda Marinelli
Prima parte
Francesco Jovine. Il pungente senso della vita e il dolente amore per il Molise. Di Gioconda Marinelli
immagine 1© Ettore Marinelli
Introduzione
Con la mia persuasa immaginazione, mi è stato facile salire su quel trenino in cui viaggiava Francesco Jovine.
Ecco, lo scorgo da lontano, mi avvicino e siedo accanto a lui. Un fischio assordante e il viaggio attraverso il Molise, inizia con il suo sguardo, che diviene anche il mio. Dapprima sento un po’ di imbarazzo, ma poi mi presento, lui già conosce la mia famiglia e ha scritto delle nostre campane dalla voce inconfondibile, calda e generosa.
Oggi, in cima all’antica torre della cattedrale di Guardialfiera, gli dico, c’è la nuova campana dedicata a san Giuseppe, che completa con un suono limpido di comunione e pace il concerto. Anche un portale di bronzo è stato fuso nella stessa fucina, per la prima porta santa della cristianità che istituì papa Leone IX nel 1053.
Detto questo e osservato il suo sorriso di approvazione, comincio a porgli delle domande. Si mostra gentile, incuriosito dalla mia presenza e gli interrogativi per me divengono certezze, mentre dal finestrino il paesaggio si manifesta favorevole, nella sua bellezza solitaria, all’incontro.
La macchina ansima a profondi respiri di allenamento e guarda ai limiti dell’orizzonte le cime del Matese e delle Mainarde incoronate di nuvole. [1]
Egli sa ciò che dice e ne parla così appassionatamente, che l’emozione mi prende tutta. Il treno procede lentamente e anche i nostri pensieri. A uno a uno pare che sfilino i suoi personaggi, donne e uomini, dapprima i più umili, poi signori e signorotti, a raccontare storie e anche particolari mai detti, vicende sofferte intrise d’amore e di sangue. A ogni sobbalzo della carrozza, mi chiedo se è tutto vero o sto sognando.
Sto sognando… ma in questa visione fantastica, sono in sua compagnia e me la godo.
In quanti leggendo Jovine hanno conosciuto il Molise, in quanti lo leggono oggi, non lo so. Queste mie pagine sono legate all’amore per la mia terra, al ricordo dello scrittore e alla condivisione di quel dolore invasivo, costante di cui è pervasa la sua scrittura, una sofferenza sempre attuale, intollerabile, in un mondo egoisticamente capovolto in ogni epoca, verso tutti coloro che, poveri, sottomessi, emarginati e sfruttati, soffrono. Riavvicinarmi a lui è stato anche avvertire un segno doveroso di speranza, e in ogni caso vuol essere un richiamo per tutti, a raggiungere Francesco Jovine su quel treno echeggiante ricordi, per scoprire o ritrovare il grande narratore, maestro di giornalismo, e la sua amata e sofferta terra, non priva di pulsioni e aspettative. Una regione che a Jovine mostrava anima e corpo, che lui conosceva palmo a palmo nel fluire dei secoli, della storia e del pensiero, e che merita attenzione.
[1] Francesco Jovine, Viaggio nel Molise. Casa molisana del libro, Campobasso, 1967.
Quei contadini dalle dure nodose mani
Ho voluto rendere il farsesco e il tragico, il rozzo e il raffinato senso della vita che hanno i nostri contadini; ho voluto farli cantare all’unisono con la terra generosa e matrigna e col cielo troppo lontano e irraggiungibile. [1]
Questo l’intento di Francesco Jovine, lo scrittore del Novecento la cui fama è dovuta per la maggior parte ai romanzi Signora Ava e Le terre del Sacramento , in cui egli profuse, come in ogni suo scritto, rievocazione fiabesca, vena ironica e grottesca, impegno morale, sociale, consapevolezza della complessità storica, risentimento, dissenso e indignazione.
Scrive Natalino Sapegno:
La sua adesione a una tematica sociale si è maturata in lui, a poco a poco, negli anni, attraverso la sua fatica di comprensione storica e culturale, attraverso la sua umana e cordiale simpatia per i poveri e la crescente partecipazione ai loro problemi. [2]
Jovine nacque a Guardialfiera, un piccolo nucleo di anime nel Molise, in provincia di Campobasso, il nove ottobre del 1902 da Angelo, perito agrimensore, e Amalia Loreto, una donna amabile, dalla bella voce (le piaceva cantare di tanto in tanto), dotata di certa sapienza antica familiare, che teneramente si dedicava ai figli: Nicola, Francesco e Vittorio.
Da giovane, nei lunghi interminabili rigidi inverni, accanto al focolare il giovane Francesco ascoltava rapito suo padre, ironico affabulatore, che proponeva personaggi singolari, grotteschi, leggende, magie e incantesimi. Dai racconti del suo cantastorie preferito seppe recuperare lontane memorie e nostalgie d’infanzia, in una dimensione a ritroso nel tempo mitica e fantastica.
Alla memoria di mio padre ingenuo rapsodo di questo mondo defunto [3]
è la dedica posta all’inizio del romanzo Signora Ava .
Per ogni sua opera, protagonisti e fonte di ispirazione, sono proprio Guardialfiera e il Molise chiuso tra secolare miseria e fissità, gravato da un remoto abbandono, dall’arretratezza, dall’ingiustizia e dallo sfruttamento del mondo contadino. Quei contadini dalle dure nodose mani
a cui diede voce, di cui conosceva vicende e linguaggi, disgrazie, umiliazioni e speranze. La terra dei sottomessi, della classe dei cafoni
e di tutti gli ultimi provati da fatica e sacrifici, rassegnati ma pronti al riscatto da ingiustizie e oppressione di una nobiltà avida e ostile.
Jovine aderisce sinceramente al dolore degli umili.
Crede nella volontà liberatrice degli uomini affrancati dalla superstizione e dal fatalismo, [4]
osserva Nicola Perrazzelli, che definisce il sentimento di Jovine per la sua terra e la sua gente, come una sorta di doloroso amore.
Lo sguardo dello scrittore molisano è sempre sincero, sentito, empatico.
Colmo di pietas, comprensivo, velato di tristezza. La tristezza di cui Luca Marano, protagonista delle Terre del Sacramento, percepiva ogni legame sotterraneo con quella degli altri.
Vennero giorni pallidi e sereni
L’attaccamento alla sua terra era viscerale, fisico e intimamente poetico. Provava una peculiare religiosità verso l’uomo e la