L'adolescente
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Anteprima del libro
L'adolescente - Casimiro Bellone
COLLANA
Eros & Pathos
Casimiro Bellone
L’ADOLESCENTE
tra sogni, sesso e sirene
Armenio Editore
ISBN: 978-88-6902-049-0
Prima edizione: Agosto 2013
Seconda edizione: Ottobre 2013
E-book: Novembre 2016
Tutti i diritti sono riservati.
È vietata ogni forma di riproduzione dell’opera,senza il permesso esplicito dell’Autore e della Casa Editrice.
© Copyright 2016 Armenio Editore
Via C. Colombo, 38 - 98061 Brolo (Me) Italy Tel. +39 0941.565334 - Fax +39 0941.563794 armenio@armenioeditore.it - www.armenioeditore.it
La foto di copertina ritrae Mariella Cappadona
Editing - Ornella Fanzone
Presentazione
L’Autore, nel suo modo istintivo
di raccontare, sollecita e amplica quella curiosità che è insita nell’animo umano, stimolando la fantasia del lettore.
La dovizia nella descrizione dei particolari e l’attenzione, a volte certosina, verso luoghi che ci appartengono, fanno emergere l’amore, sempre palesato da Ino, per la sua terra di Sicilia, di cui anche le isole Eolie, luogo dove è ambientato il romanzo, fanno parte.
Una scenograa descritta che lambisce il verismo Verghiano. Ino ci presenta una storia ambientata a ridosso della seconda guerra mondiale, situazione questa, che avrà un peso nell’evolversi degli avvenimenti del romanzo. Il libro si suddivide in diversi capitoli, la prima parte assume una colorazione passionale e fortemente erotica senza mai scadere, però, nel grottesco o nel volgare.
Se dovessi sintetizzare al massimo questo racconto direi, in due parole, che si può paragonare ad una confettura genuina, di quelle fatte in casa, senza né conservanti o coloranti. Insomma, un qualcosa di assolutamente autentico.
Questo è lo stile tipico dell’Autore. Egli scrive come parla, in modo discorsivo e narrante, con quella partecipazione emotiva che fa emergere il suo stesso carattere sanguigno ed istintivo a conferma e garanzia del suo essere uomo del Sud.
In ciò che narra e nel modo in cui lo fa, Ino mette parte di se stesso. Tra le righe e le sfumature del personaggio principale, Salvo, c’è la determinazione ed il carattere dello stesso Autore, così come nei retroscena di altri personaggi: il Marinaio, gnà Peppa, Ciccio; in ognuno di loro aforano note caratteristiche ed accenni autobiograci. Così come emerge, in modo prorompente ed energico, il suo rapporto con il cibo che, in alcuni passaggi, diventa complice e soggetto di situazioni e scene. Le descrizioni delle pietanze e dei riti preparatori dell’atto sessuale, diventano, oserei dire, piacevoli atti di morbosità che coinvolgono attivamente chi legge.
Dalle prime righe no alla ne del romanzo si respira, tra le difcoltà narrate, aria di sana semplicità e di aspirazione ad una vita tranquilla, basata su valori saldi ed incontrovertibili che altro non sono se non l’essenzialità della vita stessa, oggi, purtroppo, divorata ed irreparabilmente logorata dalla supercialità e dalle articiose banalità che quotidianamente ci vengono a forza propinate.
Nicola Belore
Il romanzo
Nel romanzo L’Adolescente, tra sogni, sesso e sirene
la storia, anzi la vita del protagonista Salvo, s’intreccia con una serie di eventi e di circostanze che permettono al giovane, attraverso una miriade di esperienze, sia belle che brutte, di crescere, maturare e formarsi. Così egli da sprovveduto, semplice e alcune volte ingenuo adolescente, si ritrova, anche se tra mille incertezze e titubanze, a prendere le sue decisioni che, per certi aspetti e sfumature possono pure non essere approvabili, ma che comunque fanno parte del suo modo di vivere.
Sullo sfondo dell’isola di Vulcano, selvaggia ed affascinante, naturalmente calda, accattivante e accogliente con il suo piccolo porto, il molo, il minuscolo paese dalle case bianche e dalle terrazze infuocate e luminose, il bar, la chiesa, si snodano e si intersecano vicende di donne forti e determinate, pronte ad affrontare situazioni scabrose, seppure criticabili sul piano dei valori e dei principi morali.
Il tema portante del romanzo, tra il reale e l’immaginario, è sempre l’amore, come quello di Carmela, bella e sensuale, forte nel suo prorompente fascino, che tiene in pugno l’innocente Salvo non avvezzo ai giochi d’amore, facendolo diventare un uomo, o quello della minuta ma emancipata Lidia che si offre, lei venuta dalla bella capitale, con spontaneità quasi disarmante e libera da ogni forma di condizionamento che, a carte scoperte, gioca una partita d’amore e di sesso svincolata da qualsiasi freno inibitorio o, ancora, quello della sirena
, la dolce bionda e incantevole Elena; lei rappresenta l’amore puro e quasi inviolabile, l’amore con la A maiuscola, leale ed eterno, la donna da sposare e con la quale costruire una famiglia.
Il ruolo di Salvo, a volte ambiguo e indeciso, forse inconsapevolmente condizionato da una certa forma mentis, mostra comunque altri aspetti di questo sentimento, l’amore, quando diventa tenerezza paterna per il piccolo Valentino, suo glio, frutto della relazione con Carmela, attaccamento per i genitori, per gli amici e per la propria terra.
Le storie di tutti i protagonisti sono abilmente intessute dall’Autore con gli avvenimenti della vita di questa nostra terra italiana, anch’essa diverse volte minuziosamente descritta, in particolare questa zona Tirrenica della Sicilia tra Messina, Milazzo no a San Fratello componendo, ricongiungendosi con Vulcano, quasi un triangolo paesaggistico di accattivante fascino. Terre dicevo, martoriate nel preciso momento storico descritto, dalla fame, dalla povertà, e dall’emigrazione.
Lo scenario poi della guerra in Albania e della sua prigionia, mostra Salvo con le sue debolezze e le sue paure, ma anche con il desiderio di poter ritornare a casa e recuperare nell’isola la sua voglia di vivere, di lavorare, di amare.
Particolare è poi la gura del vecchio marinaio, lupo di mare, lui che nella sua vita ne ha viste di tutti i colori, col suo essere burbero e dolce insieme e con la sua consolidata saggezza, guida Salvo, consigliandolo, nelle scelte più importanti della sua vita. È così che questo giovane inizialmente senza pretese, quasi rassegnato a condurre una vita grama e monotona di scaricatore di porto che si guadagna da vivere per non morire, diventa imprenditore di se stesso, geniale nelle idee ed abile direttore delle Terme.
Giunonica, pittoresca e quasi naif è la gura di gnà Peppa
, lei che non è mai andata via dalla sua terra, quasi respira attraverso la sua bottega-bar, luogo di ritrovo di tutti i paesani; a lei nulla sfugge, conosce perfettamente gli umori, le ansie, le preoccupazioni e le gioie della sua gente che ama e quotidianamente controlla dal suo ponte di comando
.
In un evolversi di quadretti paesani, Vulcano pulsa ad ogni nuova situazione, si rimbocca le maniche e, come una madre di tutti, abbraccia e consola, lavora, produce nuove idee e crea benessere, quasi anticipando il boom economico degli anni sessanta, in una coralità di intenti tipicamente siciliana.
A tratti la storia, specialmente nelle ultime parti, assume la forma di una bellissima aba, ove tutto è bello e buono, quasi da mulino bianco
, ma quel che più colpisce n dall’inizio, come lo conduttore, è questo amore della mora, Carmela, che trasformandosi camaleonticamente, alla ne, in un sacricio estremo, quasi si immola per un bene più ampio, più grande, sincero e generoso.
L’Autore, facendo spesso ricorso alle proprie conoscenze, si sofferma a parlare di luoghi e tempi, offrendo, pertanto uno spaccato di vita degli anni quaranta e cinquanta con chiari riferimenti storici e geograci, scienti
ci e artistici, paesaggistici e ambientali che potrebbero risultare utili come spunto di approfondimento e di riessione per chi volesse saperne di più su quanto ci appartiene e che, comunque, fa parte della nostra cultura e della nostra più profonda interiorità.
Laura Levanti
Prima parte
La visione
Quella notte era impossibile dormire. Salvo, un ragazzo poco più che sedicenne, continuava a rigirarsi nel letto che sembrava bruciare. Aprì gli occhi e guardò fuori, attraverso la nestra spalancata vide il cielo: era trapunto di stelle come non mai.
Per le ore passate insonni, a causa del primo scirocco di stagione, a fatica scese giù dal letto.
Andò in cucina e cercò un po’ d’acqua: gli si era asciugata la bocca. Trovò una bottiglia che quasi bruciava, tanto era calda. Scese allora in cantina, forse ne era rimasta ancora qualche bottiglia. Le trovò tutte vuote, pazienza.
In cucina riempì un bicchiere di quell’acqua che, anche se sapeva di brodaglia, in qualche modo gli alleviò l’arsura. L’afa rendeva l’aria appiccicosa: prese un panno dal vecchio armadio per asciugarsi il sudore. Tornò nella stanza da letto ed uscì sul terrazzo dove cercò un po’ di refrigerio.
Come sempre sentì il venticello, miscelato al forte profumo di salsedine, accarezzargli la pelle; anche se caldo lo ristorò. Restò così, appoggiato alla ringhiera, per parecchi minuti, a occhi chiusi.
Era molto stanco, il primo caldo di stagione lo aveva letteralmente buttato giù. Di tanto in tanto alzava la testa e guardava distrattamente il mare. Nel buio cercava la debole luce delle lanterne di qualche vascello in navigazione. Poi guardò il bagnasciuga dove, con il suo moto perpetuo, l’acqua sembrava cambiare continuamente i conni tra la terra e il mare. A un tratto qualcosa, un bagliore che provocò uno strano luccichio, attirò la sua attenzione. Gli sembrò di vedere il bagliore come di un falò lì, sulla spiaggia. Spalancò gli occhi, che no a quel momento aveva tenuto socchiusi, e guardò con curiosità; cercò di capire cosa fosse stato a provocarlo. Al chiarore lunare vide una grande macchia color rosso vivo, a pochi metri dal mare, ma non capì cosa fosse. Pochi istanti e si ridestò del tutto, guardò meglio, pensò potesse trattarsi di un pezzo di stoffa portata lì dalla marea; forse era seta poiché la luna vi si rifetteva.
Restò ancora un poco a guardare, stava rientrando quando vide una gura venire fuori dall’acqua. Si nascose nella penombra, la luna piena illuminava tutto intorno, non volle turbare la creatura misteriosa che stava dirigendosi verso la macchia rossa. Da quella distanza non vide bene, gli sembrò avesse lunghi capelli.
La sconosciuta si adagiò sulla stoffa e restò seduta, ma dopo un po’ si sdraiò al chiarore lunare.
Così sdraiata non era possibile distinguerne i tratti, vederla. Salvo pensò dunque di prendere il suo piccolo cannocchiale. Lo aveva avuto in regalo da un vecchio dell’isola, cui era solito sbrigare qualche lavoretto. Per l’aiuto e la compagnia, che l’aiutava a vincere la solitudine, il vecchio lo ripagava con qualche soldo che aiutava Salvo a sbarcare il lunario. Era in questo modo che il ragazzo tirava avanti; da quando era morta la nonna, alla quale era stato afdato dai genitori, emigrati, si arrangiava sbrigando tanti piccoli lavori. Il cannocchiale lo teneva ben custodito. In un baleno fu giù in cantina, aprì la cassa, dove teneva conservati i suoi tesori, e tirò fuori tutto nchè trovò ciò che febbrilmente cercava. Un attimo dopo tornò sul terrazzo, nel buio ora scrutò il posto dove aveva visto il bagliore rosso e quella creatura, ma vide soltanto una distesa di piccoli sassi: il posto era tornato deserto come sempre. Restò ancora qualche ora a osservare, in cuor suo sperava di rivedere quella creatura che, come una visione, si era materializzata e poi svanita. Alla ne, vinto dalla stanchezza, deluso per aver perduto la possibilità di vedere meglio, quella che nella sua ingenuità credeva fosse una sirena, rientrò in casa e si lasciò cadere sul letto.
Nelle ore successive Salvo cercò disperatamente di dormire ma, vuoi per il caldo opprimente, vuoi per il pensiero di quanto aveva visto, non vi riuscì. Quando ormai la notte incominciava a ritirarsi, e il buio cedeva lentamente il posto al chiarore del nuovo giorno, il giovane sognatore chiuse gli occhi abbandonandosi tra le braccia di Morfeo.
Dormì, ma soltanto qualche ora dopo sentì la campana della chiesetta che, con i suoi rintocchi, annunciava la nascita del nuovo giorno: dovette perciò alzarsi per andare a lavorare. Come un felino saltò giù dal letto, bevve un sorso d’acqua e poi, con il vecchio rasoio del nonno, come tutte le mattine si sbarbò. Soltanto pochi minuti e uscì di casa. Inforcata la bici, un trabiccolo tanto vecchio che ormai aveva appena il telaio e le ruote, partì alla volta del piccolo gruppo di case che si trovava vicino al porticciolo.
Al molo Salvo aspettò il rientro dei pescatori. Quando questi arrivarono, come ogni giorno li aiutò a scaricare le cassette col pesce. Stanchi, per la notte passata in mare, quegli uomini gradivano molto l’aiuto di Salvo e per ripagarlo, anziché dei soldi, gli donavano un poco di quel pesce appena pescato. Il ragazzo rivendeva poi il frutto del suo lavoro ricavandone qualche soldo.
Finito lo scarico, suo primo impegno quotidiano, Salvo si recò al bar emporio e qui, come ogni mattina, gnà1 Peppa, banconista e proprietaria del locale, gli preparò una fumante tazza di caffè molto allungato. Inzuppandovi un paio di biscotti castriciani2 fece colazione. Alla ne bevve il caffè rimasto nella tazza, poi prima di uscire disse alla barista di segnare sul conto.
Ogni giorno, nito il giro per la vendita del pesce, Salvo si recava nella casa dove abitava il vecchio marinaio del cannocchiale. L’anziano, ormai sulla via del tramonto, viveva guardando il mondo e il tranquillo scorrere del tempo. Amava leggere libri classici e romanzi, inoltre amava fumare sigari toscani o la sua vecchia pipa: una di quelle con un grosso fornello di radica e la canna di legno a forma di una esse. Il vecchio marinaio era stato lasciato solo dai suoi fratelli, andati a vivere a Milazzo3, loro avrebbero voluto portarlo via, ma lui non aveva voluto sentire ragione ed era rimasto sull’isola.
Dopo avere girato il mondo, come marinaio a bordo di grossi mercantili, aveva deciso di stabilirsi per sempre dov’era nato ma, non essendosi mai sposato, era rimasto a vivere da solo. Così Salvo, ragazzo molto socievole e solare, diverse volte restava a fargli compagnia. Alcune volte giocavano a dama, a scopa o briscola, altre volte, invece, svolgeva alcuni lavoretti per il vecchio amico: curava l’aiuola davanti casa; controllava la dispensa e quando necessario la rimpinguava; teneva pulita la cisterna dell’acqua e tanti altri piccoli servizi. Per il vecchio marinaio il ragazzo era proprio un valido aiuto. Per tutti quei lavoretti, e anche per la compagnia che lo aiutava a sconggere la solitudine, l’uomo lo ripagava con delle monetine o biglietti da una lira. Però, anche se di solito amava restare in sua compagnia, quel giorno Salvo non vedeva l’ora di scappare via. Le ore gli sembrarono più lunghe del solito, era come se il sole non volesse calare oltre i monti, e l’impazienza era tanta. Finì alla svelta le piccole faccende, quindi si congedò salutando il vecchio con un arrivederci gridato mentre usciva.
1 Signora.
2 Biscotti tipici del messinese che hanno forma simile a dei grossi
sigari cubani.
3 Importante cittadina tirrenica del messinese.
Presa la bici partì velocemente per raggiungere un’altra casa. In questa andava più volentieri, qui aveva modo di vedere una bella donna: una delle più attraenti. In verità non è che ne avesse viste tante, ma quella donna era veramente bella, una formosa e genuina donna mediterranea: Carmela.
Mora, dai lunghi capelli neri come la pece, con delle gambe da favola, con seno prepotente e turgido da verginella, maritata ad un uomo scorbutico ma fortunatamente emigrato, Carmela era un vero schianto.
Lasciò cadere la bici ed entrò. Stranamente non la vide, lei di solito stava sull’uscio ad aspettarlo con impazienza. Sul grande tavolo, posto al centro della cucina, Salvo posò un involto con del pesce e una borsa, con della merce, ordinata il giorno prima dalla signora. Dal momento che lei non era ad aspettarlo uscì, prese la bici e scappò via verso la sua spiaggia.
La creatura vista la sera prima gli tornava continuamente alla mente. Nella sua ingenuità credeva fosse una sirena, forse venuta fuori dal mare per riposarsi un poco, ed era certo, quella sera, alla stessa ora, sarebbe ritornata. Finalmente arrivò la sera. Con il cuore colmo di speranza restò a scrutare la spiaggia, ma sia quella notte, che le seguenti, non la rivide.
Erano ormai passati diversi giorni da quando Salvo aveva visto quella creatura venire fuori dal mare ma, nulla di nuovo era accaduto.
Un mattino, passando davanti all’unica villetta dell’isola, Salvo notò che una delle nestre era aperta. Preso dalla curiosità, s’accostò al cancello per guardare da vicino ma non vide nessuno. In quel momento aveva troppa fretta, doveva completare il giro per la consegna dei pesci ai soliti clienti, in particolare alla signora Carmela, la bellissima mora che da qualche tempo lo faceva fantasticare.
Quando lo guardava, con quei suoi occhi furbi, gli metteva addosso un forte senso di disagio ma, lei non era una visione, era lì, in carne e ossa, bella più che mai.
Dopo il matrimonio, e dopo le tante promesse, il marito l’aveva lasciata per fare ritorno in Francia dove lavorava da anni. Carmela restò dunque sull’isola: avrebbe dovuto badare alla vecchia suocera. Lei aveva sempre sperato di seguire il marito, avere una famiglia, vivere la sua vita, invece era stata lasciata a fare da serva e infermiera alla suocera. Così, contro voglia, era stata costretta a restarsene sull’isola, ma la cosa non l’aveva ancora digerita. Lei era giovane, aveva voglia di vivere, ridere e amare.
A causa della solitudine, a cui era costretta, la mora aveva sempre voglia di compagnia, così quando arrivava Salvo approttava dell’occasione.
Lo faceva entrare in cucina, preparava e gli offriva il caffè, e restavano a parlare per delle ore.
Durante la conversazione i due si divertivano scherzando su qualche pettegolezzo, cosa che nei piccoli paesi aiuta a passare il lento scorrere del tempo. In quelle occasioni, deliziandosi la vista, Salvo approttava per dare una sbirciatina alle bellissime gambe della mora. Lei le teneva sempre in bella vista, e il giovane, poco più che adolescente, si perdeva restando estasiato a sognare.
Così andava avanti la loro vita.
Da qualche settimana ormai, togliendo in tutti ogni voglia, un caldo venticello di scirocco alitava su quei primi giorni di primavera. Visibilmente accaldata, Carmela se ne stava seduta sul retro della casa, all’ombra della grande palma, e lì aspettava con impazienza l’arrivo di Salvo. Le venne voglia di fumare, così andò in cucina e guardò nel cassetto, ma trovò il pacchetto vuoto: era rimasta senza una sigaretta. Mentalmente mandò al diavolo la vecchia suocera, con il passare dei giorni sentiva la rabbia sempre più crescerle dentro, sentiva che più trascorreva il tempo e più la detestava.
Poco dopo, però, l’arrivo di Salvo le fece cambiare umore.
L’ingresso nel baglio4 lo fece alzando un gran polverone, prese il fagotto dal portaoggetti, attaccato dietro alla sella, e dopo aver lasciato cadere il trabiccolo, entrò schiettando come sempre.
Appena dentro si mise a sedere e come al solito aspettò che lei gli preparasse il caffè. Carmela gli chiese allora le sigarette, lui rispose che non le aveva comprate perché se n’era dimenticato. Pazienza
ribatté la mora, me le porterai alla ne del tuo giro
. Il giovane annuì.
4 Baglio - Corte - Aria davanti casa.
Adesso facciamoci un caffè
disse lei avvicinandosi al focolare. Preparò la vecchia napoletana, la mise sul fuoco e dopo si mise ad aspettare, seduta su uno sgabello, con le spalle appoggiate al muro.
Nella posizione assunta, forse senza volerlo, la mora offrì al giovane una visione che lo mandò in estasi. Se ne stava con le gambe un poco allargate, in modo che il venticello, anche se leggermente caldo, potesse darle un po’ di refrigerio.
Era lì, ad occhi chiusi, con le spalle e la testa appoggiate al muro e, forse, in quell’attimo d’abbandono, cercava un po’ della serenità perduta.
Il prolungato silenzio del ragazzo insospettì la mora. Di solito lui parlava sempre, riaprì gli occhi e vide che il suo sguardo non era interessato ai biscotti, come di solito, ma alle sue gambe. Con un movimento repentino le chiuse, accavallandole, facendo così calare il sipario sulla piacevole visione.
Il gorgoglio della caffettiera ridestò Salvo, che tornato alla realtà le raccontò della nestra aperta alla vecchia villa.
Bevvero il caffè. Alla ne il ragazzo salutò Carmela poiché doveva ancora andare a trovare il vecchio marinaio, che come tutte le mattine stava aspettandolo. Lei restò a guardarlo no a quando uscì dalla sua vista: per il ragazzo nutriva un affetto fraterno. Lo aveva visto crescere giorno dopo giorno, n da quando, ancora dodicenne, si era presentato la prima volta per offrirle del pesce in vendita; ma a quel tempo lei viveva ancora con la zia.
Al ricordo di quel primo incontro la mora sorrise, scrollò le spalle e rientrò; la vecchia suocera continuava a chiamarla.
La casa del marinaio era distante soltanto poche centinaia di metri, dunque Salvo la rag- giunse dopo qualche minuto. Appena entrato lo sentì gridare: Portami su un sigaro! Non ho voglia di scendere, li trovi sulla credenza
. Li trovò. Aprì il pacchetto e ne prese uno, poi tirò fuori il temperino dalla tasca, tagliò in due il sigaro e lo portò al vecchio Peppe: era così che amava chiamarlo di tanto in tanto.
Avuto il sigaro tra le dita il vecchio lo portò alle labbra e, dopo averlo acceso, avidamente tirò una, due, tre boccate. La stanza si riempì del fumo e del forte profumo dei sigari toscani. Salvo quell’odore non riusciva a sopportarlo, perciò andò alla nestra e aprì lasciando entrare un poco d’aria pulita.
Sistemò alcuni oggetti niti fuori posto, poi scese in cucina, prese un boccale pieno d’acqua, un bicchiere pulito e un limone, quindi li portò su posandoli sul comodino accanto al letto.
Tornò ancora in cucina per preparare qualcosa da mangiare. Dalla credenza tirò fuori due uova, formaggio, peperoncino, cipolla, sale e prezzemolo. Quando la frittata fu pronta, insieme con del pane e con una bottiglia di vino, la mise in un vassoio e portò tutto su. Il vecchio lupo di mare era solito fare delle colazioni abbondanti e sostanziose.
Salvo gli augurò dunque una buona colazione, inne lo salutò dicendogli che sarebbe tornato nel pomeriggio.
Finiti i lavoretti, il ragazzo stava dirigendosi verso casa, ma si ricordò delle sigarette per Carmela, invertì perciò direzione di marcia e incominciò a correre velocemente per raggiungere il bar di gnà Peppa.
In pochi minuti fu in quella specie di emporio. Dentro restò a guardare con curiosità: in un
angolo della sala notò una donna mai vista prima che era intenta a parlare con un pescatore. Portava un cappellino ed era girata di spalle, c’era poca luce, di conseguenza non poté vederla. Era curioso, avrebbe voluto aspettare, guardarla in viso, ma il tempo volava inesorabilmente via, e aveva ancora molte cose da sbrigare. Prese le sigarette, disse di segnarle sul conto di Carmela, e scappò via sotto il benevolo sguardo di gnà Peppa.
La camicia svolazzava al vento, così mentre la bici avanzava velocemente, l’aria, tornata fresca, accarezzava la sua giovane pelle. Arrivato nel piccolo baglio, lasciò cadere la bici, non bussava mai prima di fare il suo ingresso, lì si sentiva come a casa sua ed entrò. Varcata la soglia, Salvo restò senza ato poiché ai suoi occhi si presentò uno spettacolo concesso soltanto a pochi fortunati: Carmela era lì, con gli occhi chiusi e dormiva distesa sul vecchio sofà situato sotto la nestra spalancata. La notte precedente, a causa di un malore della vecchia suocera, la poverina aveva dormito poco e per questo, vinta dalla stanchezza, si era assopita. Così distesa, la vestaglietta di seta blu a ori bianchi, che prima la copriva parzialmente, scivolando aveva lasciato scoperto