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Don Rodolfo. maestro e amico
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E-book387 pagine5 ore

Don Rodolfo. maestro e amico

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Info su questo ebook

Nell'anno scolastico 1968/69 don Jozef Tomsik lascia la ex-Jugoslavia per raggiungere il Liceo Anton Bernolak , presso l'Istituto slovacco di Roma. Lì incontrerà don Rodolfo che diventerà il suo riferimento e modello di vita. Don Rodolfo Blatnicky fu un amico e un esempio da imitare per tutti i ragazzi dell'Istituto. Ancor oggi il suo metodo educativo affascina ed ispira.
LinguaItaliano
Data di uscita26 ago 2021
ISBN9791220354318
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    Anteprima del libro

    Don Rodolfo. maestro e amico - Jozef Tomsik

    Premessa

    Don Jozef Tomšík SDB, nato nel 1954 e allievo dal 1968 del Liceo Slovacco Anton Bernolák, una struttura salesiana anessa all’Istituto slovacco dei SS. Cirillo e Metodio di Roma, ha scritto due libri sull’Istituto e i suoi educatori. Il primo è un omaggio al celebre poeta don Andrej Šándor SDB (con lo pseudonimo di Gorazd Zvonický ): ‘ Fragmenty zo života: spomianky na Andreja Šándora’, 2013, traduttore di Dante, Petrarca, Foscolo e dei libri liturgici, uno degli attuatori della riforma liturgica voluta dal Concilio vaticano II. Il secondo libro è un atto di riconoscenza per don Augustin Nadasky : ‘ Piccoli frammenti: ricordi su Augustín Nádaský’ , 2020; egli diresse per diversi anni il Liceo ossia il piccolo seminario e formò l’itinerario scolastico di tutti gli alunni.

    Anche questo terzo libro riguarda l’Istituto slovacco dei SS. Cirillo e Metodio di Roma e ha per protagonista don Rodolfo Blatnický SDB che fu insegnante ed educatore dei convittori, attivo nell’Editrice dell’Istituto ed in campo radiofonico (collaborò con la Radio Vaticana, con la BBC di Londra e la Voice of America di Washington DC) e durante diversi anni professore incaricato all’Università Salesiana.

    Il libro ci mostra Don Rodolfo nel suo rapporto di dialogo con i giovani convittori ma soprattutto col giovane coprotagonista Jozef. Le loro relazioni occupano un arco di tempo che va dal 1968/69, anno del loro primo incontro, fino al 1985/86, anno dell’ultimo soggiorno all’Istituto di Jozef ormai diacono con alcuni dialoghi nell’età matura fino all’addio mai pronunciato del 2013.

    Nella narrazione ritroviamo anche don Sandor, don Nadasky e gli altri educatori dell’Istituto. È quasi inevitabile che alcuni tra i ricordi già pubblicati nei libri precedenti apparentemente si ripetano: l’Autore, infatti, ci ripropone la lettura dell’episodio da un nuovo punto di vista che mette i n luce l’impegno educativo di don Rodolfo nell’ambito di quella scuola didatticamente innovativa che fu il Liceo slovacco Anton Bernolak, Piccolo Seminario dell’Istituto Slovacco dei Santi Cirillo e Metodio di Roma.

    Parlare di metodo educativo in teoria è ben altra cosa dal constatarne l’efficacia nell’applicazione al vivere quotidiano e lo possiamo constatare nei numerosi e brevi capitoli del libro.

    Nella narrazione si intrecciano due leitmotif . Il primo: la messa in atto del sistema preventivo di don Bosco da parte di don Rodolfo nello scorrere degli eventi all'Istituto, nell'arco di più di trent'anni di attività. Il secondo: la meta-riflessione dell'Autore che rivive le situazioni con lo sguardo del ragazzo ma che le rilegge al contempo con la consapevolezza dell'adulto.

    Dal punto di vista temporale vediamo intrecciarsi cinque epoche della vita di Jozef: i ricordi di bambino; l’adolescente timido che parla poco ma tutto osserva e tutto ricorda; il ragazzo che sta maturando, con moti di ribellione interiori per lo più repressi che complicano la relazione con l’educatore; il giovane consacrato che vede disattese le aspettative sulle quali aveva fondato la scelta stessa della propria vita religiosa; l’uomo maturo di oggi che ripensa la vita alla luce di una consapevolezza diversa, raggiunta anche combattendo la malattia.

    Nell’arco del tempo si srotola la malattia dell’Autore, dalle prime avvisaglie in avanti. Sotto questa luce si spiegano molte delle difficoltà di comprensione di sé e degli altri da parte del giovane Jozef che comincia a sentirsi perseguitato, sminuito, sorvegliato senza capire il perché. Neanche i ricoveri riescono a fargli raggiungere quell’adesione a quella costanza nella terapia che lo potrebbero aiutare: l’ultima psicosi avrà la sua risoluzione solo cinque anni dopo la morte di don Rodolfo.

    All'Istituto tutti i giovani erano 'amici' di don Rodolfo ma don Rodolfo aveva anche qualche 'amico speciale' e lo seguiva più di altri perché aveva maggior bisogno di lui.

    Don Rodolfo fu per Jozef un amico fidato e disponibile durante l’arco di tutta la sua vita e gli dedicò tempo e attenzioni come nessun altro. Fu impotente, però, di fronte alle conseguenze che la malattia di Jozef ebbe sulla vita affettiva e persino su un legame antico e profondo come quello che si era instaurato tra loro.

    La possibilità di tenere sotto soglia un certo tipo di malattia mentale esiste: richiede da parte di chi ne è affetto regolarità nelle visite dal proprio medico neuropsichiatra, l’adesione alla terapia farmacologica e un accompagnamento da parte di una persona qualificata ad individuare le interpretazioni distorte della realtà e delle motivazioni che le hanno rese credibili per integrarle con pensieri più realistici.

    Uno dei messaggi che l’Autore vorrebbe portare attraverso questo libro e attraverso la propria esperienza di vita è un messaggio di speranza per questi ammalati e per i loro famigliari.

    Jozef M. Rydlo, membro dell’Istituto Slovacco

    Losanna/Bratislava, il 15 agosto 2021

    Introduzione

    L'Istituto slovacco dei Santi Cirillo e Metodio, Roma

    Gli inizi alle Catacombe di San Callisto

    Era il 1959 e i giovani chierici slovacchi che si trovavano negli studentati salesiani del Piemonte dovevano ricevere l'Ordinazione sacerdotale. Mentre si approssimava il momento della Consacrazione, mandarono ai confratelli salesiani una lettera circolare dicendo che avrebbero preferito lavorare con i ragazzi slovacchi che desideravano avere una formazione religiosa piuttosto che essere sparpagliati in tutto il mondo.

    Don Luigi Ondrejka racconta che questo loro desiderio divenne parzialmente realtà quando don Lodovico Macak riuscì a convincere sia i sacerdoti diocesani slovacchi di Roma sia i superiori salesiani.

    L'opera incominciò con i primi cinque studenti nell'anno scolastico 1959/60, presso le Catacombe di San Callisto sulla via Appia, accanto all'aspirantato salesiano di San Tarcisio. Don Lodovico Macak chiese ai superiori di essere aiutato da don Luigi Ondrejka, a quell’epoca in Piemonte, e da don Andrea Sandor, missionario in Argentina. In breve tempo la piccola Comunità divenne autonoma e si trasferì in un edificio fatiscente non lontano dalla chiesetta Quo vadis, presso l'entrata nelle Catacombe. I salesiani slovacchi aggiustarono l'edificio con i propri mezzi ed il numero dei ragazzi incominciò a crescere. Anche monsignor Stefan Nahalka e monsignor Jozef Tomko, che abitavano al Nepomuceno, contribuirono alle necessità materiali: insieme a don Lodovico Macak lavoravano per porre le basi di quella desiderata opera per la Slovacchia.

    Don Luigi Ondrejka racconta che anche monsignor Andrej Grutka fu accolto nella povera casetta dove viveva la piccola Comunità. Monsignor Grutka si trovava nella Capitale per l’apertura del Concilio Vaticano II e stava consultando i sacerdoti slovacchi che vivevano a Roma su come organizzare il 1100° Giubileo dell'arrivo dei santi Cirillo e Metodio in Slovacchia (allora territorio della Grande Moravia). Gli slovacchi emigrati in America desideravano fare un pellegrinaggio a Roma ed innalzare un monumento in memoria di questa ricorrenza. I sacerdoti slovacchi concordarono nel suggerire a monsignor Grutka che il monumento più bello sarebbe stato un seminario con lo scopo di formare dei sacerdoti, così come fecero i santi Cirillo e Metodio. Monsignor Grutka fu entusiasta della proposta e anche del fatto che l'opera fosse già iniziata ma trovò la casetta davvero troppo povera e disse che ci sarebbe stato bisogno di costruire un luogo più dignitoso che promise di finanziare.

    L'Istituto slovacco dal 1963

    Don Ondrejka ricorda che nel mese di maggio del 1963, quando si celebrava il Giubileo per la venuta dei santi Cirillo e Metodio nella Grande Moravia, Papa Giovanni XXIII benedì la pietra angolare dell'edificio e già nel mese di settembre potevano essere benedetti l'edificio dell’Istituto e la cappella sulla Via Cassia, nei pressi di Roma. Nel maggio dell'anno successivo i ragazzi della modesta casa presso le Catacombe si trasferirono nel nuovo Istituto insieme ai loro superiori.

    Di questo evento parlarono Radio Vaticana e Hlasy z Rima (la rivista dei cattolici slovacchi pubblicata a Roma). Dieci anni più tardi, nel 1973, monsignor Stefan Nahalka pubblicò Pamatnica Slovenkeho ustavu sv. Cyrila a Metoda, il libro che descrive dettagliatamente la costruzione dell'edificio e la vita dei primi anni nell'Istituto. Gorazd Zvonicky, nella cronaca di Hlasy z Rima, annotava con precisione tutti gli eventi dell'Istituto per informazione del pubblico slovacco e a memoria dei posteri.

    Il Piccolo Seminario presso l'Istituto slovacco dei santi Cirillo e Metodio di Roma incominciò a funzionare nel 1964 e terminò la sua attività alla fine dell'anno scolastico 1990/91, dopo il crollo del regime comunista in Cecoslovacchia. Da quando arrivò Jozef Tomsik, nel 1968/69, alla chiusura dell’Istituto, il Piccolo Seminario fu frequentato da 116 studenti (senza calcolare gli studenti che vissero nella modesta casetta presso le catacombe di San Callisto dall'anno 1959 all'anno 1963 e nell’Istituto dal 1964 al 1968).

    L'Istituto ebbe come obiettivi della propria attività il Piccolo Seminario che occupava una parte dell'edificio, la pubblicazione della letteratura religiosa da spedire in Slovacchia e la cura pastorale degli emigrati di nazionalità slovacca viventi all'estero. Il Piccolo Seminario era ubicato nell'ala sud dell'Istituto dove vivevano anche gli educatori salesiani che si prendevano cura dei ragazzi.

    Provenienza dei convittori e dei salesiani

    Mentre all’inizio i giovani studenti del Piccolo Seminario arrivavano dagli Stati Uniti, dal Canada, dalla Francia e dalla Germania, a partire dall'anno scolastico 1967/68 incominciarono ad arrivare dai paesi slovacchi della Croazia e della Serbia. I giovani della Croazia provenivano dai paesi Josipovac, Jelisavac e dai paesini circostanti; per la Serbia si attingeva invece al paesino di Selenca, da cui nel 1967 partì il primo giovane, Jan Trusina: da questo paese di circa quattromila abitanti (per metà cattolico e per metà protestante) partirono in 36 per andare a studiare all'Istituto di Roma.

    I superiori salesiani che insegnavano nel liceo dell'Istituto erano profughi che avevano abbandonato la Patria dopo la chiusura delle case religiose da parte del governo comunista ateo. Diversi di loro erano scappati dal campo di concentramento di Podolinec dove erano stati deportati ed avevano oltrepassato clandestinamente il confine tra la Slovacchia e l'Austria. Furono accolti nelle case salesiane del Piemonts dove ricevettero la formazione filosofica e teologica e furono ordinati sacerdoti. Don Andrej Sandor e don Lodovico Macak erano già sacerdoti quando scapparono. Don Ernest Macak, rimasto in Patria, organizzava le fughe all'estero dei salesiani e dei sacerdoti ma scoperto, fu imprigionato per motivi religiosi. Venne in Italia soltanto più tardi, nel 1968, come turista e si fermò a Roma fino alla caduta del comunismo.

    Direttori, educatori e operatori

    Dal 1968/69, l’anno in cui Jozef Tomsik arrivò a Roma, alla sua chiusura, il Piccolo Seminario fu guidato da quattro Direttori salesiani: don Jozef Babiak, don Andrej Pauliny, don Ernest Macak e don Jozef Kocik.

    I salesiani che lavorarono nel Piccolo Seminario come professori ed educatori tra il 1968 ed il 1990 furono: Babiak Jozef, Blatnicky Rudolf, Cerny Rafael, Granec Rudolf, Kana Michael, Kocik Jozef, Macak Ernest, Macak Ludvik, Nadasky Augustin, Ondrejka Alojz, Pauliny Andrej, Sandor Andrej, Silaj Jan, Sirakov Marino, Tocky Jan, Tomsik Jozef, Tribuljak Stefan, Turansky Stefan, Usak Vit, Zeisel Ernest.

    Erano presenti all'Istituto anche i salesiani coadiutori Gazdik Janko e Novansky Frantisek.

    Insegnanti salesiani e materie scolastiche:

    Blatnicky Rudolf: Religione, Mineralogia, Musica;

    Cerny Rafael: Geografia, Matematica;

    Kocik Jozef: Storia della filosofia;

    Macak Ernest: Religione, Storia;

    Macak Ludvik: Storia della filosofia, Tedesco, Greco, Inglese;

    Nadasky Augustin: Italiano, Slovacco, Storia e Geografia della Slovacchia, Filmologia;

    Ondrejka Alojz: Matematica, Fisica, Biologia;

    Pauliny Andrej: Storia dell'Arte, Sociologia;

    Sandor Andrej: Latino, Geografia;

    Sirakov Marino: Chimica;

    Tocky Jan: Fisica;

    Tomsik Jozef: Tedesco, Serbo-croato, Slovacco;

    Zeisel Ernest: Tedesco.

    Insegnanti esterni:

    Andrej Suljak e Luka Marjanovic: Croato-serbo.

    Jozef Vavrovic e Bezak Cyril: Educazione fisica.

    Oltre agli impegni scolastici e pedagogici, gli insegnanti del Piccolo Seminario avevano anche altri compiti. Blatnicky Rudolf era professore di Teologia all'Università Pontificia Salesiana di Roma, preparava le relazioni per Radio Vaticana e per la radio Voice of America, era revisore teologico delle pubblicazioni dell'Editrice dell'Istituto e correttore di bozze; Cerny Rafael traduceva in slovacco dal francese e dall'italiano i libri pubblicati dall’Editrice dell'Istituto; Kana Michael era assistente dei ragazzi ed intermediario per la comunicazione tra i salesiani in Slovacchia ed i salesiani viventi a Roma; Macak Ernest scriveva i libri e collaborava con il fratello Ludvik alle trasmissioni di Radio Vaticana; Macak Ludvik preparava le trasmissioni radiofoniche settimanali per la gioventù slovacca a Radio Vaticana; Nadasky Augustin era consigliere scolastico e principale responsabile per gli educandi dell'Istituto; Ondrejka Luigi era economo ed addetto alla manutenzione dell'Istituto; Pauliny Andrej era illustratore delle pubblicazioni che uscivano dall'Editrice dell'Istituto, redattore delle Slovenske Hlasy z Rima e preparava le trasmissioni in lingua slovacca per Radio Vaticana; Sandor Andrej era cronista dell'Istituto per la rivista Hlasy z Rima / Slovenske Hlasy z Rima, pubblicista, traduttore e poeta; Tocky Jan era economo e addetto alla manutenzione dell'Istituto; Tribuljak Stefan era consigliere scolastico; Turansky Stefan era inizialmente assistente dei ragazzi, più tardi consigliere scolastico e intermediario per le comunicazioni tra i salesiani in Patria ed i salesiani di Roma; Zeisel Ernest era assistente dei ragazzi.

    Vocazioni

    Gli educatori salesiani lavoravano con impegno, cosicché dal Piccolo Seminario uscirono vocazioni salesiane, diocesane e anche di qualche altro ordine religioso.

    A partire dal 1968 sono uscite dal Piccolo Seminario le seguenti vocazioni salesiane:

    1. Blazek Peter, 2. Frano Bohus, 3. Grivalsky Pavol, 4. Kana Michael, 5. Kmet Vinko, 6. Knatek Stefan, 7. Komlos Jozef, 8. Kralik Jozef, 9. Molnar Jan, 10. Nemes Lubomir, 11. Reimer Tibor, 12. Silaj Janko, 13. Sisan Vinko, 14. Tatarka Michal, 15. Tomsik Jozef, 16. Tribuljak Stefan, 17. Trusina Jan, 18. Turansky Stefan, 19. Vesely Marian, 20. Zeisel Ernest.

    Dei giovani qui enumerati non tutti arrivarono alla Professione perpetua oppure all'Ordinazione sacerdotale.

    Don Stefan Turansky è morto il 13 agosto del 2020. I sacerdoti salesiani rimasti sono: Komlos Jozef, Reimer Tibor, Tatarka Michael, Tomsik Jozef, Tribuljak Stefan.

    Rejnic Stefan è in un altro ordine religioso.

    Sono usciti dalla Congregazione: Knatek Stefan che lavora come parroco, Trusina Jan che diversi anni fa fu colpito da ictus con gravi ripercussioni. Il diacono Kubanovic Zlatko è segnalato nell’annuario dei Salesiani di Don Bosco come ‘temporaneamente assente’ per l’anno 2021.

    Gli altri convittori non scelsero la Professione perpetua o lasciarono la vita religiosa.

    Altre attività

    L'Istituto, oltre all'attività pedagogica per il Piccolo Seminario, svolgeva attività di propaganda religiosa grazie all’Editrice che preparava i libri destinati alla Slovacchia. Don Stefan Turansky nella predica postuma per don Rodolfo Blatnicky ricorda che l'Istituto fece stampare tre milioni di copie di libri proibiti e li spedì in Slovacchia. Inizialmente, durante il periodo più moderato, quando il governo cecoslovacco permetteva la spedizione dei libri per posta, l'Istituto spediva gratuitamente la letteratura religiosa ai richiedenti. Più tardi, quando la posta cecoslovacca incominciò a rifiutare o a confiscare le spedizioni, si passò all'attività clandestina, trafugando in Slovacchia i libri dai centri di smistamento dell’Ungheria o della Polonia. Don Lodovico Macak e don Luigi Ondrejka organizzavano spedizioni di libri dalla Svizzera, dalla Francia e dalla Germania. Se i libri venivano respinti andavano a protestare alle Poste argomentando che la Cecoslovacchia aveva firmato il decreto sulla libertà religiosa. Quest’attività venne svolta fino alla caduta del regime comunista in Cecoslovacchia. Come per la letteratura religiosa, così l'Istituto era attivo anche con trasmissioni radiofoniche per Radio Vaticana in lingua slovacca. Don Rodolfo Blatnicky lavorava anche per le trasmissioni culturali e religiose in lingua slovacca di Voice of America. Don Anton Hlinka che lavorava in stretto contatto con l'Istituto, lavorava a Radio Europa Libera di Monaco di Baviera.

    L'Istituto era attivo anche come centro per la Pastorale degli emigrati slovacchi nel mondo. Il Dicastero Vaticano per la Pastorale dei migranti nel 1982 nominò monsignor Domenico Hrusovsky quale responsabile per gli slovacchi viventi all’estero e lo ordinò vescovo. Grazie a questo ministero, monsignor Hrusovsky poteva viaggiare tra le comunità slovacche più numerose degli Stati Uniti, dell'Australia e dell'Europa e sostenere i propri connazionali nella fede. Per questa attività, per l'attività del Piccolo Seminario e per l’Editrice dell'Istituto l'aiuto fondamentale veniva dalla Caritas Tedesca che aveva tra i suoi obiettivi anche quello di sostenere la Chiesa del silenzio, come veniva chiamata la Chiesa oltre la cortina di ferro.

    Don Rodolfo Blatnicky: cenni biografici

    Don Rodolfo nacque il 6 gennaio 1928 a Trnava, in Slovacchia. Frequentò la scuola elementare, la scuola media ed il liceo nella città natia. Qui frequentò anche l'Oratorio salesiano e sotto la guida del parroco don Jan Hlubik scoprì la sua vocazione. Dopo la Maturità, nel 1946 entrò nel noviziato salesiano. Fece i primi voti il 5 ottobre 1947. Svolse il tirocinio pratico prima nello Studentato pedagogico salesiano a Trnava e più tardi nella cittadina di Hody. Non terminò, però, il terzo anno del tirocinio a Bratislava Trnavka a causa dell'internamento a Podolinec che avvenne durante la notte tra il 13 ed il 14 aprile del 1950. Il regime comunista concentrò a Podolinec tutti i religiosi. In quell'epoca l'Ispettoria slovacca contava più di trecento confratelli, la maggior parte di cui in formazione. In quella notte tutto cambiò: i superiori furono incarcerati, le case salesiane confiscate, i confratelli giovani dopo diversi mesi di internamento furono rimandati alle famiglie.

    Don Rodolfo credette nella sua vocazione e riuscì a scappare dal campo di concentramento. In maniera clandestina varcò i confini tra la Slovacchia e l'Austria e più tardi tra l'Austria e l'Italia ed arrivò a Torino, alla Casa madre dei salesiani Valdocco. Arrivato a Torino i superiori gli chiesero di fare un anno di Filosofia in preparazione agli studi di Teologia. Dopo due anni di Teologia interruppe gli studi per andare a lavorare nell'Istituto lituano vicino a Roma. Nel 1960 riprese gli studi di Teologia ed il 1° gennaio del 1962 l'arcivescovo di Torino Maurilio Fossati lo consacrò diacono. Nonostante avesse terminato brillantemente gli studi di Teologia e avesse concluso il dottorato in Teologia, don Rodolfo decise di rimanere diacono. Incominciò a insegnare all'Università salesiana di Roma nell'anno accademico 1966/67 e nello stesso anno si trasferì all'Istituto dei santi Cirillo e Metodio a Roma dove lavorò come educatore e insegnante fino al 1990. Fu attivo anche presso l'Editrice dell'Istituto. Don Rodolfo, in qualità di professore alla facoltà di Teologia dell'Università salesiana di Roma, insegnava Escatologia e Sacramento dell'Ordine Sacro. Dopo la caduta del comunismo in Cecoslovacchia i salesiani decisero di chiudere l'attività del Piccolo Seminario nel quale anche don Rodolfo lavorava e viveva e di trasferirsi in Slovacchia. Per questa ragione don Rodolfo, essendo rimasto legato al lavoro all'Università salesiana, si trasferì nell'Istituto Salesiano Teresa Gerini sulla Tiburtina. Lì visse fino al 9 marzo del 2015. È sepolto nella tomba dei Salesiani di don Bosco a Campo Verano a Roma.

    Una giornata all'Istituto

    MATTINO

    Levata. Pulizia personale. Studio mattutino. Preghiere del mattino e Messa. Colazione. Lavori di casa. Due ore di scuola. Ricreazione. Due ore di scuola. Ricreazione. Visita al Santissimo, Rosario, predica. Pranzo.

    POMERIGGIO

    Ricreazione: gioco del calcio. Pulizia personale. Piccolo studio. Merenda e ricreazione. Studio grande. Ricreazione. Studio breve. Adorazione eucaristica e Rosario. Cena.

    SERA

    Ricreazione. Preghiere della sera. Studio. Pulizia personale. Riposo notturno.

    Questo era l’orario tipo, ma ogni tanto c’erano delle eccezioni:

    Giovedì:

    si andava a fare la passeggiata. Si partiva subito dopo pranzo e si tornava poco prima della cena.

    Sabato:

    dopo pranzo c’erano le pulizie in casa che si protraevano oltre l’inizio dello studio grande. Nel pomeriggio c’era anche la doccia.

    Domenica:

    non c’era la scuola, avevamo la mattinata libera.

    Domenica o giorni festivi:

    talvolta si andava in città, generalmente a San Pietro.

    Due tre volte all’anno:

    c’erano le escursioni di un giorno;

    si facevano le gite in autobus oppure con il pullmino e le auto.

    Diverse volte all’anno:

    al pomeriggio facevamo delle Accademie (spettacoli) della durata di circa due ore e mezzo. Erano invitati tutti gli abitanti dell’Istituto

    Primo incontro

    L'Istituto Slovacco di Roma era situato in prossimità della via Cassia, tra La Giustiniana e La Storta, su una collinetta da cui si vede la ferrovia che va verso Viterbo.

    Il viaggio era stato lungo e faticoso. Quando arrivammo alla Stazione Termini era già pomeriggio inoltrato. Don Luigi Ondrejka venne a prenderci al Sacro Cuore, Istituto salesiano conosciuto dai salesiani di Don Bosco di tutto il mondo per la sua fama. La distinzione tra gli arrivati era presto fatta: un gruppetto di ragazzi slovacchi provenienti dalla Slavonia, in Croazia ed un altro composto da due soli studenti, uno dei quali ero io, provenienti dalla Pannonia, in Serbia.

    Quando arrivammo all'Istituto, nell’atrio ci attendeva il gruppetto di salesiani e di monsignori che vivevano ed in parte lavoravano all'Istituto. Tutti loro per noi erano superiori. L'espressione superiori era per noi studenti la consuetudine linguistica che usavamo per gli adulti che vivevano all'Istituto sebbene i monsignori non fossero direttamente impegnati nella nostra educazione. Anche don Rodolfo Blatnicky faceva parte di questo gruppetto che ci accolse con grande gioia.

    Non mi accorsi subito di lui. Del resto non lo conoscevo. Dopo i saluti di benvenuto fu lui a prendere tra le mani le redini della situazione e con delicatezza ci chiese di salire nei dormitori. I più vecchi tra noi sapevano già tutto e noi nuovi seguimmo il loro esempio. I posti nel dormitorio venivano assegnati da don Nadasky e don Rodolfo si limitò ad accompagnarci, intrattenendosi per un po' nel dormitorio dei piccoli ed un altro po' nel dormitorio dei grandi, aspettando l'arrivo di don Nadasky.

    Nell'atrio, oltre a don Rodolfo Blatnicky, ricordo la presenza di altri confratelli salesiani come don Marino Sirakov, don Andrej Sandor, don Ludvik Macak, il signor Frantisek Novansky. Tra i monsignori ricordo Jozef Tomko, futuro cardinale e grande amico di Giovanni Paolo II e i monsignori Stefan Nahalka, Anton Botek, Jozef Vavrovic e Stefan Vrablec.

    Non ricordo invece la presenza delle suore italiane francescane che lavoravano in cucina e le loro educande. La mia attenzione fu attirata anche da un convittore in particolare: Janko Silaj. Zoppicava e aveva un piede fasciato. Janko Silaj era arrivato dal Canada qualche giorno prima di noi e si era subito fatto male cadendo dalla bicicletta. Intorno all'Istituto c’erano altre collinette, come quella sulla quale era costruita la Casa generalizia delle Suore olandesi Pic Pus. Janko si fece male proprio lì, scendendo troppo velocemente.

    Questi sono i primi ricordi del mio arrivo all'Istituto Slovacco di Roma nel mese di settembre del 1968. Il primo incontro con don Rodolfo avvenne in modo così naturale che io non mi accorsi di lui. Agiva infatti così, in modo da non attirare l'attenzione. Registrai nella mia memoria soltanto i modi delicati di un salesiano vestito con la talare che ci chiese di salire nei dormitori. Gli altri ricordi di quel pomeriggio riguardano per lo più don Agostino Nadasky.

    Diversi anni più tardi, quando ero giovane salesiano e si parlava del nostro approdo all'Istituto nel '68, don Rodolfo ricordava bene il nostro arrivo e descrisse con precisione il mio atteggiamento: ero timidissimo e non mi piaceva espormi, per questa ragione mi nascondevo dietro a Janko Trusina che era arrivato all'Istituto già nel 1967. Per me fu una sorpresa. Lui sorrideva e raccontava di come ci avesse osservati fin dal nostro arrivo e dal mio comportamento avesse potuto dedurre com’ero: impaurito, prudente e diffidente.

    Credo che fin da allora avesse deciso di conoscermi meglio e di dedicarmi la sua attenzione pedagogica, inserendomi tra i suoi ‘amici speciali’. Ne avevo veramente bisogno. Più tardi gli confidai che noi ragazzi dell'Istituto, oltre alla mano ferma di don Nadasky, avevamo bisogno anche di un’attenzione più gentile e che questo dono ce lo fece lui. Un gruppetto di noi era giovanissimo: avevamo tredici anni, ci trovavamo lontani da casa e ci serviva non soltanto un’esigente mano paterna ma anche quell’attenzione più delicata che nella famiglia spetta alla mamma.

    Professore universitario

    Quando don Rodolfo incominciò ad interessarsi a me, mi parlava di se stesso e fece più volte accenni ai suoi studi ed agli anni del suo tirocinio. Non conoscevo la vita salesiana e anche per questa ragione non capivo tutto ciò che mi raccontava e non ero in grado di fargli le domande che gli farei, invece, oggi. Soltanto quando fui giovane salesiano seppi che don Rodolfo aveva avuto un forte esaurimento nervoso all’epoca degli studi e che per questo i superiori gli avevano permesso di fare diversi anni di tirocinio pratico. Mi raccontò che fu mandato come tirocinante all’Istituto lituano. Le ragioni di quel provvedimento sono difficilmente comprensibili. Certo, don Rodolfo proveniva dall'Europa orientale ma tra la sua lingua madre, lo slovacco ed il lituano c'è una grande differenza. L’affinità linguistica non poteva essere, dunque, la ragione di quell’obbedienza. Il motivo di quel provvedimento non lo comprese, a quanto pare, nemmeno don Rodolfo. A quei tempi di abbondanti vocazioni i superiori faticavano a conoscere le esigenze di ciascun confratello e a volte avevano difficoltà anche a tener presente i loro problemi di salute.

    Ai tempi di don Rodolfo, così come oggi, la preparazione di un sacerdote salesiano richiedeva molti anni di formazione, tra studio e tirocinio. Dopo un periodo di aspirantato, come nel Piccolo Seminario dell’Istituto slovacco e nelle altre scuole medie e superiori salesiane, si poteva decidere di accedere al noviziato, di durata annuale (un tempo si entrava a 16 anni) che terminava con la prima Professione religiosa da rinnovarsi dopo tre anni. Intanto, chi aveva attitudine per lo studio, poteva continuare con il Liceo e, dopo la Maturità, trascorsi i tre anni dalla prima Professione, fare la seconda Professione. Si incominciavano intanto gli studi di Filosofia, di durata biennale, che davano diritto al titolo di Baccalaureato in Filosofia. Seguiva un tirocinio di due anni durante il quale, normalmente, essendo passati altri tre anni dalla seconda Professione religiosa, si poteva fare la terza Professione oppure la Professione perpetua. Nel primo caso, la Professione perpetua sarebbe avvenuta dopo ulteriori tre anni. La Professione religiosa è la promessa di rispettare i voti di castità, povertà e obbedienza. Nel frattempo si continuavano gli studi triennali di Teologia per raggiungere il titolo di Baccalaureato in Teologia che richiedeva il superamento degli esami e la redazione di una tesina finale. Conseguito il Baccalaureato in Teologia si veniva ordinati diaconi. Gli studi continuavano ancora per conseguire la Licenza nella materia verso la quale il candidato intendeva orientarsi o che gli veniva suggerita dai superiori. Tale Licenza aveva durata biennale e terminava con la discussione d’una Tesi. In genere, dopo il primo anno di Licenza, si venina ordinati sacerdoti.

    Chi si di dimostrava particolarmente predisposto, poteva accedere al dottorato di ricerca, in genere presso una delle Università Pontificie, che si concludeva con la discussione della Tesi. Il più delle volte, dopo questo percorso di studi, si veniva destinati all’insegnamento universitario in un’Università Pontificia o a qualche altro lavoro intellettuale.

    Riconoscendo in don Rodolfo doti particolari, i professori lo incoraggiarono a compiere studi di alto livello. Quando si riprese dall’esaurimento, don Rodolfo coronò i suoi studi con il dottorato di ricerca e cominciò ad insegnare. Poteva trattarsi del periodo in cui fu eretta la sede dell’Istituto Slovacco sulla Cassia; in quel periodo fu costruita anche l'Università salesiana di Roma. Don Rodolfo incominciò ad insegnare allora. Non mi venne nemmeno in mente di chiedergli dove abitasse e dove vivesse prima della costruzione della Università salesiana.

    Mi raccontò che gli inizi all'Università salesiana furono difficili per lui. Credo per l'esaurimento di cui aveva sofferto nel passato: si trovò in un ambiente astratto di libri, di studi, di lezioni e di pubblicazioni. Mi disse che incominciò a sentirsi di nuovo male e che a stento riusciva a dormire. La sua fortuna fu l'apertura dell'Istituto Slovacco che fu per lui un meraviglioso dono della Provvidenza. Si trasferì, infatti, all'Istituto dove poteva stare e lavorare tra i ragazzi. Era ciò che desiderava e, anche se la sua obbedienza ufficiale era quella dell’insegnamento all'Università, riuscì a conciliare le due cose: vivere all'Istituto Slovacco lavorando con noi ragazzi e insegnare all'Università. Mi disse che questa sua situazione era un’eccezione: ai professori dell'Università salesiana si chiedeva di vivere all'Università e di dedicare tutto il proprio tempo agli studi, all'insegnamento e alle pubblicazioni.

    Non mi accorsi subito

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