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Myrddin
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E-book411 pagine5 ore

Myrddin

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Info su questo ebook

In un giorno di primavera come mille altri, Thomas sta seguendo Viviana, la compagna di classe per cui ha una gran cotta. Si batte con la sua timidezza, cercando un pretesto per scambiare qualche parola con lei. Tutto si sarebbe potuto immaginare meno che ritrovarsela a fluttuare nell’aria davanti agli occhi, con un orrendo mostro demoniaco che le esce dal corpo.
È questo il modo con cui il ragazzo viene a scoprire che, oltre alla consueta realtà materiale delle cose, esiste un ricco e misterioso universo fatto di magia, creature portentose, dimensioni a malapena immaginabili. E Thomas in questo universo non solo è parte, ma occupa un posto importante. È infatti un mago bianco, raro e potente discendente del Fuoco.
Ma se il mondo magico lo sorprende e lo stordisce, la realtà lo avvince in un momento drammatico: sua madre trova tragicamente la morte durante una strana rapina, suo padre sembra sopraffatto dal dolore. Tutto diviene per lui indecifrabile, tra il desiderio di vendetta e il bisogno di comprendere quanto gli sta accadendo. Sarà sua nonna a guidarlo con pazienza alla scoperta dei suoi poteri, e la stessa Viviana, sfuggente e bellissima, ad affiancarlo in una serie di viaggi, scontri, enigmi incredibili.
Thomas, affrontando nemici arcani e avversari terreni, si confronterà tanto con le difficoltà del mondo magico che con le asperità della vita vera, che metteranno alla prova la sua volontà e la sua tempra.
Un’avventura che fonde i toni epici del fantasy con le connotazioni calde e vibranti degli affetti, della famiglia e dell’amicizia.
LinguaItaliano
Data di uscita1 ott 2021
ISBN9788832929478
Myrddin

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    Anteprima del libro

    Myrddin - Micol Cigarini

    Prologo

    Marzo. Una pioggerella fastidiosa bagnava i bassifondi della città.

    Thomas camminava con passo veloce e leggero, insonorizzato per natura dalla sua corporatura sottile. I capelli mossi e scuri ondeggiavano al ritmo del suo passo. Gli occhi chiari, tersi e vitrei di una strana sfumatura tra il verde e il blu, spiccavano tra i palazzi grigi che lo circondavano.

    La giornata era uggiosa e insolitamente fredda per essere primavera. L’inverno non voleva abbandonare la sua morsa. Ogni tanto una nuvola lasciava cadere qualche goccia di pioggia, così per scuotere le numerose pozzanghere sull’asfalto.

    Il ragazzo si alzò il bavero del cappotto per proteggersi dal vento tagliente che si incanalava tra i palazzi della periferia.

    Un rumore lo distrasse dai suoi pensieri.

    Si voltò di scatto e notò una figura femminile, fin troppo familiare, che agile ed elegante si muoveva tra i palazzi. Si trattava di Viviana Inster, una sua compagna di classe, nonché il motivo per cui lui camminava per la prima volta in vita sua in quella parte della città.

    Thomas l’aveva seguita dall’uscita da scuola con il preciso intento di invitarla a uscire con lui. Erano ormai diversi minuti che l’inseguimento andava avanti, e lui era curioso di sapere cosa spingesse una ragazza di diciotto anni a correre tra i palazzi della città bassa per più di un’ora nel primo pomeriggio.

    I capelli biondo cenere, lisci e ben pettinati di Viviana non risentivano in alcun modo dell’umidità. Li portava leggermente scalati, lunghi fino alle spalle. Il corpo della ragazza era morbido, con un seno proporzionato e due fianchi tondi che spiccavano su una corporatura di un metro e sessanta o poco più. La sua naturale andatura era talmente rapida e disinvolta da rendere difficoltoso a Thomas lo starle dietro.

    La ragazza sparì tranquilla oltre l’ennesimo angolo e quando Thomas fece altrettanto, di lei non vi fu più traccia.

    Di nuovo! esclamò Thomas tra sé, spazientito.

    Il ragazzo decise di proseguire a tentoni, come pochi minuti prima. Mentre avanzava sentì qualcosa: uno scricchiolio, un fruscio così innaturale, sinistro e lontano da essere sospetto. Mentre si avvicinava quel rumore si ripeté, e poi si fece sempre più frequente e strano, alieno e ambiguo.

    Poi un sussurro. Uno strisciare di catene che scorrevano attraverso qualcosa di ovattato.

    A quel punto Thomas non poté fare a meno di accelerare, ritrovandosi presto a correre, non sapeva nemmeno dove stesse andando e in realtà non gli importava, la curiosità lo divorava.

    Finché una luce pallida, proveniente da un vicolo stretto poco più avanti, apparve dal nulla come a indicargli la meta.

    Decise di rallentare, così da potere essere più silenzioso nell’avvicinarsi. Mano a mano che i metri tra lui e il suo obiettivo diminuivano, sentiva il cuore pompare sempre più rapido, e il respiro che continuava a essere affannoso mentre avrebbe voluto trattenerlo.

    Un ultimo passo, e voltato l’angolo gli si presentò davanti un’immagine senza precedenti.

    Viviana galleggiava a mezz’aria, immersa nel pallore di una luce candida e pura, i suoi capelli erano mossi appena come da una corrente marina, le sue braccia erano sorrette delicatamente e tutto il suo corpo fluttuava. Sembrava una ninfa dell’acqua di un dipinto neoromantico.

    L’immagine paradisiaca era tuttavia completamente distrutta dal mostro che le si parava davanti: una creatura grottesca, partorita da incubi antichi. Mostruoso e scuro, pieno di cicatrici, morsi e tagli. Doveva avere a lungo lottato. Era ricoperto da un pelo ispido, ruvido, vecchio e sciupato, che conservava il colore scuro ma invecchiava ingrigendo e decadendo. Il muso assomigliava a quello di un orso, ma con troppi occhi, una decina, vermigli e avidi, sparsi per la fronte come quelli di un ragno. Zanne gialle erano disposte su due file distinte di denti seghettati simili a quelli degli squali. Il corpo tozzo e massiccio si ergeva oltre i cinque metri di altezza solo sulle zampe posteriori. Lo collegavano a Viviana cinque catene: una per ogni arto, che legavano le braccia e le gambe della ragazza, a quelle del mostro, più un’altra che passava dal centro del petto dell’una al centro della schiena dell’altro.

    L’incubo avanzava lento verso il suo obiettivo, lasciando una striscia di densa saliva giallastra.

    E poi, lì accanto, un poveretto ansimava inginocchiato a terra bagnato di acqua piovana e calda urina. Il risentimento era così palese da contrargli il viso in un’espressione quasi inumana. Le mani pressate al petto e le dita intrecciate così strette da avere perso colore. Piangeva e sussurrava preghiere, non sappiamo a quale dio.

    Il mostro avanzò di un altro passo e le sue lunghe braccia scimmiesche ciondolarono avanti e indietro, con i lunghi artigli sfiorarono l’asfalto. Poi si fermò, alzò il muso al cielo grigio e lanciò un grido: un ululato seghettato e graffiante che avrebbe penetrato ogni cosa, come lo stridio delle unghie sulla lavagna.

    Thomas fu attraversato da una rapida scarica di brividi lungo tutto il corpo, tanto forti da dovere incassare il collo nelle spalle per resistere. Un urlo del genere non sarebbe mai potuto passare inosservato. Il giovane si aspettò che accorressero da ogni parte passanti e che ingenui spettatori si affacciassero curiosi e allarmati dalle finestre.

    Nessuno accorse né si affacciò.

    Il ragazzo era inorridito, non aveva mai assistito a nulla del genere.

    Pietà! sussurrò l’uomo, piegandosi in avanti a toccare con la fronte il il terreno macchiato di urina. Ti supplico, pietà! ripeté con voce tremolante.

    Non ci fu pietà.

    Il mostro aprì l’immensa bocca, si piegò in avanti e fulmineo spezzò il malcapitato in due con un solo morso.

    Il rumore delle ossa che venivano rotte e masticate con voracità accrebbe il senso di nausea di Thomas, mentre le gambe inermi della vittima cadevano con un tonfo secco in una pozzanghera di sangue.

    Il ragazzo non riuscì a resistere oltre a quella scena raccapricciante, si voltò su se stesso e corse semplicemente via. Le sue gambe si muovevano da sole, come spinte da una forza invisibile che non gli permetteva di fermarsi. Riuscì a prendere fiato solo una volta seduto sull’autobus che lo riportava nel tranquillo quartiere di casa.

    La notte scorse lugubre e troppo lunga, Thomas fu preda degli incubi, terribili apparizioni di mostri e fate assassine che volevano mangiarlo vivo. Non riuscì a dormire che poche ore di fila, per poi svegliarsi sudato e in preda al terrore.

    Il mattino successivo, a scuola, la situazione non fece che peggiorare. Thomas aveva la costante sensazione di essere osservato.

    Il banco di Viviana era dall’altra parte della classe rispetto al suo, ma sulla stessa fila. Ogni volta che il ragazzo la controllava, lei era sempre intenta a seguire la lezione oppure a farsi gli affari suoi, come al solito.

    Viviana non aveva amici, la ragazza che le sedeva accanto era capitata lì quasi per caso e con lei non aveva scambiato che qualche parola in cinque anni. Aveva ottimi voti e un’intelligenza acuta e naturale. Thomas non poteva contare su risultati così brillanti, né su capacità tanto spiccate.

    Nonostante la mancanza di una qualsiasi amicizia, anche solo di qualcuno con cui parlare, Viviana aveva una popolarità incredibile sia in classe che nel resto della scuola. Intelligente, carina, sempre pulita e ben pettinata, sembrava provenire da un altro pianeta tanto era perfetta.

    Ogni volta che si voltava per controllare se lo stesse fissando, Thomas rimaneva abbagliato da un simile splendore.

    Ehi, dongiovanni! Paul, il suo compagno di banco, lo riportò alla realtà. Com’è andata ieri?

    Thomas lo guardò stranito, la caduta dalle nuvole l’aveva stordito.

    Ci sei? Intendo con la Venere là in fondo. Sei riuscito a invitarla? A parlarle almeno? L’intonazione del ragazzo lasciava ben trapelare la sua totale assenza di fiducia a riguardo.

    No, rispose Thomas balbettando.

    Non mi hai detto niente ieri sera, ho pensato che aveste fatto chissà cosa. Quella ragazza è bella ma troppo strana.

    In che senso? Il tono di Thomas tradiva la sua agitazione, così come il sudore che cominciava a ricoprigli la fronte.

    Mah, non saprei. Sono cinque anni che è in classe con noi e nessuno ci ha scambiato più di due parole. Non è strano? È bella, intelligente, di buona famiglia e nessuno le ha mai chiesto di uscire. Non ha mai avuto un ragazzo, né qualcuno che l’abbia avvicinata, mugugnò pensieroso.

    Solo perché noi non lo sappiamo non è detto che sia la verità. Magari l’hanno invitata a uscire fior di ragazzi.

    E lei deve avere sempre rifiutato, dato che è perennemente da sola in un angolo, sentenziò Paul. Ah, se avessi io quel bel faccino e quella media perfetta avrei tutte le ragazze ai miei piedi.

    Sarebbe un sogno. Molto, molto lontano, nel tuo caso specifico.

    Entrambi scoppiarono a ridere a quella battuta. Una bella risata di gusto, mentre il professore varcava la soglia e tutti si avviavano al proprio posto.

    All’uscita Thomas era come sempre affiancato da Paul che gli raccontava del nuovo telefilm che stava seguendo. Uscirono dalla porta sul davanti e attraversarono il cortile senza prestare troppa attenzione a quello che gli succedeva attorno. Al cancello superarono Viviana appoggiata a uno dei piloni e intenta ad aspettare la Limousine che la accompagnava ogni giorno a casa.

    Direi che non le interessi troppo, non ha nemmeno alzato gli occhi dal libro che sta leggendo, sottolineò Paul senza esitare, con un’espressione fin troppo eloquente stampata sul viso.

    Thomas abbassò lo sguardo, come se fosse colpevole. Una parte di lui in quel momento preferiva decisamente così.

    Ehi!

    La voce secca e altera della ragazza fu come un fulmine a ciel sereno. Thomas sentì un brivido lungo tutta la schiena. Si voltò incredulo più per confermare a se stesso che non stesse chiamando lui che per rispondere.

    Invece la ragazza lo fissava, aveva alzato gli occhi ambrati dalle pagine del libro per puntarli dritti in quelli di Thomas. Uno sguardo così penetrante che il ragazzo abbassò subito il suo.

    Viviana si avvicinò a passo spedito e sicuro, dopo aver chiuso il libro che aveva in mano e raccolto la borsa da terra.

    È tutto il giorno che mi fissi, continuò con un tono arrogante la ragazza, cosa diavolo vuoi?

    Thomas sgranò gli occhi, non si era accorto di essere stato scoperto. Non sapeva come rispondere, né che scusa inventarsi.

    È che ha una cotta per te, intervenne Paul, franco, senza remore, né un minimo di esitazione.

    Thomas avvampò nel proprio imbarazzo.

    Viviana rimase incredula, una risposta del genere non se la sarebbe mai aspettata.

    Calò un imbarazzante silenzio, che durò per qualche istante di troppo.

    Beh, noi andiamo. Fu ancora Paul a prendere la parola per risolvere la situazione.

    Viviana fece un cenno con la testa, come a dare loro il permesso. I due ragazzi si voltarono e si avviarono verso il solito autobus. Paul tranquillo e spensierato, Thomas in preda alla più atroce vergogna.

    Ti pare una cosa da dire? sibilò Thomas ancora imbarazzato.

    Ti ho palesemente tolto dagli impicci, dovresti ringraziarmi, sottolineò Paul.

    Vedremo se davvero mi hai evitato un gran bel casino.

    Paul fece spallucce, tutto sommato la cosa non lo riguardava né lo interessava così tanto.

    1

    Fine luglio. Il caldo umido della stagione non lasciava scampo nemmeno quell’estate. L’afa era così densa e insopportabile da costringere i cittadini a uscire di casa, per qualsiasi esigenza, solo la mattina o il pomeriggio inoltrato. Thomas e sua madre non facevano eccezione.

    Alle sei e mezza di sera il giovane si tirò indietro un ciuffo che gli cadeva esattamente sugli occhi, infastidito anche da quello, che si sommava alla seccatura data dal caldo e lo rendeva un fascio di nervi.

    Forse è il caso che tu vada a tagliarti i capelli, esordì Diane, distogliendolo dai suoi pensieri. La donna aveva una bella voce morbida, dolce e calda, così presente da darti l’impressione di poterti sfiorare. Era piccola, esile e aggraziata come una ballerina di danza classica. I capelli avevano lo stesso colore di quelli del figlio, ma più disciplinati, legati in uno chignon alto e ben pettinati nonostante la natura mossa. I suoi occhi blu, intensi e scuri, cercavano tra uno scaffale e l’altro del supermercato i prodotti più convenienti.

    Già, rispose Thomas in tono rassegnato, seccato più all’idea di andare dal parrucchiere che di doverli tagliare.

    I due erano all’interno di un piccolo supermercato di quartiere, niente di speciale, una gestione familiare, un pavimento pulito solo distrattamente la sera e un sottofondo di musica anni Settanta che probabilmente neanche all’epoca aveva avuto molto successo.

    Oppure potresti tagliarmeli tu, esclamò Thomas fiero di quella proposta.

    La donna, per tutta risposta, scoppiò a ridere, una risata delicata e dolce. Sono un’insegnante, una laureata. Cosa ti ha mai fatto desumere in diciotto anni che hai passato a conoscermi, che io possa avere in qualche modo appreso la manualità necessaria ad assolvere un compito del genere? Ricominciò a ridere divertita.

    Non c’è bisogno di un vero taglio, è sufficiente che me li accorci qui davanti, insistette il ragazzo mostrando una frangia selvaggia, piena e gonfia che andava da tutte le parti in assoluta autogestione.

    Se vuoi prendo una scodella e facciamo un revival anni Sessanta, che te ne pare? rispose Diane con l’espressione furbetta e le labbra dispiegate in un piccolo sorriso mentre guardava con la coda dell’occhio il figlio sempre più seccato.

    Ho capito, ho capito, non c’è bisogno che tu cada così in basso.

    Ti sbagli, Diane si voltò verso il figlio, ho appena cominciato.

    L’espressione sul suo volto assunse una strana sfumatura: quasi un piccolo ghigno beffardo che su quel viso morbido e dolce stonava un po’, nonostante ci si trovasse a proprio agio.

    Mentre i due continuavano il loro frivolo battibecco, due uomini entrarono nel supermercato. Erano talmente nervosi e insicuri che uno per poco non andò a sbattere con la faccia contro le porte automatiche.

    Mani in alto! gridò uno dei due puntando una pistola in faccia all’unica cassiera presente. L’arma tremava visibilmente tra le mani di quell’uomo, e sembrava che sparando non avrebbe potuto colpire qualcuno nemmeno se fosse stato a meno di un metro da lui.

    Tutti i presenti si voltarono di scatto a quelle parole e d’istinto la giovane seduta dietro al nastro trasportatore, una ragazza di circa vent’anni, perfettamente vestita e pettinata, tanto da sembrare una commessa di profumeria più che una cassiera di un supermercato di quartiere, alzò le mani sgranando i grandi occhi castani.

    Tutti! ribadì l’uomo girandosi a turno verso i presenti e puntando l’arma carica che teneva in mano contro ognuno di loro.

    L’uomo dietro al banco della gastronomia, un tipo basso e corpulento, sulla cinquantina, con i capelli più unti dei polli che sullo spiedo gli arrostivano alle spalle, alzò le mani fin sopra la testa e cominciò a sudare copiosamente.

    Una signora anziana, di circa ottant’anni, si fece indietro arrancando a fatica e alzò a sua volta le mani lasciando cadere in terra il sacchetto di plastica contenente due arance che stava allungando alla cassiera.

    Anche Diane alzò le mani e guardò con fare eloquente il figlio rimasto immobile.

    Alza le mani, Thomas. Il suo tono era serio e fermo, risoluto, non sembrava nemmeno più lo stesso di prima. Il ragazzo si voltò per un secondo, come interdetto, ma non ebbe il tempo di fare nulla.

    In alto le mani ho detto! Il rapinatore puntò la pistola direttamente contro Thomas mentre gli ordinava di obbedire. Era un uomo magro e scarno, sciupato e corroso dai vizi e dalla vita. Buttatosi via da giovane, ora dimostrava vent’anni più di quelli che aveva vissuto. Un avanzo lasciato per strada a marcire.

    Nel frattempo l’altro uomo era saltato dietro alla cassa e stava riempiendo di banconote una vecchia busta di plastica.

    Thomas, sussurrò Diane al figlio, il tono adesso era meno fermo e gli occhi tradivano una supplica silenziosa.

    Ma lui non riusciva nemmeno a voltarsi per guardarla, forse non era nemmeno riuscito a sentire quel sussurro supplichevole. Il suo corpo era immobile da quando i due malviventi erano entrati e avevano cominciato a urlare. Sulla fronte del ragazzo si facevano sempre più strada rigagnoli di sudore e la sua maglietta era ormai madida.

    Non ce n’è abbastanza qui, Fred! esclamò seccato l’uomo dietro alla cassa mentre finiva di controllare i vari ripiani. C’è dell’altro contante in giro? chiese brusco alla cassiera, sollevandola per il bavero e arrivando a sputarle quelle parole a pochi centimetri dalla faccia.

    La ragazza terrorizzata scosse la testa, fin troppo velocemente, non aveva più fiato per parlare.

    Allora? L’altro rapinatore spostò la pistola su di lei, esortandola a parlare.

    No, no... rispose quella con voce spezzata e tremolante, spaesata e del tutto preda di un terrore così forte da farle sussurrare preghiere.

    Magari sta mentendo, ipotizzò l’uomo dietro alla cassa lasciandole andare il bavero e permettendole di ripiombare sulla sua sedia girevole. Anche lui era l’avanzo di una vita mal vissuta: più basso di Fred e un po’ più in carne. L’età doveva coincidere all’incirca, anche se questo sembrava un po’ più vecchio e un po’ meno corroso.

    Giusto, esclamò Fred secco, e premette il grilletto.

    Un boato secco e limpido, uno scoppio improvviso e assordante invase il modesto spazio.

    Poi calò un pesante silenzio, grande e solido.

    La ragazza bionda si accasciò al suolo, come ripiegandosi su se stessa, in un fruscio che sembrò lo stesso di vestiti buttati sulla sedia in camera, senza il benché minimo lamento.

    Tutti i presenti, a eccezione di Fred, rimasero immobili davanti alla scena, increduli.

    Tu! ordinò Fred spostando l’arma verso l’uomo dietro al bancone della gastronomia. Tu sai dove sono gli altri soldi! sentenziò muovendosi rapido verso di lui.

    Il secondo uomo si spostò per seguire il compagno. Muovendosi fin troppo agilmente uscì da dietro alla cassa per avvicinarsi alla gastronomia. Passò di fianco a Diane e Thomas ancora scossi dallo spettacolo a cui avevano appena assistito.

    Guarda guarda… esclamò leccandosi le labbra, lo sguardo posato su Diane, l’espressione di una belva affamata. Tu sì che sei qualcosa di prezioso. Calcò pesantemente quella parola, troppo. Mentre continuava ad avvicinarsi a Diane, il suo sguardo su di lei era sudicio e rozzo, quasi insopportabile.

    Diane non si scompose, tenne testa a quegli occhi avendo cura di non mostrare mai un’espressione di sfida ma sempre un certo distacco, senza risultare altezzosa o dare modo all’uomo di avere un pretesto per fare del male a lei o a Thomas.

    Quest’ultimo tuttavia non aveva lo stesso atteggiamento e benché stesse tremando di paura non riusciva a celare il disgusto che provava verso quell’uomo osceno.

    Il rapinatore si accorse del ragazzo, sul suo volto un sorriso maligno si dispiegò lentamente. Che c’è ragazzino, non ti piace che faccia i complimenti alla tua mamma? chiese in tono maligno e provocatorio.

    Thomas non emise un fiato, non ne avrebbe mai avuto il coraggio, e decise di abbassare gli occhi.

    Bravo marmocchio, lo apostrofò l’uomo, torna al tuo posto.

    Poi si avvicinò a Diane di un passo ancora, fino a sussurrarle all’orecchio: Io lo so cosa sei.

    La donna cambiò espressione di colpo, sgranando gli occhi in preda a paura e sgomento. Un brivido la pervase e il suo corpo si immobilizzò. Thomas la osservò attonito, non era certo di avere capito ogni parola.

    Tu sai cosa sono io? chiese l’uomo, l’espressione malvagia sempre più ampia sul viso scarno.

    Diane rimase immobile, si limitò a chiudere gli occhi e a concentrarsi sul respirare piano, trattenendo la tensione e la paura che palesemente la stavano divorando. La donna stava cercando di estraniarsi sempre di più da quel piccolo supermercato, da quella situazione, da suo figlio che assisteva incredulo a quella scena assurda.

    L’uomo non attese alcuna risposta e continuò la sua avanzata in direzione del compagno, camminando verso il banco. Aveva un passo molto strano e leggero, ma storto: sembrava l’andatura di un ubriaco dolorante. Si voltò più di una volta durante quel breve tragitto, per guardare Diane sempre con la stessa espressione tronfia e maligna in volto.

    La donna rimase immobile, tranquilla, con gli occhi di nuovo aperti e un’espressione che non tradiva alcuna emozione.

    Cosa ti ha detto? sussurrò Thomas alla madre approfittando del fatto che entrambi i rapinatori si erano un po’ allontanati.

    Diane si voltò verso il figlio, sul suo viso la solita espressione dolce e tranquilla. Tranquillo Tom, andrà tutto bene, gli sussurrò.

    Quel tono caldo, gli occhi sereni, ogni cosa sembrava troppo fuori luogo, troppo sbagliata per quel momento, ma Thomas preferì farsela andare bene.

    Nel frattempo Fred aveva raggiunto l’uomo grassoccio davanti ai polli allo spiedo e gli stava puntando la pistola direttamente alla testa. Allora? chiese seccato al poveretto, che continuava a sudare sempre di più. Dove sono i nostri soldi?

    Gliel’ho detto… prese fiato e tentò di deglutire con scarsi risultati. Non ce ne sono altri… La voce dell’uomo era tremolante, le sue parole deboli e labili come sussurri.

    Non mentirmi! Fred era sempre più alterato, mentre il tono e la postura tradivano la sua mancanza di lucidità. C’erano quattro spiccioli là dentro, non è possibile che sia tutto quello che avete guadagnato durante la settimana!

    L’incasso, tentò di spiegare il banconista mentre lentamente si urinava addosso nel suo ritirarsi e farsi sempre più piccolo e sottomesso, viene versato il sabato, il martedì e il giovedì…

    Merda! esclamò furibondo Fred lanciando una bestemmia e pestando i piedi a terra come un bambino che fa i capricci. Fanculo! Pete deficiente! Non avevi detto che era un colpo sicuro e facile? Razza di idiota! E spostò la pistola, puntandola in fronte al compagno.

    Pete alzò le mani, ormai era troppo vicino perché potesse mancarlo. Frena, frena, tentò di dissuaderlo. Cosa diavolo potevo saperne io di quando avrebbero svuotato le casse? Il deficiente sei tu!

    Taci! esclamò Fred irato, la rabbia era tale da contrargli perfino le dita.

    Un sibilo sordo spezzò il silenzio.

    Un secondo boato, secco e acuto.

    Una detonazione improvvisa e sorda.

    Pete si era spostato appena in tempo. Qualcosa nel suo istinto di sopravvivenza, un indizio dato dalla conoscenza del suo avversario, l’avevano messo in guardia e protetto da quello che sarebbe potuto accadere. Il suo corpo era stato svelto e abile nel ritirarsi e flettersi.

    Gli occhi blu di Diane ebbero un sussulto e la sua bocca si aprì appena come a chiedere fiato. Le gambe magre cedettero al peso del corpo. Le ginocchia si piegarono su loro stesse come se fossero fatte di carta.

    Le mani rimasero immobili, il busto inerme.

    Tutto precipitò al suolo.

    Un tonfo ovattato.

    Thomas osservò la scena come se non lo riguardasse, come chi è seduto in poltrona davanti alla televisione accesa, come se quella non fosse nemmeno sua madre.

    Le immagini del corpo che cade di Diane si accavallarono a quelle del mendicante che aveva visto in primavera divorato dal demone. Di nuovo quel rumore gli riportò alla mente il disgusto e la nausea.

    Gli occhi del ragazzo guardavano disinteressati e apatici il corpo della donna, le mani sottili avvolte dalla pelle chiara e morbida, le unghie corte, curate e quella sottile fede in oro giallo. Quelle braccia esili eppure così forti. Quante volte l’avevano preso in braccio, lo avevano cullato, sostenuto. Il busto caldo, attraverso cui si sentiva un battito così familiare, ne ricordava ogni sistole. Il collo sottile, la bocca rosea e delicata da cui ora scendeva un sottilissimo rigagnolo di sangue rosso vivo.

    Quel dettaglio era sbagliato.

    Gli occhi blu, blu come il mare, scuri e tersi anche quelli erano sbagliati. Thomas li fissava dall’alto e non vi trovava più nulla dentro.

    Fuori dal negozio cominciavano a sentirsi le sirene della polizia.

    Fred e Pete, spingendosi in modo brusco e prepotente, si erano già dati alla fuga dalla porta sul retro.

    L’ometto unto e sudaticcio cadde in ginocchio, anche il suo cuore faticava a tenere il ritmo.

    Nel vuoto che avvolse Thomas, nessun rumore, nessun richiamo, nessuno stimolo di alcun tipo poterono distoglierlo dal suo cercare di riconoscere la donna che sanguinava ai suoi piedi. Non c’era più alcun segnale di cosa quell’essere umano rappresentava per lui, eppure non poteva smettere di guardarne i contorni, cercando di comprendere chi fosse stata.

    Una poliziotta gli si avvicinò, era una donna sulla trentina, bionda con i capelli raccolti in una coda bassa e gli occhi nocciola.

    Ehi? chiese indecisa appoggiando una mano sulla spalla del ragazzo, mentre due paramedici controllavano le funzioni vitali di Diane e le chiudevano definitivamente gli occhi.

    In sottofondo si sentivano ancora imperterriti i brutti pezzi anni Settanta.

    Thomas sembrava uno zombie, la copia assente di se stesso. Il suo sguardo non avrebbe mai abbandonato il corpo di sua madre, ma il suo corpo, passivo e senza impulso, fu facilmente gestibile da infermieri e polizia. Venne fatto salire in ambulanza per essere controllato meglio in ospedale.

    Sul mezzo erano seduti anche gli altri superstiti di quella giornata: l’ometto della gastronomia e l’anziana signora. Nessuno emise un fiato durante tutto il tragitto.

    In ospedale Thomas venne visitato più e più volte da medici e psicologi, venne sottoposto perfino a un interrogatorio da parte della polizia, ma si rivelò tutto inutile perché il ragazzo non emetteva un fiato: si limitava a respirare guardando dritto davanti a sé, non piangeva, non rispondeva, non faceva nulla se non era accompagnato o assistito.

    Ci volle diverso tempo perché suo padre riuscisse a raggiungerlo.

    Qual è il vostro problema? È solo un ragazzino, a che accidenti vi serve?

    Per la prima volta Thomas alzò il viso dal pavimento e lo rivolse verso un punto definito: suo padre.

    David era un uomo alto, grosso e piuttosto muscoloso nonostante gli anni. Aveva grandi occhi nocciola che tradivano il rossore del pianto. In quel momento le sue possenti mani ruvide faticavano visibilmente a stare al loro posto.

    Dovete lasciarmelo portare a casa, ha bisogno di andare a casa, quasi gridava nel tentativo di riprendersi indietro suo figlio.

    Dobbiamo finire gli accertamenti. Una signorina spigolosa e insapore, con le mani alzate in segno di resa, cercò di convincere David ad aspettare il tempo necessario, ma lui non aveva intenzione di attendere.

    Per un po’, la discussione per Thomas continuò in sottofondo come se fosse a chilometri di distanza, poi tornò il silenzio, la quiete.

    Dannati imbecilli! imprecava David in macchina, guidando molto più piano del solito ma con decisamente più rabbia. Tenere un ragazzo in interrogatorio due ore, un minimo di intelligenza io dico, un filo di umanità! No, non frega un cazzo a nessuno! Branco di idioti! Ci vorrebbe una denuncia, Ecco cosa ci vorrebbe! Gli starebbe anche bene. Se solo avessi un nome…

    Di nuovo silenzio.

    Un rumore di posate all’improvviso svegliò nuovamente Thomas dal suo torpore.

    Il ragazzo alzò lo sguardo dal piatto e trovò suo padre che mangiava al solito posto, appoggiato al tavolo tondo al centro della cucina.

    Non c’era nulla che valesse la pena dire per mettere fine a quel silenzio abissale.

    La notte scorse lenta, lunga e fredda. Senza alcun riposo, senza alcuna pietà. Thomas guardava il soffitto scuro sopra al suo letto, chiudendo e aprendo le palpebre in un gesto ovvio. Null’altro.

    La sua stanza era come sempre: la sedia piena di vestiti abbandonati, la scrivania ricca di libri e fogli. L’armadio lasciato aperto e i vestiti accartocciati dentro in bella mostra. Anche la libreria lungo la parete opposta alla finestra era l’emblema del massimo disordine possibile. In tutto quel familiare caos, Thomas non riusciva a trovare più nulla che gli appartenesse o che avesse di nuovo senso.

    Il mattino arrivò con sollievo.

    La colazione scorse come la cena, in silenzio e senza contatto.

    Padre e figlio continuavano a respirare e a fare le solite cose, senza nemmeno ragionarci troppo. Come zombie si aggiravano nella piccola villetta a schiera alla ricerca di un motivo per non crollare a pezzi.

    Per giorni il silenzio che tanto agognavano non sembrava essergli concesso mai: ogni mezz’ora suonava il telefono. Thomas non rispondeva nemmeno. David ringraziava e riattaccava.

    I due annaspavano bramando aria in quelle giornate di mareggiata.

    Ma i giorni si concludono, le ore scorrono, i minuti passano e la fine arriva.

    Ci fu l’autopsia, poi le indagini, poi la burocrazia, e finalmente arrivò la camera mortuaria.

    Thomas fissava sua madre con espressione assente. Il viso dolce di Diane sembrava riposasse in pace, ma era adagiata su una cassa di abete e circondata da seta bianca: un fatto del tutto inconciliabile rispetto al dormire sereni.

    Era una mattina di sole, di caldo, di piena estate.

    Una messa insignificante e inutile, persone estranee che parlavano di una bara che ormai era chiusa e di una persona che non conoscevano. Un susseguirsi di condoglianze, abbracci pieni di doveri e buone maniere e doverosi volti tristi.

    Thomas era solo accanto a suo padre, solo a sua volta, lì in prima fila. Entrambi costretti a guardare senza nessuno dietro cui nascondersi.

    Non era ancora così definitiva quella separazione, non lo era stata nel freddo della camera mortuaria, non lo era stata dentro alla modesta cappella e non lo era ancora nemmeno adesso che la bara avanzava portata a braccia da sei uomini lungo i sentieri del cimitero.

    Solo nel momento in cui aveva cominciato a scendere lentamente nella terra, quel corpo così familiare, fiero e forte, solo in quel

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