Josquin Desprez
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A cinquecento anni dalla scomparsa di quel musicista quasi leggendario dobbiamo chiederci in che misura la sua eredità sia per noi ancora fruibile, data l'inevitabile evoluzione dell'orecchio musicale. Questo fenomeno, tuttavia, non è irreversibile e Josquin Desprez potrebbe essere una splendida occasione per ritrovare quelle sintonie che fanno parte di un patrimonio musicale inestimabile.
Gli altri maestri devono fare come vogliono le note,
ma Josquin è il padrone delle note,
che hanno dovuto fare come vuole lui.
Martin Lutero
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Anteprima del libro
Josquin Desprez - Enzo Restagno
Josquin Desprez. Il bello e l’emozione in musica
di Camilla Cavicchi
(CNRS, Centre d’études supérieures
de la Renaissance de Tours)
L’osservazione della bellezza induce nell’uomo un piacere particolare, che si compone di situazioni cognitive distinte: l’attenzione e l’osservazione – la vista esamina i dettagli che rendono l’oggetto bello –; l’analisi e la comprensione del suo significato; lo stupore; il raccoglimento – la mente è appagata dalla vista –; l’astrazione del fruitore dal suo proprio contesto; la sospensione nel tempo, nella contemplazione. Tutto si ferma davanti al bello.
Questo, e molto altro, succede quando osserviamo un’opera d’arte. Allo stesso modo, questo e molto altro vogliono suscitare i grandi compositori del Rinascimento quando compongono musiche. Pensiamo alla Pietà di Rogier van der Weyden (Tournai, 1400 circa-Bruxelles, 1464)¹, pittore originario di Tournai, nel nord della Francia, e che visse e lavorò a Bruxelles in qualità di artista ufficiale della città (figura 1).
Figura 1
Figura 1Rogier van der Weyden (verso 1400-1464), Pietà, 1441 circa, Bruxelles, Musée Oldmasters Museum, inventario 3515.
© MRBAB, Bruxelles.
Van der Weyden non vuole semplicemente restituire una scena, certo significativa, ma abituale e ampiamente utilizzata in ambito liturgico e devozionale. La composizione è tradizionale: Nicodemo che sorregge il corpo di Cristo, Maria che abbraccia il figlio e la Maddalena poco più lontano. Van der Weyden vuole rendere quella scena vibrante, viva: dipinge con estrema delicatezza delle lacrime sui volti di Nicodemo e di Maria. Le lacrime di Maria scivolano sul viso del figlio morto, si accumulano sul suo volto in una grossa goccia di lacrime. Sul corpo ormai livido di Cristo, invece, il sangue si è seccato. Segno di vita restano le vene delle braccia, ancora gonfie. Una luce di tramonto illumina la scena; al bianco succedono il giallo, i rossi, e poi i blu delle tenebre che scendono con la morte di Cristo, secondo il racconto del Vangelo di Matteo. Tutti questi elementi restituiti dalla capacità tecnica e poetica di Rogier van der Weyden, trasformano una scena tradizionale in un momento di potente espressività, che ci seduce e accompagna alla scoperta d’infiniti dettagli di bellezza. E ci commuove.
Josquin Desprez fu un cantore e compositore originario della stessa area geografica in cui nacquero e furono attivi i celebri pittori fiamminghi come Rogier van der Weyden e Jan van Eyck. Ne contemplò senz’altro gli splendidi dipinti, e fece propria questa capacità poetica che tradusse nel suo proprio linguaggio, quello della composizione musicale, producendo opere di stravolgente espressività, commoventi, capaci di trasportare l’ascoltatore in una condizione di sospensione temporale paradossale, dove il tempo è pietrificato nella diacronicità della musica.
La specificità del suo stile musicale è caratterizzata da architetture musicali originali, dall’uso sempre rinnovato del cantus firmus – una melodia preesistente che viene presa dal compositore a fondazione di una nuova struttura polifonica (ossia a più voci) –, che diviene la base del suo progetto musicale, di sezioni in cui motivi in imitazioni fra le voci si alternano a sezioni omoritmiche, dove il dettato sillabico diviene lapidario, le densità vocali ora rare e ora imponenti. Per questa sua singolare capacità di creare l’arte musicale, Josquin Desprez divenne il compositore più ammirato dagli artisti e dai mecenati del suo secolo.
Verso il 1498, quando aveva ormai quarantacinque anni circa, Josquin scrive Nymphes des bois, una composizione a cinque voci, per la morte di Johannes Okeghem, compositore belga che Josquin considerava un maestro. Il testo è un epitaffio di Jean Molinet, poeta e cronachista della corte di Borgogna, anch’egli amico di Okeghem:
Per questa lamentazione sulla morte dell’amico, Josquin crea un’architettura nuova: utilizza una tecnica propria delle composizioni religiose (come messe e mottetti), ossia l’uso di un canto preesistente, il cantus firmus. Sceglie una melodia liturgica della messa per i defunti, il Requiem aeternam dona eis domine et lux perpetua luceat eis (Dona loro il riposo eterno, o Signore, e risplenda per essi la luce perpetua
), un motivo austero che Josquin affida alla voce del tenor, con note di lunga durata, che costituiscono la fondazione dell’architettura musicale. Per le altre voci, invece, crea una melodia dolce, ma dolorosa. A loro affida il compito di invocare le ninfe dei boschi, le divinità femminili dell’acqua e i migliori cantori del mondo per piangere assieme la perdita del grande compositore. La voce superiore emerge fra le altre, col suo soave e poetico canto sulle parole di Molinet – tutte perfettamente intellegibili –, mentre le altre voci intervengono con sapienza drammaturgica, per esaltare il poema: l’imitazione fra le voci sul motivo-parola «En cris tranchants» (in grida penetranti) rinforza il dolore; l’esilissima densità delle voci sulla parola «Atropos» esprime il timore anche solo per la pronuncia del nome della morte; la dolcezza e la solennità per la descrizione della prestanza fisica di Okeghem; la sofferenza degli amici per la terra che ne copre il corpo morto su «Grand