Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

I primi anni dell'Opus Dei: Fondazione e Residenza DYA, 1928-1939
I primi anni dell'Opus Dei: Fondazione e Residenza DYA, 1928-1939
I primi anni dell'Opus Dei: Fondazione e Residenza DYA, 1928-1939
E-book838 pagine10 ore

I primi anni dell'Opus Dei: Fondazione e Residenza DYA, 1928-1939

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Racconto sulla genesi e sviluppo della prima attività apostolica corporativa dell'Opus Dei con la quale ebbe inizio la diffusione del suo messaggio. Josemaría Escrivá de Balaguer ha diffuso il messaggio dell'Opus Dei fin dalla sua fondazione, il 2 ottobre 1928. Presto formò piccoli gruppi di studenti, laureati, impiegati, artigiani, lavoratori manuali e sacerdoti. Cinque anni più tardi aprì a Madrid un'accademia per l'approfondimento degli studi universitari, l'Accademia DYA. L'intenzione di questo progetto era di trasmettere lo spirito dell'Opera, specificamente agli studenti e ai laureati. Nel 1934 l'iniziativa si ampliò con la creazione di una residenza universitaria, l'Accademia - Residenza DYA, attiva per due anni accademici, fino allo scoppio della guerra civile spagnola nel luglio del 1936. La storia della DYA aiuta a capire la figura di Josemaría Escrivá de Balaguer e il modo in cui comunicava il messaggio dell'Opera. Nell'accostarci a quegli anni, ci addentriamo in un periodo appena successivo alla fondazione, ad anni in cui il fondatore riceveva quelle che poi chiamò "particolari luci di Dio".
LinguaItaliano
Data di uscita1 ott 2021
ISBN9788409341184
I primi anni dell'Opus Dei: Fondazione e Residenza DYA, 1928-1939

Correlato a I primi anni dell'Opus Dei

Ebook correlati

Storia per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su I primi anni dell'Opus Dei

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    I primi anni dell'Opus Dei - José Luis González Gullón

    Tavola dei Contenuti

    SIGLE

    PRESENTAZIONE

    CAPITOLO I. I PRIMI PASSI DELL’OPUS DEI

    L’Università di Madrid

    Gli intellettuali spagnoli

    1. La fondazione dell’Opera

    L’arrivo al Patronato di Santa Isabel

    L’ampiezza dell’attività sacerdotale

    Contrarietà e difficoltà

    2. Le opere di San Michele, san Gabriele e San Raffaele

    L’idea di aprire un’accademia

    Gli esercizi spirituali del 1932

    I preparativi per l’Opera di San Raffaele

    Le catechesi

    Le lezioni di formazione

    Una sede improvvisata

    CAPITOLO II. L’ACCADEMIA (1933−1934)

    Introduzione. L’associazionismo studentesco

    1. Un’accademia per universitari

    Il progetto

    La ricerca di un locale

    2. Un appartamento in calle Luchana

    Benedizione dell’appartamento e preparativi

    Migliorie nelle stanze

    3. Direzione e amministrazione dell’Accademia

    Una direzione condivisa

    La questione economica

    I rapporti con le autorità diocesane

    4. La proposta accademica, culturale e religiosa

    Lo studio

    Le lezioni private di alcune materie

    Il corso di religione

    Il corso di latino

    5. La formazione cristiana dei giovani

    La direzione spirituale

    I ritiri mensili

    Le lezioni di formazione cristiana

    La catechesi e le visite ai poveri

    Le letture spirituali e le pubblicazioni

    Un’accademia di amici

    Gli universitari di DYA

    6. La formazione delle persone dell’Opera

    La chiamata all’Opera

    Il Padre

    Il fondamento della vita cristiana

    Le riunioni formative

    Gli scritti

    La naturalezza nella vita sociale

    Le altre attività apostoliche

    7. Nell’Accademia durante l’estate

    Un ritiro dai Redentoristi

    Lo scambio di corrispondenza

    Noticias di DYA

    La casa desiderata

    CAPITOLO III. IL DECOLLO DELLA RESIDENZA (1934−1935)

    Le residenze di Madrid

    1. L’apertura

    Le questioni economiche e amministrative

    La benedizione e l’inaugurazione

    La promozione

    2. Sviluppi istituzionali e situazione economica

    Il governo dell’Opera

    La direzione dell’Accademia−Residenza

    La questione economica e le sue conseguenze

    I rapporti con il Vicario di Madrid e con altre personalità

    Alcune contrarietà

    3. La vita nella Residenza

    L’oratorio

    I residenti

    Il personale di servizio

    Il regolamento e la convivenza

    4. L’Accademia

    Le lezioni

    Il corso di religione

    5. L’apostolato con gli universitari

    Lo studio

    L’amicizia con Dio

    Le lezioni di formazione cristiana

    Il ritiro mensile

    Catechismo e visita ai poveri

    Amicizia e convivenza

    6. La formazione dei membri dell’Opera

    La chiamata all’Opera

    Le persone che si avvicinarono all’Opera

    La formazione personale e collettiva

    Gli scritti

    Altre dimensioni dell’apostolato del fondatore

    7. Gli amici di DYA

    8. Un’estate con I residenti

    Corrispondenza e Noticias

    Un nuovo ritiro dai Redentoristi

    CAPITOLO IV. LA RESIDENZA DYA AL CULMINE (1935−1936)

    1. La sede dell’Accademia−Residenza

    La Residenza di calle Ferraz 50

    L’Accademia di calle Ferraz 48

    2. Il governo del progetto

    La gestione economica e amministrativa

    Contatti istituzionali

    3. Gli abitanti di DYA

    I residenti

    Il personale di servizio

    Orario e regolamento

    4. Le attività accademiche

    Lo studio

    Le lezioni nell’Accademia

    5. Vita cristiana

    Orazione e culto eucaristico

    Altri aspetti della formazione

    6. La formazione delle persone dell’Opera

    La formazione in DYA

    La vita in famiglia

    Altri campi di apostolato

    7. La società di Collaborazione Intellettuale

    8. La personalità di DYA

    Incontri tra amici e feste

    Sport e gite

    Prosopografia

    CAPITOLO V. LA RESIDENZA DI CALLE FERRAZ 16 (1936−1939)

    1. DYA e la situazione socio−politica

    Un residente incarcerato e condannato

    2. Una nuova sede

    Programmi di espansione

    L’acquisto dell’immobile

    3. Gli effetti della guerra civile spagnola

    Tra rifugi e proteste

    I preparativi da Burgos

    La fine di DYA

    BIBLIOGRAFIA

    ©José Luis González Gullón

    ©Fundación Studium

    ISBN: 978-84-09-34118-4

    I primi anni dell’Opus Dei

    Fondazione e Residenza DYA (1928−1939)

    José Luis González Gullón

    Traduzione di Vittorio Varvaro

    A cura di Cosimo Di Fazio

    SIGLE

    ACCAM: Archivio Centrale della Curia dell’Arcidiocesi di Madrid

    ADZ: Archivio della Diocesi di Saragozza

    AGA: Archivio Generale dell’Amministrazione, Alcalá de Henares

    AGP: Archivio Generale della Prelatura dell’Opus Dei, Roma.

    AGUCM: Archivio Generale dell’Università Complutense di Madrid

    AHDM: Archivio Storico della Diocesi di Madrid

    AHN: Archivio Storico Nazionale, Madrid

    AVM: Archivio Generale della Città di Madrid

    PRESENTAZIONE

    Josemaría Escrivá de Balaguer ha diffuso il messaggio dell’Opus Dei fin dalla sua fondazione, il 2 ottobre 1928[1]. Presto formò piccoli gruppi di studenti, laureati, impiegati, artigiani, lavoratori manuali e sacerdoti. Cinque anni più tardi aprì a Madrid un’accademia per l’approfondimento degli studi universitari, l’Accademia DYA. L’intenzione di questo progetto era di trasmettere lo spirito dell’Opera, specificamente agli studenti e ai laureati. Nel 1934 l’iniziativa si ampliò con la creazione di una residenza universitaria, l’Accademia—Residenza DYA, attiva per due anni accademici, fino allo scoppio della guerra civile spagnola nel luglio del 1936.

    La storia della DYA aiuta a capire la figura di Josemaría Escrivá de Balaguer e il modo in cui comunicava il messaggio dell’Opera. Nell’accostarci a quegli anni, ci addentriamo in un periodo appena successivo alla fondazione, ad anni in cui il fondatore riceveva quelle che poi chiamò particolari luci di Dio.

    Frequentavano l’Accademia -Residenza molte persone con cui il fondatore era entrato in contatto. Si trattava soprattutto di studenti universitari che si ritrovarono, negli anni della Seconda Repubblica spagnola (1934−1936), in un contesto di grandi passioni e di grandi agitazioni, di confronti socio-politici sempre più aspri.

    In questo libro analizzeremo il duplice soggetto storico che caratterizzò DYA. Per un verso, l’Accademia-Residenza fu il luogo dove si svolgeva l’attività accademica e residenziale; per un altro, fu l’ambito in cui Josemaría Escrivá de Balaguer diffuse il messaggio dell’Opus Dei. Questo duplice aspetto —che si svelerà progressivamente, man mano che illustreremo attività accademiche, scientifiche e formative— influenzerà successivamente alcune caratteristiche dell’Opera. Certamente la storia dell’Accademia-Residenza fu una realtà circoscritta, soprattutto se paragonata alle vicende della Spagna e della Chiesa in quei tempi, su cui faremo delle digressioni di micro-storia, ma si tratta di una vicenda emblematica per comprendere l’avvio dell’apostolato dell’Opus Dei.

    Dopo la guerra civile spagnola le persone dell’Opera aprirono alcune residenze universitarie, come quella di Jenner (Madrid, 1939), Samaniego (Valencia, 1940) o Zurbarán (Madrid, 1945). A metà degli anni quaranta del secolo scorso l’Opus Dei si diffuse nei cinque continenti e contemporaneamente furono inaugurate diverse residenze, tuttora esistenti, come la Residenza Universitaria Panamericana (Città del Messico, 1949), la RUI (Roma, 1958) Althaus (Bonn, 1959), Ashwell House (Londra, 1962), Los Aleros (Buenos Aires, 1963) o Warrane College (Sydney, 1971).

    Su DYA finora erano stati pubblicati brevi studi, nelle biografie sul fondatore e nelle storie dell’Opera, tra cui spicca la monografia di John Coverdale sui primi anni dell’Opus Dei[2]. Esistono anche due ricerche specifiche: una panoramica della documentazione dell’Archivio Generale della Prelatura su DYA e la pubblicazione delle lettere di un residente ai suoi genitori[3]. Sono stati inoltre pubblicati diversi documenti e racconti della vita di Escrivá de Balaguer in quegli anni, in particolare i suoi appunti sui rapporti intercorsi col vicario generale della diocesi di Madrid-Alcalá, e le ricerche relative al suo lavoro pastorale nel Patronato di Santa Isabel[4].

    La nostra monografia è pensata per un pubblico non particolarmente esperto delle vicende della Seconda Repubblica spagnola né della storia dell’Opus Dei. Si consiglia in tal senso la lettura del dizionario dedicato al fondatore dell’Opera[5] e della sua biografia scritta da Andrés Vázquez de Prada[6]. Il dizionario presenta sinteticamente molti aspetti della vita e del messaggio di Josemaría Escrivá de Balaguer; a sua volta, la biografia analizza dettagliatamente la vita spirituale del fondatore —ciò che la Chiesa chiama santità di vita che culminò nel 2002 con la canonizzazione—, aspetto chiave e imprescindibile per chi vuole capire la forza con cui operò Josemaría Escrivá nella diffusione dell’Opus Dei.

    Per la metodologia adottata, questo testo può inserirsi, in buona misura, negli studi di storia culturale e religiosa, soprattutto nell’analisi del contesto universitario dell’epoca e nei risvolti sociologici e prosopografici.

    Dato che l’oggetto storico del libro è l’Accademia - Residenza DYA, il lettore non troverà una biografia di Josemaría Escrivá de Balaguer, e neppure una storia dell’Opus Dei tra gli anni 1933 e 1936, anche se buona parte della vita del fondatore e del suo messaggio si intrecciò con la storia di DYA. Per questa ragione, non analizzeremo la sua tesi dottorale né i suoi impegni pastorali o l’insieme delle persone che trattava, a voce o per corrispondenza[7]. Tuttavia, ricorderemo le persone che frequentarono DYA e a piè di pagina riporteremo i dati biografici di chi ebbe un più stretto rapporto con il fondatore.

    Gli scenari spaziali e cronologici nei quali ci muoveremo sono ben delimitati. Apre il libro un capitolo che analizza gli anni precedenti l’apertura di DYA (1927−1933). Dopo alcuni brevi riferimenti all’Università di Madrid e al ruolo degli intellettuali spagnoli in quell’epoca, si illustra il contesto nel quale nacque, nella mente del fondatore, l’idea di aprire un’accademia universitaria.

    Dopo, il secondo capitolo inizia illustrando il mondo studentesco di allora, per passare poi all’Accademia DYA, che, tra il dicembre del 1933 e il settembre del 1934, aveva sede in calle Luchana 33.

    Il terzo capitolo è dedicato all’anno accademico 1934−1935, primo anno dell’Accademia-Residenza in calle Ferraz 50. Come introduzione, basta una breve panoramica sul ruolo delle residenze universitarie in quel periodo di crescente tensione sociale. Successivamente, analizzeremo in dettaglio l’evoluzione di DYA, sia negli aspetti didattici e residenziale, lezioni nell’Accademia e vita della Residenza, sia in quelli formativi cristiani.

    L’anno accademico 1935−1936 è l’oggetto del quarto capitolo. Si metterà in rilievo il successo della Residenza DYA, con l’affluenza di numerosi universitari, sullo sfondo di una crisi molto complessa per l’Università e per la società spagnola in genere.

    Il quinto capitolo comincia con la descrizione della situazione socio-politica spagnola nella primavera del 1936. Quindi, si spiegano i motivi per cui DYA, nel mese di luglio, cambiò sede. Infine si illustra lo stato in cui si ritrovò la casa durante la guerra civile spagnola.

    Questo libro è stato scritto sulla base delle fonti disponibili, abbondanti per alcuni argomenti, scarse per altri. Le fonti primarie provengono dall’Archivio Generale della Prelatura dell’Opus Dei. Tra esse, il diario di DYA —che ci è servito per strutturare il libro— è una ricca risorsa storica. Spesso siamo riusciti a rimanere dietro agli avvenimenti, lasciando che fosse il redattore del diario a raccontare, col suo stile personale, quali furono le persone o le vicende di maggior rilievo. Inoltre, sono risultati utili gli schemi per le lezioni di formazione cristiana impiegati dal fondatore dell’Opera, i riassunti delle riunioni del primo Consiglio dell’Opera e la corrispondenza di Josemaría Escrivá de Balaguer, degli altri membri dell’Opera e di alcune persone conosciute.

    Abbiamo consultato anche alcuni archivi statali di Madrid. Tra le fonti secondarie, sono stati estremamente preziosi i ricordi delle persone che frequentarono il fondatore[8]. Abbiamo anche potuto intervistare, prima che morissero, José Ramón Herrero Fontana e Javier Lahuerta Vargas, che avevano frequentato l’Accademia-Residenza.

    Infine, descriviamo il diario dell’Accademia−Residenza, che è stata la fonte essenziale per il nostro studio.

    Josemaría Escrivá de Balaguer era ben consapevole che stava contribuendo alla nascita di un nuovo fenomeno pastorale nella vita della Chiesa. Per questo motivo archiviò, per quanto possibile, i resoconti degli avvenimenti. A tal riguardo, affidò ai suoi Apuntes íntimos[9] e ad altri scritti personali, gli aspetti che riguardavano il progresso interno dell’Opus Dei, segnato da luci e mozioni che, come diceva, Dio gli andava concedendo. Dopo, quando si aprì l’Accademia DYA, il fondatore stabilì che si scrivesse un diario, affinché rimanesse memoria degli avvenimenti significativi, anche se minimi, della vita quotidiana[10] (gli faceva piacere pure che si facessero delle fotografie, per conservare alcuni documenti visivi per i posteri[11]). Come scrisse un mese più tardi, «di tutto l’apostolato esterno dell’Opera di Dio di solito non prenderò nota. Se ne occupano i ragazzi»[12]. Infatti i membri dell’Opera si avvicendavano nell’annotare anche solo qualche riga su ciò che avveniva ogni giorno[13].

    In questo modo scrissero cinque quaderni, che costituiscono il Diario di DYA, tra il 1933 e il 1936[14]:

    Diario 1, intitolato "Quaderno N. 1. Diario della Casa dell’Angelo Custode, che riguarda il periodo tra il 15 novembre 1933 e il 2 settembre 1934[15]. Si compone di 223 pagine: 206 seguite da altre 17 intercalate. Si cominciò a scrivere il 25 gennaio 1934 —ricostruendo a memoria quello che era successo nelle prime settimane— e si concluse il giorno 26 febbraio[16]. La finalità del diario, come è detto all’inizio, è che si possa «sapere come questa [iniziativa] era cominciata, e di quali mezzi si era avvalso il Signore per la sua O. [Opera]»[17]. Manuel Sainz de los Terreros scrisse il diario dal 15 novembre 1933 al 5 luglio 1934 e Ricardo Fernández Vallespín continuò la redazione tra il 15 luglio e il 2 settembre 1934.

    Diario 2, intitolato Quaderno N. 2. Diario della Casa dell’Angelo Custode, compilato fra il 3 settembre 1934 e il 5 aprile 1935. Contiene 206 pagine: 201 seguite da altre 5 intercalate. Ricardo Fernández Vallespín vi scrisse dal 3 settembre al 16 ottobre 1934; Manuel Sainz de los Terreros gli subentrò dal 19 ottobre 1934 al 9 aprile 1935.

    Diario 3, intitolato Quaderno N. 3. Diario della Casa dell’Angelo Custode, scritto tra il 10 aprile e il 15 settembre 1935. Sono 107 pagine: 91 di fila più 16 aggiunte. Lo scrissero Manuel Sainz de los Terreros dal 10 aprile al 19 maggio 1935; Ricardo Fernández Vallespín, dal 9 giugno al 15 settembre 1935; e Julio Roca, dal 9 agosto al 20 agosto 1935. Vi sono inoltre tre annotazioni isolate di Fernández Vallespín: una del settembre 1935, senza data; un’altra del 20 ottobre 1935 e una terza del 28 gennaio 1936.

    Diario 4, intitolato Diario N. 3 [sic]. Sono 181 pagine, scritte tra il 24 settembre 1935 e il 3 maggio 1936. I redattori del diario furono: Álvaro del Portillo, dal 24 settembre al 12 novembre 1935; Juan Jiménez Vargas, dal 14 novembre al 4 dicembre 1935; Álvaro del Portillo, dal 5 dicembre 1935 al 22 gennaio 1936 (con alcune annotazioni di Manuel Sainz de los Terreros, il 16 dicembre 1935); Pedro Casciaro, dal 23 gennaio al 16 febbraio 1936; Josemaría Escrivá, dal 24 al 25 febbraio 1936; Ricardo Fernández Vallespín, il 26 febbraio 1936; Pedro Casciaro, dal 26 febbraio al 31 marzo 1936; e Juan Jiménez Vargas, dall’1 aprile al 3 maggio 1936.

    Diario 5, intitolato semplicemente 5. 202 pagine, scritte tra il 4 maggio e il 28 luglio 1936. Fu scritto esclusivamente da Juan Jiménez Vargas.

    Ringrazio Mons. Javier Echevarría, vescovo e prelato dell’Opus Dei, per la fiducia dimostratami, permettendomi di fare ricerche nell’Archivio della Prelatura, anche se attualmente sottoposto ad un riordino. Sono anche in debito di gratitudine verso i professori Mercedes Alonso, Constantino Ánchel, Eduardo Baura, José Luis Illanes, Jesús Longares, José Manuel Martín, Lucas Francisco Mateo-Seco, Fernando de Meer, Ignacio Olábarri, María Eugenia Ossandón, Santiago de Pablo, Cristóbal Robles e Alfredo Verdoy, che hanno letto una delle versioni del manoscritto del libro e mi hanno inviato preziosi suggerimenti.

    Torna all'indice

    Prossimo capitolo

    [1] Siccome l’oggetto storico del nostro studio si colloca negli anni trenta del secolo scorso, utilizzeremo i modi usati allora per riferirsi alle persone e agli avvenimenti. Così, il nome del fondatore dell’Opus Dei apparirà come era: José María Escrivá Albás. Fu più tardi, negli anni sessanta, che sulla carta intestata riunì in uno i due primi nomi di battesimo, Josemaría, per devozione a san Giuseppe e alla Vergine Maria.

    Allo stesso modo, salvo che in questa introduzione, il primo cognome apparirà come egli lo utilizzava negli anni trenta: Escrivá. Successivamente —nell’ottobre del 1940— adottò la dizione Escrivá de Balaguer (Balaguer è il territorio di Lérida in cui, nei secoli passati, si erano stabiliti gli Escrivá). Il motivo del cambiamento fu il desiderio di distinguersi da altri rami della famiglia, perché talvolta col suo cognome si faceva un po’ di confusione. Per esempio, nello stesso edificio in cui aveva sede la Residenza DYA, a Madrid, c’era una famiglia che si chiamava Escrivá de Romaní, che non era imparentata con gli Escrivá Albás.

    D’altra parte, l’espressione Opus Dei fu utilizzata da José María Escrivá dopo la guerra civile spagnola. Negli anni trenta impiegò l’espressione l’Opera di Dio o, semplicemente, l’Opera. Per questo motivo, menzioneremo l’Opus Dei solo in contesti generici.

    [2] Cfr. John F. Coverdale, La fundación del Opus Dei, Ariel, Barcelona 2002, pp. 123−165.

    [3] Cfr. Constantino Ánchel, Fuentes para la historia de la Academia y de la Residencia DYA, Studia et Documenta 4 (2010) 45-101; e José Carlos Martín de la Hoz — Josemaría Revuelta Somalo, Un estudiante en la Residencia DYA. Cartas de Emiliano Amann a su familia (1935−1936), Studia et Documenta 2 (2008) 299−358. Citeremo l’Archivio Generale della Prelatura con la sigla AGP perché è quella adottata da molte pubblicazioni sulla storia dell’Opus Dei. In Spagna questa sigla è usata dai ricercatori per indicare l’Archivio Generale di Palazzo (Madrid).

    [4] Cfr. Santiago Casas Rabasa, Las relaciones escritas de san Josemaría sobre sus visitas a Francisco Morán (1934−1938), Studia et Documenta 3 (2009) 371−411; Beatriz Comella Gutiérrez, Josemaría Escrivá de Balaguer en el Real Patronato de Santa Isabel de Madrid (1931−1945), Rialp, Madrid 2010; Idem, Introducción para un estudio sobre la relación de Josemaría Escrivá de Balaguer con el Real Patronato de Santa Isabel de Madrid, Studia et Documenta 3 (2009) 175−200.

    [5] Cfr. Diccionario de San Josemaría Escrivá de Balaguer, Monte Carmelo — Instituto Histórico San Josemaría Escrivá, Burgos 2013.

    [6] Cfr. Andrés Vázquez de Prada, Il Fondatore dell’Opus Dei, vol. I (Signore, che io veda!), Leonardo International, Milano 1998; vol. II (Dio e audacia), Leonardo International, Milano 2003; vol. III (I cammini divini della terra), Leonardo International, Milano 2004.

    [7] In quanto estranei all’oggetto, questa monografia non si occupa neppure di altri elementi che mostrano la ricchezza interiore del fondatore dell’Opus Dei —la sua vita di relazione amorosa con Dio— o del significato teologico e giuridico del messaggio dell’Opera. Ci limitiamo a mostrare la vita del fondatore dell’Opus Dei negli aspetti più inerenti alla storia dell’Accademia e della Residenza DYA.

    [8] Molti ricordi sono estratti dalle dichiarazioni presentate in occasione della Causa di Beatificazione e Canonizzazione di Josemaría Escrivá. Qui appaiono sotto il titolo Ricordo di, seguito dal luogo e dalla data in cui furono firmati.

    [9] Sugli Apuntes íntimos del fondatore dell’Opus Dei, cfr. Josemaría Escrivá de Balaguer, Camino. Edición crítico-histórica preparada por Pedro Rodríguez, Rialp, Madrid 2004, pp. 18−27, e Pedro Rodríguez, Apuntes íntimos (obra inédita), in Diccionario de San Josemaría Escrivá de Balaguer, o.c., pp, 131−135. Non abbiamo potuto consultare questa fonte.

    [10] Poco dopo aver cominciato il diario, Josemaría Escrivá diede al suo primo redattore, Manuel Sainz de los Terreros, la seguente istruzione: «da ora in avanti metteremo in questo diario non solo quello che succede o si progetta, ma tutte le osservazioni che facciamo, che pensiamo siano di qualche interesse in futuro e tutto ciò che riteniamo opportuno, con assoluta libertà» (Diario de Luchana, 22−III−1934, pp. 58 e 59, in AGP, serie A.2, 7−2−1); lì si dice che il sacerdote Pedro Poveda confidò a Josemaría Escrivá che si pentiva di non aver fatto lo stesso con l’Istituzione Teresiana (cfr. ibidem, p. 58). Anche Ricardo Fernández Vallespín, direttore di DYA, ricevette l’indicazione di «annotare qualche fatto o dettaglio della nostra vita che col tempo ci aiuterà a ricordare» (Scritto da Ricardo Fernández Vallespín, 29−V−1934, in AGP, serie A.2, 7−2−1).

    [11] Cfr. Diario de Luchana, 23−IV−1934, pp. 88-89; Diario de Ferraz, 15−I−1935, p. 111; 17−I−1935, p. 115; e 19−I−1935, p. 118.

    [12] Apuntes íntimos, n. 1097 (30−XII−1933), in Josemaría Escrivá de Balaguer, Camino. Edición crítico-histórica, o.c., p. 885.

    [13] Conosciamo il metodo che seguì uno di loro, Juan Jiménez Vargas: durante la giornata prendeva nota nella sua agenda degli avvenimenti che considerava rilevanti e la sera li passava in bella nel diario (cfr. Diario di Ferraz, 19-VI-1936, p. 43a).

    [14] Cfr. Diario 1, in AGP, serie A.2, 7−2−1; Diario 2, con la stessa segnatura; Diario  3, in AGP, serie A.2, 7−2−2; Diario 4, in AGP, serie A.2, 7−2−3; e Diario 5, AGP, serie A.2, 7−2−4. Al fine di evitare ripetizioni, non scriveremo di nuovo i riferimenti archivistici di questi documenti, né ricorderemo le persone che ne furono i redattori.

    [15] Spiegheremo in seguito che la Casa dell’Angelo Custode fu il nome della prima sede dell’Opera.

    [16] Manuel Sainz de los Terreros scrisse il diario in casa della sua famiglia fino al 26 febbraio, giorno in cui lo portò all’Accademia (cfr. Diario di Luchana, 26−II−1934, p. 47). Supponiamo che, da quel momento, scrisse il diario nella sede dell’Accademia.

    [17] Diario di Luchana, 25−I−1934, p. 2.

    CAPITOLO I. I PRIMI PASSI DELL’OPUS DEI

    Il nostro racconto comincia nel 1927, quando José María Escrivá si trasferì a Madrid. In quegli anni la Spagna era una nazione di profilo modesto, sia per la sua forza economica che per il suo sviluppo sociale. Il paese si era lasciato alle spalle la perdita di Cuba, di Puerto Rico e delle Filippine nel cosiddetto disastro del 1898 e, ripiegato in sé stesso, attraversava una lunga fase di modernizzazione.

    Contando sull’appoggio del re Alfonso XIII, nel 1923 alcuni generali, con in testa Miguel Primo de Rivera, avevano fatto un colpo di Stato. Il dittatore aveva proposto un ambizioso programma di progresso, che includeva tre punti: la fine della guerra con le tribù marocchine del Rif, che si concluderà nel 1926; il rinnovamento della vita politica e istituzionale, obiettivo mancato, perché non concesse le indispensabili libertà politiche; e la pacificazione sociale, un compito impegnativo, che non seppe affrontare per svariati motivi, come il confronto con le idee rivoluzionarie o le conseguenze dell’intenso esodo dalle campagne verso le grandi città[1].

    Nel 1927 il generale Primo de Rivera teneva in piedi un regime che, pur essendo un direttorio civile —era stata ripristinata la carica di presidente del Consiglio dei Ministri ed era stata creata una Assemblea Nazionale Consultiva—, non disponeva degli strumenti necessari per stimolare la vita politica. Cominciavano a moltiplicarsi le voci a favore di un sistema repubblicano, anche tra alcuni politici di destra, come Niceto Alcalá−Zamora o Miguel Maura, e fra gli intellettuali[2]. Inoltre, nelle grandi città cresceva il desiderio di cambiamento, soprattutto di una maggiore partecipazione alla vita sociale. I partiti politici e i sindacati vedevano aumentare il numero di iscritti. La diffusione delle idee trovava nuovi campi di espressione attraverso il cinema e la radio, e gli incontri sportivi e folcloristici mobilitavano le masse.

    La capitale, Madrid, risentiva in quegli anni di una forte espansione. Pur non essendo originariamente una città industriale, fin dall’inizio del XX secolo vi si erano stabilite parecchie imprese e industrie, con la corrispondente crescita del numero dei lavoratori. Si verificò un’autentica alluvione di immigranti dalle campagne, alla ricerca di migliori condizioni di vita, anche in settori dove il lavoro era duro, come quello edile o ferroviario. Così, dai 750.800 abitanti del 1921, Madrid passò agli 866.200 del 1927. La popolazione era foranea ed era giovane: il 68,6% degli abitanti era nato fuori dalla capitale; l’età media era di 29,1 anni e la media di quelli in età lavorativa si aggirava sui 35 anni[3].

    La distribuzione della popolazione madrilena rispecchiava le differenze sociali ed economiche tra i vari gruppi. La zona del centro e quella della prima espansione erano abitate da gente di buona posizione sociale, soprattutto nei quartieri creati da progetti urbanistici definiti, come quello di Salamanca. Invece i quartieri della zona sud di sviluppo e quelli periferici presentavano vasti insediamenti di baracche, abitate da operai e impiegati. A nord, attorno alla borgata di Tetuán de las Victorias, abitavano persone di scarse risorse economiche[4].

    Da parte sua, la Chiesa cattolica in Spagna contava 49.000 sacerdoti e religiosi[5]. Il suo statuto giuridico era definito nel Concordato del 1851. Lo stato era confessionale cattolico, con una voce del bilancio nazionale destinata al culto e clero, e con vari vescovi che, in accordo con la costituzione del 1876 ancora vigente, erano senatori in Parlamento. Il multisecolare impianto della Chiesa era organizzato in diocesi, a loro volta divise in parrocchie. La capitale, Madrid, faceva parte della diocesi di Madrid−Alcalá, suffraganea di Toledo. Il vescovo era Leopoldo Eijo Garay, al governo della diocesi dal 1923.

    Alla fine degli anni venti risiedevano a Madrid in modo stabile 1.700 sacerdoti, dei quali 1.100 erano secolari o diocesani e 600 di ordini e congregazioni religiosi. Il numero era sufficiente per l’assistenza spirituale degli abitanti della capitale. Tra i secolari, la metà apparteneva alla diocesi di Madrid−Alcalá, e l’altra metà proveniva da altre. I presbiteri servivano con il loro ministero un certo numero di istituzioni, sia ecclesiastiche che civili: parrocchie, comunità religiose, ospedali, scuole e cimiteri. La maggior parte di questo clero viveva modestamente[6].

    L’Università di Madrid

    Nel 1927 in Spagna vi erano dodici università. Gli studenti erano poco più di 30.000, di cui il 5 per cento; la percentuale femminile sarebbe aumentata fino all’8,8 per cento nell’anno accademico precedente alla guerra civile. Come accadeva nel resto d’Europa, i giovani costituivano la speranza intellettuale del paese, dato che solo l’un per cento della popolazione possedeva un titolo universitario.

    La capitale era la principale città spagnola quanto ad offerta accademica, grazie all’Università Centrale, denominata anche Università di Madrid, e alle scuole tecniche superiori[7]. La Centrale si preparava a celebrare i cento anni della sua attività nella capitale spagnola. La Legge Generale sull’Istruzione Pubblica, Legge Moyano, promulgata dalla Regina Isabella II, regolava la vita universitaria, anche se durante la Restaurazione aveva subito alcune modifiche riguardo al numero delle facoltà, i programmi di studio, lo statuto dei docenti e il governo dei centri universitari[8].

    L’Università Centrale era composta da cinque facoltà. La Facoltà di Scienze riuniva le sezioni di Scienze esatte, Fisico−matematica e Fisica, Fisico−Chimica, Chimica e Scienze naturali; la laurea si otteneva in quattro anni. La Facoltà di Giurisprudenza (Diritto) prevedeva un corso quinquennale, preceduto da un anno preparatorio. La Facoltà di Filosofia e Lettere era divisa in quattro sezioni: Filosofia, Lettere, Storia e Pedagogia[9]. Tutte queste facoltà avevano la loro sede in calle San Bernardo.

    La Facoltà di Medicina, invece, si trovava in calle Atocha 104 ed era una delle più grandi, con 4.000 studenti immatricolati, che completavano i loro studi in sette anni. Frequentavano le varie specialità nell’Ospedale Clinico San Carlos, adiacente alla Facoltà, o in alcuni padiglioni situati nella zona della Moncloa. La Facoltà, inoltre, si avvaleva di un Istituto di Odontologia, specializzazione che si otteneva in due anni accademici. Infine, la Facoltà di Farmacia, in calle Farmacia 11, concedeva il titolo dopo cinque anni di studi; gli studenti del primo anno dovevano presentarsi alla Facoltà di Scienze per superare alcuni corsi comuni.

    L’ambito universitario includeva anche l’insegnamento tecnico. La Scuola Superiore di Architettura richiedeva il superamento di sette materie dei primi anni del corso in Scienze Esatte e tre esami di disegno, come condizione necessaria per l’iscrizione. D’altra parte, esistevano numerose scuole di specializzazione per ingegneri: Ingegneria di Strade, Canali a Porti; Ingegneria Agronomica; Ingegneria delle Montagne; Ingegneria mineraria; Ingegneria Industriale; Ingegneria Navale; Ingegneria delle Telecomunicazioni.

    Gli edifici universitari —facoltà, scuole, aule e biblioteche— sparpagliati per Madrid, erano scarsamente funzionali, determinando grandi disagi per professori e studenti[10]. Per attenuarli, negli anni venti si cominciò a costruire la cosiddetta Città Universitaria, con un campus moderno e ben attrezzato. In tal modo il contesto urbano si dilatava verso ovest[11].

    Circa dodicimila studenti erano iscritti all’Università Centrale e alle Scuole Superiori. I requisiti necessari per immatricolarsi erano tre: aver compiuto quindici anni, possedere il diploma di licenza liceale e, in alcuni casi, superare un esame di ammissione o frequentare un corso preparatorio. Il calendario accademico cominciava il 1° ottobre e si concludeva il 31 maggio, con due periodi di vacanze a Natale e nella Settimana Santa. Lo studente poteva frequentare le lezioni —insegnamento ufficiale— oppure limitarsi a dare gli esami[12]. Gli esami ordinari avevano luogo a maggio, giugno e settembre, e gli appelli straordinari si fissavano a discrezione della facoltà o della scuola corrispondente.

    Gli intellettuali spagnoli

    Così come qui viene intesa, la figura dell’intellettuale fece la sua comparsa a fine Ottocento, in una Francia segnata dalla democratizzazione della vita sociale e politica[13]. L’intellettuale era una persona di cultura generalmente liberale, versatile in scienze umanistiche —spesso era uno scrittore—, esistenzialmente legata ai destini del suo paese[14]. In un’accezione più generica, il termine intellettuale comprendeva i membri della comunità accademica, soprattutto i professori, ma anche gli studenti e i laureati.

    In ogni paese occidentale gli intellettuali costituivano una minoranza. Difendendo l’identità del paese, miravano a dar vita a una nazione nuova, capace di attuare il proprio destino nella storia. Questo piano nazionale doveva adeguarsi alle caratteristiche peculiari, vale a dire, alle sue espressioni culturali e alle sue tradizioni politico−sociali. Un tale cambiamento nelle strutture e nella mentalità sarebbe avvenuto grazie alle istituzioni dello Stato. Per questo motivo si pose un particolare accento sulla necessità che l’insegnamento —da quello elementare a quello universitario— fosse conforme ai principi.

    Nella Spagna del XIX secolo il mondo intellettuale aderì alle grandi correnti culturali del momento, a cominciare da quella liberal−progressista, tesa a riformare il paese mediante l’educazione e la scienza, secondo una concezione immanente dell’uomo. Un’altra corrente era quella confessionale cattolica, che propugnava una visione tradizionale e trascendente della persona umana, a cui si aggiungeva una coscienza unitaria della Spagna inseparabile dalla fede cattolica del popolo. Oltre a queste due correnti, fiorivano delle sotto−culture di carattere reazionario come l’integralismo cattolico, o rivoluzionario come il socialismo, il marxismo e l’anarchismo. Nell’ambito universitario spagnolo si diceva che la corrente liberal progressista era la più influente, ma erano pure numerosi i docenti di mentalità tradizionale o di tendenze socialiste.

    L’ideologia liberale della sinistra borghese aveva trovato il suo catalizzatore nella Institución Libre de Enseñanza (ILE). Le sue radici si ritrovavano nella filosofia idealista di Krause, discepolo di Schelling. Era stata adattata, a metà del XIX secolo, alla peculiarità culturale spagnola da Julián Sanz del Río. Più che una filosofia, il Krausismo era una morale e una teoria dell’educazione, un movimento di riforma destinato a instaurare un nuovo modo di convivenza. Quando Francisco Giner de los Ríos, successore di Sanz del Río, con altri professori universitari fu allontanato dalle aule per aver criticato la mancanza di libertà d’insegnamento in Spagna, venne istituzionalizzato il krausismo creando nel 1876 la ILE, i cui scopi erano l’approfondimento e la diffusione della scienza attraverso l’insegnamento, dalle scuole elementari alle superiori. I fondamenti statutari proclamarono il principio di libertà di scienza, in accordo con una coscienza individuale e autonoma, estranea al dogma o ad autorità esterne. La ILE rifiutava in tal modo l’esistenza di una rivelazione divina. Non è che i krausisti fossero atei, perché spiegavano che la ragione si pone sempre la domanda su Dio e, di fatto, nella prima generazione dell’istituzione vi fu una notevole religiosità. Ma la concezione immanente li rendeva intellettualmente gnostici[15].

    In questa guerra di idee, di radice religiosa, la battaglia fu ingaggiata sul fronte dell’insegnamento. Secondo i riformatori, il progresso della scienza —la ragione che indaga liberamente la verità— era incompatibile con la fede cattolica —fondata sui dogmi—. Pertanto, l’educazione doveva essere laica[16]. Per loro l’aconfessionalità era un principio basilare per la maturazione integrale dell’uomo. Propugnavano programmi di secolarizzazione come condizione sine qua non per portare a buon fine la riforma di cui la Spagna aveva bisogno. L’insegnamento della religione doveva essere eliminato in ogni ambito scolastico, e sostituito da una educazione morale basata sull’onestà, il patriottismo e la tolleranza.

    I tira e molla con i politici della Restaurazione, l’evoluzione del krausismo alla fine del XIX secolo e gli effetti politici della guerra del 1898 con gli Stati Uniti, limitarono l’introduzione in grande scala dei progetti istituzionali. Inoltre, la ILE fallì il tentativo di costituirsi in università privata, per cui l’espansione avvenne attraverso enti minori. Concretamente, nel 1878 fu aperta a Madrid una scuola elementare e, più modesta, una scuola secondaria, oltre a un centro studi universitari dove si impartivano lezioni al di fuori dell’insegnamento ufficiale. Nello stesso tempo, e a causa della scarsa incisività delle iniziative private in Spagna, la ILE sostenne la ricerca nei centri ufficiali e domandò aiuti economici allo Stato[17].

    Per la ILE l’occasione propizia si presentò nel 1900 con la creazione del Ministero dell’Istruzione Pubblica e, soprattutto, quando questo Ministero, sette anni dopo, istituì la Giunta per l’Ampliamento degli Studi e della Ricerca Scientifica (JAE), un’agenzia statale promossa e coordinata dalla ILE. Nel corso dei successivi tre decenni la JAE favorì il progresso scientifico in Spagna. Concesse circa cinquanta borse di studio ogni anno a professori e a laureati per svolgere attività di ricerca in centri internazionali di prestigio. Inviò delegazioni ai congressi scientifici e intrattenne relazioni culturali con varie istituzioni straniere[18]. All’interno della Spagna creò alcuni organismi con l’intento di rinnovare la ricerca, come il Centro di Studi Storici e l’Istituto Nazionale di Scienze. Inoltre gestì parecchie iniziative di carattere educativo, tra le quali si possono ricordare la Residencia de Estudiantes (1910) e l’Instituto−Escuela (1918). La Residencia de Estudiantes per universitari, costituita dalla Residencia masculina e dalla Residencia de Señoritas, costituì il Circolo di Belle Arti e l’Ateneo come il principale ambito culturale di Madrid[19]. Da parte sua, l’Instituto−Escuela fu un centro pubblico in un regime di coeducazione. Il suo corpo docente si era costituito per libera indicazione della JAE. Questi moderni metodi pedagogici furono immediatamente apprezzati dalle famiglie di tradizione liberale, che inviarono in queste scuole i loro figli[20].

    I primi decenni del XX secolo furono contrassegnati, nella cultura occidentale, da una profonda crisi di valori. Il concetto di uomo, tanto nella versione razionalista come in quella tradizionalista, si era logorato. Si cercarono allora nuovi modelli per comprendere la realtà umana, o argomenti che sostenessero l’ambizione del progresso inarrestabile, attraverso il progresso della scienza, dell’economia capitalista o del materialismo storico[21].

    Paradossalmente, la Spagna vide alcuni decenni di crescita culturale, una Età di Argento, con intellettuali, scrittori e artisti di tre generazioni, quella del ’98, quella del ’14 e quella del ’27. Se la generazione del ’98 era stata quella della protesta, coerentemente con la sua origine romantica, quella del ’14 propugnò l’azione attraverso il progresso della scienza e l’inserimento nella cultura europea secolarizzata. La generazione letteraria e scientifica del ’27 fu una avanguardia liberale, che tentò di impiantare la morale della scienza come fondamento di un patriottismo non esente da formulazioni e conseguenze politiche[22]. Un pensatore influente del primo terzo del secolo fu José Ortega y Gasset, che si assunse il compito di trasformare la cultura spagnola tradizionale mediante il modello offerto dalla scienza moderna. Si impegnò perché le idee contemporanee, che in fin dei conti erano appannaggio di una minoranza liberale, arrivassero alle masse, allora prive di cultura, attraverso l’insegnamento[23].

    Da parte loro, anche gli intellettuali cattolici difesero il concetto secondo cui a ogni nazione spettava, per diritto proprio, un ruolo da svolgere nella storia dell’umanità. Sin dalla fine del XIX secolo la gerarchia cattolica aveva pensato ad un progetto corporativo e confessionale alternativo al liberalismo: l’instaurazione di un ordine sociale cristiano che rendesse possibile la riconquista cattolica della nazione e che fondasse il regno di Cristo sulla terra. Fra le tante realizzazioni, forse la più nota fu l’Associazione Cattolica Nazionale dei Giovani Propagandisti, creata nel 1909. Gli scrittori e gli intellettuali propagandisti costituirono una minoranza selezionata, pronta a dirigere l’azione sociale dei cattolici e ad influire sulla vita pubblica[24].

    Man mano che il secolo XX avanzava, l’ambito confessionale cattolico formulò due grandi progetti che, sebbene apparissero uniti dai medesimi principi, erano separati quanto alle conclusioni[25]. Gli uni condividevano gli impegni scientifici o educativi promossi dalla corrente liberale innovativa o rispondevano con modelli che, pur rimanendo cattolici, avevano qualche relazione con la cultura liberale. Gli altri, invece, si rifacevano a modelli di matrice tradizionale. Per i primi, possibilisti riguardo alle forme politiche e riformiste dello Stato, era necessario convivere con i valori della cultura contemporanea, pur non condividendone i postulati, perché pensavano che fosse possibile apportare soluzioni cristiane. Per i secondi, integralisti e anti−riformisti, la concezione laica e secolare del liberalismo e, a maggior ragione, del socialismo, rendeva impossibile un dialogo intellettuale.

    All’Università gli intellettuali cattolici si sentirono emarginati ed esclusi dalle avanguardie culturali. Non era raro incontrare docenti che difendevano, come preciso postulato, il divorzio tra ragione e fede. Questo modo di pensare disorientava gli studenti cattolici. Per esempio, uno studente di dottorato di cui parleremo, José María González Barredo, «era preoccupato per i problemi dell’Università, dato che alcuni premi Nobel (Madame Curie, per esempio) avevano perduto la fede e anche perché alcuni professori dell’Università operavano in tal senso»[26]. E Aurora Medina, una studentessa di Magistero che si formava a Madrid con le teresiane, ricordava che «aveva colleghi e professori agnostici, che spesso non erano in grado di risolvere i problemi di fede in cui si imbattevano»[27].

    1. La fondazione dell’Opera

    Proveniente da Saragozza, José María Escrivá Albás arrivò a Madrid il 20 aprile 1927[28]. Aveva venticinque anni e ne aveva appena compiuti due come sacerdote. La sua personalità si distingueva per il carattere vivo e forte, la fede in Dio, la passione per il ministero sacerdotale, la simpatia e l’amore per la libertà. Da bambino aveva assistito alla morte di tre sorelle piccole e al fallimento del negozio paterno, che aveva comportato il trasferimento della famiglia da Barbastro a Logroño. A sedici anni aveva capito che Dio lo chiamava e che il cammino per adempiere la volontà divina includeva il sacerdozio. Allora era entrato nel seminario di Logroño e successivamente in quello di San Francesco di Paola a Saragozza dove, oltre a concludere gli studi di Teologia, aveva frequentato i corsi di Diritto in quella che si chiamava Universidad Literaria. Nel novembre del 1924, quando era ormai vicina la sua ordinazione presbiterale, morì suo padre, per cui si ritrovò capo famiglia e con la necessità di sostenere economicamente sua madre e i suoi due fratelli[29].

    Escrivá voleva ottenere il dottorato di Diritto all’Università Centrale di Madrid, l’unica in Spagna che concedeva questo titolo. Perciò si iscrisse alla Facoltà di Diritto non appena arrivato nella capitale[30]. Si sosteneva con i compensi giornalieri di cinque pesetas e cinquanta centesimi, ricevuti per la celebrazione della Messa nella Chiesa pontificia di San Miguel[31]. Abitava in una pensione in calle Farmacia.

    Una settimana e mezza più tardi —era il 30 aprile 1927— si trasferì nella Casa Sacerdotale, al numero 3 di calle Larra, di fronte al giornale liberale e riformista El Sol. La Casa era gestita da una nuova e attiva congregazione religiosa, le Dame Apostoliche del Sacro Cuore[32]. La residenza aveva trentuno camere, alcune non occupate. Lì José María simpatizzò presto con altri residenti, soprattutto con i presbiteri più giovani, come Jesús Gutiérrez Ayllón, Avelino Gómez Ledo e Fidel Gómez Colomo[33].

    Fra la fine di maggio e i primi di giugno, la fondatrice delle Dame Apostoliche, Luz Rodríguez−Casanova[34], chiese per Escrivá al vescovado di Madrid−Alcalá le licenze ministeriali e la nomina a primo cappellano dell’Opera Apostolica del Patronato de Enfermos, che aveva la propria sede in calle Santa Engracia 13. Questa istituzione aveva lo scopo di fornire aiuti materiali, sanitari e spirituali a persone indigenti. Il Patronato disponeva del convento, dove vivevano otto Dame Apostoliche, a capo delle quali c’era la superiora, Rodríguez−Casanova, e vari edifici adiacenti: uno destinato a scuola di bambini, un altro alle mense di carità, e un terzo, quasi una clinica, ai malati privi di mezzi. Il 1° giugno Escrivá cominciò la sua attività pastorale nel Patronato. Immediatamente fece amicizia con il secondo cappellano, Norberto Rodríguez García[35].

    L’attività sacerdotale di Escrivá nel Patronato de Enfermos consisteva nella celebrazione della Messa alle nove del mattino, la successiva esposizione dell’Eucaristia, il servizio al confessionale della cappella e la recita del rosario alle tre e mezzo del pomeriggio, alla quale faceva seguito la benedizione con il Santissimo. A queste, aggiunse altre attività di propria iniziativa. Così, durante alcuni fine settimana ascoltava le confessioni dei bambini che le Dame Apostoliche e le loro Ausiliari portavano al Patronato perché assistessero alla Messa e ricevessero la catechesi. Erano una parte delle migliaia di bambini delle oltre cinquanta scuole semi−gratuite che le religiose gestivano, disseminate nell’hinterland di Madrid. Altre volte don José María si trasferiva in queste scuole per ascoltare le confessioni dei bambini[36]. Prese anche l’abitudine di passare a mezzogiorno dalle mense di carità —una era la mensa dei cosiddetti poveri vergognosi— per parlare con qualcuna delle oltre seicento persone che ogni giorno ricevevano un pasto gratuito nel Patronato. Inoltre, visitava a casa loro numerosi malati, che confessava e ai quali portava la Comunione. Dette pure alcune lezioni di catechesi che le Dame Apostoliche organizzavano nei quartieri più periferici[37].

    Gradualmente, le visite fuori dal Patronato ampliarono il ventaglio delle sue conoscenze: dai poveri miserabili, che vivevano in case di lamiera a Tetuán de las Victorias, fino ai parenti e agli amici aristocratici di Luz Rodríguez−Casanova[38].

    Il cappellano del Patronato percepiva circa 1.500 pesetas l’anno: 600 dallo stipendio e il resto da altre retribuzioni[39]. Un reddito inferiore alle 2.000 pesetas l’anno collocava una persona ad un livello di povertà, rendendo impossibile il mantenimento di una famiglia[40]. Per questo Escrivá cercò altre occupazioni che fossero compatibili con la sua attività pastorale.

    Nell’anno accademico 1927−1928 ottenne un posto di professore di Diritto Romano e di Istituzioni di Diritto Canonico nell’Academia Cicuéndez. Especial de Derecho[41]. L’Accademia era un centro di «insegnamento privato di studi giuridici»[42], dove gli alunni, interni ed esterni approfondivano la conoscenza delle materie insegnate a Legge. La sede si trovava in una posizione invidiabile, perché occupava il primo piano di calle San Bernardo 52, angolo calle Pez, proprio di fronte alla Facoltà di Giurisprudenza. «Per la sua vicinanza all’Università era molto nota tra gli studenti di legge. Godeva di un grande prestigio», ricordava uno studente[43]. L’impegno di José María si concretò in due lezioni pomeridiane la settimana per più di quattro anni[44]. Inoltre dava alcune lezioni private a casa sua.

    Nel novembre del 1927 il sacerdote prese in affitto un appartamento al quarto piano di calle Fernando il Cattolico 46. Sua madre Dolores, che aveva cinquanta anni, sua sorella Carmen, di ventotto, e il beniamino della famiglia, Santiago, di otto anni, si trasferirono dall’Aragona e vennero ad abitare con lui. José María era l’unico in grado di guadagnare quel tanto necessario per mantenere la famiglia, perché sua madre e Carmen si occupavano delle faccende domestiche[45]. Nei mesi che seguirono si concentrò sugli impegni pastorali che aveva assunto, oltre che sulle lezioni e la tesi.

    Il 30 settembre 1928 José María Escrivá cominciò gli esercizi spirituali nel convento dei Lazzaristi, in calle García de Paredes. La mattina di martedì 2 ottobre, mentre compilava e leggeva alcune schede nelle quali aveva annotato idee e vicende della sua vita interiore, ricevette da Dio «l’illuminazione su tutta l’Opera» e «si rese conto dello splendido e pesante carico che il Signore, nella sua bontà insondabile, gli aveva messo sulle spalle»[46]. Escrivá ricevette una luce soprannaturale che dava un senso alle preghiere e alle ispirazioni degli anni precedenti, proiettandolo nella realizzazione di una missione specifica. Accolse nel suo cuore il messaggio divino, che consisteva nella diffusione tra i fedeli cristiani, sacerdoti e laici, della consapevolezza di essere chiamati a divenire santi in Gesù Cristo nelle occupazioni normali della vita quotidiana. Nello stesso tempo capì che sarebbe stata necessaria una istituzione per trasmettere questo messaggio nella Chiesa[47]. Emozionato, s’inginocchiò e rese grazie a Dio[48].

    Fra l’ottobre del 1928 e il novembre del 1929 Escrivá non ricevette altre ispirazioni che potesse attribuire a Dio[49]. Sebbene avesse capito che il messaggio ricevuto richiedeva persone che lo divulgassero, resisteva al pensiero di fondare una nuova istituzione. Perciò cercò se esisteva, in Spagna o all’estero, una realtà ecclesiale che coincidesse con ciò che aveva visto, per domandare di essere ammesso. Chiese informazioni sulle diverse opere o movimenti cattolici nei quali i membri vivevano una donazione a Dio senza costituire una congregazione religiosa tradizionale e realizzavano attività apostoliche tra i fedeli[50]. Ebbene, tutte le istituzioni esistenti presentavano divergenze sostanziali con la luce da lui ricevuta il 2 ottobre 1928. Fra queste, un caso emblematico. Escluse la Compagnia di san Paolo, fondata pochi anni prima dal cardinal Ferrari, perché aveva capito che l’Opera era solo per gli uomini, e invece fra i paolini c’erano pure donne. Come avrebbe ricordato dopo: «Anche se l’Opus Dei non differisse dai Paolini in alcun altro aspetto che nel non ammettere neppure lontanamente le donne, la differenza sarebbe già notevole»[51].

    José María Escrivá parlò del messaggio dell’Opera a sacerdoti e a persone di diversi ambienti, e anche a studenti che cercavano il suo aiuto spirituale. Lo divulgò progressivamente, e personalmente. Uno dei primi giovani con i quali ne parlò fu José Romeo, che aveva conosciuto quando stava a Saragozza[52]. Nel giugno del 1929 Pepe, come lo chiamavano familiarmente, era venuto a Madrid per sostenere un esame di disegno, una delle materie previe all’ingresso nella Scuola di Architettura. Nei giorni in cui si trattenne nella capitale assisteva alla Messa che José María celebrava nel Patronato de Enfermos. Un giorno, dopo aver fatto colazione, il sacerdote gli lesse e gli commentò alcuni appunti che si riferivano all’Opera. Romeo se ne entusiasmò e decise di aderirvi. Alcuni giorni dopo ritornò a Saragozza. Mantenne contatti epistolari con José María fino a giugno dell’anno successivo, quando si trasferì a Madrid per cominciare il corso di studi[53].

    Quando passava da Madrid fra il 1929 e il 1930, Pepe presentava a José María alcuni amici dell’Associazione degli Studenti Cattolici, come Guillermo Escribano[54] o Pedro Rocamora[55]. Romeo pensava che fossero in grado di comprendere gli insegnamenti di Escrivá sulla vita cristiana e sull’Opera. Proprio per poterlo incontrare, Rocamora andava alla Messa che José María celebrava nel Patronato de Enfermos.

    Da parte sua Escrivá ampliò il numero dei sacerdoti frequentati. Con alcuni di loro era stato ospite della Casa Sacerdotale delle Dame Apostoliche, li aveva conosciuti in occasione delle attività pastorali o li aveva anche fermati per la strada chiedendo loro di pregare per l’Opera. Fra i presbiteri amici, comunicò le sue ansie soprannaturali a Blas Carda Saporta, Manuel Ayala, Ángel del Barrio e Pedro Siguán —quest’ultimo, un religioso della Sacra Famiglia—[56]. Nel dicembre 1929 ebbe una lunga conversazione con il secondo cappellano del Patronato de Enfermos, Norberto Rodríguez García, e lo ammise nell’Opera. Poco tempo dopo Escrivá gli fece leggere alcuni fogli sui quali annotava quello che, secondo lui, erano luci ricevute da Dio. Finita la lettura —secondo ciò che ricordava don José María più tardi—, don Norberto gli disse: «La prima cosa da fare è l’Opera maschile»[57].

    L’anno 1930 portò nuove sorprese. La più importante avvenne il 14 febbraio. Quel giorno José María Escrivá celebrava la Messa nella cappella della casa di Leónides García San Miguel, marchesa di Onteiro e madre di Luz Rodríguez−Casanova. Dopo la comunione, comprese che Dio voleva che nell’Opus Dei vi fossero anche le donne[58]. Allo stesso tempo, questa intuizione lo convinse che non doveva fare altre indagini, ma piuttosto dar vita a una nuova realtà ecclesiale, che sarebbe stata al servizio del messaggio ricevuto: «Era necessario fondare, senza alcun dubbio»[59], dirà in seguito. Da quel momento selezionò le persone a cui spiegare l’Opera e fece nuove amicizie tra i conoscenti di Pepe Romeo, gli studenti dell’Accademia Cicuéndez e alcuni parenti delle Dame Apostoliche e delle Ausiliari che collaboravano con loro.

    Il 24 agosto incontrò Isidoro Zorzano, un ex compagno liceale di Logroño, che lavorava come ingegnere a Malaga nelle Ferrovie Andaluse[60]. Pochi giorni prima Isidoro aveva ricevuto una sua lettera nella quale gli manifestava il desiderio di rivederlo, se fosse capitato a Madrid. La mattina del 24 Zorzano aveva tentato invano di incontrare l’amico. Avendo la sensazione che si sarebbero visti, rimase a passeggiare in calle Nicasio Gallego. Anche Escrivá si sentì mosso a passare dalla stessa strada. Quando si videro, si salutarono affettuosamente. In quel periodo Zorzano cercava di capire ciò che Dio gli chiedeva per la sua vita. Aveva pure pensato di diventare religioso, ma non ci vedeva chiaro. I due amici conversarono con calma durante il pomeriggio. Isidoro arrivò alla conclusione che aveva trovato quello che cercava e chiese a José María di far parte dell’Opera[61].

    In quel periodo, di solito nel pomeriggio della domenica, Escrivá andava a casa di Romeo per costituire un archivio di ritagli di giornali e di riviste su alcune istituzioni cattoliche. La conoscenza dello spirito e dell’apostolato di queste realtà ecclesiali aiutò don José María a meditare sull’Opera che stava avviando[62].

    José María Escrivá cercava un luogo adatto per parlare del messaggio ricevuto sulla santità in mezzo al mondo, un luogo in cui incontrarsi con studenti, amici sacerdoti e anche operai[63]. L’appartamento in affitto di calle Ferdinando il Cattolico era troppo piccolo per ricevere visite[64]; né le cose erano migliorate quando, nel settembre del 1929, gli Escrivá Albás si erano trasferiti nella casa del cappellano del Patronato de Enfermos in calle José Marañón n. 4[65]. Ecco perché José María incontrava i sacerdoti e gli universitari nel Patronato de Enfermos, in locali pubblici o, semplicemente, per strada, fermandosi per fare una visita a Gesù Cristo nel tabernacolo di una chiesa. Talvolta andava con gli studenti in un chiosco che si trovava nella Castellana, quasi all’angolo con calle del Marqués de Riscal, oppure al Parco del Retiro. Seduto in mezzo ai giovani, José María leggeva alcuni appunti di carattere spirituale che raccoglieva in un quaderno: «Alcuni pomeriggi, all’imbrunire, ci leggeva pagine intere, o a volte soltanto due o tre pensieri»[66], ricordava Pedro Rocamora.

    Un luogo spesso frequentato da Escrivá era El Sotanillo, che si trovava nei pressi della Porta de Alcalá. Era rinomato soprattutto per la cioccolata calda. Pur trovandosi in un piccolo seminterrato, disponeva di diversi tavolini che permettevano di parlare tranquillamente. Pepe Romeo, Pedro Rocamora o Julián Cortés−Cavanillas —quest’ultimo era uno studente dell’Accademia Cicuéndez[67]— andarono lì molte volte per fare merenda con José María Escrivá. Mentre assaporavano una cioccolata calda o una bibita, conversavano con il sacerdote di realtà divine e di realtà umane. Qualche volta don José María portava schemi o quadri sinottici sull’Opera e li commentava. Poi, ricorda Rocamora: «uscivamo e percorrevamo la calle di Alcalá e la Gran Vía fino ad arrivare alla Red de San Luis dove era solito prendere il tram che lo portava a calle Santa Engracia. Se non ricordo male, era il tram n. 28 che aveva un cartello che diceva Linea di San Luis−Guindalera−Prosperidad. Altre volte, arrivati a Cibeles, piegavano per Recoletos, passeggiando per calle Genova»[68].

    Quando stava per iniziare l’anno accademico 1930−1931, Escrivá decise di modificare il suo lavoro pastorale. Il ruolo di cappellano del Patronato non gli assicurava la stabilità a Madrid. Egli rimaneva un sacerdote extradiocesano, trasferito per motivi di studio, e, viste le severe leggi ecclesiastiche sulla residenza dei presbiteri nella capitale, correva il rischio certo di essere rimandato nella sua diocesi[69]. Inoltre la cappellania del Patronato de Enfermos gli assorbiva la maggior parte del tempo, dedicato generosamente ai penitenti, alla catechesi e alla visita domiciliare dei malati. Ora —così ragionava— doveva impegnarsi maggiormente per l’Opera, stimolando l’apostolato e formando i primi membri[70]. D’altra parte, non sembrava opportuno che cercasse donne per l’Opera nel confessionale delle Dame Apostoliche, che era la sede centrale della congregazione. Infine, c’era anche un motivo umano, anch’esso rilevante: l’attività del Patronato era così logorante che, pensava: «lì mi annichilo, mi annullo. Intendo sul piano fisico: di questo passo finirò con l’ammalarmi e non potrò quindi svolgere un lavoro intellettuale»[71].

    A questa situazione si aggiungeva l’evoluzione politica e sociale della Spagna. Il 14 aprile 1931 veniva proclamata la Seconda Repubblica. Niceto Alcalá−Zamora assunse l’incarico di presiedere un Governo provvisorio che aveva il compito di convocare le elezioni per una Costituente e governare il paese fino all’approvazione di una nuova Costituzione. Il re Alfonso XIII abbandonò la Spagna per evitare una possibile guerra civile.

    La Repubblica annunciò la separazione tra la Chiesa e lo Stato. La Spagna non era più ufficialmente cattolica, interrompendosi così una tradizione secolare. La vita religiosa —Messa e altri atti di culto— non fu turbata dal nuovo sistema repubblicano. Cosa ben diversa fu da quel momento l’abitudine degli insulti per strada contro i sacerdoti che portavano l’abito talare[72].

    Come molti cattolici, José María Escrivá accolse il nuovo regime —la Seconda Repubblica— con una certa preoccupazione. Il motivo stava nell’ideologia anticlericale di cui faceva sfoggio la maggior parte dei partiti politici del Governo provvisorio. Comunque, personalmente fece buon viso alla richiesta della Gerarchia della Chiesa che chiedeva ai cattolici spagnoli di accettare il nuovo potere costituito[73]. Tuttavia, ci fu un fatto congiunturale che lo riguardò: l’avvento della Repubblica fece tramontare la possibilità di essere nominato cappellano della giurisdizione palatina[74].

    Quattro settimane dopo —l’11 maggio— avvenne l’incendio dei conventi, che interessò diverse località spagnole. A Madrid circa trecento giovani —in maggioranza dell’estrema sinistra repubblicana e anarchici— incendiarono nove conventi, cinque scuole e una dipendenza parrocchiale. Il Governo provvisorio mantenne per tutta la giornata un atteggiamento indolente finché, data la gravità degli avvenimenti, decretò lo stato di guerra e ordinò che l’esercito presidiasse le strade[75].

    Come altri sacerdoti e i religiosi, José María Escrivá visse questa giornata vivamente preoccupato. A metà mattina, quando lo informarono che i rivoluzionari stavano dando alle fiamme la casa professa dei gesuiti in calle de la Flor, andò nella cappella del Patronato de Enfermos. Lì si vestì in borghese e, insieme a suo fratello Santiago, al padre e al fratello di Pepe Romeo, e a Julián Cortés−Cavanillas, uscì «con una pisside piena di Ostie consacrate avvolta in una veste talare e in un po’ di carta»[76]. Un taxi li portò da Santa Engracia 13 —dov’era il Patronato— fino all’abitazione della famiglia Romeo, al numero 134 della stessa strada[77].

    Le minacce anticlericali e la sensazione di insicurezza provata durante l’incendio dei conventi facevano presagire nuove aggressioni alle istituzioni ecclesiastiche. Siccome il Patronato de Enfermos era un possibile obiettivo per gli incendiari, José María Escrivá cercò una casa sicura per la famiglia. Il 13 maggio gli offrirono un piccolissimo appartamento in calle Viriato 22, secondo interno a destra, di proprietà di Luz Rodríguez−Casanova. Per quanto sembrasse inadeguato ad alloggiare quattro persone, gli Escrivá Albás vi si trasferirono appena possibile. In questa «casa modesta»[78] sarebbero rimasti un anno e mezzo.

    Nel frattempo, don José María proseguiva la ricerca di un nuovo incarico sacerdotale che gli permettesse di dedicare più tempo all’Opera. Conobbe nuove persone in grado di comprendere il messaggio di cui si sentiva depositario e conservò i suoi impegni accademici e pastorali. Nei primi mesi del 1931 gli avevano presentato altri giovani. Ad alcuni fece la proposta di seguirlo nell’Opera. Più precisamente, all’inizio di maggio —rispettivamente, nei giorni 1 e 6— due ragazzi si mostrarono disposti a formarsi nello spirito dell’Opus Dei: José Muñoz Aycuéns[79], un pittore, e Adolfo Gómez Ruiz[80], studente di medicina, amico di Pepe Romeo.

    Nella Casa Sacerdotale delle Dame Apostoliche Escrivá conobbe anche un altro sacerdote secolare che poteva capire il messaggio dell’Opera. Si chiamava Sebastián Cirac. Lavorava come archivista della Curia diocesana di Cuenca, ma veniva spesso a Madrid per seguire i corsi di dottorato nella Facoltà di Filosofia e Lettere[81]. Dopo alcune conversazioni tra i due, Cirac decise di incorporarsi nell’Opera nel mese di luglio[82].

    Il caso di Pedro Cantero —un sacerdote che Escrivá aveva conosciuto mesi prima all’Università Centrale— fu un po’ diverso[83]. Il 14 agosto parlarono dell’Opera e, come frutto di

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1