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Il Microcredito: Strumento di accelerazione dello sviluppo economico
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E-book211 pagine2 ore

Il Microcredito: Strumento di accelerazione dello sviluppo economico

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Info su questo ebook

Strumento noto in via teorica, ma scarsamente praticato in Italia, il microcredito sta conoscendo una diffusione sempre più massiccia. Stando a quanto se ne tratta nei consueti sistemi di comunicazione di massa, si tratterebbe di una modalità grazie alla quale individui di natura commerciale, non propriamente avvantaggiati sotto l'aspetto economico, possono aspirare ad avviare una propria attività usufruendo di prestiti vantaggiosi (in termini di garanzie e condizioni di restituzione delle somme anticipate).
È così?
È l'interrogativo che ci si è posti in questo volume e nel quale si tenta di dare una risposta.
Solitamente confuso come mera attività di beneficienza, il microcredito è qualcosa di più: è un metodo grazie al quale si rende possibile una vera e propria emancipazione di natura culturale per coloro che, da soli, non hanno possibilità di emergere ed affermarsi nel difficile ed insidioso campo del commercio. Dare una possibilità, a chi davvero ha buone idee e ottimi metodi per realizzarle, di uscire da una situazione stagnante, è senz’altro un atto degno di encomio.
Ma il microcredito non è solo questo. Far luce su tale intricata e complessa realtà è l’intento che ci si propone in questo volume. Il quale, in modo particolare, vuole verificare se attraverso il microcredito sia possibile creare sviluppo sul piano economico e anche sociale.
I capitoli che compongono il presente libro, sono selezioni di studi già condotti sull’argomento e da cultori della materia di gran vaglia. In ciascun di essi, viene indicato l’autore e la fonte da cui è stata operata la selezione; di modo che chiunque voglia operare opportuni approfondimenti, già può orientarsi su una prima bibliografia opportunamente valutata.
L’augurio è che la presente antologia costituisca, oltre che un punto di partenza, una piccola e concentrata enciclopedia su una realtà nuova e straordinariamente complessa (ma si badi: non impossibile da realizzare) come il microcredito.

LinguaItaliano
Data di uscita1 lug 2020
ISBN9788832104066
Il Microcredito: Strumento di accelerazione dello sviluppo economico
Autore

Maria Cristina Accogli

Maria Cristina Accogli  (1986), Dottore Commercialista, laureata in Management Aziendale presso l'Università del Salento. Componente del Consiglio di Amministrazione e del Comitato Crediti della società Microcredito di Impresa S.p.A..

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    Anteprima del libro

    Il Microcredito - Maria Cristina Accogli

    © Arcadia edizioni

    I edizione, maggio 2019

    Isbn 978 88 3210 406 6

    È vietata la copia e la pubblicazione, totale o parziale, del materiale se non a fronte di esplicita autorizzazione scritta dell’editore e con citazione esplicita della fonte.

    Introduzione al concetto ed alla storia del microcredito

    di Pierluigi Pietricola

    Microcredito: una definizione

    Nel suo bellissimo libro Non si presta solo ai ricchi. La rivoluzione del microcredito, Maria Nowak cerca di spiegare le origini di questa pratica finanziaria ed economica:

    Il credito, notoriamente, è vecchio come il mondo. Gli storici collocano la sua origine in Babilonia, circa 3400 anni a. C., quando i sacerdoti del tempio di Uruk facevano fruttare le offerte concedendo dei prestiti in natura la cui contabilità era tenuta con l’aiuto di pittogrammi. È stato praticato in tutte le epoche e per ogni genere di clienti.

    Venendo, poi, ad esempi a noi più recenti, la Nowak nota che:

    Pierre-Joseph Proudhon creò la Banca del popolo, organizzata secondo tre principi rivoluzionari: la soppressione della valuta, la generalizzazione della lettera di cambio e l’organizzazione del credito, considerato come il legame federativo della società civile… Due idee forti di Proudhon si ritroveranno, centocinquant’anni più tardi, nel microcredito: quella secondo cui l’accesso al capitale può permettere ai lavoratori di trarre profitto dalla loro forza lavoro senza dipendere da un padrone, e quella secondo cui il credito è un potente legame sociale.

    Come si può notare, si tratta di principi che partono da questioni strettamente legate all’economia e che, man mano che divengono applicativi, iniziano a disegnare un profilo operativo di natura, potremmo dire, antropologica se non addirittura socio-culturale.

    Non a caso Muhammad Yunus, colui che viene ritenuto il fondatore del microcredito, così ne racconta le origini:

    L’idea del business sociale nasce dalla mia esperienza di trentun anni di battaglie contro la povertà, prima in Bangladesh e poi in altri paesi del mondo. Mentre assistevo al fallimento delle istituzioni, incapaci di togliere il terribile peso dell’indigenza dalle spalle dei poveri, provai, come molti altri, l’impulso di mettermi a cercare una risposta migliore. E poiché ho temperamento pratico e allora ero completamente privo di esperienza in tema di sviluppo rurale o di sistema bancario, ero anche relativamente immune da tutti quei pregiudizi che tendono a restringere la libertà di pensiero degli esperti del settore. Mi trovavo insomma nella condizione di poter sperimentare nuove idee e metodi innovativi basandomi esclusivamente sul mio modo di intendere i bisogni dei poveri e sul buon senso. È cominciato così l’impegno, destinato a durare per tutta la vita, di cercare di alleviare le sofferenze dei più poveri attraverso l’organizzazione di nuove strutture che, nelle mie speranze, avrebbero dovuto risultare più efficaci, flessibili e in grado di autosostentarsi meglio delle fallimentari istituzioni del passato. Alcuni dei miei tentativi non hanno avuto buon esisto, ma la maggior parte ha funzionato meglio di quanto avessi mai sperato e su questa base ho cominciato ad affinare una sensibilità sviluppata rispetto a quello che può o non può funzionare quando si vogliono introdurre miglioramenti sociali su larga scala.

    Non vi è un rigo, nel passo citato, dove Yunus parla di numeri facendo ricorso alle solite astrattezze cui siamo ormai abituati sentendo parlare di economia.

    Da ciò si può arguire che la pratica e, prima ancora, la teoria del microcredito nascono su un concetto del tutto nuovo di economia. Proviamo a spiegarlo.

    Verso un nuovo concetto di economia

    Stando a definizioni dizionariali, economia vuol dire:

    "l’organizzazione dell’utilizzo di risorse scarse (limitate o finite) quando attuata al fine di soddisfare al meglio bisogni individuali o collettivi, [e] un sistema di interazioni che garantisce un tale tipo di organizzazione, sistema detto anche sistema economico.

    I soggetti che creano tali sistemi di organizzazione possono essere persone, organizzazioni o istituzioni. Normalmente si considerano i soggetti (detti anche agenti o attori o operatori economici) come attivi nell’ambito di un dato territorio; peraltro si tiene conto anche delle interazioni con altri soggetti attivi fuori dal territorio."

    Definizione ripresa da Wikipedia.

    Come sempre però accade, occorre analizzare più nel dettaglio cominciando proprio dalla parola economia, così abusata e anche fraintesa nel suo significato originario.

    Nel bellissimo volume Per fare un manager ci vuole un fiore. Come la meditazione ha cambiato me e l’azienda, Niccolò Branca ad un certo punto afferma:

    Da molto tempo mi dedico all’approfondimento del concetto di autoconsapevolezza, applicato anche alla sfera economica. L’autoconsapevolezza implica un autentico dimorare con l’essenza di se stessi. Uno strumento interiore, quindi, ma saldamente ancorato alla realtà quotidiana. Del resto – ecco il punto decisivo – il concetto stesso di dimorare non è del tutto estraneo anche al significato etimologico di economia", dal greco oikos, casa/dimora e nomos, norma/regola. Da qui un abitare che non è semplicemente occupare uno spazio fisico, ma essere in sintonia con l’essenza e con i valori umani, essere in armoniosa intimità con tutto ciò che ci circonda. Un abitare poeticamente la terra, come dice il poeta tedesco Friedrich Hölderlin. Credo fortemente a questo tipo di approccio, a cui sono solito riferirmi con l’espressione Economia della consapevolezza".

    Definizione affascinante, quella di Branca, ma non distante dalla realtà. Economia è, prima di tutto, ricerca di un’armonia, suo perseguimento e mantenimento senza rischiare che, nel tempo, vengano a crearsi disequilibri con relative ingiustizie.

    Le parole di Yunus citate dianzi introducono, mutatis mutandis, questo concetto. E spiegano, sebbene in termini non del tutto espliciti ma consequenziali, da quali basi nasce il microcredito.

    Afferma Yunus:

    Sono nato nel 1940 nel Bengala orientale, in quella che era allora l’India britannica e che nel 1947 sarebbe diventata parte della nuova nazione del Pakistan. Nel dicembre del 1971, dopo una guerra di liberazione durata nove mesi, il Pakistan orientale divenne una nuova nazione, il Bangladesh. Il mio contatto iniziale con la povertà non fu questione di impegno politico, ma di ricerca sul campo o di studio. Semplicemente la povertà mi circondava completamente e non avevo modo di far finta di non vederla.

    Da questa impossibilità di ignorare una situazione di indigenza e di equilibrarla nasce l’economia e, di conseguenza, la pratica del microcredito. Si tratta di una novità in senso assoluto?

    Per certi aspetti, qualcosa del genere – seppure in termini ed ambiti del tutto differenti – venne teorizzata nel Contratto sociale da Rousseau:

    Da solo il popolo vuole sempre il bene, ma non sempre, da solo, lo vede. La volontà generale è sempre retta, ma il giudizio che la guida non è sempre illuminato. Bisogna presentarle gli oggetti talvolta quali sono e talvolta quali debbono sembrare; bisogna mostrarle la buona strada che essa cerca, difendendola dalla seduzione delle volontà particolari, avvicinando ai suoi occhi i luoghi e i tempi, bilanciando l’attrattiva dei vantaggi immediati e sensibili, col pericolo dei mali lontani e nascosti. I singoli vedono il bene che rigettano, la collettività vuole il bene che non vede. Tutti hanno ugualmente bisogno di una guida: bisogna costringere gli uni ad adeguare la loro volontà alla ragione; bisogna insegnare al popolo a conoscere ciò che vuole. Allora dai pubblici lumi deriva l’unione dell’intelletto e della volontà nel corpo sociale; da questo verrà l’esatta partecipazione delle parti e infine la maggior forza del tutto. Ecco donde sorge la necessità di un legislatore.

    Occorre perseguire una volontà generale, non particolare, al fine di realizzare il bene della comunità nella quale si vive ed opera.

    Possiamo dire, quindi, che per alcuni aspetti il microcredito rappresenti una naturale evoluzione del rousseauiano concetto di contratto sociale.

    Ma bisogna fare attenzione a non incorrere in un errore, come verrà spiegato nel prossimo paragrafo.

    Microcredito vs beneficenza

    In che modo Yunus iniziò la sua attività nel microcredito? Così egli ce lo racconta:

    Il mio primo tentativo di combattere la fame consistette in un programma per aumentare la produttività agricola per mezzo dell’irrigazione; insieme ai contadini di Jobra demmo vita a un’associazione per la gestione di un pozzo di profondità e di un sistema di distribuzione dell’acqua. Il successo fu immediato e i contadini riuscirono, grazie al nuovo sistema di irrigazione e ai rifornimenti di semi, fertilizzanti e insetticidi che riuscivano a procurarsi tramite l’associazione, a fare un terzo raccolto durante la stagione secca, normalmente improduttiva. La produttività dei campi intorno a Jobra aumentò in modo significativo e i maggiori vantaggi andarono ai proprietari di quei terreni. Ma non mi bastava. Lavorando al progetto di irrigazione con la gente dei villaggi, mi resi conto presto che ai più poveri fra i poveri non andava praticamente alcun beneficio dell’accresciuta produttività agricola. Non possedevano terreni e cercavano di sbarcare il lunario lavorando a giornata, facendo qualche lavoro artigianale o mendicando. Le loro case, quando ne avevano una, erano senza mobili e si riempivano di fango se pioveva. I bambini erano fortemente malnutriti e dovevano lavorare o mendicare invece che andare a scuola. Sotto i morsi della carestia erano loro, i più poveri fra i poveri, i primi a morire. Mi resi conto che l’aumento della produttività, per quanto importante, non bastava per curare la piaga della fame e della povertà. Ci voleva un altro tipo di soluzione che andasse alla radice del problema. Passai un sacco di tempo fra la genti di Jobra, cercando di capire cos’era a tenerli così indietro. Non era cattiva volontà. Dovunque andassi nei villaggi vedevo soltanto gente che si ingegnava per procurarsi qualcosa lavorando duramente, coltivando cerali nei piccoli spiazzi davanti alle case, intrecciando canestri, fabbricando sgabelli e altri oggetti da vendere e offrendosi sempre per qualsiasi lavoro. Finalmente sbattei il muso contro la disperata impossibilità, fra i poveri, di procurarsi la benché minima quantità di denaro che consentisse loro di organizzare gli sforzi che facevano per cercare di sopravvivere. È stata una donna di un villaggio, Sufiya Begum, a farmi capire dove stava il problema… Come quasi tutti nel villaggio, Sufiya si faceva anticipare dagli strozzini locali il denaro che le serviva per comprare il bambù per gli sgabelli, e lo strozzino le dava il denaro solo se lei acconsentiva a consegnargli tutta la produzione al prezzo che lui stabiliva. Grazie a questo infame accordo e agli alti interessi che doveva pagare sul prestito, tutto quello che le restava erano solo due penny per una giornata di lavoro. In questo modo per lei era praticamente impossibile uscire dalla povertà poiché era costretta a procurarsi gli anticipi che le servivano per lavorare, per quanto modesti fossero, a condizioni capestro. Tutto ciò non meritava il nome di prestito, nel senso comune della parola, ma piuttosto quello di riduzione in schiavitù. Decisi di fare un elenco delle vittime di questo strozzinaggio nel villaggio di Jobra e… alla fine mi trovai con i nomi di quarantadue vittime che avevano preso a prestito un totale di ottocentocinquantasei taka, meno di ventisette dollari di allora… Offrii di tasca mia l’equivalente di ventisette dollari pur di strappare quella gente dalle grinfie degli strozzini. L’entusiasmo che si propagò fra loro per questo piccolo aiuto mi convinse ad andare avanti: se potevo rendere felice tante persone con una somma così irrisoria, perché non fare le cose in grande?

    Ecco come tutto cominciò.

    In buona sostanza, fare microcredito significa prestare denaro ai poveri. Ma, si badi, non a fondo perduto.

    Il punto è: come riuscire a realizzare tale apparente utopia?

    La Nowak ci offre buone argomentazioni in proposito:

    Tutta la difficoltà e tutta la bellezza del concetto di microcredito consistono nel congiungere le due dimensioni, sociale e finanziaria, considerate come contraddittorie. Ciò non è possibile se non proiettandosi nell’avvenire. A differenza di ogni altra forma di credito, il microcredito non si basa sugli attivi esistenti. In accordo con il senso etimologico del termine – credito viene dal latino credere –, si fonda sulla fiducia nella capacità di creare ricchezza nei confronti di chi riceve il prestito. Ma compiere un atto di fiducia nell’uomo e di speranza nell’avvenire è difficile quando si è abituati a legare decisioni di prestito ai risultati contabili e alle garanzie reali. Non che i banchieri manchino di immaginazione – essi passano il loro tempo a prevedere le tendenze del mercato, a spostare milioni di euro da un estremo all’altro del pianeta e a inventare nuovi prodotti –, ma investire sulla futura riuscita di un piccolo venditore ambulante, che non è mai entrato nel loro paesaggio mentale, supera le loro capacità di comprensione. Fare del microcredito è dunque, essenzialmente, un esercizio da equilibristi. Non si guarda sotto i propri piedi – c’è inevitabilmente il vuoto – ma davanti a sé, facendo attenzione a non sporgersi troppo da una parte o dall’altra. Cogliere il bersaglio esige uno sforzo permanente per non scivolare, dimenticando lo scopo sociale, verso la facilità dei prestiti di ammontare più elevato, il cui utile è necessariamente più consistente… Mentre, in gran parte, i progetti umanitari o i progetti di sviluppo cercano di ottenere il massimo di risorse per funzionare, le istituzioni di microfinanza puntano a un livello di spese sufficiente a mettere in piedi un sistema efficace, e a costi ridotti al massimo per assicurare la permanenza dell’istituzione.

    Come si evince facilmente, il microcredito è tutt’altro che una forma di beneficienza o, per dirla in termini più articolati, di prestito di denaro a fondo perduto.

    Praticare il microcredito vuol dire, esattamente, elargire prestiti a condizioni favorevoli affinché un determinato progetto ideato da persone

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