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Secolarità sacra
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E-book1.047 pagine13 ore

Secolarità sacra

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Info su questo ebook

Questo volume è dedicato alla secolarità definita «sacra» perché rappresenta lo stile di vita cui siamo chiamati, superando la dicotomia tra il sacro e il profano. Non si tratta di fuggire dal mondo, ma di trasfigurarlo – che è qualcosa di più che redimerlo: è risuscitarlo. Bisogna «trovare» il sacro e «creare» la via secolare. La scoperta della secolarità sacra ci sembra essere il catalizzatore affinché la trasformazione non sia solo un cambio d’abito, una nuova moda, ma una mutazione storica. Il compito non è facile, ma è urgente e anche affascinante.
Il libro tratta vari aspetti della realtà secolare, formando un tutto armonico. La prima sezione è dedicata alla filosofia della secolarità; ne sviluppa la descrizione, analizza la sacralità del secolare e riporta alcune considerazioni sulla sfida che la secolarità rappresenta per le religioni tradizionali. La seconda è dedicata alla politica come aspetto non trascurabile della vita: l’Uomo è soma, psyche, polis e kosmos. In quanto polis, la sua appartenenza a una comunità (politica) è fondamentale. Questa sezione comprende vari articoli collegati alla sociologia che abbraccia anche la formazione universitaria. La terza sezione, dedicata alla pace, comprende due libri: Concordia e Armonia, raccolta di alcuni articoli che illustrano come la pace non possa che essere il risultato di una secolarità vissuta nella sua sacralità, e Pace e disarmo culturale. La sezione termina infine con alcuni scritti sull’ecosofia che, come dice la parola, è la saggezza della Terra che siamo invitati ad ascoltare e con la quale fare pace. L’invito alla pace, traguardo per la vita armoniosa dei diversi popoli sulla Terra, è un obiettivo che può essere raggiunto individualmente superando l’ego e collettivamente accettando la pluralità delle culture e tradizioni, senza che nessuna di esse pretenda di prevaricare imponendo una sola economia, una sola politica, una sola religione… Non è forse la varietà il dono più bello che possiamo riscontrare anche nella natura, e a maggior ragione tra i popoli?
LinguaItaliano
EditoreJaca Book
Data di uscita4 dic 2020
ISBN9788816802544
Secolarità sacra
Autore

Raimon Panikkar

Raimon Panikkar (1918-2010), è un autore universalmente conosciuto, le cui opere sono tradotte in una decina di lingue. Partecipe di una pluralità di tradizioni (indiana ed europea, indù e cristiana, scientifica e umanistica) ha insegnato in Europa, in India e negli Stati Uniti. Nei primi anni Duemila, insieme con Jaca Book, ha iniziato a organizzare la sua Opera Omnia (curata da Milena Carrara Pavan), che oggi esce in edizione italiana, catalana, francese, inglese e spagnola.

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    Anteprima del libro

    Secolarità sacra - Raimon Panikkar

    Raimon Panikkar

    OPERA OMNIA

    a cura dell’Autore e di Milena Carrara Pavan

    * volumi pubblicati

    I

    MISTICA E SPIRITUALITÀ

    Tomo 1. Mistica, pienezza di Vita*; Tomo 2. Spiritualità, il cammino della Vita*

    II

    RELIGIONE E RELIGIONI*

    III

    CRISTIANESIMO

    Tomo 1. La tradizione cristiana (1961-1977)*; Tomo 2. Una cristofania (1987-2002)*

    IV

    INDUISMO

    Tomo 1. L’esperienza vedica. Mantramañjarī; Tomo 2. Il dharma dell’India*

    V

    BUDDHISMO

    VI

    CULTURE E RELIGIONI IN DIALOGO

    Tomo 1. Pluralismo e interculturalità*; Tomo 2. Dialogo interculturale e interreligioso*

    VII

    INDUISMO E CRISTIANESIMO*

    VIII

    VISIONE TRINITARIA E COSMOTEANDRICA:

    DIO-UOMO-COSMO*

    IX

    MISTERO ED ERMENEUTICA

    Tomo 1. Mito, simbolo, culto*; Tomo 2. Fede, ermeneutica, parola*

    X

    FILOSOFIA E TEOLOGIA

    Tomo 1. Il ritmo dell’Essere. Le Gifford Lectures*; Tomo 2. Pensiero filosofico e teologico*

    XI

    SECOLARITÀ SACRA

    Tomo 1. Secolarità sacra*; Tomo 2. L’utopia concreta

    XII

    SPAZIO, TEMPO E SCIENZA

    Raimon Panikkar

    OPERA OMNIA

    a cura dell’Autore e di Milena Carrara Pavan

    Volume XI/1

    EDITORIALE DELL’AUTORE

    Tutti gli scritti che ho l’onore e la responsabilità di presentare non nascono da una semplice speculazione, ma sono piuttosto autobiografici, ispirati cioè da una vita e da una praxis e solo successivamente plasmati in scrittura.

    Questa Opera Omnia copre un lasso di circa settant’anni in cui mi sono dedicato ad approfondire il senso di una vita umana più giusta e piena. Non ho vissuto per scrivere, ma ho scritto per vivere in modo più cosciente e per aiutare i miei fratelli con pensieri che non sorgono soltanto dalla mia mente, ma scaturiscono da una Fonte superiore che si può forse chiamare Spirito – anche se non pretendo che i miei scritti siano «ispirati». Non credo però che siamo monadi isolate, ma che ognuno di noi sia un microcosmo che rispecchia e influisce sul macrocosmo di tutta la realtà – come hanno creduto la maggioranza delle culture parlando del Corpo di Viva, della comunione dei santi, del Corpo mistico, del karman e così via.

    La decisione di pubblicare la raccolta di questi scritti è stata piuttosto sofferta e ho dovuto superare più di una volta la «tentazione» di rinunciarvi perché, se da un lato sono convinto di ciò che dicevano i latini («scripta manent»), dall’altro credo che ciò che veramente conta in ultima istanza sia vivere la Vita, tant’è che i grandi maestri, come commenta Tommaso d’Aquino nella Summa, citando Pitagora e Socrate (tralasciando Buddha perché non lo conosceva), non hanno scritto niente.

    Nel mezzo del tramonto di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura ché la diritta via era smarrita, perché avevo perso tutte le certezze.

    È stato senz’altro merito di Sante Bagnoli e della sua casa editrice Jaca Book l’iniziativa di pubblicare questa Opera Omnia e gli sono molto grato.

    Quest’opera comprende praticamente tutti i libri, anche se alcuni capitoli sono stati inseriti in volumi diversi a seconda dell’argomento. Sono stati inoltre aggiunti numerosi articoli a completamento del mio pensiero, mentre sono stati tralasciati articoli occasionali e quasi tutte le interviste.

    Vorrei fare alcune considerazioni valide per tutti i volumi:

    a) per quanto attiene alle citazioni, si è preferito rifarsi alle opere precedentemente pubblicate seguendo lo schema generale delle mie pubblicazioni;

    b) la scelta non ha tenuto conto dell’ordine cronologico ma dell’argomento e lo stile può quindi risultare a volte diverso;

    c) anche se ogni pubblicazione aspira a essere un tutto a sé stante, e pertanto alcuni pensieri ricorrono più volte perché funzionali alla comprensione del testo, si è deciso di eliminare ripetizioni non ritenute necessarie;

    d) il fatto che l’editore preferisca che l’Opera Omnia sia organizzata dallo stesso autore ancora in vita ha evidentemente molti aspetti positivi. Se l’autore però continua a essere vivo non potrà resistere alla tentazione di «introdurre» modifiche, correzioni o semplicemente aggiunte ai suoi scritti originali.

    Ringrazio i vari traduttori che hanno tradotto dalle diverse lingue in cui mi è capitato di scrivere nello spirito di quella multiculturalità che ritengo sempre più importante in un mondo dove le culture si incontrano arricchendosi l’un l’altra, a patto di non perdere la loro specificità.

    La mia riconoscenza particolare va a Milena Carrara Pavan, a cui ho affidato la cura della pubblicazione di tutti i miei scritti, che conosce profondamente essendomi stata accanto in questo ultimo periodo della mia vita con dedizione e sensibilità.

    R.P.

    Il presente volume esce con il contributo di

    Fundació Vivarium Raimon Panikkar, Tavertet

    Raimon Panikkar

    SECOLARITÀ SACRA

    a cura di

    Milena Carrara Pavan

    © 2020

    Fundació Vivarium Raimon Panikkar, Tavertet

    © 2020

    Editoriale Jaca Book Srl, Milano

    per l’edizione italiana

    Prima edizione italiana

    novembre 2020

    Redazione Jaca Book

    Impaginazione Elisabetta Gioanola

    eISBN 978-88-16-80254-4

    Editoriale Jaca Book

    via Frua 11, 20146 Milano, tel. 02/48561520

    libreria@jacabook.it; www.jacabook.it

    Seguici su

    INDICE

    Nel presente Indice, come nella capitolatura all’interno del volume, gli asterischi indicano gli scritti originali dell’autore, la cui fonte è esplicitata in nota ai singoli testi e nell’apposito Indice dei testi originali dell’autore (pp. 591-593)

    Abbreviazioni

    Introduzione

    Sezione prima

    SECOLARITÀ

    Capitolo primo

    SECOLARITÀ SACRA. UNA MUTAZIONE STORICA*

    I.Secolarità

    Secolarizzazione, secolarismo, secolarità

    Origini della secolarità

    Etimologia

    Descrizione

    Esperienza del tempo

    La fiducia cosmica

    Secolarità e modernità

    II.La sacralità del secolare

    Il sacro

    Il sacro, il secolare e il profano

    La sacralizzazione monista e l’autonomia dualista

    Le due concezioni del sacro

    α) La concezione dualista

    β) La concezione a-dualista

    Descrizione

    La trascendenza immanente

    La lezione della storia delle religioni

    La riscoperta del sacro

    III. La sfida della secolarità per le religioni tradizionali

    La sacralità del secolare e la secolarità del sacro

    L’impatto cosmico del presente politico-storico

    La perdita dell’orientamento cosmologico

    L’universo costruito dall’uomo

    Il destino dell’uomo è l’oggetto della religione

    Capitolo secondo

    ECONOMIA E SENSO DELLA VITA*

    I.Lo sviluppo

    La crisi dello «sviluppo»

    II.Il pluralismo economico

    Un’economia della solidarietà

    La fecondazione reciproca tra le culture

    III. Sopravvivere allo sviluppo

    I passi intermedi

    Una metanoia radicale

    Sezione seconda

    SECOLARITÀ E POLITICA

    Capitolo primo

    LA NOZIONE DI DIRITTI DELL’UOMO

    È UN CONCETTO OCCIDENTALE?*

    I.Il metodo della ricerca

    1. Ermeneutica diatopica

    2. L’equivalente omeomorfico

    II.Postulati e presupposti della concezione occidentale

    III. Riflessioni transculturali

    1. Il concetto di Diritti dell’Uomo è un concetto universale?

    2. Critica transculturale

    3. Il simbolo dei Diritti dell’Uomo dovrebbe essere un simbolo universale?

    IV.Una riflessione indiana

    V.A titolo di conclusione

    Capitolo secondo

    LO SPIRITO DELLA POLITICA*

    Introduzione. Il metapolitico, via di salvezza

    Prefazione. Il daimōn della politica

    I.Punti di riferimento

    Prologo

    1. Alcuni aspetti della società contemporanea

    1.1. Siamo su una cattiva strada

    1.2. Il dilemma

    2. La pretesa di universalità

    2.1. Relativismo e relatività

    2.2. Cultura e modi culturali

    2.3. L’impossibilità delle domande universali

    2.4. Logos e universalità

    2.5. Religioni e universalità

    3. Tre trappole culturali

    3.1. La tolleranza folcloristica

    3.2. L’imperialismo linguistico

    3.3. L’impero tecnocratico

    II.Il politico

    1. L’assorbimento della politica da parte dello Stato

    2. La storia della parola

    2.1. La polis (greca)

    2.2. L’imperium (romano)

    2.3. La scissione tra il politico e il religioso

    2.4. La cristianità e l’impero

    2.5. La restaurazione dell’unità: la cristianità e la sua crisi

    2.6. L’estinzione della cristianità, la nascita degli Stati

    2.7. La rottura in Occidente

    2.8. La giustificazione dello Stato

    2.9. Stati sovrani o nazioni autoctone?

    3. Tre segni nel nostro orizzonte contemporaneo

    3.1. La rivelazione ecosofica

    3.2. La rivoluzione monetaria

    3.3. L’emancipazione dalla tecnologia

    III. La scoperta del metapolitico

    Premessa. Autorità e potere

    1. Alla ricerca di un’alternativa

    1.1. Non esiste alternativa all’interno del Sistema

    1.2. Non esiste alternativa all’esterno del Sistema

    2. La fecondazione reciproca tra culture

    2.1. La politica fa parte integrante della cultura

    2.2. Non c’è politica culturalmente neutrale, né politica senza cultura

    2.3. Il vicolo cieco attuale

    2.4. La soluzione per reazione

    2.5. Interludio

    2.6. La via della conciliazione

    3. La posta in gioco del metapolitico

    3.1. La teologia politica

    3.2. La coscienza simbolica

    3.3. La secolarità sacra

    3.4. Teoria e prassi

    3.5. Priorità della nazione sullo Stato

    3.6. La confederazione dei popoli

    3.7. L’integrazione della persona

    Epilogo

    Capitolo terzo

    I FONDAMENTI DELLA DEMOCRAZIA*

    I.La forza della democrazia

    Il mito della democrazia

    L’occidentalcentrismo

    Excursus storico

    II.La debolezza della democrazia

    Un circolo chiuso di governati e governanti

    Un’antropologia idealista

    L’individualismo

    Il primato della quantità

    Il peggioramento della qualità

    La tecnocrazia

    Il monoculturalismo

    III. Il limite della democrazia

    L’isocrazia

    Il pluralismo

    La cultura della pace

    Capitolo quarto

    POLITICA, RELIGIONE E INTERCULTURALITÀ*

    Capitolo quinto

    IL DIO DEI CRISTIANI IN AMERICA*

    Capitolo sesto

    PROSPETTIVE TRANS-CULTURALI SULLO SVILUPPO SOSTENIBILE: PRASSI INDIGENE E ALTERNATIVE*

    I.Critica culturale interna

    II.Considerazioni trans-culturali

    III. Alcuni temi fondamentali

    Capitolo settimo

    L’EUROPA E IL PROBLEMA DELL’UNITÀ CULTURALE DELL’UMANITÀ*

    I.Che significa unità culturale

    1. Cultura

    2. Unità

    a) Uniformità

    b) Accordo

    c) Totalità

    II.Che significa Europa

    1. La cultura europea

    2. Il peccato culturale dell’Occidente

    3. L’eredità dell’Europa

    III. L’Europa e l’unità culturale dell’umanità

    1. Distinguere

    2. Servire

    3. Essere missionari

    Capitolo ottavo

    ISTRUZIONE UNIVERSITARIA ODIERNA E CULTURE MONDIALI*

    Introduzione

    Antropologia occidentale / Istruzione orientale

    Istruzione, estremo baluardo del colonialismo

    Colonialismo scientifico

    Pensiero sostanziale contro pensiero funzionale

    Antropologia occidentale e tempo lineare

    La co-naturalità con la materia

    Il mondo: uno o molti?

    La Tecnologia occidentale è il nuovo Messia?

    Presenza cristiana o presenza di Cristo

    Le speranze di un mondo nuovo

    Il «Terzo Mondo» ha un sogno

    La fine del provincialismo europeo

    Capitolo nono

    C’È ANCORA SPAZIO PER IL TEMPIO NELLA CITTÀ ODIERNA?*

    Ruolo del tempio nella città odierna

    Metanoia, conversione

    Lo spazio sacro

    a) Spazio limitato

    b) Spazio aperto

    Il tempo sacro

    a) La festa

    b) Il viaggio

    Le Città dell’Uomo

    a) Comunicazione

    b) Comunione

    c) Trascendenza

    Capitolo decimo

    UNA MEDITAZIONE TEOLOGICA SULLE TECNICHE DI COMUNICAZIONE*

    Cristo «icona» di Dio

    L’Uomo immagine di Dio

    Il mondo, espressione della Parola divina

    Le tecniche della comunicazione

    Natura teo-iconica della comunicazione

    Mass media e salvezza umana

    Capitolo undicesimo

    UNA RIFLESSIONE RELIGIOSA SUL CASO AYODHYA*

    Capitolo dodicesimo

    SMETTIAMO DI PARLARE DEL «VILLAGGIO GLOBALE»*

    Sezione terza

    SECOLARITÀ E PACE

    Capitolo primo

    CONCORDIA E ARMONIA*

    Introduzione

    I.Forme e crisi della spiritualità contemporanea

    Scienza e fede

    La sfida della scienza

    La crisi contemporanea

    Tecnica e teologia

    La teologia, straniera nel mondo tecnico

    La tecnica e il superuomo

    La tecnica e l’uomo

    Cultura e religione

    Il pluralismo culturale

    L’incontro attuale

    Per una spiritualità autentica

    II.Alternative alla cultura dominante

    Tesi I. Non esiste un’alternativa

    Corollario I

    Corollario II

    Corollario III

    Corollario IV

    Corollario V

    Tesi II. La cultura moderna non è la soluzione

    Una civiltà tecnologica

    L’ideologia pan-economica

    Corollario I

    Corollario II

    Corollario III

    Tesi III. Esistono (solamente) alternative provvisorie

    Non c’è un modello

    Il ruolo del mito

    La secolarità

    Pluralismo e «centralizzazione»

    III. Le religioni e la cultura della pace

    1. La lezione del passato

    2. Intermezzo

    3. Il compito attuale

    Pace

    IV.La pace politica come obiettivo religioso

    V.Un punto d’incontro tra le prospettive religiose.

    Non è giustizia rispondere con il male al male?

    VI.La diversità come presupposto per l’armonia tra i popoli

    VII. L’ingiustizia nel mondo non ci lascia indifferenti

    La situazione mondiale vista da una prospettiva occidentale

    Nuove alternative pluraliste

    VIII. Una nuova società per un nuovo millennio

    Un novenario di priorità

    1. La demonetizzazione della cultura

    2. Smantellare la costruzione della Torre di Babele

    3. Il superamento dell’ideologia degli Stati-nazione

    4. Riportare la scienza moderna ai propri limiti

    5. Correggere la tecnocrazia attraverso l’arte

    6. Superare la democrazia attraverso una nuova «kosmologia»

    7. Recuperare l’animismo

    8. Far pace con la terra

    9. Scoprire la dimensione divina

    Capitolo secondo

    PACE E DISARMO CULTURALE*

    Prefazione

    Introduzione

    I.Preliminari sulla pace

    1. Il mito della pace

    2. Ricevere la pace

    a) Ermeneutica del gesto

    b) La pace come dono

    c) Un dono prefabbricato?

    3. Verso una «philosophia pacis»

    a) La filosofia della pace

    b) Fenomenologia della pace

    c) La sfida della «philosophia pacis»

    II.La dimensione religiosa della pace politica

    1. Introduzione e tesi

    a) La guerra come problema religioso

    b) La pace come tema politico

    c) Tesi

    2. Note preliminari

    a) Sociologia della conoscenza

    b) Riflessione interculturale

    c) Definizione delle nozioni

    3. La trasformazione religiosa della pace politica

    a) La tradizione

    b) Tre fattori della modernità

    α) La tecnocrazia

    β) La secolarità

    γ) Il mito della Storia

    c) La pace politica come problema religioso

    III. Il disarmo culturale, requisito per la pace

    1. Che cosa è la pace?

    a) Il mito unificante

    b) Un emblema della pace

    c) Complessità della pace

    2. Ostacoli alla pace

    a) L’idea militare

    b) La civiltà tecnocratica

    α) La scala umana

    β) La natura della tecnocrazia

    γ) La scienza moderna

    3. La cosmologia evoluzionista

    IV.Percorsi di pace

    1. L’esperienza della storia

    2. La riconciliazione

    3. Il dialogo

    Capitolo terzo

    ECOSOFIA, LA SAGGEZZA DELLA TERRA*

    I.Ecosofia, o il rapporto cosmoteandrico con la natura

    1. La nostra crisi dipende dal fatto che gli attuali enunciati culturali fondamentali di base non sono la base né il fondamento di alcunché

    2. Solo una trasformazione potrà salvarci

    3. Tale trasformazione è l’esperienza cosmoteandrica

    4. La Natura reale non è un oggetto

    5. Le categorie della scienza naturale sono inadeguate per rapportarsi alla Natura

    6. Conoscere la Natura significa diventare consapevoli della nostra co-appartenenza cosmoteandrica

    7. L’arte (τεχνη) di prendersi cura della Natura si chiama Ecosofia

    8. La Natura è il nostro terzo corpo

    9. Per quanto inizialmente dolorosa, la «emancipazione» dalla tecnocrazia è il compito liberante del nostro tempo

    II.Ecosofia: una riflessione interculturale

    1. Politica

    2. Scienza

    3. Filosofia

    Bibliografia

    Glossario

    Indice dei testi originali del presente volume

    ABBREVIAZIONI

    Scritture hindū

    Scritture cristiane

    Altri

    INTRODUZIONE

    Che trasformata vita

    quella di colui che trova

    nel mondo il sacrale,

    e crea il nascosto viale

    lungo il quale vanno

    quei saggi che nel mondo stanno!¹

    Questo volume è dedicato alla secolarità definita «sacra» perché rappresenta lo stile di vita cui siamo chiamati, superando la dicotomia tra il sacro e il profano.

    Non si tratta di fuggire dal mondo, ma di trasfigurarlo – che è qualcosa di più che redimerlo: è risuscitarlo. Bisogna «trovare» il sacro e «creare» la via secolare. La scoperta della secolarità sacra ci sembra essere il catalizzatore affinché la trasformazione non sia solo un cambio d’abito, una nuova moda, ma una mutazione storica. Il compito non è facile, ma è urgente e anche affascinante.

    Questo volume invita alla trasformazione. La trasformazione del brusio in silenzio, del borbottio concitato nell’acquietamento dei rumori esterni e interni appartiene all’arte del vivere, cioè alla sapienza. Questo volume cerca di presentare una visione del mondo in cui, senza negare la possibile trascendenza del divino, si accentua l’immanenza del sacro nelle viscere stesse del mondo. Per troppo tempo la cosiddetta religione (religo) ha cercato di ricongiungerci (religarci) con un Essere trascendente a spese dell’immanenza dell’Essere negli esseri, provocando così la scissione dell’essere dell’uomo con l’Essere di tutta la realtà. La difesa della sacralità del mondo si presenta come la «riunificazione» di questi due campi – senza tuttavia confonderli. La crisi di una religione ultramondana non si risolve con l’assorbimento del mondano nella divinità, né con la confusione tra il divino e il mondano, ma con il riconoscimento e l’esperienza dell’intrinseca relazione di queste due «dimensioni» della realtà nell’uomo stesso, punto d’incontro tra cielo e terra – che ho denominato visione cosmoteandrica.

    Dopo due secoli di dispute sull’opposizione tra «secolare» e «religioso» (in un periodo che comprende la rivoluzione francese, la rivoluzione sovietica, la rivoluzione industriale, e arriva fino al Concilio Vaticano II, alla caduta del muro di Berlino e ai dibattiti scientifico-religiosi), l’Occidente si trova forse in una situazione più favorevole rispetto a prima per riflettere sul senso ultimo del fenomeno della secolarità, tenendo conto dei contributi della sociologia della conoscenza e della prospettiva di una scienza interculturale delle religioni². L’ottica del presente volume è genuinamente filosofica nel senso tradizionale del termine. La filosofia è strettamente legata alla sapienza, e non solo all’analisi di enunciati concettuali. Naturalmente ricorreremo anche ai contributi della sociologia, della teologia e della scienza occidentale, ma inquadreremo il problema in una prospettiva molto più ampia, quella dell’uomo contemporaneo che riflette sulla propria esperienza negli ultimi 6.000 anni della sua storia. Credo che questa sia la prospettiva giusta da cui si deve partire oggi per affrontare i problemi che affliggono l’umanità. Se restringiamo tale prospettiva, il risultato sarà superficiale e incapace di comprendere il grado di coscienza attuale. Se la estendiamo a una preistoria più antica, la ricerca diventa più ardua e dai margini più controversi³.

    La secolarità rappresenta un novum relativo nella vita dell’uomo sulla terra. La secolarità è legata a una particolare esperienza del tempo come ingrediente essenziale della realtà, e pertanto anche dell’uomo. È un novum che trascende cronologie e culture e si trasforma in un mito generale. È un novum relativo, innanzitutto perché ogni mutazione è relativa⁴. Inoltre perché questa esperienza è esistita da tempo immemore negli angoli più reconditi dell’essere umano e aveva già cominciato a manifestarsi nelle saggezze tradizionali⁵. Durante il corso delle tradizioni umane sono avvenuti molti processi di secolarizzazione; nel corso della storia vi sono stati anche molti saggi (alcuni li chiamano mistici o poeti, altri scienziati e pensatori) che hanno sperimentato che la vera dimensione secolare della realtà è qualcosa di definitivo e non meramente passeggero, sebbene non abbiano ridotto tutto a questa dimensione. I poeti ce lo dicono:

    «Arriviamo alla questione del tempo. Esiste qualche poesia atemporale? Atemporale è un’astrazione, che non corrisponde a realtà. Le due condizioni, spazio e tempo, sono requisiti ineludibili della vita umana… Tempo con date, storia collettiva e pubblica. Esiste anche un tempo senza date, privato, intimo… Per il momento, la vita costituisce un valore in terra. E senza che il tempo si fermi…»⁶.

    Ma fino ai giorni nostri il fenomeno della secolarità non aveva avuto una portata così ampia⁷. La sola secolarità soffocherebbe l’uomo, ma la dimensione secolare della realtà non può rimanere relegata in secondo piano, se vogliamo dare un’immagine fedele della cultura emergente del nostro tempo e un’idea più completa di ciò che è la vita umana.

    «… L’uomo che riconosce che il pane per sé è una preoccupazione materiale e il pane per gli altri una preoccupazione spirituale (Berdjaev) appartiene a un mondo secolarizzato o a un mondo non secolarizzato ma inqualificabile?»⁸.

    Dare da mangiare all’affamato (di qualunque fame si tratti) è solo un compito profano o delle istituzioni «religiose» o non è piuttosto un compito della secolarità sacra? Intendiamo dire che, se si riduce tutto il reale al meramente secolare (che ancora dobbiamo definire), si soffoca la realtà privandola del suo carattere di infinitezza e libertà. Ma, allo stesso tempo, negare alla secolarità il suo carattere reale e definitivo degrada la vita umana a un semplice gioco senza importanza reale – né dignità. Forse una delle ragioni della crisi apparentemente universale dell’umanità attuale è che non si è riusciti a operare una sintesi tra sacro e secolare.

    Forse ci troviamo di fronte a un altro «periodo assiale» – ma, in questo caso, non della storia, come lo descrisse Karl Jaspers, ma della vita umana sulla terra⁹. Il periodo storico, cioè il periodo umano di coscienza principalmente storica, sta volgendo al termine. I suoi archetipi però rimangono tra di noi e dentro di noi, ma il periodo che comprende gli ultimi 6.000 anni sta per essere progressivamente sostituito da altre forme di coscienza. Ritengo che la coscienza storica, o il mito della storia, ha cominciato a essere sostituito kairologicamente (non cronologicamente) dalla coscienza trans-storica¹⁰. Il fenomeno della secolarità è una manifestazione di questa trasformazione. L’essenza della secolarità è un’esperienza peculiare del tempo come dimensione costitutiva della realtà tempiterna¹¹.

    Non ci riferiamo qui alla religiosità dell’Occidente da un punto di vista sociologico. Vi sono numerosi studi su questo argomento e dopo tutto la situazione cambia quasi ogni dieci anni e da un Paese all’altro. Abbiamo una tendenza troppo spiccata a giudicare il mondo con i parametri della nostra particolare provincia¹². Ci sono stati lungo la storia molti movimenti di secolarità, ma nella sua forma attuale non bisogna dimenticare che è un fenomeno fondamentalmente occidentale.

    La secolarità è un fenomeno transculturale caratteristico della nostra epoca. Modificando rispettosamente il termine saeculum senescens (un mondo che sta invecchiando), coniato da sant’Agostino in De civitate Dei al momento della caduta dell’Impero romano, possiamo parlare oggi di un saeculum emergens (un mondo emergente), ma dobbiamo anche aggiungere, forse paradossalmente, et necans seipsum (e autodistruttivo), se non siamo capaci di neutralizzare le tendenze letali dell’attuale civiltà dominante¹³.

    Abbiamo chiamato «sacra» questa secolarità, che corrisponde alla vita ordinaria, superando la dicotomia ancora diffusa tra il sacro e il secolare. Certamente il sacro non è il profano, ma può appartenere tanto a una vita secolare come a quella religiosa.

    * * *

    È stato piuttosto difficile dividere questo volume per argomenti, in quanto essi toccano vari aspetti della realtà secolare formando però un tutto armonico

    La prima sezione (che dà il titolo al volume) è dedicata alla filosofia della secolarità; ne sviluppa la descrizione, analizza la sacralità del secolare, e riporta alcune considerazioni sulla sfida che la secolarità rappresenta per le religioni tradizionali. Segue un capitolo che tratta della secolarità dell’ermeneutica.

    La seconda sezione è dedicata alla politica come aspetto non trascurabile della vita: l’Uomo, dicevamo nel volume dedicato alla spiritualità, è soma, psyche, polis e kosmos. In quanto polis, la sua appartenenza a una comunità (politica) è fondamentale. Questa sezione comprende vari articoli collegati alla sociologia che abbraccia anche la formazione universitaria.

    La terza sezione, dedicata alla pace, comprende due libri: Concordia e Armonia, raccolta di alcuni articoli che illustrano come la pace non possa che essere il risultato di una secolarità vissuta nella sua sacralità e Pace e disarmo culturale. La sezione termina infine. con alcuni scritti sull’ecosofia che, come dice la parola, è la saggezza della Terra che siamo invitati ad ascoltare e con la quale fare pace. L’invito alla pace, traguardo per la vita armoniosa dei diversi popoli sulla Terra, è un obiettivo che può essere raggiunto individualmente superando l’ego e collettivamente accettando la pluralità delle culture e tradizioni, senza che nessuna di esse pretenda di prevaricare imponendo una sola economia, una sola politica, una sola religione… Non è forse la varietà il dono più bello che possiamo riscontrare anche nella natura, e a maggior ragione tra i popoli?

    ¹Questi versi mi sono stati ispirati, per contrapposizione, da una famosa poesia del grande poeta e mistico castigliano del Cinquecento frate Luis de León, che parla del frastuono mondano e della felicità di ritirarsi da esso («¡Qué descansada vida / la del que huye del mundanal ruido / y sigue la escondida / senda, por donde han ido / los pocos sabios que en el mundo han sido!») – ma qui si trasformano in un’apologia della secolarità sottolineandone l’atteggiamento non contraddittorio ma complementare.

    ²È significativo che l’antologia di H.-H. Schrey (cur.), Säkularisierung, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, Darmstadt 1981, una delle migliori sul tema, cominci con la seguente frase dell’editore: «Il problema della secolarizzazione è in pratica il problema del rapporto tra il cristianesimo e il mondo». Sebbene riconosca che si tratta di un problema di portata generale, la maggior parte dei casi avvengono tramite contatti con l’Occidente. Per quanto riguarda il problema da una prospettiva più vasta, cfr. D.C. Mulder (cur.), Secularization in Global Perspective, VU Boekhandel/Uitgeverij, Amsterdam 1981, che si occupa di Africa, Brasile, Sud dell’India e del mondo musulmano. Bisogna tenere conto del fatto che, anche se il problema è interculturale, gli scrittori sono per la maggior parte occidentali. È molto importante partire da una visione più ampia per comprendere meglio la situazione attuale. Per quanto riguarda la storia della parola stessa, cfr. il libro tuttora indispensabile di H. Lübbe, Säkularisierung. Geschichte eines ideenpolitischen Begriffs, Alber, Freiburg 1965 (trad. it. La secolarizzazione. Storia e analisi di un concetto, il Mulino, Bologna 1970). Per una bibliografia più completa, cfr. quella compilata da G. Anders, in H.-H. Schrey (cur.), Säkularisierung, cit., pp. 415-437.

    ³Cfr. R. Panikkar, Is History the Measure of Man? Three Kairological Moments of Human Consciousness, in «The Teilhard Review», XVI, 1-2, London 1981/10, pp. 39-45.

    ⁴Cfr. l’affermazione di Diadoco di Fotice nel V secolo: «L’uomo non si trasforma in ciò che non era, si rinnova gloriosamente in ciò che (già) era», in M.-M. Davy, Le Désert intérieur, Albin Michel, Paris 1983, p. 199 (trad. it. Il deserto interiore, Servitium, Gorle 2001). È questa capacità umana (capax Dei, la chiamavano gli scolastici) che permette la continuità nella meta-morfosi (che non è una kata-morphosis). La trasformazione non è una deformazione.

    ⁵Cfr. A. Mendelson, Secular Education in Philo of Alexandria, Hebrew Union College Press, Cincinnati 1982 e il classico W. Jaeger, Paideia. Die Formung des griechischen Menschen, de Gruyter, Berlin-Leipzig 1936-1947, 3 voll. (trad. it. Paideia. La formazione dell’uomo greco, La Nuova Italia, Firenze 1936-1959, 3 voll.).

    ⁶J. Guillén, Guillén on Guillén. The Poetry and the Poet, Princeton University Press, Princeton 1979, pp. 152-153.

    ⁷M.J. Adler (cur.), The Great Ideas. A Syntopicon of Great Books of the Western World, Encyclopaedia Britannica, London 1952, 2 voll., non menziona questa parola tra i 102 argomenti de «Le grandi idee del mondo occidentale».

    ⁸E. Castelli (cur.), Herméneutique de la sécularisation, Aubier, Paris 1976, p. 15.

    ⁹Cfr. K. Jaspers, Vom Ursprung und Ziel der Geschichte, Fischer, Frankfurt am Main 1956, pp. 14-32 (trad. it. Origine e senso della storia, Edizioni di Comunità, Milano 1965).

    ¹⁰Cfr. The End of History: The Threefold Structure of Human Time-Consciousness, in King, Th.M. e Salmon, J.F. (curr.), Teilhard and the Unity of Knowledge, Paulist, New York, pp. 83-141 (trad. it. La fine della storia: la triplice struttura della coscienza umana del tempo, in «Quaderni di psicoterapia infantile», 10, 1984, pp. 16-109), inserito poi in The Cosmotheandric Experience, Orbis, Maryknoll, New York 1993.

    ¹¹Cfr. R. Panikkar, La Misa como «consecratio temporis». La tempiternidad, in Sanctum Sacrificium, Zaragoza 1961/6, pp. 75-93 (trad. it. La messa come consecratio temporis. La tempiternità, in La tradizione cristiana [1961-1977], vol. III/1, dell’Opera Omnia, Jaca Book, Milano 2015, pp. 217-235).

    ¹²Cfr. per esempio le analisi della situazione nordamericana di qualche anno fa in R.N. Bellah e Ch.Y. Gloch (curr.), The New Religious Consciousness, University of California Press, Berkeley 1976; J. Needleman e G. Baker (curr.), Understanding the New Religions, The Seabury Press, New York 1978; H. Cox, Religion in the Secular City. Toward a Postmodern Theology, Simon & Schuster, New York 1984; ecc.

    ¹³Cfr. i numerosi studi politici, economici ed ecologici sull’attuale situazione mondiale. Viviamo in un mondo dove l’80% dell’umanità deve accontentarsi di meno del 5% del reddito mondiale – e la differenza cresce ogni anno.

    Sezione prima

    SECOLARITÀ

    Capitolo primo

    LA SECOLARITÀ SACRA.

    UNA MUTAZIONE STORICA

    *

    Na saṃsārasya nirvāṇat kiṃcid asti viśeṣaṇam,

    na nirvāṇasya saṃsārāt kiṃcid asti viśeṣaṇam¹.

    «Non vi è alcuna differenza tra il secolare e il sacro,

    non vi è alcuna differenza tra il sacro e il secolare».

    Zeit ist wie Ewigkeit und Ewigkeit wie Zeit,

    So du nur selber nicht machst einen Unterscheid².

    «Il tempo è come l’eternità e l’eternità come il tempo,

    a meno che tu stesso non faccia la differenza»

    I. SECOLARITÀ

    Forse la parola secolarità non è la più adatta per esprimere ciò che si intende dire. Forse si dovrebbe coniare un neologismo. Ho introdotto l’espressione «intuizione cosmoteandrica» per esprimere quella visione della realtà che comprende il divino, l’umano e il cosmico come i tre elementi costitutivi della realtà, senza alcuna subordinazione tra essi. Ma qui tratteremo soltanto un unico aspetto di questa concezione, per cui non trovo nessuna parola migliore di secolarità³. Tutto dipende dalla nostra capacità di estrarre la sua quintessenza. Utilizzo la parola realtà come il simbolo più generale e universale di tutto ciò che è o può essere. Potremmo equipararla a Essere, e comprende gli esseri e la possibile Fonte dell’Essere⁴.

    Secolarizzazione, secolarismo, secolarità

    Dobbiamo distinguere tra a) secolarizzazione, b) secolarismo e c) secolarità⁵.

    a) La secolarizzazione è il processo storico per il quale le istituzioni religiose sono state private delle ricchezze, del potere e dei diritti che avevano accumulato nel corso dei secoli. Si applica soprattutto alla storia europea, ma è un fenomeno che si può trovare anche in altre culture. Le sue radici sono politiche e la causa principale è una certa insoddisfazione nei confronti della religione istituzionalizzata, che viene così spogliata dei suoi privilegi.

    «Per secolarizzazione intendiamo il processo per il quale alcuni settori della società e della cultura vengono separati dal dominio delle istituzioni e dei simboli religiosi»⁶.

    La secolarizzazione parte da una visione dualista tra il campo «religioso» o «sacro» e il mondano, perché si ritiene che il primo non appartiene al saeculum (il mondo). La secolarizzazione è in effetti il processo storico con cui si restituiscono al mondo le acquisizioni e il potere delle istituzioni religiose, indebolendo o distruggendo la posizione privilegiata che avevano acquisito⁷. È significativo che molti scrittori cristiani abbiano sottolineato gli effetti purificatori e positivi della secolarizzazione⁸ – malgrado le ingiustizie commesse nel processo.

    b) Il secolarismo invece è un’ideologia che afferma che il mondo empirico è tutto ciò che esiste, che la trascendenza in senso verticale è una mera illusione della mente⁹. Questa parola viene applicata soprattutto alla storia occidentale ed è stata utilizzata in questo senso da più di cent’anni¹⁰, ma si tratta di un fenomeno molto esteso nella storia delle civiltà.

    Il secolarismo cerca di rompere il dualismo che soggiace a una parte delle tradizionali visioni del mondo, negando che il mondo trans-empirico, sopra-naturale o meta-razionale abbia alcun grado di realtà. Il secolarismo sostiene che tutto è di questo mondo¹¹. Il saeculum è tutto ciò che esiste realmente¹².

    c) La secolarità rappresenta la convinzione che il saeculum appartiene alla sfera ultima della realt๳. Il saeculum non è uno stadio subordinato e/o transitorio dell’Essere, insignificante di fronte a un universo eterno, divino e trascendente, ma non è nemmeno l’unica realtà. La secolarità non è né dualista né monista, ma implica una visione advaita o a-dualista del reale, che insiste sull’importanza ultima della dimensione secolare della realtà, tradizionalmente dimenticata da molte religioni. Mentre il secolarismo assolutizza la realtà mondana, la secolarità relativizza la realtà ultramondana o «divina». Cerca di mantenere un equilibrio tra essere e non-essere, eternità e tempo, mondo e Dio, utilizzando la terminologia tradizionale. Secondo questa concezione, ad esempio, non vi è mai stato un momento in cui Dio sia esistito da solo¹⁴. Dio e il mondo sono «contemporanei». Dio è un essere relativo, in relazione al mondo¹⁵. È Dio del mondo e per il mondo – così come il mondo è di Dio e per Dio.

    Una menzione a parte merita l’uso che l’India moderna fa dell’uso della parola «secular», che è inserita nella sua Costituzione. Per «secular State» si intende che lo Stato non è né una «teocrazia» né uno Stato ateo, ma un governo che tollera ogni religione, che rispetta la libertà dei culti senza favorire un’istituzione religiosa più di un’altra – situazione contestata dal recente movimento chiamato hindutva.

    Origini della secolarità

    Prima di descrivere questo aspetto definitivo della realtà avvertiamo che non prendiamo posizione nel dibattito sulle origini della secolarità, spesso impropriamente chiamata anche secolarizzazione¹⁶. L’origine della secolarità è un fenomeno complesso e molto studiato soprattutto in Occidente. Una descrizione adeguata meriterebbe una monografia indipendente che riassumiamo in un solo paragrafo.

    La secolarità può essersi originata nella concezione del mondo giudaico-cristiana¹⁷, nel Rinascimento europeo¹⁸, nell’industrializzazione occidentale¹⁹ o nell’idea moderna di Stato-nazione²⁰; può equivalere al riconoscimento della ragione come criterio fondamentale di verità, o può implicare la perdita dello spirito religioso o di qualsiasi senso di trascendenza; può anche rappresentare il più grande pericolo del nostro tempo²¹ o semplicemente un trasferimento dalla religione a un nuovo spazio²²; può essere dovuta all’«Entzauberung der Welt» (il disincanto del mondo)²³ o soltanto all’interpretazione protestante del mondo²⁴ o ad altre ragioni di questo tipo²⁵; può rappresentare la maturità dell’uomo e avere le proprie radici nell’Illuminismo²⁶ e in movimenti paralleli in altre culture²⁷. Tutte queste ipotesi sulle origini e le possibili implicazioni della secolarità sono importanti e hanno prodotto un’immensa bibliografia²⁸. Di fatto ci forniscono un esempio della complessità della cultura e una chiave introduttiva al fenomeno della religiosità contemporanea senza la quale è difficile interpretare il mondo attuale²⁹.

    Non entreremo nella discussione se si tratti di un fenomeno anticristiano o se sia invece la manifestazione più genuina della rivelazione cristiana³⁰. Non entreremo neppure nell’analisi della Bibbia ebraica o dei Veda per chiarire se le radici della secolarità nacquero nelle tradizioni religiose primordiali prima che venissero soffocate da gnosticismi elitari³¹, o se la secolarità è semplicemente connaturale all’essere umano³². Come si capisce da questa esposizione di possibili impostazioni, la questione delle origini della secolarità è affascinante e complessa. Qui tuttavia eviteremo di difendere una particolare ipotesi e ci concentreremo su un’impostazione cosmologica e antropologica più fondamentale – che però non può ignorare la problematica accennata.

    Etimologia

    L’uso delle parole diventa una questione di prassi politica e non solo d’interesse teoretico. Malgrado il diverso uso che se ne fa, sono restio a prescindere dalla parola «secolarità» perché ha una ricca storia etimologica che ci aiuta a scoprire il suo senso più profondo. La parola proviene probabilmente da una radice etrusca, origine del latino saeculum, che significa «mondo temporale»³³.

    L’aiōn è stato interpretato come l’aspetto più caratteristico del mondo. Si potrebbe dire che l’aiōn è lo spazio temporale dei tre tempi: iniziale, medio e finale³⁴. È la dimensione cosmica intrecciata con quella divina, ma non confusa con essa³⁵. Il saeculum non è semplicemente ciò che si è soliti chiamare mondo, non è il mero kosmos materiale, ma il cosmo vivente, la forza vitale dell’universo³⁶. La parola «secolarità», debitrice di questa tradizione straordinariamente ricca, mantiene ancora questo nucleo recondito di significato anche nei suoi usi più correnti, quando la si purifica da aderenze ideologiche. Il linguaggio è il documento umano più profondo.

    Questo riferimento linguistico vuole far notare il carattere vitale o animista della realtà che la parola sottende³⁷. Il saeculum non è né il cosmo geografico né il mondo umano, ma entrambi – formando un’unità indistruttibile. È l’universo vivente, la forza vitale del mondo, impensabile senza l’uomo, il suo rappresentante ed esemplare più qualificato³⁸. Questa vitalità significa, evidentemente, che il tempo non è in declino; che ci troviamo agli albori della nostra esistenza: nel mezzo del cammin di nostra vita, nell’apogeo della vita; come i ṛṣi vedici e il poeta italiano hanno detto così bene.

    Mā no madhyā rirīsat āyur gantoh³⁹

    «non danneggiate il vostro āyus nel mezzo

    del vostro cammino [della vostra vita]».

    Non ferite, non lasciate perire il vostro āyus

    a metà strada del vostro pellegrinaggio.

    Potrebbe essere anche un’interpretazione della pienezza cristiana del tempo:

    ὅτε δὲ ἦλθεν τὸ πλήρωμα τοῦ χρόνου⁴⁰

    «Quando venne la pienezza del tempo».

    Il saeculum è la manifestazione della simbiosi positiva tra l’uomo e il cosmo. In altri scritti ho cercato di abbozzare un’antropologia integrale che ritorni all’antropologia tripartita tradizionale (spirito, anima, corpo) e che studi le quattro dimensioni empiriche dell’uomo: sōma, psychē, polis e kosmos (utilizzando i nomi greci); jīva, aham, ātman e brahman (utilizzando parole sanscrite); o terra, acqua, fuoco, aria (utilizzando la terminologia delle tradizioni primordiali). Queste quattro dimensioni sono contenute nella parola indoeuropea saeculum, che incarna la quaternitas perfecta⁴¹. Un’«antropologia» cosmoteandrica aggiungerebbe anche lo spirito – ma non è questo ora il nostro tema.

    Descrizione

    Tornando alla nostra concezione di secolarità, la triade spazio/tempo/materia è un ingrediente fondamentale della realtà, qualcosa che non «passa» e sparisce a favore di un’altra esistenza o di un’altra realtà. È risaputo che non vi è tempo senza spazio e che entrambi implicano la materia. Questi tre fattori sono interdipendenti e formano la corporeità, che è una delle tre dimensioni inter-in-dipendenti della realtà (cosmoteandrica). Nella nostra descrizione del saeculum va sottolineato l’aspetto temporale.

    I molteplici usi della parola indicano che ciò che conta è l’aspetto vitale e temporale della realtà. Ci possono essere opinioni diverse riguardo al valore «metafisico» che può avere il secolare, o riguardo a come si possa integrare il secolare in una realtà più complessa senza perdere la sua identità e la sua coerenza, ma in ogni caso è un valore definitivo. Il secolare non è ciò che correntemente viene chiamato mondano, ma è la struttura temporale indistruttibile del mondo⁴². Poiché il tempo non esiste senza le cose temporali, le secolarità comprende la realtà delle cose materiali che si estendono nel tempo e nello spazio, vale a dire la triade spazio/tempo/materia⁴³.

    Sebbene questa nozione della secolarità sia un novum relativo, è utile ricordare che, ironicamente, la prospettiva secolare non è affatto una novità per le tradizioni africane e per la maggior parte delle religioni primordiali⁴⁴. La maggior parte di queste tradizioni non separa lo spazio dal tempo e quindi da ciò che chiamiamo «mondo», e non isola nemmeno questo mondo dal resto dell’universo. La secolarità è lo scenario in cui si gioca il destino di tutto ciò che esiste. Al contrario, in quelle che vengono solennemente chiamate le «grandi religioni» questo mondo è visto spesso come qualcosa di secondario o provvisorio. La differenza sembra risiedere nel fatto che le culture che non hanno sopravvalutato il ruolo della mente, e ancor meno quello della ragione, hanno un’esperienza vitale più armonicamente completa (olistica) – senza con questo svilire il ruolo della mente.

    Esperienza del tempo

    La secolarità forse può essere descritta come frutto di un’esperienza peculiare del tempo. Per le religioni abramiche il tempo è certamente reale e il credente raggiunge la vita eterna nel e mediante l’uso del tempo; ma l’ordine temporale è provvisorio, è soltanto un trampolino verso l’ordine escatologico reale. «Tutto finisce bene» e le vicissitudini che possono capitare nell’interregno, soprattutto nell’ambito della storia, sono considerate in ultima analisi irrilevanti. Ci saranno «un nuovo cielo» e «una nuova terra», ma «non ci sarà più tempo»⁴⁵. L’ottimismo delle religioni abramiche è escatologico. L’eschaton è il reale. La tragedia non è possibile nel mondo temporale, perché non è definitivo. Da parte loro, le religioni indiche tendono a considerare il tempo come un fattore illusorio, vuoi positivo (un mezzo di realizzazione) come nel buddhismo, o negativo (un ostacolo per la realizzazione) come in molte spiritualità hindu⁴⁶. In questi casi la realtà ha poco o nulla a che vedere con il tempo⁴⁷. Naturalmente, e paradossalmente, la mistica realista, sia in Oriente che in Occidente, costituisce un’eccezione. Non c’è bisogno di parlare di religioni che affermano o negano il mondo per renderci conto che la maggior parte delle «grandi religioni» sembrano voler trascendere il tempo⁴⁸. Perfino l’escatologia orizzontale del marxismo vuole trascendere il tempo. Le religioni cinesi hanno a questo proposito una concezione ben diversa: sono molto più secolari⁴⁹. È significativo che per questa ragione molti autori non osano (o non osavano) chiamarle «religioni», ma semplici filosofie.

    Le differenze e le sfumature sono chiaramente molto importanti, ma sembra che tutte queste concezioni abbiano in comune lo stesso atteggiamento fondamentale riguardo al tempo⁵⁰. Il secolarismo, come abbiamo detto, afferma che la triade materia/spazio/tempo è tutto ciò che esiste. Anche la secolarità afferma il carattere definitivo e costitutivo della triade, ma senza negare la possibilità che possano esserci altre dimensioni della realtà oltre alla triade. Il secolarismo riduce lo spirito a materia, eliminando quindi tutte le differenze, e per questo cade in una sorta di monismo, avendo ridotto la realtà a un’unica dimensione. La secolarità invece non assolutizza il saeculum. Difende solamente il suo legittimo posto nella sfera della realtà ultima: il saeculum non deve restare relegato, mettendosi da parte di fronte a ciò che è veramente «reale», che lo si voglia chiamare Dio, Cielo, Brahman, nirvāṇa o altro.

    Che cosa significa che il tempo è definitivamente reale? Significa che le strutture temporali del mondo, e specialmente gli avvenimenti temporali della vita umana, non sono momenti effimeri che non lasciano un segno duraturo, né impalcature da eliminare una volta terminato l’edificio – né la zattera dell’immagine buddhista che si abbandona una volta raggiunta l’«altra sponda» (che non sarebbe sponda se non ci fosse la sponda opposta). Le strutture temporali sono molto più che vestigia del passato che l’uomo conserva nella memoria o anticipazioni del futuro (una preparazione in vista della «vita reale»). Esistono di diritto, appartengono all’ordito e alla trama del tessuto stesso della realtà. Il tempo è reale, ma non è reale soltanto il tempo presente. Il passato e il futuro sono altrettanto reali. Il tempo esiste e tutti i tempi co-esistono. Ciò che è stato è tanto reale quanto ciò che sarà ed entrambi appartengono alla realtà. Il destino temporale dell’uomo è indissolubilmente legato al suo destino eterno e alla sua situazione eterna. I valori temporali non sono soltanto mezzi per raggiungerne altri più elevati, ma sono anche in sé stessi fini quando li si scopre come la faccia empirica di una realtà tempiterna. Non si dovrebbe confondere il tempo con la storia, la coscienza del tempo con la coscienza storica. Abbiamo detto che l’aspetto temporale della realtà, e quindi della vita umana, non è semplicemente un mezzo per ottenere qualcosa di più, che dipende da un’istanza più alta, ma qualcosa che ha il suo valore definitivo in quanto tale – sebbene sia inseparabile dal tutto (che abbiamo chiamato cosmoteandrico)⁵¹.

    Ciò significa che il futuro non è il fine della vita umana e allo stesso tempo che Dio non è il Futuro assoluto⁵².

    Il tempo non è solo il futuro⁵³. Il tempo è anche il passato e il presente, che per noi risulta più importante⁵⁴.

    La secolarità (l’esperienza del tempo come valore definitivo) non andrebbe confusa nemmeno con il primato esclusivo della storia. Gli autori che credono che il cristianesimo sia la culla della secolarità difendono spesso quest’opinione, perché hanno identificato la secolarità con la coscienza storica e il cristianesimo con la storia⁵⁵ – identificando cristianesimo con cristiania⁵⁶.

    La frase «Dio opera nella storia» descrive una concezione comune in certi circoli cristiani. Da una prospettiva differente quest’affermazione può apparire erronea e addirittura blasfema. Se la storia è opera di Dio, abbiamo davvero un Dio crudele e inumano. Dire che Dio agisce nella storia è un’affermazione propria dei vincitori, dei sopravvissuti, dei privilegiati che si possono permettere di pronunciare una simile frase. Come la mettiamo con i milioni e milioni di vittime della crudeltà e dell’ingiustizia umana? Per chi opera questo Dio? Per i milioni di persone che muoiono ogni anno di denutrizione? Per i milioni di vittime delle guerre tecnologiche di questo secolo? Per quelli che combattono in tutte le guerre che in questo momento stanno dilaniando il pianeta? Per chi? Evidentemente per quelli che, ben nutriti e al sicuro, si sono impossessati di Dio, come i soldati della «Reconquista» spagnola («Santa Maria!» era il loro grido di guerra), i crociati («Dieu le veult»), i mitteleuropei («gesta Dei per francos»), i nazisti («Gott mit uns»), gli americani («In God we trust»). Dov’è il Dio delle centinaia di olocausti della storia dell’uomo? Non serve citare il libro di Giobbe. Forse Nietzsche aveva ragione quando diceva che il cristianesimo è (anche) per gli schiavi, per le vittime (della storia).

    Secondo questa concezione di un Dio assolutamente trascendente, per cui il senso della vita umana risiede in un aldilà trascendente, il fatto storico innegabile che le religioni hanno praticato e addirittura predicato la guerra non è tanto scandaloso come potrebbe apparire a una mentalità secolare. Dopo tutto, uccidere il corpo non è un male assoluto, dato che tutte le vittime citate probabilmente andranno in cielo prima dei loro boia e forse anche prima dei vincitori – se questi ultimi hanno combattuto con la coscienza a posto e per una causa giusta. Non facciamo commenti. «Dio sta con il battaglione più forte», dicevano i greci.

    In verità Dio non opera nella storia. La storia non è il campo delle azioni di Dio. Forse Dio agisce nei recessi intimi delle anime umane offrendo loro pace e consolazione anche nelle situazioni storiche più difficili. Ma certamente la storia non è la rivelazione di Dio. Potrà esserlo forse per Hegel, per gli israeliti, per gli arabi, per questo o quel popolo, ma un Dio tribale, anche se forse è stato il Dio dei cristiani, non è senz’altro il Dio del Vangelo – che fa piovere sui giusti e sui peccatori. Gesù fu una vittima della storia, non il suo Signore. Se il suo regno fosse stato di questo mondo, avrebbe lottato per non essere condannato a morte⁵⁷.

    Questo Dio non esiste. Come vedremo, oggi la storia è diventata ciò che la cosmologia era per le culture più tradizionali: la cornice entro la quale si compiono gli sforzi umani. In realtà è una cornice ben stretta! Altrove ho già parlato del mito della storia.

    La fiducia cosmica

    L’aspetto più rivoluzionario della mentalità secolare è la crisi che produce nella fiducia cosmica, che era fondamentale in quasi tutte le religioni tradizionali⁵⁸. Secondo la concezione tradizionale, viviamo in un cosmo, cioè in un ordine ben stabilito, in un universo governato da ṛta, da Dio, dalla Provvidenza, da pratītyasamutpāda. Possiamo confidare nell’ordine delle cose e anche nelle strutture sociali che rappresentano l’ordine del cosmo. La funzione conservatrice delle istituzioni religiose è ben nota⁵⁹. I bambini hanno fiducia nei loro genitori, i governati nei governanti, i contadini nella terra, i cittadini nelle leggi. Tutto è gerarchizzato: disobbedire ai «superiori» è disobbedire a Dio, dice san Paolo⁶⁰. È chiaro che ci sono trasgressioni, infedeltà, tradimenti, sfruttamenti e altre cose del genere, ma vengono sempre percepiti come tali. È per questo che esistono prigioni, caste, guerre… Ci sono maestri, guru e falsi profeti, ma resta l’idea che la disciplina e la gerarchia sono necessarie, perché fanno parte della natura stessa della realtà. «Oboedientia tutior» era un lemma religioso: «L’obbedienza è la cosa più sicura». Chi obbedisce non sbaglia⁶¹. Il cristiano può cercare di diventare un bambino, perché c’è un Padre celeste⁶²; il buddhista può rinunciare a tutti i suoi pensieri, perché non ha bisogno di pensare per addentrarsi realmente nel mondo reale; l’hindu può evitare di preoccuparsi, perché il reale pensa già a sé stesso, ecc. Sembra esistere una fiducia di base nell’ordine della realtà. Natura medicatrix.

    La secolarità moderna ha sgretolato questa fiducia. È necessario occuparsi di tutto personalmente ed essere critici prima di riporre la propria fiducia in qualcosa. Bisogna avere ben chiaro che l’ordine sociale può non essere altro che oppio, offerto dal potere per mantenere il suo dominio. Accettare che le cose siano come sono e non intervenire, permettere che le cose siano come ci si presentano senza intervenire attivamente e senza praticare un’analisi critica è quantomeno un’ingenuità e, in ultima istanza, un’irresponsabilità. La ribellione può essere una virtù e la disobbedienza un obbligo. Il nostro libero arbitrio ha oltrepassato la soglia di un’antropologia individualista. La vita non riguarda più soltanto la psicologia; ha smesso di essere una questione privata, dove contava soprattutto il saper prendere le giuste decisioni. La vita ora ha assunto proporzioni cosmiche e un valore personale che nessuno può delegare ad altri – nemmeno a Dio⁶³. Il futuro (e non solo il «nostro» futuro) dipende da noi. Il destino del mondo è, almeno parzialmente, nelle nostre mani. Non c’è motivo per cui Dio debba intervenire necessariamente; l’ordine cosmico non è una sicurezza. Lo scorrere del tempo non ha la garanzia finale di un’escatologia consolatrice. Non solo l’individuo può fallire nella vita, ma l’intero universo può saltare in aria, sparire, sprofondare. La bomba atomica può distruggere l’intero pianeta. La nostra responsabilità non è derogabile. La preghiera senza azione può essere una semplice forma di anestesia.

    L’uomo non può vivere senza una certa fiducia, ma questa fiducia comincia in noi e non è mai una sicurezza. Il saeculum non è una roccia ferma e solida come un Essere Supremo⁶⁴. La secolarità prende sul serio l’ontonomia e le «cause seconde» – per dirla con la terminologia scolastica.

    Secolarità e modernità

    Dobbiamo distinguere tra secolarità e modernità. Evidentemente il concetto di modernizzazione è relativo. Qualunque individuo, istituzione o cultura può portare a termine un processo di modernizzazione. La modernità, contrariamente a ciò che spesso si crede, non si contrappone alla tradizione. Tutto dipende da che cosa si intende per modernità e tradizione⁶⁵. Molte volte si chiama «modernità» il fenomeno peculiare del nostro tempo – soprattutto in Occidente e quindi sotto l’influenza diretta dello «spirito occidentale»⁶⁶. Questo ci porta a chiederci se modernizzazione implica occidentalizzazione, un problema che in altre parti del mondo può assumere un’importanza dolorosa⁶⁷.

    Sebbene secolarità e modernità siano in stretta relazione, non bisogna confondere il fenomeno più profondo e vasto della secolarità con quello della modernità. Nel mondo contemporaneo cominciano ad apparire movimenti propri della modernità con tendenze integraliste e ultraconservatrici. Sono moderni, ma non tipicamente secolari. Tuttavia la maggior parte delle caratteristiche della modernità rivela l’impatto della secolarità⁶⁸. Si è affermato più di una volta che la modernità inizia con l’esperienza del tempo come entità limitata⁶⁹. Quand’è che l’uomo sente di non avere più tempo? Solo quando il tempo è lineare e contemporaneamente esterno all’uomo. Non retrocede, è indipendente dalla vita dell’uomo. Il tempo ha smesso di essere una liturgia personale nella quale il proprio tempo si unisce al tempo cosmico e alla tempiternità. Le liturgie classiche configurano il tempo⁷⁰. La fine del tempo ha smesso di essere la fine della vita personale perché il tempo non è più interiorizzato come parte del nostro essere, o come se il ritmo stesso dell’esistenza non ci avvolgesse come sua parte essenziale⁷¹. In questo modo inizia la lotta con la scarsità⁷². Il tempo è breve, scarso⁷³.

    Secondo un’interpretazione diversa da quella del contesto paolino, questa affermazione implica tre presupposti. Il primo è che il tempo è esterno a noi, sia che si tratti di un fatto oggettivo o di una categoria soggettiva – anche se fondata sulla percezione di qualcosa di oggettivo. Il secondo è la quantificazione del tempo⁷⁴. Il terzo è l’ipotesi che il nostro mondo sia finito⁷⁵. Siamo ossessionati dal tempo, ma il tempo non appartiene più al nostro essere: è stato quasi ridotto a un oggetto, a una merce. Questo «tempo» è esterno a noi; è lineare e non retrocede mai in maniera circolare; la sua misurazione è, in ultima analisi, una questione tecnica. Lavoriamo per un certo numero di ore e così si stabilisce una stretta relazione tra lavoro e tempo. Il salario si stipula in base alle ore di lavoro, durante le quali si suppone che sia stata prodotta una certa quantità di valore, di energia, di beni, di mezzi di sussistenza. Queste due idee vanno unite. Il tempo è la quantità che misura le nostre vite, una quantità limitata, anzi scarsa. La necessità di produrre di più significa semplicemente produrre più in fretta, significa cioè la necessità di accelerazione. Il tempo è la misura della produzione. Di questo si occupa la tecnologia. Forse vale la pena riflettere sulla diversa esperienza del tempo nella modernità tecnologica. «Time is money» potrà essere una esagerazione, ma certamente il lavoro viene misurato in rapporto al tempo, e il tempo in rapporto al lavoro. Il giorno si divide tra le ore lavorative e il resto. Le prime sono le ore produttive. L’uomo diventa un ingranaggio della macchina lavorativa.

    Nella Costituzione della Seconda Repubblica spagnola, la nazione viene definita come «repubblica di lavoratori». Ci basti citare Marx per la sua concezione e critica del lavoro come mezzo di produzione di cui il prodotto è misura – e valore. Questa mentalità porta direttamente alla valorizzazione dell’accelerazione, grazie alla quale si lavora, cioè si produce, di più.

    La caratteristica della scienza moderna è l’accelerazione, una nozione che non è stata formulata fino al XVII secolo⁷⁶. Non a caso uno dei «padri» della modernità scientifica, Galileo Galilei, ha studiato il fenomeno dell’accelerazione⁷⁷. «Guadagnare tempo» è uno slogan della modernità. Oggigiorno si tende ad accelerare tutto, non solo i trasporti e, per quanto possibile, i processi psichici, ma anche la vita – dimenticando che quando si oltrepassa una certa soglia si rompono i ritmi cosmici. La «nuova scienza» reclama il potere di rompere i ritmi naturali⁷⁸. L’uomo moderno è giunto a credere che questo intervento sia positivo, perché apparentemente crede che la natura sia nemica dell’uomo e che l’uomo debba sottometterla. È iniziata così l’alienazione dell’uomo nei confronti della natura. Il passo successivo è lo sfruttamento di quest’ultima.

    Dovrebbe risultare chiaro che quando parliamo della secolarità come di un novum non ci riferiamo solo alla prospettiva meramente sociologica, generalmente etnocentrica, delle élite occidentali. Se vogliamo mantenere la discussione a un certo livello di analisi, quanto sosteniamo non può essere confutato adducendo la recrudescenza di ogni tipo di integralismi, di sette e di alcune nuove religioni⁷⁹. Al contrario, anche la maggior parte di questi fenomeni moderni appartengono a quello che ho chiamato secolarità. Molti di questi movimenti sottolineano l’importanza del corpo, la consistenza della materia, il valore del tempo, e hanno un atteggiamento affermativo di fronte al mondo. Inoltre molti di questi movimenti, con maggiore o minore successo, cercano di combinare i valori moderni con quelli delle religioni tradizionali. Una certa coscienza ecologica sta penetrando un po’ ovunque e la nozione di ecosofia si sta facendo lentamente strada⁸⁰. Vi è dunque un’ambivalenza in tutto ciò che i venti della secolarità portano con sé. Si deve perciò discriminare. Tratteremo di ciò nella parte seguente.

    II. LA SACRALITÀ DEL SECOLARE

    Sembra che nella visione secolare esista una certa dialettica interna. L’impostazione secolare nasce quasi sempre come reazione contro il dominio eccessivo dei valori ultraterreni degli atteggiamenti considerati «puramente» religiosi. Il processo è sufficientemente noto. Si è prodotta una reazione secolare contro il dominio eteronomo delle istituzioni religiose principali. La secolarità, però, abbandonata alla sua dialettica interna, si rende presto conto che ha bisogno di un fondamento più solido e che non basta semplicemente opporsi alle «teocrazie» di ogni genere. Il semplice fatto che si parli di religione «civile», «implicita» e addirittura «secolare» dimostra chiaramente la necessità umana di ciò che si può chiamare «il sacro»⁸¹. La secolarità si trasforma così in secolarità sacra quando aspira a giustificare i propri fondamenti.

    Il sacro

    Non apriremo ora il vaso di Pandora del sacro⁸². Facciamo ricorso a questo termine soltanto come simbolo per esprimere l’esperienza di questo polo della realtà che non può essere ridotto completamente all’empirico⁸³. Il sacro è meta-empirico, a meno che non si ammetta un’empeiria mistica. Il sacro è in opposizione dialettica al profano; non è una condizione obiettiva delle cose, ma dipende dalla sua supposta funzione mediatrice⁸⁴. Fa da mediatore tra la sfera umana e il regno divino, il misterioso, il trascendente, e viene trasmesso dalla coscienza umana⁸⁵. Malgrado la costante tentazione dell’uomo di manipolare il sacro, il sacro è proprio ciò che resiste a questa manipolazione⁸⁶. Il centro di grvità del sacro non si trova nell’uomo. La magia sarebbe proprio il tentativo di manipolare il sacro.

    La prima caratteristica del sacro è quella di essere la cosa più reale⁸⁷. Quando il sacro si oppone a qualcosa, l’opposizione implica che il grado più alto della realtà appartiene al sacro⁸⁸. Il sacro è in fondo il reale: Dio, il Cielo, nirvāṇa, Brahman, il mio paese, i miei figli… Anche i nemici del sacro contestano la sua esistenza proprio perché negano l’affermazione che il sacro è l’aspetto più essenziale del reale. Non si opporrebbero a lui – a torto o a ragione – se il sacro si lasciasse trattare come un fenomeno para-psicologico.

    La secolarità sacra dirà quindi che il secolare è reale e che il suo grado di realtà è primordiale. La nozione di secolarità deriva dall’esperienza che la vita del mondo (la triade materia/spazio/tempo) appartiene alla condizione ultima dell’Essere – ed è quindi sacra. Il saeculum stesso, e non solo ciò cui può portare o che può indicare, è «reale», cioè sacro.

    La sacralità, nel senso ristretto della parola, è una nozione originariamente semita. Per una mentalità abramica il sacro è il segregato, il messo da parte, il riservato alle persone sacre, cioè ai sacerdoti. Yahweh (YHWH) è il santo per eccellenza perché è il separato, il segregato, il differente, il totalmente altro (aliud).

    La sacralità in senso più ampio sarebbe quindi quel carattere del reale che si tende a identificare con la separazione e la segregazione, cioè quell’aspetto di infinito e di divino di ogni essere, ossia ciò che ha di più reale.

    Il sacro, il secolare e il profano

    Nessuno ha il monopolio del senso delle parole, ma è indispensabile specificare l’uso che si attribuisce loro. Abbiamo cercato di identificare il campo del secolare e del sacro, ma parecchi scrittori moderni non distinguono il secolare dal profano. Come suggerisce la parola, il pro-fanum è quel recinto, generalmente non limitato, che si trova dinanzi al fanum, al tempio come abitazione degli Dei e luogo privilegiato del sacro – in quanto il sacro si trova «segregato» dall’uso profano.

    Condividiamo il senso del profano come opposto al sacro; non accettiamo però che il senso del secolare sia uguale al profano ed estendiamo il senso del sacro al di fuori dei suoi limiti abituali.

    La secolarità sacra non nega la dialettica tra il sacro e il profano⁸⁹. Al contrario, questa dialettica funziona all’interno del regno della secolarità. Ma non bisognerebbe confondere il secolare con il profano⁹⁰. Il profano e il sacro formano una polarità. Il secolare però può essere al tempo stesso sacro e profano. La secolarità è sacra quando, presentando un carattere di ultimità, impossibile da manipolare, serve da mediatrice tra il «divino» e l’umano e non si rinchiude in sé stessa. È profana quando elimina questa polarità e si crede completamente autosufficiente. È quello che abbiamo chiamato secolarismo.

    L’identificazione del secolare con il profano deriva dall’identificazione ingiustificabile del sacro con l’ultraterreno. Qui sta la chiave di tanti fraintendimenti.

    Bisogna distinguere con molta attenzione le due nozioni⁹¹. Il secolare non è soltanto il profano, e il sacro non equivale solo al «soprannaturale», all’eterno, all’ultraterreno.

    La secolarità sacra, per un aspetto o per l’altro, ha caratterizzato l’atteggiamento di molti poeti e saggi che hanno sperimentato la realtà ultima delle cose mondane senza ridurle all’empiricamente dato. Essa si oppone alla dicotomia su cui poggiano le cosmovisioni dualiste: il tempo ora e l’eternità poi, la terra sotto e il cielo sopra, la creazione al di qua e il creatore al di là, la sofferenza in questo mondo e la felicità nel prossimo, ecc. Cerca di superare il dualismo senza cadere nel monismo; distingue ma non separa. Le formule saṃsāra/nirvāṇa, ātman/brahman, theopoiēsis/theios, le frasi «partecipanti della natura divina», «in lui ci muoviamo, viviamo, siamo», unione ipostatica, Incarnazione, natura del Buddha, ecc. puntano tutte nella stessa direzione: i valori secolari sono sacri. Facciamo uso della parola tempiternità per esprimere l’intuizione dell’esperienza della realtà come temporale e come eterna, non separata diacronicamente od ontologicamente⁹². Tempo ed eternità sono le due facce della stessa medaglia, trama e ordito della medesima tela della realtà – sebbene non vadano confuse. Le dottrine classiche del dharmakāya (il corpo del dharma – e questo dharma indica il Buddha trascendente), del corpus Christi mysticum (il corpo del Cristo totale – in processo di crescita), del mondo come il corpo (śarīra) di Brahman, ecc., tutte queste intuizioni nascono da esperienze equivalenti: sono «equvalenti omeomorfici»⁹³. La secolarità sacra unisce le concezioni più tradizionali di molte tradizioni religiose: «Ciò che unirai sulla terra resterà unito nel cielo»⁹⁴, «Così in terra come in cielo»⁹⁵. I due regni sono essenzialmente inter- e intra-dipendenti; più ancora, in realtà sono inter-in-dipendenti, ed è per questo che nel mondo vi è libertà.

    La sacralizzazione monista e l’autonomia dualista

    Abbiamo parlato di secolarità sacra come di un novum relativo, in quanto ci sono state teocrazie, visioni moniste e regimi politici che con la

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