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Eros e thanatos ne i Racconti di Canterbury di Pier Paolo Pasolini
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E-book100 pagine1 ora

Eros e thanatos ne i Racconti di Canterbury di Pier Paolo Pasolini

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In questo saggio si cerca di decodificare il linguaggio cinematografico pasoliniano inerente al film I racconti di Canterbury, tenendo presente l’ideologia del regista, il contesto storico all’interno del quale egli ha operato e la sua attività di letterato, poeta, giornalista oltreché cineasta. Di fondamentale importanza per la realizzazione del suddetto lavoro è risultato l’esame dell’opera chauceriana e in particolar modo dei Canterbury Tales, fonte letteraria alla quale Pasolini si è ispirato per la realizzazione del suo film.
LinguaItaliano
Data di uscita14 nov 2021
ISBN9788878538696
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    Anteprima del libro

    Eros e thanatos ne i Racconti di Canterbury di Pier Paolo Pasolini - Rosella Lisoni

    INTRODUZIONE

    Nel mio libro ho cercato di decodificare il linguaggio cinematografico pasoliniano inerente al film I Racconti di Canterbury, tenendo presente e l’ideologia del regista e il contesto storico all’interno del quale egli ha operato e la sua attività di letterato, poeta, giornalista oltreché cineasta.

    Di fondamentale importanza è risultato l’esame dell’opera chauceriana e in particolar modo dei Canterbury Tales, fonte letteraria alla quale Pasolini si è ispirato per la realizzazione del suo film.

    Le analogie e le similitudini tra il poeta inglese e il regista non sono poche e, grazie ad esse, è possibile raggiungere una migliore comprensione del film e delle motivazioni che hanno indotto Pasolini ad avvicinarsi all’opera di G. Chaucer.

    CAPITOLO PRIMO IL PERCORSO LETTERARIO E CINEMATOGRAFICO PASOLINIANO

    Al raffinato e al sottoproletariato spetta la stessa ordinazione

    gerarchica dei sentimenti: entrambi fuori dalla storia, in un mondo che non ha altri varchi che verso il sesso e il cuore,

    altra profondità che nei sensi.

    In essi la gioia è gioia, il dolore è dolore.

    ( La religione del mio tempo)

    Nel 1972 Pier Paolo Pasolini porta sullo schermo i Canterbury Tales di Geoffrey Chaucer.

    Secondo lavoro di quella Trilogia della vita iniziata l’anno precedente con la trasposizione di alcune novelle del Decameron di Boccaccio e conclusa poi, nel 1974, con un film tratto dalle Mille e una notte.

    Tre grandi opere letterarie lontane nel tempo, come se solo guardando indietro, ad un passato remoto (solo nella tradizione è il mio amore) [1] , Pasolini potesse ritrovare una dimensione gioiosa e incontaminata del vivere quotidiano e l’immagine di un eros liberamente vissuto.

    Proprio quest’ultimo diviene, agli inizi degli anni ’70, un valore da contrapporre all’odiato presente, a quell’universo borghese che ne mistifica il senso e degrada la realtà.

    Ma i testi letterari di cui sopra diventano, come sempre, nelle mani di Pasolini pre-testi; ampie, articolate tracce narrative a partire dalle quali costruire il proprio personale discorso poetico, talora molto distante dall’ideologia sottesa alla letteratura presa in considerazione.

    Dirà, infatti, Pasolini a proposito dei suoi Canterbury Tales: "non ho mai avuto l’ambizione di fare un film in inglese come se fosse un film in inglese.

    Sapevo prima di cominciarlo che sarebbe stato il punto di vista di un italiano che ha letto i Canterbury Tales e la notte ha sognato ciò che aveva letto". [2]

    Tutto ciò che era già accaduto qualche anno prima con l’ Edipo di Sofocle e la Medea di Euripide, riletti in chiave antropologica e autobiografica, avverrà successivamente con Les cent – vingt journées de Sodome di De Sade forzatamente spinte all’analogia sadismo = fascismo [3] , in quel Salò che sostanzialmente resta una lucida e amara riflessione sull’impossibilità della poesia di porsi ormai come strumento di rifondazione dell’umano.

    "L’unica rivolta possibile al codice di Salò – osserva Turigliatto – e tuttavia ancora incapace di salvezza non va cercata nel riscatto della poesia, ma nei gesti di trasgressione religiosa, sessuale e politica" [4] .

    Nelle buie stanze di tortura di Salò muore ogni utopia. Non sopravvive neppure la poesia che agli inizi dell’attività pasoliniana era incaricata di esprimere l’ideologia, i valori, l’impegno e la visione del mondo dell’autore.

    Ma è un punto di arrivo che proviene da molto lontano: un cammino da esplorare.

    Nella produzione in versi di Pasolini questa tematica dell’impegno, quest’idea, cioè, di una poesia capace di parlare alla realtà, di riflettere le contraddizioni del presente storico, è già rintracciabile nelle iniziali Poesie a Casarsa (1942) dove la visione mitica di personaggi, luoghi ed eventi tengono la storia tutta fuori dall’orizzonte poetico pasoliniano.

    Il poeta mostra, infatti, un’attenzione partecipe e commossa al mondo contadino e popolare risolta attraverso un tracciato realistico di immagini, nate dalla memoria a evocare una religiosità arcaica, interamente sottoposte dall’autore ad una operazione di forte stilizzazione formale.

    I motivi centrali del primo Pasolini–poeta sono: il dissidio consapevolmente vissuto tra istinto e ragione; il tema della vita così tragicamente intrecciato a quello della morte e il legame materno, fisico, biologico con la propria terra, legame che giustifica l’idea di comporre in dialetto friulano, idioma tramite cui è possibile immergersi completamente nel cuore delle cose: è attraverso esso – dirà infatti Pasolini – che cominciai a capire qualcosa del vero contadino [5] .

    Solo la successiva scoperta di Marx consentirà a Pasolini una più attenta considerazione delle determinazioni storiche, non solo biologiche, in cui si trova preso l’individuo.

    Arriviamo così a Le ceneri di Gramsci (1957), felice innesto dell’ideologia marxista sul troncone delle predisposizioni giovanili pasoliniane, soprattutto su quel cristianesimo da Pasolini inteso come mito primigenio, mentre l’ ideologia marxista è vissuta meno come opzione di classe e più, invece, come sentimento (attratto da una vita proletaria/ a te anteriore, è per me religione/ la sua allegria, non la millenaria/ sua lotta: la sua natura, non la sua coscienza) [6] .

    L’irrisoria contraddizione "tra la passione per un valore naturale e l’ ideologia che vorrebbe disperatamente razionalizzarla mentre riesce solo a drammatizzarne il mito, tra una volontà progressista e la pretesa di attuarla mediante processi regressivi" [7] , costituisce il motivo di fondo de Le ceneri, raccolta che segna, oltre al passaggio dal comporre in dialetto allo scrivere in lingua e anche quello dalla giovanile fase lirica e quella epico-didascalica della maturità, da una lingua idilliaca e preziosa a una più discorsiva e descrittiva; una lingua dunque maggiormente ancorata a quella realtà del suo tempo che, adesso, Pasolini vuole intensamente evocare. Il mondo, dice infatti in proposito, che era stato prima, pura fonte di sensazioni espresse attraverso una raziocinante e squisita irrazionalità, è divenuto ora, oggetto di conoscenza se non filosofica, ideologica e impone, dunque, sperimentazioni stilistiche di tipo radicalmente nuovo [8] .

    Con L’usignolo della Chiesa Cattolica (1958) si fa più evidente, a livello tematico, il contrasto tra il desiderio di una vita arcaica, primigenia e la volontà di non negarsi del tutto alla storia, a un’esperienza altra di vita.

    L’età giovanile che nelle composizioni in lingua dialettale, era vista quale età felice, si colora, nelle poesie in italiano, di un senso sottile del peccato (Lasciami o Fatale, / sciogli la delicata / stretta nella tua mano / che mi incanta di male) [9] .

    Questo rapporto purezza–peccato ci rimanda al tema vita–morte de La meglio gioventù (1954) col suo mito della natura sensuale, mentre ne L’usignolo della Chiesa Cattolica assistiamo alla comparsa del mito della religione fanciulla in cui purezza e peccato s’intrecciano nell’estasi dei sensi (Cristo il tuo corpo / e il drappo trema / sopra il tuo ventre) [10] .

    Si tratta, dunque, di una religione sensuale, viscerale [11]

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