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Pirati di Terra
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E-book363 pagine5 ore

Pirati di Terra

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“Pirati di Terra” è un romanzo storico a carattere picaresco ambientato nel Trentino Alto Adige e nel Veneto del 1700: due protagonisti, orfani cresciuti in un piccolo paese di montagna, per una serie di sfortunate circostanze decidono di inseguire i loro sogni intraprendendo un viaggio avventuroso, dai risvolti tragicomici e sorprendenti, verso il mare. Il cammino intrapreso donerà loro nuove occasioni di vita ed un'inaspettata nuova identità.
LinguaItaliano
Data di uscita30 lug 2015
ISBN9786050402070
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    Anteprima del libro

    Pirati di Terra - Aldo Cortolezzis

    Roosvelt

    21 marzo 1721

    Fatto, finito. 21 marzo 1721: così Nicodemo intitolò la sua ultima creazione. Al giovane musicista non piaceva dare titoli di fantasia alle proprie opere e nemmeno catalogarle com’era in uso per i musicisti dell’epoca. Ogni composizione scaturiva in lui da una forte emozione interiore che in una particolare giornata lo induceva ad esprimere con le note ciò che provava e che difficilmente riusciva a dire con le parole, quella giornata diveniva il titolo della sua opera. Il 21 marzo era sempre stato un bel ricordo per Nicodemo, proprio il primo giorno di primavera infatti nacque, molti anni prima, un mostro sacro della musica: Johann Sebastian Bach. Non fu però l’amore per il grande musicista ad ispirarlo quello stesso giorno del 1721: alle dieci di mattina nel duomo di Glorenza convolò a nozze Theresa, l’unica donna che avesse mai amato in vita sua. Nicodemo ricordava bene il loro primo incontro: si era recato al mercato per ascoltare i suonatori ambulanti quando, nel maldestro tentativo di arrampicarsi su di un barile per potersi godere meglio lo spettacolo, rovinò a terra trasportando con sé sia il barile sia il suo contenuto, anguille vive. Il pesce, una volta riversato sul selciato, creò il panico tra la folla accalcata e Nicodemo si ritrovò sdraiato faccia a faccia con una ragazzina che aveva abbracciato nel disperato tentativo di attutire la caduta. Nonostante il baccano della folla impazzita i due giovani non si mossero; la ragazza dalle lunghe trecce bionde fissò a lungo Nicodemo con i suoi grandi occhi blu ed un sorriso dolcissimo che lui non avrebbe mai più scordato. Dopo l’avventura delle anguille al ragazzo ci vollero molto tempo e numerosi appostamenti per capire chi fosse la creatura angelica incontrata al mercato.

    Theresa Krölich, figlia di Balthasar Krölich borgomastro di Glorenza e di Sidonia Rubatsch nipote del vescovo di Chur, era colei che gli rubava il sonno la notte.

    Negli anni Nicodemo riuscì più volte ad incontrarla e addirittura a scambiare qualche timida parola con lei, specialmente durante le messe delle principali festività. In tali occasioni il ruolo di organista ufficiale della chiesa di Glorenza, ricoperto usualmente da Nicodemo, veniva affidato a Ramus J.Hoffermann, gran maestro d’organo di Bolzano e la ragazza non era sorvegliata a vista dalle guardie del padre che la seguivano dappertutto, tranne che in chiesa. Nei suoi sogni ad occhi aperti Nicodemo desiderava unicamente lei, creatura sensibile che ad ogni loro incontro lo guardava con infinita tenerezza e gli sussurrava parole dolci. Per tutte le altre ragazze del paese Nicodemo era solo uno spostato che parlava da solo, viveva da solo in una soffitta piena di topi e che suonava il suo strumento anche in piena notte, ma non per Theresa.

    Tutti i sogni di gioventù del giovane musicista svanirono tristemente il 21 marzo 1721.

    La dolce Theresa era stata promessa in sposa ad un certo Friedrich von Bellegarde, giovane rampollo di una famiglia che vantava non pochi titoli nobiliari e ricchi possedimenti in tutta la Val Venosta. Come poteva un musicista squattrinato, malconcio e senza famiglia, competere con un giovane così potente e benestante? Doveva saperlo fin dall’inizio che per i tipi come lui non c’era speranza, cosa pretendeva, forse di portarla a vivere con lui nella sua vecchia soffitta piena di spifferi e muffa? Che futuro avrebbe mai potuto offrire ad una ragazza del genere quando i soldi delle lezioni di musica che dava in paese bastavano appena per sfamare se stesso? Quel giorno avrebbe voluto urlare la sua rabbia a tutta Glorenza, avrebbe voluto uscire e bussare alle porte di tutte le case, prendere la gente e spingerla in piazza ad urlare insieme a lui: basta con i privilegi, basta con le false virtù, siamo tutti uguali su questa terra e io merito quella donna tanto quanto lui! Ma come al solito non proferì una parola, conosceva già le ingiustizie della vita e sapeva di poter fare ben poco per cambiare le cose. Tutto quello che riuscì a fare fu sedersi al suo strumento e urlare con lui, lasciarsi andare alla sensazione di quel prolungamento del suo corpo capace di trasformare tutte le sue frustrazioni in note, fraseggi e armonie. ΄21 marzo 1721΄ fu una delle sue migliori composizioni, una delle più ispirate, intensa quasi quanto quella dell’ 11 novembre 1718, quando i cavalli imbizzarriti di un carro si portarono via Knulp, bastardino dal pelo lungo e arruffato, fino ad allora unico compagno della sua solitaria vita.

    Il destino

    Nonostante la primavera fosse alle porte, Glorenza non era del tutto uscita dal rigido inverno e l’Oberwind si faceva ancora sentire per tutta la vallata con le sue potenti e gelide raffiche.

    L’inchiostro della data posta a titolo dell’ultimo spartito non aveva ancora fatto in tempo ad asciugarsi quando un’improvvisa folata di vento spalancò le malconce finestre della soffitta in cui abitava Nicodemo, infiltrandosi vorticosamente tra le poche cose che la occupavano. Inutilmente il povero musicista si gettò a proteggere dal vento le pagine scomposte dei suoi spartiti che una ad una cominciarono a volteggiare nell’aria andando a mescolarsi ad un insieme roteante di stracci, pagine di libri e vestiti consunti.

    Quel trambusto sembrò durare un’infinità, poi finalmente l’aria si calmò e Nicodemo riprese fiato. Sedutosi a terra guardò il caos tutt’intorno e per la prima volta ringraziò il cielo di aver così poche cose nella sua piccola soffitta. Richiuse le imposte, il giovane si ripromise ancora una volta di rinforzarle e di mettere una toppa a tutti quegli spifferi che nelle sere ventose d’inverno oltre a congelarlo sembravano popolare la casa di fantasmi sibilanti. Prima di tutto Nicodemo si mise a riordinare gli spartiti, le sue ΄creature΄ come diceva lui. Non era per niente spaventato dal compito poiché aveva sempre numerato tutti i fogli delle sue composizioni e siglato ogni singolo foglio di una stessa opera con un marchio diverso distinguibile in calce alla pagina.

    ΄La maniacalità dell’ordine può farti diventare pazzo, ma a volte può essere molto utile΄ pensò soddisfatto Nicodemo, la sua baldanza svanì molto presto quando, alla fine della raccolta della sua ultima composizione, si accorse che mancava la parte più importante, la prima pagina. La cercò invano come un disperato, ma l’angusta soffitta sembrava averla ingoiata. Si precipitò alla finestra e la spalancò con tale foga che quasi finì di sotto, ma la pagina sembrava essere sparita nel nulla. ΄Nooo!!! Non mi ricorderò mai tutte quelle note!΄ imprecò fra sé Nicodemo. ΄21 marzo 1721΄, il suo ultimo spartito, era stato scritto di getto e il giovane non aveva avuto ancora il tempo di impararlo a memoria; per di più la prima pagina conteneva il motivo chiave, la melodia sulla quale si reggeva l’intera opera che, privatane, avrebbe perso senso e musicalità.

    ΄L’unica mia opera realizzata per vero amore è ora incompleta, non mi darò mai pace per questo!΄.

    Nicodemo scese in strada e come un indemoniato provò inutilmente a cercare il prezioso foglio per tutto l’isolato, finché, sconsolato, tornò a casa e si sdraiò in lacrime sul pagliericcio, ignaro di ciò che stava per combinargli il destino.

    La prima pagina dell’ultima composizione di Nicodemo, dopo essere volata via dalla finestra, fu trasportata dal vento fin sopra i tetti delle case di Glorenza, come guidata da una mano invisibile.

    La città vista dall’alto era ancora più bella.

    Tutta raccolta dentro alte mura e sorvegliata da torri maestose, Glorenza dava l’idea di un rifugio accogliente e sicuro. La piccola città di montagna si era sviluppata nei secoli mantenendo un sapiente equilibrio tra spazi verdi e costruzioni; non era difficile scorgere tra i tanti tetti di tegole e scandole, orti rigogliosi e alberi da frutto. La vita all’interno delle vie cittadine scorreva placida, scandita dal ritmo delle stagioni e dal lavoro paziente degli artigiani.

    Lo spartito eseguì dapprincipio alcune acrobazie capricciose, sfiorò diversi comignoli fumanti e, risalendo parte della St.Pankratius Gasse, svoltò improvvisamente a destra in direzione Laubengasse. La via dagli angusti portici portò il foglio ad avanzare spedito verso la piazza cittadina dove, volteggiando su se stesso, parve fermarsi come per osservare meglio le splendide costruzioni che vi si affacciavano. Il forte vento insinuatosi tra le vie non accennava però a smorzarsi e ben presto fece riprendere all’esile foglio di carta la sua folle corsa trascinandolo con forza lungo la Malserstrasse. Se non fosse stato per il panificio di Otto la pagina perduta da Nicodemo probabilmente sarebbe per sempre sparita oltre la porta di Malles, diretta verso chissà quale punto della Val Venosta; il destino volle invece che andasse ad incagliarsi proprio sull’insegna in ferro battuto del panificio. Un calo di vento cominciò a far scendere il pezzo di carta come una foglia secca sul selciato, ma l’improvviso passaggio di un carro lo fece retrocedere sbatacchiandolo a destra e a sinistra. Fino a quando, a conclusione del suo viaggio, lo spartito si infilò nel portone spalancato di un locale posto sull’altro lato della strada: la bottega di Hans, il ciabattino.

    Hans e la sua bottega

    Di Hans Knödel, detto il Burbero, nessuno conosceva di preciso l’età, si sapeva soltanto che aveva ereditato l’attività dalla famiglia del padre e che da più di quarant’anni era l’artigiano che riforniva di calzature tutta Glorenza, ricchi e poveri compresi. Hans era conosciuto da tutti come un uomo tirchio e brontolone, irascibile e a volte violento. La sua fama di sublime calzolaio aveva di gran lunga oltrepassato le mura cittadine e si diceva in giro che in passato, quando la sua vista e le sue mani erano ancora buone, avesse confezionato un paio di scarpette perfino alla regina in persona. Quello che restava oggi del grande artigiano del passato era un vecchio ingobbito e pieno di acciacchi, cui non restava altro che il piacere di abbandonarsi ai ricordi, a quel piacevole passato di onori e di lavori di pregiata fattura eseguiti per tutti i nobili della contea.

    «In tutte quelle grandi feste danzanti, in tutti quei saloni lussuosi, non c’era un solo gentiluomo o dama che non calzasse un paio di Knödel, per Dio! Ah, quelli sì che erano tempi…», era solito ripetere solennemente Hans, fra un lamento e l’altro, «e oggigiorno non c’è nemmeno più un nobile all’altezza di tali calzature, nessuno!». In effetti negli ultimi anni gli affari non gli andavano molto bene e per pagare i numerosi debiti contratti era stato perfino costretto a vendere ad un suo concittadino, per l’equivalente di dieci Kreuzer, il bene più grande che la buon anima di suo nonno gli avesse lasciato: un paio di ciabatte appartenute ad un suo idolo di gioventù, Martin Lutero.

    La bottega del ciabattino era immediatamente riconoscibile dalla strada grazie ad una particolare insegna in ferro battuto voluta a suo tempo dal nonno di Hans e che il nipote adottò poi come stemma di famiglia: una graziosa scarpetta da donna inscritta in un cerchio.

    L’entrata della bottega non era assolutamente all’altezza della bellissima insegna e il vano che si apriva al visitatore era a dir poco bizzarro. Il laboratorio era costituito da una sola grande stanza con una piccola finestrella sul fondo da cui proveniva un tenue fascio di luce che bastava appena per rischiarare una moltitudine di oggetti e attrezzi da lavoro.

    Su un vecchio bancone addossato al muro si potevano scorgere svariati vasi di collanti e di coloranti per il cuoio, pezzi di stoffa, rocchetti di filo, forbici, lame e forme di legno per calzature dalle forme più disparate. Dall'altra parte della stanza, appese con dello spago ad alcune grosse travi del soffitto, penzolavano un'infinità di scarpe, scarponi, ciabatte e stivali. Tutte le calzature erano legate fra loro a coppie e su ogni coppia vi era appiccicato un cartellino indicante il lavoro da eseguire, la data e soprattutto il nome del proprietario. Era questo il metodo grazie al quale Hans riusciva ad ovviare al suo proverbiale disordine. Non di rado gli era capitato di consegnare calzature spaiate, anche a clienti molto in vista.

    «Non si può chiedere ad un’artista di essere anche ordinato, non vi pare?»

    Così Hans rispondeva ai clienti e ai curiosi che gli domandavano il perché di quel curioso soffitto fatto di calzature. A ridosso della parete di fondo, vicino ad un vecchio pentolone fumante, vi era una piccola scala che conduceva alla stanza sopra la bottega un tempo adibita a magazzino ed ora dimora di Thobia, unico garzone che all’epoca Hans potesse permettersi.

    Lo spartito ritrovato

    «Thobia! Thobiaaaaa! Chiudi quella dannata porta! Al diavolo voi giovani, è mai possibile che al primo raggio di sole spalanchiate porte e finestre? Ma dico, anche un povero garzone ritardato come te dovrebbe accorgersi dell’aria gelida che sta entrando!» gracchiò Hans simulando qualche colpetto di tosse «mi vuoi forse far ammalare? E se muoio io, chi credi che manderebbe avanti l’attività? Oh, non certamente un inetto del tuo pari, questo è certo.»

    «Arrivo, arrivo mastro Hans!»

    «Allora ti sbrighi? Non vedi che l'aria sta facendo dondolare tutte le scarpe appese al soffitto? Ti giuro che se si annodano starai in piedi tutta la notte e districarle, quant’è vero Iddio!» A volte Hans si rendeva conto di essere troppo duro con Thobia che per essere un giovane, categoria che il vecchio ciabattino odiava ogni giorno di più, era pur sempre un valido aiutante. Il ragazzo aveva imparato molto presto il mestiere, lavorava anche la domenica e non si lamentava mai, soprattutto era molto economico. Hans aveva promesso a sua eminenza il parroco di Glorenza, Severinus Lob, di prendersi cura del giovanotto e così aveva fatto, gli aveva offerto un lavoro e un letto. Cosa poteva pretendere di più dalla vita un povero orfano come lui? Di certo non un salario…

    Thobia lasciò cadere gli arnesi da lavoro sul bancone e si diresse riluttante verso il portone: «ma mastro Hans, qui dentro si soffoca! Lavorare tutto il giorno con colle e colori mi fa star male, vada per l’inverno, ma ormai è primavera, no?»

    «Tu non sei qui per pensare, sei qui per agire! Chiudi immediatamente quella porta ho detto! Non farmi pentire di aver fatto un favore a quel prete o altrimenti ti ci rispedisco a calci nel sedere!»

    Thobia sapeva di dovere molto a quel vecchio burbero che molti anni prima lo riscattò dalla casa per gli orfani dandogli un posto nella società, un lavoro e la dignità che fin da piccolo gli era mancata; non se la sentiva di disobbedire, per lui Hans era più che un padrone, era quasi un padre.

    Rassegnato raggiunse l’uscio, e distratto dal passaggio di due giovani ragazze forestiere non si accorse che un foglio di carta si era infilato nella bottega. Rientrato vide con stupore che qualcosa ricopriva completamente il volto del vecchio che pareva indossare una maschera dal grosso naso aquilino e dagli occhi infossati.

    «Thobiaaaa! Maledizione cosa diavolo hai fatto entrare dalla porta? Toglimi subito questa cosa di dosso prima che mi soffochi!» farfugliò Hans.

    Con un balzo Thobia afferrò l’oggetto e lo appoggiò al bancone. «Mastro Hans, sapete cosa vi si era appiccicato in faccia? È un foglio di carta, reca una data ΄21 marzo 1721΄ e dei puntini neri disegnati su tante righe orizzontali, cosa sarà mai? Un testo antico? Un messaggio cifrato? Un codice?» 

    «E’ uno spartito, idiota! Non lo sai riconoscere uno spartito? Sei proprio un ignorante…quei puntini sono note, e quelle righe orizzontali sono il rigo musicale che le contiene. Piuttosto, come ci è arrivato fin qui? Guarda bene, non c’è scritto nient’altro oltre a quella data?»

    «A guardare bene in effetti c’è disegnato uno strano simbolo, una N sormontata da un giglio. Carino, ma cosa starà a significare? Uno stemma nobiliare? Un marchio di casata? Un simbolo di natura religiosa?»

    «Finiscila di tormentare quel tuo povero cervello bacato, Thobia! Si è mai sentito di un nobile che compone musica e che la sigla con un disegno? Te lo dico io, mai. E poi nella zona conosco tutte le casate nobiliari e tutti gli stemmi, e non ve n’è uno che assomigli a un giglio. No, quella dev’essere l’iniziale di qualcuno che ha voluto siglare lo spartito, come se avesse voluto firmarlo. Ma chi può essere? Conosci qualche musicista qui in paese? Magari con un nome che inizia per N…»

    «Non saprei mastro Hans, questo è un paese di contadini, non c’è molta gente che suona uno strumento. Beh, c’è Herbert che ogni tanto gracchia con il suo violino giù all’osteria o Glück che lo accompagna con la sua chitarra alla quale sono rimaste ormai solo due corde. Non so, non li chiamerei proprio dei musicisti, e sicuramente non sono in grado di scrivere delle note su di un foglio.

    Anche Karl e Stephan dell’orchestrina di paese non credo ne siano capaci, non mi viene in mente nessun altro…aspettate, che stupido! Dimenticavo sua eminenza Severinus, è lui che ha portato i primi organi in chiesa a Glorenza e che ha insegnato a suonarli, comunque il suo nome non inizia con la N e nemmeno il suo cognome che fa Lob.»

    «Bah, al diavolo i suonatori e le loro composizioni, quello spartito finirà dritto dritto nel fuoco.»

    «Magari è un documento importante per chi l’ha scritto e lo sta cercando dappertutto!»

    «O magari è già morto da un pezzo e quel foglio è partito da una qualche soffitta ammuffita dove era a marcire da anni…»

    «Aspettate un momento…, ha detto soffitta? Ma certo, non può essere che lui! Non avevo pensato a quel ragazzo che tanti anni fa era alla casa degli orfani con me e che prendeva lezioni di organo dal parroco. Nicodemo, non può essere che quello svitato ad aver perso lo spartito.»

    «Chi? Quel pazzo che gira di notte come un fantasma e che importunava la figlia del borgomastro? Ma non vive dall’altra parte della città? E come ha fatto questo foglio ad arrivare fin qui?»

    «Non ne ho la più pallida idea mastro Hans, e di certo Nicodemo non mi sta molto simpatico, ma visto che all’ora di pranzo vado a fare visita alla mia amica Ilde che sta da quelle parti, magari glielo riporto.»

    «Ma Thobia, di un po’, stai forse parlando di Ilde Pfitscher? Moglie di Ludwig Pfitscher il macellaio?»

    «Certo, non lo sapete che il sabato Herr Ludwig è impegnato tutto il giorno al mercato? Lei si sente così sola poverina…»

    «Che il diavolo vi porti a voi giovani! Sempre a pensare a certe cose! Non c’è più rispetto, niente valori, con una donna sposata pure! Cosa deve sopportare un povero vecchio, cos’ho fatto per avere un garzone così scostumato?» Hans si scostò un attimo dallo sgabello verso il garzone. «Ma… dimmi, Thobia, è carina almeno?»

    «E’ mooolto carina, mastro Hans!»

    «Dannazione che cosa ci fai ancora qui allora? Si fanno forse aspettare le dame bisognose di compagnia? Mi chiameranno il Burbero ma sono stato giovane anch’io, sai? Ora và, fatti onore, e ricordati che un vero gentiluomo non si presenta mai a una damigella senza un presente. Sei in libera uscita, ma ti voglio qui per le tre in punto, siamo intesi?»

    «Ai vostri ordini, mastro Hans, alle tre in punto!»

    La soffitta di Nicodemo

    Dopo essersi spolverato e riassettato alla buona Thobia non perse tempo, si infilò velocemente la casacca, prese il capello e, intascato lo spartito, uscì dalla bottega canticchiando e ringraziando ancora Mastro Hans per la sua lungimiranza. Dai lunghi anni di convivenza con il vecchio ciabattino, il garzone ne aveva appreso vizi e virtù. Sapeva benissimo che su certi argomenti Hans non transigeva, mentre su altri, come le donne, era sempre disposto a chiudere un occhio. Sì, le donne…, quel magico mondo incantato, quelle creature così meravigliose ed affascinanti che si avvicendavano di giorno e di notte nei sogni proibiti di Thobia, talvolta in maniera così prorompente da togliergli il fiato. Non v’era dubbio alcuno, il giovane garzone si sentiva decisamente portato per il corteggiamento, per la passione e l’intrigo amoroso, e nessun abitante di Glorenza si sarebbe mai sognato di smentirne le doti tanto era nota la sua fama di conquistatore.

    ΄La mia è una missione, sì, proprio una missione, cosa son venuto a fare al mondo del resto se non per portare felicità e passione nel cuore di ogni donzella?΄. Con questi pensieri Thobia si incamminò lungo la Laubengasse, la via dei portici. Ogni tanto si soffermava a sbirciare dentro le botteghe; magari avrebbe intravisto qualche graziosa ragazza intenta al lavoro o, ancor meglio, avrebbe trovato qualche cosina da ΄prendere in prestito΄ tanto per non presentarsi a mani vuote dalla moglie del macellaio.

    Già, un regalo. E chi aveva un soldo per comprarlo? Parlava facile quel vecchio fanfarone di Hans, ma in tutti gli anni di lavoro non gli aveva lasciato che qualche spicciolo da spendere nelle feste, per tutto il resto aveva sempre dovuto arrangiarsi. Ad un tratto però gli venne un’idea, perché non sfruttare la sua fama? In fin dei conti aveva distribuito così tanto amore che poteva ben pretendere qualcosa in cambio. Accelerò il passo e si diresse dritto verso la bottega di Ramüs, il più rifornito droghiere di Glorenza.

    Helmut Ramüs era uno dei commercianti più in vista del paese, la sua merce arrivava da tutto il Tirolo, fresca e sempre di prima qualità ed altrettanto fresca arrivava ogni giorno sulle tavole imbandite di molti nobili e addirittura di qualche castello.

    Il droghiere non era sicuramente una persona affabile; scaltro e interessato, contava, valutava e soppesava ogni giorno le persone così come faceva con la sua merce.

    Thobia conosceva bene il personaggio e sapeva che l’impresa di riuscire ad andarsene da lì con le tasche piene, pur non avendo un soldo, era quanto mai ardua, ma sapeva anche di avere un valido alleato dalla sua parte, Kristina, l’avvenente commessa della lussuosa bottega.

    Si fermò davanti all’entrata prese fiato ed entrò. Oltrepassato il portone d’ingresso Thobia socchiuse gli occhi per un momento e si sentì investire da un avvolgente aroma di spezie e salumi affumicati che per un attimo lo fece vacillare, ΄questo posto è un sogno΄ pensò, ΄ma non potevo trovare lavoro in questo paradiso piuttosto che in quel buco scuro e maleodorante?΄. Quando riaprì gli occhi si trovò davanti qualcosa di ancor più paradisiaco; due grandi occhi verdi lo osservavano estasiati.

    «Kristina! Mia amatissima e dolcissima creatura, da troppo tempo non ci vediamo, ti lasciai bella come il sole e ti ritrovo ancor più splendente.»

    «Thobia, amore mio! Ma cosa ci fai da queste parti? Non dovresti essere al lavoro?»

    «Oh no, tesoro, oggi la fortuna mi ha sorriso, il vecchio Hans si è impietosito sentendomi parlare tutto il giorno di te e, vedendo quanto ero triste, mi ha anticipato la pausa unicamente per venire a trovarti. Non sei contenta?»

    «Sei il solito matto, ad un amore come te non riesce a dire di no nemmeno il vecchio Burbero. Oh, sapessi quanto sono felice che sei venuto, cominciavo persino a pensare che non ti avrei più rivisto.»

    «Ma che vai pensando in quella dolce testolina? Non voglio che i tuoi begli occhioni verdi versino una sola lacrima per me. Lo sai che sono molto impegnato e sai anche che non mi piace molto incontrarti qui nella bottega, preferisco il nostro solito posto, giù al laghetto. E poi non vorrei avere il dispiacere di trovarmi faccia a faccia con quella mummia di Ramüs. Approposito, che fine ha fatto il simpatico gestore di questo posto, nonché tuo padrone?» Una figura si insinuò alle sue spalle.

    «Per servirla, signore.» Il suo ghigno non era cambiato dall’ultima volta che Thobia l’aveva visto, sempre freddo, spietato, aveva una parlata così sibilante da sembrare un serpente.

    «Oh….perdonatemi…, ero solo venuto…» ora che lo vedeva aveva immediatamente perso la sua spavalderia e la lingua gli si era incollata al palato; dalla visione paradisiaca di Kristina gli sembrava di essere sprofondato di colpo all’inferno.

    «Venuto a curiosare forse? O a importunare la mia commessa? Non lo vedi che è molto indaffarata? Lo sai che non mi piacciono i perdigiorno come te!»

    Thobia ormai era paralizzato, ma per fortuna Kristina intervenne in suo aiuto.

    «Ma no Herr Ramüs, ve lo giuro, mi stava giusto chiedendo i prezzi di alcune spezie e del lardo per Mastro Hans, il suo padrone.»

    «Ah, e da quando il signor Hans si ciba di tali prelibatezze, abituato com’è a lesinare sul cibo? La vecchiaia comincia a giocargli brutti scherzi, direi. Di un po’, giovanotto, non vorrai prenderti mica gioco di me vero? Non mi piacciono gli scherzi e nemmeno i garzoni fanfaroni.»

    Thobia rimaneva immobile, ma sapeva di dover reagire e proseguì sulla linea di Kristina. «E’ vero, è verissimo! Mastro Hans vuole cambiare vita, ha detto di sentire che ormai gli manca poco da vivere e vuole godersela. Pensate che l’ho lasciato in bottega a cantare a squarciagola con una giovane donna seduta sulle ginocchia, per questo sono venuto via in anticipo. Mi dovete credere!»

    Era questa una delle tipiche sparate che uscivano dalla bocca di Thobia quando si sentiva ormai spacciato e tanto più si trovava in difficoltà tanto più grosse le diceva; generalmente si pentiva ancora prima di finire la frase, ma anche questa volta, non si sa bene come, la fortuna fu dalla sua fino in fondo.

    «Mmmh…, in effetti il vecchio Burbero è sempre stato un po’ estroso, specie con le donne, e comunque non ho niente da perdere, ma sappi che appena vedo il vecchio Hans mi farò raccontare tutto, e se non è così peggio per te.» Detto questo Ramüs andò dietro il bancone e cominciò ad annotare i prezzi delle spezie e del lardo su un foglio di carta. Kristina approfittò della distrazione del padrone per dare al giovanotto un bacio sulla guancia e tenendogli le mani sussurrò: «guai a te se stasera non ti farai trovare giù al laghetto, capito? Guarda che posso diventare più cattiva di Ramüs se lo voglio.»

    Poi la ragazza aprì il coperchio di una cassetta di legno, affondò le mani e ne versò furtivamente il contenuto nelle tasche di Thobia.

    «Tieni, queste andranno bene per il tuo padrone. Devo pur ringraziarlo in qualche maniera per averti permesso di venire.»

    Sfoderando uno dei suoi migliori sorrisi Thobia raggiunse il bancone e ricevette il foglietto di carta con i prezzi della mercanzia.

    «Grazie infinite, molte grazie Herr Ramüs, gentile come al solito. Se non vi dispiace tolgo subito il disturbo, il mio padrone potrebbe ancora avere bisogno di me…»

    Dopo un pomposo inchino e una strizzatina d’occhio a Kristina, Thobia uscì in strada contento di aver guadagnato due piccioni con una fava: aveva

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