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La morte non ha i trampoli
La morte non ha i trampoli
La morte non ha i trampoli
E-book287 pagine4 ore

La morte non ha i trampoli

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Info su questo ebook

"Il maresciallo Antonio Amato, trasferitosi dalla Calabria, perché la moglie vuole una pausa di riflessione, è da poco arrivato a San Piero a Ponti, paese alla periferia di Firenze. Sembra che non succeda mai nulla di rilevante o interessante, ma il ritrovamento del cadavere di una giovane donna sulla riva melmosa del Bisenzio, il fiume che scorre vicino alla caserma, rompe la monotonia.

L’apparente apatia del maresciallo si scuote e Amato, coadiuvato dai suoi appuntati e osteggiato dai suoi diretti superiori, si dedica ad un’indagine che lo porta a far luce su altre morti apparentemente naturali, ma per lui fortemente sospette. Anche se le sue disavventure personali e la difficoltà di inserimento in un ambiente completamente diverso da quello di provenienza sono ostacoli difficili da superare, con vivo intuito, seria determinazione e insospettabile capacità investigativa, il maresciallo non solo risolverà brillantemente il caso, ma ritroverà la voglia di vivere.

Le vicissitudini personali di Antonio Amato, di coloro che condividono con lui la quotidianità e la vita di paese fanno da cornice alla vicenda rendendola plausibile, coinvolgente e stimolante fino al colpo di scena finale."
LinguaItaliano
Data di uscita30 lug 2020
ISBN9788831687553
La morte non ha i trampoli

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    Anteprima del libro

    La morte non ha i trampoli - Elide Ceragioli

    lavoro.

    Capitolo 1

    Il maresciallo Amato posò i piedi nudi per terra e rabbrividì al contatto con l’impiantito gelato. La sveglia trillava con insistenza, ma le passò accanto senza toccarla. Si lavò e si vestì, poi si fermò a guardare il suo profilo nel grande specchio vecchio stile. La camicia era tesa sulla pancia e pareva che i bottoni stessero per saltare. Agata sicuramente lo avrebbe rimproverato: Sei un maresciallo! Datti un tono!

    Gli parve di sentire la sua voce astiosa risuonargli nelle orecchie con un realismo che lo portò a voltarsi. Era solo, e oltre i vetri della finestra non si vedeva altro che il lattiginoso respiro del fiume, che i raggi del sole invernale non riuscivano a frangere.

    Merda di paese. Proprio qui mi dovevano mandare?! borbottò.

    Era stata Agata a spingerlo a chiedere un trasferimento che avrebbe dovuto essere temporaneo. Era successo solo qualche mese prima, eppure gli pareva fosse passato un secolo. Lo aveva aspettato sulla porta, come non faceva da anni, al rientro da una delle sue missioni e freddamente, con voce dura, evitando di guardarlo, gli aveva detto: Ho bisogno di riflettere sulla nostra relazione. Ti sei accorto anche tu che fra noi ci sono problemi e da anni ormai! Mi serve tranquillità per poter pensare con serenità a me… a noi due. Devi lasciarmi sola per il tempo necessario a decidere come andare avanti. Il suo era un ordine e Antonio, anche se non capiva, non era riuscito a replicare nulla di sensato. Avrebbero finito per litigare alzando la voce in toni sempre più accesi e astiosi fino a quando lei avrebbe sbattuto la porta e se ne sarebbe andata da un’amica o da sua madre o da chissà chi. Toccava sempre a lui piegarsi a chiederle scusa, implorando umilmente il suo ritorno e concedendole una resa totale.

    Era successo tante volte e si sentiva stanco e impotente, così aveva obbedito, come sempre, e inviato i moduli. L’unico posto disponibile era in provincia di Firenze, e si era rassegnato a fare le valigie per la Toscana. Era stato semplice, più di quello che aveva immaginato e altrettanto doloroso.

    Scese le scale alle 8:00 in punto; l'appuntato Jevolo lo accolse davanti all’ufficio con un bel sorriso e il brio tipico di chi ha passato una bella notte, aveva in mano una tazzina di caffè e gliela porse.

    Maresciallo buongiorno, mi sono permesso di portarle anche una sfoglia alla crema.

    Amato rifiutò e il giovane, con un moto di disappunto e francamente a disagio, infilò il dolce nel sacchetto e rispose: A disposizione. Ho messo le pratiche sul suo tavolo.

    Amato approvò con la testa e si diresse, rassegnato, verso l'antiquata scrivania. Sfogliava e firmava senza leggere, così la sua mente era libera di andarsene lontano, in Calabria, dove Agata stava decidendo se la pausa di riflessione dovesse trasformarsi in una separazione definitiva oppure no.

    Si guardò le grosse mani, eredità di una genia di contadini, e gli parve di poterla stringere al collo. L'amava, eppure, se fosse stata accanto a lui, l'avrebbe strozzata.

    Lo squillo del telefono interruppe i suoi pensieri, riportandolo alla realtà del suo lavoro. Sollevò il ricevitore.

    Qui centrale. Segnalato corpo nel Bisenzio, altezza passerella San Piero a Ponti. Già allertati Vigili del Fuoco e autorità giudiziaria.

    Aggrottò la fronte faticando a capire il senso delle parole che sentiva e rispose meccanicamente: Ricevuto. Ci rechiamo immediatamente sul posto.

    Jevolo lo guardò interrogativo e lui comunicò: Dobbiamo andare… Hanno trovato un morto. Mi mandi Raggi e Catola.

    I due appuntati arrivarono contemporaneamente entrando dalla porta sul retro.

    La caserma era una costruzione vecchia, costruita al tempo del fascismo: un’architettura studiata apposta per dare l’impressione di una solidità, che in effetti non aveva. La porta che si affacciava sul piazzale dove parcheggiavano le auto personali e di servizio, era di fragile legno, e Antonio dubitava che avrebbe resistito ad uno scassinatore alle prime armi, figurarsi a qualcuno più esperto, caso mai avesse voluto tentare il colpo.

    Immaginò i titoli sui giornali: «Furto in caserma! La polizia indaga!». L’articolo avrebbe arricchito il repertorio delle barzellette sui carabinieri, pensò, ma aveva il morale a terra e non aveva voglia di ridere.

    Catola era il più anziano del gruppo, l’unico toscano, per giunta livornese e pertanto pronto a far battutacce su ogni cosa, gli indicò ridacchiando il breve tragitto fino alle scale di cemento che portavano all'argine. Maresciallo, le hanno portato il caso a domicilio!

    Amato lo guardò accigliato e rispose con un’alzata di spalle. Significava chiaramente che ne avrebbe fatto volentieri a meno, ma cominciò a salire con passo deciso. Si sentiva un condannato costretto al patibolo del lavoro, vincolato dal senso del dovere e non più dalla passione.

    Una piccola folla di curiosi, per lo più anziani imbacuccati per ripararsi dal freddo pungente, si era già assiepata sulla passerella e i carabinieri tentarono blandamente di farli spostare. Allo spettacolo, evidentemente già di per sé interessante, si unì la sirena che annunciava l’arrivo dei pompieri e qualcuno commentò saggiamente: Vedrete che di lì non passa, ci sono troppe macchine parcheggiate. Dovrebbero tornare indietro e imboccare via XIII Martiri. Oh diteglielo!

    Nessuno però si mosse e il camion cominciò una faticosa manovra fra le auto.

    Amato, mentre scendeva la riva fangosa, pensò alle scarpe lucide che si sarebbero inzaccherate, al fetore che gli avrebbe tormentato le narici per molte ore e infine al verbale che avrebbero scritto: «Alle 9:03, recatisi in loco, constatavano la presenza di persona seminuda, in evidente stato di morte. La suddetta salma era incastrata fra le erbacce e i rovi della riva destra del Bisenzio, se stiamo con le spalle a monte, riva sinistra se ci mettiamo con le spalle a valle. (Per dovere di precisione). Al momento non è deducibile se essa (o ella?) si sia volontariamente gettata procurandosi la morte o se la morte gliela avesse procurata altri (o altrui?)...»

    I dubbi della lingua, dopo venti anni di onorato servizio, lo tormentavano ancora. Si fermò e guardò il corpo di sfuggita. La donna sembrava abbastanza giovane e graziosa, riusciva però a vedere solo una parte del viso contratto nello spasimo della morte.

    Provò pena per lei e sospirò addolorato per la sorte che le era capitata. Diede le disposizioni necessarie e aspettò che i vigili del fuoco, finalmente scesi dal camion, stendessero la rete di sicurezza.

    La nebbiolina che si alzava dal fiume gli era penetrata nelle ossa, rabbrividì e pensò fra sé: È inutile che provi a darmi un tono! Questo è un mestiere di merda, anche se io non so farne altri e, in fondo, non lo cambierei.

    Per un momento rivide Agata, elegante e un poco sussiegosa mentre lo sollecitava a fare il concorso in banca: Con la tua laurea potresti diventare un funzionario e guadagneresti il triplo.

    Sì, avrebbe potuto, ma non voleva. Essere un carabiniere era il suo sogno fin da bambino. Voleva estirpare la malerba, lottare contro la ’ndrangheta che si era portata via tanti suoi amici, ma sua moglie (o avrebbe dovuto dire la sua ex?) non lo capiva o non lo condivideva.

    Attento maresciallo!

    Si era distratto e stava scivolando a rischio di cadere nel fango; per fortuna il capo dei vigili lo sostenne. Era un pugliese molto professionale, evidentemente abituato a trovarsi in situazioni difficili, che gli illustrò in breve quello che avrebbero fatto per recuperare il corpo dalla riva scoscesa, evitando che finisse in acqua.

    Gli fece un’accurata spiegazione tecnica, per lui inutile e poco interessante, ma lo ascoltò con doverosa attenzione.

    I colleghi della sezione scientifica arrivarono sgommando e posteggiarono il furgone ai piedi della scala, incuranti di bloccare il passaggio, poi salirono in fretta. Indossavano delle tute bianche, portavano valigette di metallo e mostravano un’efficienza e una competenza invidiabili. Qualcuno commentò a voce alta che somigliavano agli attori di un telefilm.

    Antonio scosse la testa con disapprovazione, non gli piaceva quell’atteggiamento di professionalità esibita, ma salutò uno dei militi che conosceva di vista e poi si spostò per lasciarli lavorare.

    Il loro compito, difficile e molto delicato, costituiva una base importante per le indagini. Raccoglievano indizi, prove, aiutavano a formulare ipotesi ed erano per necessità, molto meticolosi ed esperti.

    Il maresciallo rimase ad osservarli per qualche minuto. Il lavoro investigativo lo appassionava ed era lo stimolo giusto per liberarlo dal suo stato abulico, sull’orlo della depressione in cui si trovava. Assurdamente rifletté che la donna era andata a morire vicino alla caserma proprio al momento più opportuno.

    Anche i colleghi parevano elettrizzati, probabilmente era il primo vero e proprio fatto di cronaca di un certo interesse dai tempi dell’alluvione. Chi cazzo conosceva Sanpieroaponti detto SPAP? Frazione minuscola, divisa in quattro: dal fiume per un verso e dalla statale per l’altro e, per giunta, di competenza del comune di Campi Bisenzio da una parte e di quello di Signa dall’altra. Manco fosse una metropoli da un milione di abitanti. Sicuramente su Google-Maps sarebbe apparsa come un insignificante agglomerato di case, senza particolari punti di interesse.

    Il maresciallo guardò con sufficienza il gruppo di curiosi che commentavano, affacciati alla spalletta del ponte, i movimenti dei tecnici, ovviamente dando consigli. Erano pensionati, nullafacenti che avevano come unico svago la partita a carte ad uno dei bar e che non nascondevano l’eccitazione per lo spettacolo imprevisto.

    Siete messi peggio che da noi in Calabria pensò di sfuggita arrampicandosi a fatica sul ciglio erboso e riconquistando la sicurezza delle scale di pietra.

    Catola parlava col collega e sentì che diceva: Deh ‘na sega… com’è ridotta quella poveretta! Vien voglia di rigettare la colazione.

    Quando gli fu a fianco gli domandò: Maresciallo, ci fermiamo a prenderci un caffè… oppure qualcosa di più forte? Mi sa che andranno avanti per un bel po’ prima di portare via il corpo. È messo maluccio.

    Amato fece un cenno d’assenso con la testa: del resto l’umidità gli era entrata nelle ossa e agognava una bevanda calda.

    Il bar era quasi vuoto, ma immediatamente si riempì di sfaccendati decisi a soddisfare la curiosità, strappando qualche informazione ai carabinieri.

    Il barista pareva assorto a pulire il bancone, ma la sua faccia livida mostrava che, fino a poco prima, era stato a curiosare insieme agli altri.

    Mentre portava la macchina in pressione esordì: Poveretta… che dite maresciallo, è scivolata? Anche se, per come è messo il corpo, non mi sembra possibile. Una donna giovane che c’è andata a fare sull’argine con questo freddo, seminuda poi?

    Antonio Amato alzò le spalle sorseggiando il caffè. Troppo presto per fare qualsiasi ipotesi… qualcuno di voi la conosceva? Era una domanda inutile, ovviamente, perché la parte del viso della donna che si intravedeva in mezzo alla vegetazione era troppo piccola, ma provare non costava nulla.

    Tutti risposero di no e il cerchio intorno ai tre carabinieri si allargò.

    I presenti, col loro comportamento evitante, pareva dicessero: Non tirateci dentro questa storia, noi non c’entriamo.

    In quello calabresi e toscani, alla fin fine, non erano diversi, facevano di tutto per non essere coinvolti. Un vigile del fuoco venne ad avvisare che gli uomini della scientifica avevano fatto i loro rilievi e il magistrato, arrivato da Firenze a tempo di record, aveva dato il nulla osta per la rimozione, quindi avevano imbracato il cadavere, lo avevano portato sull’argine e adesso stavano caricando la poveretta sul furgone della mortuaria.

    Il maresciallo si rituffò di malavoglia nella nebbiolina umida, che il tiepido sole invernale non riusciva a diradare, e percorse frettolosamente le poche centinaia di metri fino alla caserma.

    Qua e là c’era ancora qualcuno che commentava il fatto, ma il grosso della folla si era disperso quando avevano portato via il corpo.

    Adesso arrivava il difficile. C'erano da trovare il nome della disgraziata donna, il colpevole e il movente della sua morte.

    Chi era? Chi l'aveva uccisa? E perché?

    L’esperienza, maturata in anni di professione, gli suggeriva, prima ancora di avere il referto del medico, che la morte non era stata accidentale.

    Rimuginò le domande pigramente, senza sforzarsi troppo ed entrò in ufficio passando davanti ai colleghi. Si sedette alla scrivania e ordinò: Raggi, controlli le denunce delle persone scomparse! Qualcuno si sarà accorto che la moglie, la figlia, la sorella o quel che era quella poveretta, manca da casa…

    Obbedisco, maresciallo! borbottò l'appuntato di malumore. Pensava che l'omicidio fosse avvenuto lontano e il fiume avesse fatto il portapacchi, trasportando il corpo, magari per chilometri, fino a quando si era malamente impigliato nella sterpaglia e che non toccasse a loro occuparsene, ma non protestò, rispettoso della gerarchia. Il maresciallo era arrivato da poco e l’appuntato non sapeva se poteva dire liberamente la sua opinione. Si tuffò nella banca-dati degli scomparsi e compilò la scheda: sesso, età presunta, ecc. Il collega, da buon livornese non aveva peli sulla lingua e lo sollecitò: Deh, diamoci una mossa, deh! Abbiamo ricevuto parecchie telefonate mentre eravate fuori.

    Non ti esaltare! lo ammonì Raggi. Il maresciallo non vuole rogne. Da quando è arrivato ha smaltito più pratiche di tutti i precedenti superiori messi insieme. Secondo me però non farà niente di più di quello che è obbligato! Non hai capito che si è fatto mandare qui per riposarsi?

    Zitto! intimò Jevolo. Se ti sente sono guai! Magari l’hanno spedito fuori dalla Calabria perché dava fastidio a qualche capoclan.

    Raggi alzò le spalle dubbioso e replicò: Boh… non mi pare il tipo, comunque qualche problema ce l’ha. È taciturno e sempre assorto nei suoi pensieri, chissà che cosa rimugina?! Non facciamoci sentire quando parliamo di lui.

    Il maresciallo Amato però non era più nel suo ufficio. Era salito in camera e stava pulendo le scarpe con l'esagerata puntigliosità che aveva sempre caratterizzato Agata e che lui, inconsapevolmente, riproduceva. Smise di lustrarle solo quando furono lucide al punto che pareva brillassero di luce propria.

    Non riusciva a concentrarsi su quanto era accaduto. Ogni cosa, il ritrovamento del corpo, il probabile omicidio, le pratiche sul tavolo, gli pareva avvolta nella nebbia, sfocata e lontana dalla sua mente, occupata ossessivamente dal pensiero di Agata. La pausa di riflessione imposta da sua moglie aveva congelato i suoi sensi, rendendolo impermeabile ad ogni emozione e impedendogli di provare un vero interesse per il suo lavoro. Avrebbe potuto (e voluto!) ucciderla, senza che la maschera inespressiva del suo volto mutasse.

    Prima di scendere si cambiò i pantaloni e la camicia, che avevano assorbito l’umidità dell’aria e parevano grondarne, ma questo non servì a smorzare la sensazione di freddo e per scaldarsi si passò più volte le mani sulle braccia scuotendole. L’appuntato lo guardò stupito e negli occhi gli comparve una lieve luce ironica, ma distolse lo sguardo e immediatamente gli comunicò: Maresciallo, sono arrivate le foto della donna, purtroppo però non abbiamo riscontri sull'identità. Devo continuare nelle ricerche?

    L'inchiesta non è nostra. Scriva il verbale e lo mandi al luogotenente Arnolfi a Campi e al capitano Sciani a Signa rispose Amato, spostando le foto senza guardarle. Era palesemente irritato e deciso a non farsi coinvolgere, desideroso com’era di dedicare ogni energia a se stesso e alla relazione con Agata.

    Tornò alle pratiche, tutta roba senza importanza, sfogliando di malavoglia i fogli dattiloscritti e si interruppe solo quando Raggi gli portò il rapporto. Era scritto nel modo che si aspettava: «A seguito di telefonata, ci recammo in loco. Rinvenimmo il cadavere di una donna morta non identificata, la quale morte non sappiamo se autoinferta o procuratale da altri o casuale per incidente occorsole mentre scendeva al fiume, forse per guardare i pesci o altro motivo al momento ignoto. Sul luogo, dopo il lavoro dei colleghi della scientifica, sono intervenute le preposte autorità che hanno disposto la rimozione della salma alias del cadavere che è stata portata alla medicina legale per gli esami autoptici del caso, come necessario.»

    Amato guardò di sbieco Raggi e si domandò se era il caso di fargli togliere «alias cadavere », poi decise di lasciar perdere. Firmò, prese le foto della donna e si accinse a metterle nel fascicolo. Era l'ultimo atto prima di dimenticarsene, cancellando dalla memoria ogni cosa che riguardasse quel caso di cui non intendeva occuparsi. Di questa decisione era assolutamente certo. Lo stato di abulia aveva prevalso sullo stimolo all’indagine affiorato per un breve momento alla sua coscienza. Agata, la separazione, il dolore, il gelo per la loro relazione interrotta, avevano bloccato la sua mente e gli impedivano di elaborare la benché minima ipotesi. E dire che l’attività investigativa era stata la sua passione e gli aveva meritato più di un encomio. Le foto erano stampate dal computer, in bianco e nero, su carta leggera, ma l’autore era un bravo professionista ed erano abbastanza nitide. Lo sguardo distratto fu ammaliato dal corpo scomposto e livido e, nonostante ostentasse una rigida indifferenza, perforò la sua coscienza.

    Si concentrò sul viso: lineamenti distorti nello spasmo della morte, occhi stralunati e narici dilatate nella ricerca d'aria. Sicuramente era stata strangolata e forse sul collo erano rimaste tracce delle mani assassine. La donna somigliava ad Agata. Gli stessi capelli corvini, la stessa pelle bianca, di chi ama il rifugio protettivo delle mura domestiche più del sole. Le guardò le mani insudiciate di fango, le unghie corte ma curate. Chi sei? domandò mentalmente all'immagine, passando delicatamente i polpastrelli sui contorni del viso enfiato, sul quale la violenza dell'acqua e gli sterpi avevano inferto l'insulto di altre ferite, aride di sangue e sicuramente post-mortem, per dirla con il medico legale.

    Raggi! chiamò.

    Comandi! scattò l'appuntato.

    Venga qui con Jevolo esitò, perché la decisione gli costava molta più fatica di quanto avesse immaginato, studieremo questo caso.

    Raggi rispose: Il collega è andato a comprare il pranzo.

    Gli dica di portarmi un primo, ma che si sbrighi.

    Raggi uscì dalla stanza rapidamente e Amato tornò a studiare le foto una ad una, quasi che potessero rispondere alle sue domande e rivelare il nome dell’assassino. Appoggiò la schiena alla poltroncina e stese le gambe sotto la scrivania, incrociandole, così che le scarpe cogliessero un flebile raggio di sole e rispondessero con un luccichio. Doveva trovare l'assassino, conoscerlo, capire dove aveva preso il coraggio di fare quello che lui desiderava, ma non avrebbe mai osato. No, troppo amore per Agata, troppo desiderio nella sua carne, per il corpo morbido e caldo di sua moglie. Non sarebbe riuscito a farle del male.

    ***

    Il luogotenente Arnolfi aveva letto il rapporto del maresciallo con pacato interesse e un lieve incresparsi delle labbra in un sorriso condiscendente. L'uso dei termini antiquati e le complesse circonlocuzioni gli scatenavano sempre un misto di ironia e di rabbia, anche se doveva ammettere a malincuore che non avrebbe saputo scriverlo meglio. Arnolfi selezionava i casi in due categorie: Carrierabili o Non Carrierabili , a seconda che lo potessero spingere o no in una progressione che era diventata, a quarant'anni, il suo principale obiettivo.

    Rilesse attentamente, valutando vari fattori, non ultimo l'impatto mediatico. Il femminicidio andava di moda, ma non meritava la prima pagina e l'uxoricidio poi, dopo un primo annuncio nazionale, finiva sempre nella cronaca locale, solitamente in trafiletti di scarso impatto. Oramai le vittime venivano identificate con un numero ‘X’ dall’inizio dell’anno e subito ci si dimenticava del nome della poveretta. Qualche psicologo avrebbe ipotizzato le ragioni del delitto in conflitti pregressi, o trovato pseudo giustificazioni nello stato emotivo del marito ecc. ecc. Cazzate! Risolvere il caso era facile al limite del banale. Sospirò domandandosi per quanto tempo avrebbe dovuto restarsene relegato in provincia, lontano dall'eccitante città, dove la mafia e le altre organizzazioni malavitose, sembravano coalizzate per spingere in avanti la carriera dei suoi colleghi, alcuni dei quali addirittura più giovani di lui, ma già con l’ufficio tappezzato di riconoscimenti al merito investigativo e in odore di promozione.

    Strinse le labbra. Un morto, anzi, un ‘cadavere, alias salma ’, per usare i termini del rapporto, racchiudevano il miraggio di qualcosa di importante. Erano anni che in quello stupido comune di provincia non succedevano altro che furti, furti, furti e poi ancora furti nelle case. A goderne erano solo i falegnami, i fabbri e i muratori che dovevano riparare i danni, o i venditori di inutili e costosi sistemi di allarme. Identificare e arrestare gli autori era praticamente impossibile e troppo dispendioso. A lui non andava di impegnare i suoi uomini in bazzecole come recuperare qualche catenina d’oro o anelli di poco pregio. Caso mai ci fosse stata una banda organizzata, un personaggio della mala internazionale, non avrebbe lesinato l’impegno e magari sarebbe finito in prima pagina ottenendo la tanto agognata promozione.

    Invece niente. Topi d’appartamento, maestri della spaccata, stronzi che meritavano di essere presi a calci nel sedere per un mese di seguito per i danni che facevano. Li avrebbe lasciati volentieri nelle mani dei derubati invece di assicurargli qualche settimana gratis di vitto e alloggio nel carcere di Sollicciano. Perché per loro la prigione era quello o, meglio ancora, un bel corso di aggiornamento in nuove tecniche di scasso, tenuto da colleghi esperti in quell’arte. Quando uscivano erano più bravi e più furbi di prima e avevano intessuto nuove amicizie e alleanze.

    Posò i fogli, si levò gli occhiali che usava per correggere la lieve miopia e disse a se stesso che avrebbe lasciato ad Amato, il collega arrivato da poco dalla Calabria, il lavoro di sgrossatura. Se il caso meritava, ci sarebbe stato tempo per metterci impegno e soprattutto per prendersi il merito di averlo risolto. Sorrise apertamente al miraggio di una promozione che, alla luce di queste considerazioni, gli appariva a portata di mano.

    ***

    Jevolo era tornato in caserma con due sacchetti di carta colmi e si era infilato nella piccola cucina. Raggi, che lo aveva immediatamente seguito per aiutarlo, sibilò al maresciallo un messaggio che conteneva una velata e oscura minaccia: Salga anche lei... non c’è tempo da perdere.

    Amato si alzò, cedendo all'impulso della fame e alla curiosità, e gli andò dietro. Il cucinotto era una stanzetta arredata con un fornello e un tavolo sul quale lo sguardo del maresciallo rimase arpionato, incapace

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