Quando le parlerai di me
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Anteprima del libro
Quando le parlerai di me - Cinzia De Martini
I
4 dicembre 1987
La nebbia di Milano stringe la ragazzina in un abbraccio gelido. L’alito dell’inverno le impregna il giubbotto, le bagna i capelli sotto il casco rosa. Nell’alone dei lampioni, la basilica di San Lorenzo le sembra un’enorme bestia nera, acquattata nella sua gabbia di colonne spettrali.
Deve scappare.
Schiaccia il pedale della Vespa, il motore gracchia, sussulta, fa fatica a partire. Tira il gas al massimo, percorre via Molino delle Armi contro mano, la moto sbanda sull’asfalto scivoloso.
Ha freddo.
Un taxi la schiva, con un urlo di clacson.
Gli occhi gialli di un mostro bucano la nebbia. È il 96. Un bus non può sterzare in fretta come un'auto. La Vespa rossa gli va incontro.
Avvolta nel vecchio plaid, raggomitolata sul divano davanti al camino, Rosa si sente nuda. Ha freddo. Segue ipnotizzata le lingue di luce inghiottite dal buio, le vede sparire nella cappa e poi riprendere vita in un gioco senza pace. Tra i suoi ricci rossi si accendono fiammelle. E dentro di lei c'è il buio.
Una trave del soffitto scricchiola, il bestione nero accucciato ai suoi piedi drizza le orecchie, si alza all’improvviso, le appoggia il muso sulle ginocchia fissandola coi suoi occhi di miele. Le sta chiedendo qualcosa che lei non capisce.
- Che c’è, muso nero? Come mai non sei di sopra con Rossella? Vuoi un po’ di coccole? Be’, anch'io… Hai visto com’era allegro Toni? E sono riuscita a rovinare tutto.
Il cane le lecca la mano e ritorna a sdraiarsi sul tappeto, mugolando come un cucciolo. Un brivido scuote il corpo di Rosa.
Eppure quella sera avrebbe potuto esser così calda.
Toni era entrato in casa sventolando trionfalmente un 45 giri, comprato al mercatino degli Oh bej oh bej. L’aveva infilato nel giradischi, si era seduto vicino a lei sul divano. Mentre la voce di Battisti riempiva la stanza, aveva intrecciato le dita con le sue.
- Quanto tempo è passato dalla prima volta che l’abbiamo sentita, Rosa? Vent’anni? Di più? Eppure...
Si era messo a cantare a piena voce, insieme a Battisti, ‘nei tuoi occhi innocenti posso ancora ritrovare il profumo di un amore puro’¹, e senza saperlo aveva fatto crollare la diga di silenzio che Rosa, per anni, aveva tenuto in piedi. Lei non era innocente, e gliel'aveva detto. Il fango nascosto nei fondali era affiorato a intorbidire il loro mare.
Rosa aveva visto passare il viso di Toni da incredulità a rabbia, a delusione.
Si erano feriti a vicenda con parole crudeli che laceravano nel più profondo.
Alla fine lui, occhi a fessura e mascella contratta, l’aveva colpita con la sua arma più letale:
- Non ti bastava aver fatto fuori la tua grande amica, vero? Anche mio figlio… Chi cazzo sei, Rosa?
E si era rintanato nel suo studio, sbattendosi dietro la porta.
Il silenzio di un campo di battaglia dopo un massacro aveva avvolto la casa.
Il cucù sul camino suona le sette. Rosa si scuote, si asciuga gli occhi con il dorso della mano, parla al cane come a un vecchio amico:
- Muso nero, mica posso restare qui a piangermi addosso e fare morire di fame i miei figli, ti pare? Andiamo a chiamare Rossella, così mi dà una mano in cucina.
Lui mugola piano e non si muove.
Rosa sale la scala di legno, bussa alla porta della figlia. Nessuna risposta. Entra. Sulla scrivania tre libri aperti, un quaderno, la penna stilografica senza cappuccio. In terra lo zaino rovesciato e il portafoglio.
Va nella stanza di Dabir. Il bambino è tutto preso a costruire un’altissima torre di Lego, con il suo cagnolino seduto vicino ad osservarlo.
- Ehi, grande architetto, sai dov’è finita tua sorella?
- Boh. È scesa giù dalle scale di corsa, un bel po' di tempo fa.
- Non l’ho sentita passare.
- Be’, facevate un sacco di rumore.
- Rumore?
Dabir la guarda serio, con la fronte aggrottata.
- Eh già, il papà gridava, tu piangevi...
- Mi spiace, cucciolo. Ti sei spaventato?
- E certo! Non litigate mai, voi due.
- Faremo la pace presto, promesso. Finisci la torre, vado a cercare tua sorella.
Gira tutte le stanze, dalla soffitta alla cantina. Esce in giardino, nella nebbia. La chiama ad alta voce. Con lo stomaco stretto in una morsa rientra in casa, spalanca la porta dello studio, parla con voce strozzata:
- Toni…
Lui è seduto davanti alla macchina da scrivere con la schiena curva, a cercare inutilmente le parole per finire l'articolo sul maxiprocesso a Cosa Nostra. Si raddrizza, lo sguardo stranito di chi si sveglia all'improvviso.
- Non vedi che sto lavorando?
- Rossella non c’è più… è sparita!
- Non essere drammatica. Cosa vuol dire sparita?
- Non la trovo da nessuna parte… Dabir ci ha sentiti litigare… e se ci ha sentiti anche lei?
- Può darsi. Magari sarà andata da Forever a sfogarsi. Lei tratta il suo cavallo come un amico, no?
- Vai a vedere, ti prego.
- Ha sedici anni, cazzo! Smettila di starle così addosso.
Gli occhi smarriti di Rosa e le sue labbra che tremano lo costringono ad alzarsi.
- Poi mi lasci in pace, ok?
Attraversa la nebbia fino alla stalla di Biagio, il vecchio contadino che abita vicino a loro e ospita, insieme alle sue mucche, il cavallo di Rossella. Entra nella stalla quasi buia, nel fiato umido e nell'odore caldo degli animali. L'unica fonte di luce è una lampadina appesa a un filo. Chiama sua figlia e gli risponde, con uno sbuffo, Forever, che scuote il muso e lo guarda curioso. Toni accarezza le froge di velluto nero, e torna verso casa.
Quando passa vicino al box delle auto si accorge che è aperto. La Vespa di Rossella non c’è più. L'ansia finora tenuta sotto controllo sale dal petto e gli attanaglia la gola.
In piedi davanti alla finestra Rosa scruta il buio che ha cancellato il giorno. Fuori non c’è più niente. I pioppi, il viale, l’altalena sono affogati in un mare di ovatta.
Sente il braccio di Toni cingerle la vita. Un gesto che pochi minuti prima l'avrebbe resa felice adesso la fa rabbrividire: lui non l'ha trovata. Si volta a fissarlo, gli occhi appannati di nebbia e di pianto.
- Dov’è la mia bimba?
- Non lo so… ho paura che sia uscita in moto.
- È impossibile! Dove vuoi che sia andata a quest’ora, con questa nebbia? E poi in camera c'è il suo portafoglio, la patente…
- Forse è andata da Marco... magari il suo amico si è messo un’altra volta nei guai...
- Ne avrebbe parlato con noi, l’avremmo accompagnata, l’abbiamo sempre fatto, no? E perché accidenti le hai regalato quella moto? È troppo piccola, te l’avevo detto!
L'angoscia rende stridula la sua voce. Lui scuote la testa.
- A sedici anni non si è troppo piccoli. E Rossella è più grande della sua età.
- Allora perché è andata via senza dirlo? Perché non chiama? Lo sa che è ora di cena! Toni… lei è scappata via, l'abbiamo spaventata, urlavamo come pazzi…
Lui la stringe tra le braccia. Sente che trema, che fa fatica a respirare.
- Non agitarti così, dai. Fai un bel respiro, e metti su l’acqua per la pasta. Anche se si è arrabbiata le passerà in fretta. Lo sai, lei esplode e poi…Vedrai che sarà qua per cena.
La scala scricchiola, passi veloci saltellano, accompagnati dalla voce squillante di Dabir:
- Ehi, si può sapere dov’è finita Ella? Io ho fame.
Nessuno gli risponde.
Il vecchio tavolo di quercia è apparecchiato per quattro. Dabir si siede al suo posto, mette l'inseparabile Jeeg Robot d’Acciaio vicino al bicchiere, giusto per sorvegliare la situazione, e si pregusta un bel piatto di spaghetti. Invece la mamma gli dà del prosciutto cotto e un sacchetto di patatine fritte. Strano, di solito a casa non si mangia così.
Anche la mamma è strana. Si tagliuzza il prosciutto in mille pezzettini e non ne mangia nemmeno uno… ma non è lei che dice sempre ‘Non si lascia niente nel piatto’?
E il papà nemmeno viene a tavola, sta lì a parlare al telefono, proprio lui che dice sempre ‘Durante la cena tutti insieme, e niente telefonate, niente tele’.
Il posto di Rossella è vuoto.
Con la bocca piena di patatine prova a portare un po' di scompiglio in quel mortorio:
- Ehi, lo sapete che oggi il Giacomo mi ha detto brutto negro? Se lo fa ancora devo prenderlo a botte?
Il papà non si incavola, forse neanche lo sente. La mamma borbotta, senza guardarlo:
- Dai, finisci di mangiare.
Dabir sa che sta succedendo qualcosa. E quella cosa non gli piace per niente.
Passa di nascosto un pezzo di pane al suo cagnolino, che è lì a scodinzolare sotto il tavolo, la lingua penzoloni. Vorrebbe darne un po’ anche al cane di sua sorella, ma quello se ne sta tutto mogio davanti al camino e non si è nemmeno avvicinato alla ciotola della pappa. Molto strano anche lui.
Alla fine di quella cena silenziosa gli tocca andare a dormire senza la favola della buona notte. E senza Rossella.
Al Pronto Soccorso del Policlinico l'ambulanza porta una ragazzina senza nome. Le tolgono il casco rosa con l'adesivo di Snoopy, macchiato di sangue. Anche il viso è rigato di sangue.
Trema, piange, dice frasi sconnesse. Ha contusioni e lacerazioni dappertutto, una ferita profonda sulla fronte. I medici sospettano una commozione cerebrale.
I parametri vitali son deboli, la pressione bassa, il battito accelerato. Le fanno esami, radiografie e TAC.
Scoprono fratture nella gamba destra e nel braccio sinistro, una lesione alla colonna vertebrale, una piccola emorragia cerebrale.
La portano subito in sala operatoria.
Qualcuno impreca a bassa voce.
Un'infermiera prega in silenzio.
Anche Rosa, nella casa in mezzo alla campagna soffocata dalla nebbia, prega un dio in cui non crede più.
Toni è attaccato alla cornetta.
Parla coi genitori di sua moglie, sperando che Rossella si sia rifugiata dai nonni, ma non sanno niente e si agitano anche loro.
Poi telefona a Marco, e gli risponde la madre. Non vede suo figlio da giorni, non sa dove sia. La sua voce trema, le parole diventano sospiri e poi singhiozzi. Toni non ha il tempo né la voglia di consolarla.
Apre la rubrica di Rossella, chiama i numeri scritti con lettere rotonde e pennarelli di tutti i colori. Rispondono i suoi amici, o i loro genitori. Qualcuno è gentile, solidale. Altri sembrano scocciati, probabilmente li ha buttati giù dal letto e vorrebbero mandarlo al diavolo. Nessuno ha notizie di sua figlia.
Rosa se ne sta seduta a tavola, non riesce a stare in piedi, le gambe non la reggono. Si mangia le unghie fino a farsi sanguinare la pelle. Continua a chiedersi cosa ha spinto sua figlia ad andare via senza dire niente. Se sta fuggendo da lei, da Toni.
Ripercorre con la mente tutta la giornata, alla ricerca di indizi.
Rossella si era svegliata con la luna storta e aveva tentato di convincere il padre a farle saltare la scuola, sostenendo che solo degli incoscienti potevano portare una figlia in macchina a Milano con quella nebbia. Ma come al solito pane e Nutella avevano guarito il suo malumore. Prima di uscire con Toni aveva detto, tutta contrita, alla mamma: ‘Spero che non resterai orfana... o come diavolo si chiama chi resta senza un figlio’. E poi si era messa a ridere, le aveva schioccato due baci sulle guance e se n'era andata a braccetto del padre, canticchiando ‘Si può dare di più senza essere eroi, come fare non so, non lo sai neanche tu, ma di certo si può dare di più...’²
Rosa era uscita poco dopo, aveva accompagnato Dabir alla scuola materna a due passi da casa ed era partita per Milano anche lei, per insegnare Greco e Latino ai suoi alunni, al Liceo Parini.
All'ora di pranzo era andata a prendere Rossella al liceo scientifico e insieme erano tornate a casa. A tavola avevano chiacchierato e riso un sacco. Sua figlia le aveva raccontato del compagno che passava tutta la mattina a guardarla dal banco di fronte, con l’identica espressione del suo cane quando guarda il pollo arrostire nel forno. E poi, diventando tutta rossa, le aveva rivelato che aveva quasi fatto l’amore con Giò, all’Isola d’Elba. ‘Non l’ho fatto, mamma, perché mi è venuto in mente quello che mi hai detto… che la prima volta dev’essere con qualcuno che ami… insomma, lui era bello e simpatico e c’era la luna… ma non ero tanto sicura e l’ho lasciato in bianco.’ Rosa si era commossa.
Nel primo pomeriggio, quando la nebbia si era un po' diradata, Rossella aveva portato il suo cavallo a fare una galoppata nei campi. Era rientrata allegra, coi pomelli rossi, tutta sudata. ‘Ciao mamma vado a farmi una doccia e poi studio un po'. Non baciarmi che puzzo di cavallo.’ Erano le ultime parole che le aveva detto sua figlia.
La sera diventa notte. La preoccupazione si trasforma in ansia, angoscia, panico.
Lo sguardo di Rosa continua a spostarsi dal giardino a Toni. Fruga nella foschia cercando la luce del faro della Vespa, il gracchiare del suo motore. Spia le espressioni del volto del marito, ogni parola che dice al telefono. Vuole che trovi la sua bimba. Ha il terrore di come la troverà.
Toni ha chiamato ormai tutti quelli che poteva chiamare, perfino i professori di Rossella. Si sente perso, impotente. Fa il numero della polizia, descrive Rossella con voce rotta. E di colpo impallidisce, si appoggia alla parete per non cadere. Rosa scatta in piedi, gli si aggrappa al braccio.
- Cosa è successo, Toni? Cos’hanno detto?
- L'agente… pensa si chiama Antonio come me… lui dice che una ragazzina senza documenti ha avuto un incidente. Mi ha dato il numero del Policlinico… l’ambulanza l’ha portata lì.
Non è più il Toni tranquillo e solido che conosce Rosa. Fa cadere la cornetta dalle mani, sbaglia per due volte il numero del centralino dell’ospedale. Finalmente parla con il Pronto Soccorso. Una voce gentile gli chiede ancora di descrivere sua figlia.
- Ha una giacca di jeans imbottita, un casco rosa con Snoopy, capelli lunghi biondo scuro. Occhi neri… Ha sedici anni… Ma… cosa…? Oddio… noi… noi arriviamo. Glielo dica, per favore, che stiamo arrivando.
Appoggia la cornetta, gli occhi assenti, una statua di marmo immobile e bianca. Rosa lo scrolla per le spalle.
- Toni, è proprio lei?
- Credo di sì… ha avuto un incidente ma… ma è viva.
- Portami da lei, subito!
- Sì, certo. Vai a prendere Dabir. Mentre porto fuori la macchina dal box chiama i tuoi genitori. Falli venire al Policlinico, così gli lasciamo il bambino.
___________________
¹ Mogol, Battisti, Acqua azzurra, acqua chiara.
² Giancarlo Bigazzi, Umberto Tozzi, Raf , Si può dare di più
II
5 dicembre 1987
I fari della Panda illuminano la nebbia. I bordi del viale, le strisce di mezzeria della strada statale si indovinano appena.
Toni, che vorrebbe volare da sua figlia, deve avanzare quasi a passo d’uomo. Maledice la nebbia e la campagna. Maledice se stesso, ha messo in gioco la vita di Rossella solo per sentirsi dire grazie… Era così raggiante la sua bambina la mattina del suo sedicesimo compleanno, quando aveva trovato la Vespa rossa in giardino… Ma se solo potesse mandare indietro il tempo, ritornare a quel giorno d’aprile, farle un altro regalo. Aveva ragione Rosa. Lei ha sempre ragione.
Stringe il volante come se volesse spezzarlo. L’orologio segna l'una di una notte che sembra senza fine.
Rosa è seduta dietro, con Dabir addormentato tra le braccia. Accarezza i ricci morbidi del bambino con le dita che tremano. Nella mente le passano immagini nitide di Rossella ferita, sfigurata, agonizzante. Continua a ripetersi che no, non può morire, la sua bimba.
Nelle strade di Milano, avvolte in un velo di foschia, le luminarie hanno il tenue barlume rosso dei lumini funebri. È lugubre anche la croce sull'insegna del Pronto Soccorso, che appena s'intravede.
Toni lascia la macchina in via San Barnaba, davanti al cancello del Policlinico. Passa la porta di vetro con Dabir stretto al collo e Rosa aggrappata al braccio.
Cecilia e Gianni, i genitori di Rosa, sono seduti in sala d’attesa, con lo sguardo smarrito. Si alzano di scatto quando li vedono, chiedono cosa è successo, non sono riusciti ad avere informazioni da nessuno.
Toni promette di chiamarli appena saprà qualcosa, mette Dabir mezzo addormentato nelle braccia del nonno e lo prega di portarlo via.
La sala d'attesa è illuminata dalla luce fredda del neon. Non c'è molta gente.
Una donna di mezz'età, seduta su una sedia di plastica, si stringe nel suo cappotto scuro. Un ragazzo cammina su e giù con una sigaretta spenta in bocca, e bestemmia sottovoce.
Sulla porta c'è un cartello con scritto ATTENDERE. Toni schiaccia insistentemente il pulsante rosso della chiamata. Nessun passo, nessuna voce. Come fanno a chiedergli di attendere? Prende per mano Rosa, frastornata, e la trascina dentro. Un infermiere si avvicina, cerca di bloccarli, ma di fronte ai loro occhi disperati si arrende e li accompagna nell'ambulatorio dal medico di turno.
È una stanza stretta, poco illuminata, con pareti scrostate verniciate di verde pallido. Sotto alla puzza dei disinfettanti si sente l'odore pungente del caffè dimenticato a raffreddare nella tazza, e un aroma dolce di tabacco da pipa. Il caldo è soffocante.
Il dottor Damiani, seduto a una scrivania sommersa da cartelle, è intento a leggere qualcosa con la fronte corrugata.
- Scusi, dottore… noi…