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La strega di York
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E-book114 pagine1 ora

La strega di York

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Fantasy - romanzo breve (84 pagine) - Sette peccatori chiusi in un'antica dimora dello Yorkshire. Una donna incinta la cui vita è in pericolo. Figure misteriose, nel buio della brughiera, spiano le loro prede. E Mother Shipton, la strega di York, tesse per ciascuno un arazzo di terrore, follia e morte.


Nella contea di York vive una donna misteriosa. La chiamano Mother Shipton e dicono sia una strega. Per il gelido Lord George Sadler, però, incantesimi e stregoneria sono solo storielle buone per incantare il popolino. Per dimostrarlo è disposto a rischiare la vita di sua moglie Dorothy, vittima di una gravidanza difficile che, stando alle dicerie, solo l'intervento di una strega potrebbe risolvere. Dorothy, sottomessa al marito, non può che accettare. Ma ignora che, tra le persone che la circondano, qualcuno ha altri piani per lei. Piani che comprendono violenza, terrore, follia, morte e la discesa in un abisso senza ritorno. Le tenebre attendono un sacrificio.


Cristiano Fighera (Roma, 1975) ha scritto fumetti (pubblicati in Italia e all’estero da Soleil e Shockdom), cortometraggi horror, testi teatrali e romanzi. Suoi racconti sono presenti in antologie edite da Acheron Books (Fascisti su Yuggoth), Delos Books (in Robot), Delos Digital (Heroic Fantasy Italia), Dunwich (La serra trema, Morte a 666 giri, L’ultimo canto delle Sirene, Ritorno a Dunwich 2 e nella serie di novelle Moon Witch), EseScifi (Esecranda, Esescifi e Sole Morente), Hypnos (Strane Visioni 1 e 2), Watson (Folklore e Horror Storytelling) e altri.

LinguaItaliano
Data di uscita19 apr 2022
ISBN9788825420128
La strega di York

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    Anteprima del libro

    La strega di York - Cristiano Fighera

    Lady Dorothy Sadler

    – No, no, non è niente. Solo una vertigine. Ecco, è passata, vedete? È già passata.

    Lady Dorothy Sadler sorride delicatamente, tamponandosi le guance e la fronte con un fazzolettino di seta tra dita pallide e fin troppo sottili.

    – Ufff! – esclama, fingendosi lieta. È sua ferma volontà, ma anche obbligo, rassicurare le persone che le stanno intorno: ospiti in parte suoi, perché è lei che ne ha voluti alcuni, come sua sorella e il reverendo padre; ma diventati, dal momento del loro ingresso a Borleyton Manor, soprattutto ospiti di suo marito. Visitatori che però, malgrado le loro buone intenzioni e l’amicizia che la lega ad alcuni di essi, ora la soffocano con la loro vicinanza, con l’odore rancido dei loro profumi, le bocche aperte a esalare il gusto della cacciagione cotta a puntino dai cuochi e l’olezzo delle stoffe dei loro vestiti; lana, velluto, broccato, lino, pelliccia non lavate, rimaste per troppo tempo a contatto con corpi sudici.

    Cerca di distrarsi. Vicino a lei, alla sua destra, la legna crepita nel grande camino della sala da pranzo piccola. Di colpo Dorothy si sente avvampare, bruciare di calore come un ceppo messo ad ardere su una graticola. Non desidera più avere tutte quelle facce intorno. Non le vuole più. Tende le mani innanzi a sé, d’istinto, prima di potersi frenare, come ad allontanare persone e pensieri. Proteggersi e farsi spazio. Le dita della mano sinistra colpiscono senza volere il naso di sua sorella Alice, che subito si spaventa come suo solito e si fa indietro, torcendo il collo sottile sopra la scollatura quadrata del suo abito di broccato rosso. Alice squittisce come un topolino e a Dorothy scappa improvvisamente da ridere: quella ragazzina si terrorizza per un nonnulla. I suoi ospiti, comunque, appaiono tranquillizzati.

    – Si sente meglio, Lady Sadler? – chiede Thomas Carew, il sovrintendente di suo marito. Sottile e rigido come una verga, veste sempre di nero; azzimato e parco, come se ritenesse che il suo mestiere imponga una sobrietà quasi religiosa. E infatti ha più nero addosso che padre Bulmington, l’unico a non essersi unito alla torma degli improvvisati soccorritori. Dorothy lo vede ancora seduto al suo posto come se niente fosse successo, con in mano una coscia di pollo che sta provvedendo a spolpare. Sugo e umori gli colano tra le dita grassocce, e mentre mastica a bocca aperta l’uomo scuote la testa pelata, perso nelle proprie amare riflessioni. Re Enrico, l’arcivescovo Thomas Cramner, il cancelliere Thomas Cromwell e la soppressione dei monasteri, anche se non gli hanno affatto tolto l’appetito, sembrano essere il centro di tutti i suoi pensieri.

    – Lasciatela, lasciatela respirare! – dice, minacciando gli ospiti con l’osso spolpato per metà. Le fiamme del camino alle sue spalle gli conferiscono l’aria di un demone paffuto e stizzoso uscito da qualche girone infernale. – Non vedete che la soffocate?

    Il gruppo si fa indietro e Lady Dorothy si accorge che un altro uomo non si è unito ai suoi salvatori: suo marito, Lord George Sadler, che si limita a guardarla dall’altro capo del lungo tavolo di mogano bruno. Tiene le mani giunte davanti al viso, e vi nasconde dietro la bocca e la lunga barba ancora nera. La fissa da laggiù, senza un gesto né una parola. Difficile dire cosa pensi, se sia preoccupato per lei, se detesti quella torma agitata che si è messa in movimento, se vorrebbe scacciarla; e allora Lady Dorothy lo guarda e sorride con pallida grazia, cercando di apparire rassicurante.

    – Ora sto meglio. Sì, sto meglio. Decisamente meglio! – Ride apertamente e sventola le braccia davanti a sé, incitando tutti a tornare ai loro posti. Si poggia all’indietro sullo schienale della sedia, raddrizza la cuffia che le nasconde i capelli lunghi, castani e lucenti, che in passato avevano attirato diversi corteggiatori, prima di Lord Sadler, e infine poggia entrambe le mani sul ventre prominente che gonfia l’ampia gonna verde, la sua preferita. Ne tende la stoffa, a mostrare la rotondità.

    – Il nostro erede sta bene – dice. – È solo che di tanto in tanto sente il bisogno di ricordarmi della sua presenza.

    Ride di nuovo, e tutti ridono con lei. A parte suo marito, sempre altero e sdegnoso. Ma nessuno in quella stanza se lo aspetta, per cui non è affatto un problema. Gli ospiti tornano alle loro sedie e la cena può finalmente ricominciare. Anche se Lady Dorothy non è sicura che potrà mangiare ancora molto. L’odore delle spezie, della cannella e del vino caldo la nauseano ancora.

    – Quando ho avuto la mia… terza… o quarta gravidanza, dovevo continuamente andare voi sapete dove – informa Lady Margaret Darcy. – E i dolori alla schiena! Cose mai provate in precedenza. Il medico mi prescrisse riposo assoluto. A sentir lui non avrei dovuto poggiare a terra neppure un singolo dito del piede!

    Si volta verso suo marito, il sempiternamente assonnato Lord Theobald Darcy. – Era la terza o la quarta gravidanza, marito?

    Lord Darcy, svegliato improvvisamente dal suo stato di quiete, si agita sulla sedia, scocciato. Si gratta con lentezza il mento, la barba rossiccia, il collo insaccato nella gorgiera e aggrotta le sopracciglia cispose. Si gratta sempre, Lord Darcy, soprattutto quando pensa; ma Lady Dorothy non riesce mai a capire se sia per il disagio o per i pidocchi. Come non riesce a figurarsi i motivi per i quali quella coppia male assortita si sia unita in matrimonio. Non avevano niente in comune: lui pingue, sonnacchioso e placido; lei più giovane di quindici anni, appariscente e slanciata, vivace e nervosa. Un matrimonio di convenienza, come quasi sempre. In ogni caso, messi insieme sono un duo alquanto divertente.

    – Non so; non saprei; non ricordo – sospira lui. – Direi la terza. Sì, la terza.

    Sua moglie torna a girarsi verso la tavolata. – Allora doveva essere sicuramente la quarta. – Tutti ridono. Lord Darcy si agita ancora di più sul suo scranno, e sua moglie non si lascia scappare l’occasione.

    – Smettila di grattarti e agitarti, marito. La gente penserà che tu abbia i pidocchi! – E poi, con aria confidenziale. – Sapete, tra cimici, zecche e pidocchi, ogni volta che va a caccia riporta qualche esemplare di mordace parassita. Si potrebbe dire che lui e i suoi cani pulciosi portino a casa più insetti che selvaggina!

    Gli ospiti ridono ancora, di gran gusto. Anche Dorothy sorride, non prima però di aver lanciato un’altra fugace occhiata al serio cipiglio di suo marito. In ogni caso si sente già meglio, nausee e vertigini solitamente le passano in fretta, anche se tutti affermano che è strano che continui a portarsele dietro dopo ormai sei mesi di gravidanza.

    – Lord Darcy – dice una voce profonda, tonante, dall’altro lato della tavola. – se fossi in lei io punterei meno le vostre armi sulle bestie a quattro zampe e di più su quelle a due.

    Ad aver parlato è Sir Francis Havelton, barone di Bradford per nomina reale, vecchio amico di suo marito, reduce da ogni guerra, piccola o grande, che si sia combattuta lì nello Yorkshire o nel resto dell’Inghilterra negli ultimi trent’anni. Un combattente nato. Grosso di statura e di muscoli, imponente e fiero, regale e fedele ma mai misurato nei toni e nei modi. A Dorothy non piace molto. Le incute timore. Adora invece la compostezza e la tranquillità di sua figlia Jane, uno scricciolo di ragazza bionda che lo accompagna sempre alle cene da quando la moglie è morta di parto.

    – Cosa vorrebbe dire con questo? – chiede subito Lady Darcy. – Sta forse parlando di me? – Suo marito invece resta indifferente alla stoccata: si gratta, sbadiglia, sembra che da un momento all’altro debba crollare addormentato.

    Il barone incrocia le braccia davanti al grosso petto. – Sto solo dicendo che il vostro consorte dovrebbe essere più rigoroso, quando si tratta di lasciar parlare le persone che lo accompagnano.

    La donna drizza il capo e le spalle, punta il mento al cielo. – Io non sono una… accompagnatrice, Sir. Si dà il caso che sia sua moglie.

    – Appunto. Io non permetterei mai a mia moglie di mettermi in ridicolo davanti a una tavola di gentiluomini. E oltretutto in una casa non mia.

    Le guance del barone si sono imporporate. Lady Dorothy si spaventa subito quando l’uomo sembra volersi alzare dal suo posto, ma ecco che sua figlia gli posa subito una mano sul braccio sinistro. Il barone sembra ricordarsi di qualcosa, rilassa

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