La Cenerentola e il magnate: Harmony Collezione
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L'accordo con Dante è esclusivamente d'affari: quell'uomo sexy e magnetico è, infatti, il pericolo fatto persona. Ma quando l'attrazione che scorre tra loro rompe gli argini della finzione, entrambi si ritrovano a fronteggiare qualcosa di imprevisto.
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La Cenerentola e il magnate - Michelle Smart
successivo.
1
Dante Moncada salì in macchina accanto al guidatore, mentre due dei suoi uomini prendevano posto sui sedili posteriori. Qualcuno aveva fatto irruzione nel cottage che la famiglia Moncada possedeva da generazioni.
Mentre l'autista avanzava lungo le viuzze di Palermo, diretto in campagna, Dante ripensò alla conversazione avuta con Riccardo D'Amore, capo della omonima famiglia. L'uomo aveva messo il veto a un accordo con Dante, concordato con Alessio, il figlio maggiore di Riccardo, temendo che la sua cattiva reputazione potesse intaccare quella dei D'Amore.
Dante imprecò tra sé. Quale reputazione? Mi piacciono le donne, non è un crimine. Il mio impero finanziario si fonda su denaro pulito. Mi piace bere e divertirmi, ma non faccio uso di droghe, non gioco d'azzardo, e sto alla larga dagli ambienti dove armi, spaccio di droga e traffici poco trasparenti vengono considerati fonti di profitto.
Lavorava sodo e aveva creato un impero tecnologico milionario da un'eredità modesta, con una contabilità in cui neppure il revisore più zelante avrebbe trovato errori. I suoi guadagni erano del tutto legali.
I D'Amore avevano sviluppato un sistema di sicurezza di nuova generazione per smartphone, superiore ai prodotti della concorrenza. Alessio e Dante stavano per siglare un accordo di esclusiva per installarlo su smartphone e tablet di cui la compagnia di Dante era leader assoluto europeo. Grazie a quell'accordo, la sua società sarebbe penetrata anche nel mercato americano, dove non aveva ancora sfondato.
Le obiezioni di Riccardo sulla reputazione di Dante si riferivano alla sua famiglia: suo padre Salvatore, morto da poco, era stato un giocatore e un playboy. Sua madre Immacolata era chiamata la vedova nera, nomignolo che lui trovava ingiusto, dal momento che non aveva ucciso nessuno dei suoi mariti, ma li aveva solo spremuti per ottenere grosse somme dopo ogni divorzio. Il padre di Dante era stato il suo primo marito, ma al momento la donna era al quinto matrimonio e conduceva la vita di una regina.
Riccardo, invece, aveva una sola moglie e undici figli, pensava che il gioco fosse opera del diavolo e il sesso al di fuori del matrimonio peccato mortale. Temeva che Dante fosse la mela che non cadeva mai lontano dall'albero e voleva una prova che lui fosse diverso dai suoi genitori e che non danneggiasse l'Amore Systems. Al momento infatti era in trattative avanzate con il maggior rivale di Dante.
Al diavolo. Il vecchio a quest'ora dovrebbe andare in pensione. Mi resta una sola occasione di dare prova di rispettabilità: il matrimonio di Alessio D'Amore.
L'autista parcheggiò in un piccolo slargo nel bosco nei pressi del cottage, così Dante mise da parte quei pensieri. A pochi metri di distanza, abilmente nascosta tra gli alberi, si scorgeva un'utilitaria.
Dante prese dal bagagliaio la mazza da baseball che sperava di non dover usare; poi, scortato dalle guardie del corpo, penetrò nel fitto degli alberi. I residui di un inverno insolitamente gelido permeavano l'aria.
Il minuscolo cottage comparve davanti a lui. Le imposte erano chiuse, ma dal comignolo usciva del fumo che saliva verso l'alto, chiaramente visibile nella penombra della serata siciliana primaverile.
Qualcuno era effettivamente entrato in casa sua. Nascosto nell'ombra, Dante continuò ad avanzare.
La porta era chiusa, ma lui aveva la chiave e l'aprì. Sussultò allo scricchiolio dei cardini ma entrò comunque. Era la prima volta che varcava quella soglia da quando, in gioventù, era solito portarci le ragazze. Allora non aveva avuto paura di essere scoperto da suo padre bensì dai padri delle ragazze, che non gradivano che le loro figlie avessero rapporti sessuali prima del matrimonio... Almeno era stato così vent'anni prima.
L'interno era molto più piccolo di come lo ricordava. Le luci erano accese e lui si guardò attorno, sospettoso. La finestra sopra il lavello era stata chiusa con un pezzo di cartone, probabilmente quello era il punto da dove l'intruso si era introdotto, ma non si vedevano altri danni, niente che facesse pensare che il visitatore fosse entrato per compiere atti vandalici o per rubare. Non che ci sia qualcosa da rubare, a meno di avere un debole per i mobili ammuffiti... Regnava un'atmosfera di abbandono che si mischiava con il fumo nero che si alzava dal fuoco del camino. Una pila di libri era posata sul tavolo.
Li fissò, perplesso di fronte a quell'elemento incongruo. Proprio allora, al piano di sopra un'asse scricchiolò e l'adrenalina prese a galoppargli nel sangue.
Stringendo la mazza da baseball, fece un cenno ai suoi uomini e cominciò a salire la scala, imprecando tra sé per i continui scricchiolii. Avrebbe potuto delegare l'operazione ai suoi uomini, ma voleva vedere in faccia chi aveva osato introdursi nella sua proprietà, se un nemico o soltanto un vagabondo in cerca di riparo.
Raggiunto il piano superiore spalancò la porta.
Proprio allora qualcuno uscì dal bagno e lo aggredì, gridando e brandendo quello che pareva un soffione da doccia. Di colpo si rese conto che era una donna.
Lino, il più pronto dei suoi uomini, la bloccò subito.
Lei cominciò a scalciare, imprecando a gran voce in una lingua che pareva inglese, ma con un accento che Dante non riuscì a identificare.
Si stupì vedendo che indossava solo un accappatoio marrone e lo fissava con espressione terrorizzata.
«Lasciala» ordinò al suo uomo.
Lino le tolse di mano il soffione della doccia, poi allentò la stretta. La donna indietreggiò, fissandoli a uno a uno, impaurita.
Dante non si stupì: lui era un uomo imponente, ma Lino e Vincenzo erano due vere montagne di muscoli.
«Andate ad aspettarmi di sotto» ordinò ai suoi uomini. In fondo, a meno che nascondesse una pistola sotto l'accappatoio, non rappresentava un pericolo.
Le sue guardie del corpo lasciarono la stanza senza una parola e scesero rumorosamente le scale.
Trovandosi solo con lei, i sensi di Dante si attivarono. Nella stanza aleggiava un meraviglioso profumo di fiori, portato dalla donna.
Avanzò verso di lei, che si strinse nell'angolo della camera, le braccia incrociate sul petto, gli occhi dilatati per la paura.
Se non fosse entrata di nascosto in casa sua, forse avrebbe provato pena per lei.
Doveva avere una ventina d'anni, corporatura minuta ma con le curve al posto giusto, labbra carnose, una spruzzata di lentiggini sul viso pallido. Il colore dei capelli bagnati era impossibile da decifrare. Era comunque una bella donna.
La sconosciuta nel frattempo teneva gli occhi puntati su di lui, muta.
Dante si fermò a un passo da lei e le domandò in inglese: «Chi sei?».
La donna strinse le labbra scuotendo la testa.
«Perché sei qui?»
Ma anche quella domanda non ottenne risposta. Se non l'avesse sentita imprecare uscendo dal bagno, avrebbe sospettato che fosse muta.
E se non avesse forzato la sua proprietà, si sarebbe sentito in colpa per averla spaventata.
«Lo sai che questa è una proprietà privata?» tentò di nuovo, parlando più lentamente. Il suo inglese era ottimo, ma l'accento molto marcato. «Questo cottage è disabitato ma è mio.»
Gli occhi bellissimi della donna si socchiusero in un'espressione di avversione. «Questo cottage era di tuo padre e dovresti dividerlo con tua sorella.»
Sentì la collera montargli dentro. Dunque è di questo che si tratta? Un'altra ciarlatana che finge di essere la figlia naturale di Salvatore Moncada, sperando di arraffare una parte della mia eredità? È forse una di quelle che il mio avvocato ha già cacciato ma ha deciso di tentare un'altra volta la sorte?
«Se avessi una sorella segreta, certamente sarei disposto a dividere con lei la mia eredità, se...»
«Non c'è nessun se» lo interruppe. «Tu hai una sorella e ho con me la prova.»
Il suo tono deciso bloccò la brusca replica che Dante aveva già sulla punta della lingua. Studiò quel bel viso e si sentì gelare.
Davvero quella donna così sexy era convinta di essere... sua sorella?
Quest'uomo è Dante?
Aislin aveva visto diverse fotografie di quel crudele siciliano, deciso a negare alla sorella quello che moralmente le apparteneva, eppure non era preparata alla perfetta scultura vivente che le stava davanti.
Era molto più alto di quanto si fosse aspettata, muscoloso ma agile, e aveva capelli folti e scuri. Le fotografie non gli rendevano giustizia.
Neanche la barba fitta e scura mitigava la mascella scolpita né nascondeva le labbra sensuali, il naso diritto come una scultura greca e i bellissimi occhi verdi, che in quel momento la esaminavano con un misto di disgusto e incredulità.
Dante Moncada era l'uomo più sexy e attraente che avesse mai visto e l'emozionava con la stessa forza con cui scatenava al contempo la sua repulsione.
Sentì un brivido correrle lungo la schiena. Si strinse nell'accappatoio, come se volesse incollarselo addosso. Le scendeva fin sulle caviglie, ma di fronte allo sguardo di Dante si sentiva nuda.
Ed effettivamente sotto l'accappatoio era nuda.
Erano trascorsi due giorni da quando era entrata nel cottage, in attesa che qualcuno notasse la sua presenza e informasse Dante.
Ma doveva arrivare proprio mentre mi trovavo sotto la doccia? Alla faccia della prima impressione di freddezza e razionalità che speravo di dare...
Si era immaginata la scena di lui che piombava nel cottage infuriato e la trovava seduta al tavolo, intenta a studiare con gli occhiali.
Ogni volta che li portava, gli uomini si rivolgevano a lei come se fosse intelligente e non solo carina.
Invece lo scricchiolio delle assi del pavimento mentre Dante e i suoi scagnozzi salivano le scale l'aveva terrorizzata, così si era infilata l'accappatoio e aveva strappato il soffione della doccia come unica arma di difesa.
Dante penserà di avere a che fare con una strega, impressione che io devo affrettarmi a correggere.
Lui indietreggiò di un passo. «Sei davvero convinta di essere mia sorella?»
Aislin sollevò il mento, fingendo disinvoltura. «Se mi dai il tempo di vestirmi, ti spiegherò tutto. In cucina puoi trovare del caffè.»
Lui scoppiò in una risata che tradì la sua sorpresa.
«Entri in casa mia e pretendi che prepari il caffè?»
«Ti sto solo chiedendo di concedermi un po' di privacy, per rendermi presentabile prima di discutere dell'eredità che vorresti tenere per te, e ti ho informato che c'è del caffè, se vuoi fartene uno. Per me, macchiato con un cucchiaino di zucchero.»
La squadrò con i suoi occhi verdi, studiandola da capo a piedi. Poi, con un'alzata di spalle indietreggiò. «Ti aspetto.» E si richiuse la porta alle spalle.
Aislin cercò di riprendersi, le pareva quasi di non riuscire a respirare. Nell'aria restava il profumo della sua colonia, che persino una non esperta come lei riconosceva come estremamente costosa. E sexy... proprio come l'uomo che la portava.
Conscia di doversi mostrare lucida, afferrò un paio di jeans, un maglione grigio, della biancheria presa di fretta dall'armadio e si infilò di nuovo in bagno, chiudendo però la porta a chiave. Si vestì in fretta, passò una mano tra i capelli ancora umidi, poi fece un respiro profondo e uscì per andare a cercare Dante.
Si era preparata a lungo per quell'incontro. In teoria era pronta a ogni evenienza, anche se aveva agito in gran fretta per poterlo cogliere di sorpresa.
Non doveva perdere la calma. Quell'uomo, milionario, aveva fatto di tutto per bloccare i tentativi di sua sorella di far valere i suoi