Peccati
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Anteprima del libro
Peccati - Maria Volpi Nannipieri
Peccati
Immagine di copertina: Shutterstock
Copyright © 1932, 2022 SAGA Egmont
All rights reserved
ISBN: 9788728492413
1st ebook edition
Format: EPUB 3.0
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This work is republished as a historical document. It contains contemporary use of language.
www.sagaegmont.com
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I PECCATI DELL’INTELLIGENZA
L’IMBECILLE IN SOCIETÀ
Non esiste festa, ballo, visita, ritrovo, che non sieno frequentati dal tipo classico dell’imbecille. Non c’è festicciola familiare senza il suo familiare imbecille. Nelle grandi feste il numero degli imbecilli si moltiplica ed il controllo diventa impossibile: ma si può calcolare che ne esiste uno per ogni gruppetto e per ogni clan.
— Esistono diverse categorie di imbecilli — mi diceva un saggio amico coltissimo: — esiste l’imbecille gaio, mattacchione, incorreggibile e insopportabile; esiste quello truce, funereo, feroce; quello sapiente, tutto sentenze e citazioni; quello ignorante, felice di non sapere mai nulla e di non avere responsabilità; l’imbecille bello, soddisfatto di sè, e quello brutto, geloso di tutti; l’imbecille fastoso, quasi sempre povero in canna; l’irresistibile, galoppino innocente e portapena delle signore; il chiacchierone ingrassato di pettegolezzi e quello taciturno smagrito dai sospetti. L’unico tipo di imbecille che non esiste è l’imbecille strozzino.
— E le donne? — ho chiesto.
— L’imbecille tipo può essere maschio o femmina. Ma è più facile che sia maschio.
— Per quale privilegio?
— L’ingenuità. Le donne sono istintivamente più scaltre ed hanno a loro disposizione mille trincee per difendersi dall’accusa di imbecillità. Noi stessi ci dimostriamo con loro assai più indulgenti. Diciamo che sono leggere, sciocche, vane, civette, dissipatrici, infedeli, bugiarde, cretine magari, ma diciamo raramente che sono imbecilli. L’attributo imbecille richiama subito un paio di calzoni. E di calzoni tagliati bene, come se l’imbecillità fosse propria delie classi non diciamo elevate, ma eleganti. Del resto non avrete incontrato degli imbecilli nelle classi medie o in quelle inferiori.
— In quelle inferiori, forse no. Gli uomini sono troppo affaccendati a lavorare, troppo occupati a vivere per permettersi il lusso di essere, oltre che degli operai, anche degli imbecilli; ma in quelle medie, sì!
— Avete ragione: più si scende nei gradini sociali, a partire dalla classe media, più il tipo di imbecille classico scompare. Non ho mai incontrato un mendicante imbecille.
— Probabilmente. Ma gli imbecilli più pericolosi sono quelli specializzati ad esserlo con le donne. L’imbecille à femmes è prima di tutto convinto di essere irresistibile: non arrossisce di confessare che nessuna donna gli ha resistito più di due giorni e che nessuna donna gli resisterà più di tre giorni al massimo.
— Può darsi che dica la verità. Se un imbecille s’incontra con una donna equivalente alla sua imbecillità, la donna non potrà resistergli!
Mi ribello con violenza:
— Ah, no! No! E’ impossibile che due imbecilli, anche se di sesso diverso, vadano d’accordo! L’imbecille con le donne non ne indovina mai una, e se viene sopportato lo deve alla sua innocuità. Càpita in visita nelle ore più importune e inopportune, propone di uscire distrattamente quando diluvia, parla a lungo con passione delle persone che sono simpatiche a lui e insopportabili alla signora, è capacissimo di scegliere per la cena una lurida trattoria per fare qualche cosa di originale, invita a ballare una signora proprio nel momento in cui il marito, sorridendo, le fa una scena di gelosia, e senza capire per quale ragione la signora gli ha risposto negativamente, egli insiste, con un buon senso di primissimo ordine; e non vi dico che cosa succede quando un imbecille si mette in testa di divertirvi con delle storielle… piccanti!
— Per lo meno l’emicrania.
— Ecco; allora vien fatto di invidiare gli uomini i quali hanno mille mezzi anche energici per liberarsi dagli imbecilli, almeno in un salone, conducendoli diritti diritti verso il gruppo delle signore.
— Vi sbagliate, perchè se esistono degli imbecilli à femmes, esistono anche quelli per uomini. Con gli uomini, un imbecille, sia che parli con un solo interlocutore, sia che parli con venti, si comporta come se fosse un essere superiore costretto per grandezza divina a trattarsi con l’Io maiuscolo, e taglia l’aria con gesti larghi ed inutili, inadeguati alle parole che pronunzia, e parla ad alta voce perchè possa udirlo anche chi non vorrebbe, e interrompe se gli altri hanno la brutta idea di esprimere una loro opinione, o la disavventura di raccontare qualche cosa che è loro capitata. Allora se uno dicesse, per esempio, di aver trovato un filone d’oro alzando un mattone del suo salotto, egli sarebbe capacissimo di raccontare che un giorno, aprendo il rubinetto della vasca da bagno, ne vide scendere un filo liquido d’oro purissimo. Non vi dico quello che accade se in cinque o sei amici entriamo in un caffè: chi ordina ad alta voce è l’imbecille, afferrando per la mano il cameriere, pretendendo un caffè ristretto, e pagando magari il conto, ma sempre brontolando, sempre protestando che a lui « nessuno la fa »!
— Di imbecilli che pagano, dopo aver brontolato, però non ne esistono molti!
— Abbastanza, tuttavia! Non creda che il mestiere dell’imbecille non porti con sè i suoi oneri. E’ un mestiere che costa sempre qualche cosa perchè è tutto fatto di apparenza, di lusso, di baccano, di orpello. Costa qualche volta anche di salute. Perchè nessun altro uomo si accora, si addolora, si dispera per un nonnulla come l’imbecille. Senza contare che, di sicuro, costa la reputazione.
Il vecchio amico saggio e colto ha ragione: mi guardo attorno. Se la percentuale delle donne sciocche è rilevante, quella degli imbecilli uomini è superiore. E le donne hanno sempre un’attenuante sugli uomini: sono quasi tutte carine.
L’IMBECILLE AL RISTORANTE
Davanti al pasto l’animale si rivela sempre qual è.
Entra di colpo sventagliando la porta. Consegna al guardaroba paletò e cappello con mille raccomandazioni come se consegnasse la corona ed il manto d’ermellino. Conserva i guanti che sfila con noncuranza entrando nella sala e guarda villanamente in faccia a tutti come se fosse un cartello di sfida fatto uomo. Se riconosce una persona seduta vicino, o lontano, le spara contro un « ciao » vibrante che fa voltar tutti. Spesso saluta con l’ave, col salute, o se è un raffinato del genere, sceglierà la parola vale, che da qualche tempo è in disuso.
Prima di sedersi, fa due o tre giri intorno alla sala per il solo gusto di rendersi l’oggetto dell’attenzione dei camerieri che gli dan la caccia come ad un pollo scappato. Dopo due o tre finte ben calcolate, sceglie il suo posto, di preferenza vicino ad una donna.
Chiama il cameriere, dandogli del tu per comunicargli ad alta voce che vuol essere servito dal maitre che arriva di premura. Scruta la carta come fosse la pianta di un tesoro nascosto; discute sulla possibilità di farsi combinare un piatto complicatissimo, poi si adatta agli spaghetti a patto che siano « speciali »; se c’è il lesso vuole l’arrosto, se c’è l’arrosto si meraviglia « altamente » che non ci sia il lesso: vuole il « solito » ghiaccio e guarda intorno soddisfatto. Alla signora che gli è vicina dedica uno sguardo con intenzioni profonde e virili.
Comincia a fumare e fa la pulizia del vasellame. All’arrivo dei piatti tutti i suoi sospetti sopiti si risvegliano; richiama il maitre e vuol sapere il tempo di cottura, la quantità di salsa, di sale, fa i confronti con la cucina del Savoy Hôtel di Londra ove il riso si cuoce in duecento modi diversi. Sguardo circolare e congedo del maitre che comincia ad abbrutirsi.
Dopo la minestra fuma; dopo l’arrosto fuma, fuma sul piatto del formaggio che gli viene presentato. Il formaggio non gli piace, ma lo consola l’idea che gli altri vedano il cameriere a sua disposizione col piatto in mano. Dopo una lunga osservazione, disgustato, rimanda il piatto ed ordina: « Frutta! » come se ordinasse: « Fuoco! »
Occhiata più lunga e più virile alla signora vicina.
La frutta è oggetto delle sue indagini più accurate, come se si trattasse di frutti velenosi; la palpa, la annusa, vuole un altro cestino, assaggia l’uva di qua e di là, fa la sua scelta, si pente, rimette tutto a posto e vuole le prugne cotte.
E fuma. Chiama il sigaraio, gli chiede se si può telefonare a teatro per avere una poltrona, poi cambia parere, vuole l’orario, il giornale e un pacchetto di sigarette che conosce solo lui. Guarda tutte le marche che il sigaraio tiene nella cassetta, è sdegnatissimo per la miseria che vi trova e compra un pacchetto di giubek. Dà dieci centesimi di mancia.
Fuma e segue cantando il motivo dell’orchestrina. Stona, ma non se ne accorge. Se il « pezzo » è un tango, guarda ancora