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Un ossessione fatale (eLit)
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E-book306 pagine4 ore

Un ossessione fatale (eLit)

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Info su questo ebook

"Mi è piaciuto moltissimo... Non trovavo dei personaggi così interessanti da molto tempo" - Angela Marson autrice bestseller di Urla nel silenzio

Quello che sembra un semplice caso di omicidio, pagina dopo pagina si rivela un fitto mistero. Per risolverlo c’è una nuova imperdibile coppia.

Oxford, 1960.
Niente cellulari né CSI né DNA, ma un assassino a piede libero.
L’agente in prova Trudy Loveday è intelligente, entusiasta e sempre sottovalutata. Nella speranza di toglierla di mezzo, viene assegnata a collaborare con il medico legale Clement Ryder, mentre riapre il caso della morte di una giovane donna. Trudy non riesce a credere alla sua fortuna: sta per lavorare su un vero caso di omicidio.

Nel frattempo, il resto delle forze di polizia è impegnato a indagare su una serie di minacce e omicidi nella comunità locale, e Clement inizia a sospettare che sia tutto collegato.

L’improbabile collaborazione tra l’agente Loveday e il dottor Ryder avrà risvolti inaspettati…
LinguaItaliano
Data di uscita2 mag 2022
ISBN9788830531680
Un ossessione fatale (eLit)

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    Anteprima del libro

    Un ossessione fatale (eLit) - Faith Martin

    Prologo

    Oxford, luglio 1955

    Il corpo sul letto giaceva immobile e pudicamente muto mentre l'uomo di mezz'età si guardava intorno lentamente nella stanza. Era una bella camera – ampia, ben proporzionata e arredata con eleganza nei toni dell'azzurro e dell'argento. Una delle due grandi finestre a ghigliottina era semiaperta e lasciava entrare la tiepida brezza estiva che muoveva appena le tendine di voile e portava con sé il lieve sentore di caprifoglio che saliva dal curato e rigoglioso giardino sottostante.

    L'uomo si aggirò a passo lento nella lussuosa camera da letto, scrutando con avidità ogni minimo particolare, dalla qualità delle lenzuola di seta ai flaconi di profumo costoso su una raffinata toeletta antica, attento a non toccare niente. Essendo nato in una famiglia operaia, non aveva idea della provenienza dei quadri che abbellivano le pareti. Però avrebbe scommesso volentieri una settimana di salario che sarebbe bastato venderne uno solo per sistemarsi per tutta la vita insieme alla sua famiglia.

    Fino ad allora non aveva mai avuto motivo per mettere piede in una delle ville che si ergevano nelle vie eleganti tra Woodstock Road e Banbury Road nella zona nord della città, o nei viali alberati del quartiere. Perciò ora se la prese comoda a perlustrare la camera, e con molto piacere, godendo della morbidezza della folta moquette azzurra Axminster, tanto lussuosa che sembrava di camminare su un prato di muschio.

    Spostò lo sguardo con cupidigia verso il cofanetto dei gioielli, lasciato aperto con noncuranza sul comodino di noce da un lato del letto. Oro, perle e scintillanti pietre preziose luccicavano al sole estivo e gli facevano prudere le dita.

    «Che meraviglia» borbottò tra sé e sé. Sapeva che non avrebbe dovuto cedere alla tentazione d'infilare in tasca neppure un anellino. Non stavolta, e di certo non con loro. Non era arrivato al mezzo secolo di età senza sapere che c'era una legge per i ricchi, e un'altra per i comuni mortali.

    Pensoso, tornò a rivolgere lo sguardo verso il corpo sul letto. Proprio carina. E anche giovane. Appena ventenne, forse?

    Che gran peccato, pensò.

    Poi la brezza fece frusciare qualcosa sul tavolino tondo dall'altro lato del letto e lui colse subito quel lieve spostamento con la coda dell'occhio. Si avvicinò al letto e alla ragazza morta, attentissimo a dove metteva i piedi, e vide che cosa si era mosso. Era stato appoggiato in bella mostra, chiaramente di proposito, tra i vari oggetti e i flaconi di compresse.

    L'uomo si chinò piegandosi alla vita, che si stava decisamente allargando troppo, e aguzzò la vista per leggere quello che vi era scritto.

    Bastò qualche parola per far sbocciare un lento sorriso raggiante sul suo viso non particolarmente attraente. Fece un lungo fischio sommesso, girò di scatto la testa per guardare e assicurarsi che nessuno della casa alle sue spalle fosse salito e potesse vedere quello che stava per fare. Assicuratosi di essere rimasto solo e indisturbato, prese quello che aveva notato e lo ripose al sicuro nella grande tasca interna della giacca.

    Si batté con un gesto affettuoso il punto in cui era, proprio sopra il cuore. Se non aveva preso un abbaglio, difatti, quella preziosa scoperta era il suo primo vero colpo di fortuna da anni – forse il primo di tutta la sua vita. E di sicuro avrebbe reso infinitamente più piacevoli del previsto gli anni del suo pensionamento che si avvicinavano al galoppo.

    Si diresse verso la porta a passo baldanzoso, lasciandosi indietro la ragazza morta senza pensarci due volte, e uscì sul pianerottolo con sicurezza spavalda.

    Era ora, si disse invece, di affrontare l'uomo di casa.

    1

    Oxford, gennaio 1960

    Trudy Loveday, agente di polizia tirocinante, gridò con tutto il fiato che aveva in gola: «Ehi, tu, fermo lì. Polizia!», poi si lanciò di corsa.

    Inutile a dirsi, il ragazzino che Trudy aveva appena visto rubare la borsetta di una donna mentre era sotto l'orologio della Carfax Tower non le obbedì. Ebbe appena il tempo di vedere di sfuggita un viso giovanissimo in preda al panico mentre le dava una rapida occhiata da sopra la spalla, poi lui si infilò in High Street con la velocità di un levriero che inseguiva una lepre.

    Rischiò di essere investito da un taxi mentre attraversava il corso principale all'incrocio ma, per fortuna per Trudy, le macchine che si erano bloccate di colpo per farlo attraversare le permisero di approfittare del varco nel traffico per corrergli dietro con meno pericoli.

    Il viso di Trudy esprimeva gioia pura. Se solo avesse saputo cosa l'aspettava...

    Il sergente O'Grady l'aveva incaricata di scovare il responsabile di un'ondata di scippi in centro, cominciata poco prima del periodo degli acquisti natalizi, ma da allora era la prima volta che Trudy avvistava la preda. Anche se il ladro continuava a essere piuttosto attivo e l'elenco di denunce indignate da parte di casalinghe e donne in giro per compere si allungava di continuo, né lei né gli altri agenti di pattuglia erano stati ancora tanto fortunati da trovarsi al posto giusto al momento giusto.

    Fino ad allora.

    In un mese intero in cui aveva battuto i marciapiedi ghiacciati e aveva raccolto le dichiarazioni di donne furibonde o in lacrime, in cui era rimasta nascosta dietro gli ingressi dei negozi, impalata nonostante le facessero male i piedi, tenendo gli occhi aperti nella speranza di cogliere sul fatto il ladruncolo, Trudy aveva accumulato parecchio risentimento contro quel particolare criminale.

    Il che significava che ora non aveva alcuna voglia di farselo sfuggire.

    Si rendeva conto che molti dei passanti la guardavano correre stupiti, con la bocca aperta e gli occhi sgranati. Alcuni degli uomini nei paraggi sembravano intenzionati a tentare d'intervenire, e Trudy sperò che non lo facessero. Per quanto fossero animati da buone intenzioni, l'ultima cosa che le serviva era un cavalleresco dirigente di banca di mezz'età che cercava di bloccare il ladro in fuga per aiutarla, finendo buttato a terra o guadagnandosi un pugno in faccia, se non peggio.

    Trudy non voleva neanche pensare a tutte le scartoffie che avrebbe dovuto compilare in tal caso, per non parlare dell'espressione furente e rassegnata dell'ispettore Jennings nello scoprire che era riuscita a combinare un pasticcio in un arresto tanto semplice.

    Fino a quel momento era passato meno di un minuto d'inseguimento forsennato, e Trudy rammentò con un certo ritardo di avere con sé un fischietto e si chiese se fosse il caso di usarlo o no.

    A diciannove anni, quasi venti, Trudy Loveday ricordava ancora i bei tempi delle manifestazioni scolastiche di atletica leggera, in cui aveva sempre vinto delle coppe per la corsa, che fosse nelle gare di velocità o nella corsa campestre. Ed era ancora veloce come il vento, anche con le scarpe nere e l'uniforme da poliziotta, e il borsello di pelle dell'equipaggiamento che le sbatteva contro il fianco. Oltretutto vedeva che stava guadagnando terreno rispetto al ladruncolo davanti a lei, che aveva in più l'impedimento di dover scostare a spallate gli ostacoli dei pedoni mentre correva, lasciandole più libero il marciapiede.

    Trudy muoveva braccia e gambe con il ritmo familiare e istintivo che le permetteva di divorare i metri, ed era riluttante a modificare l'assetto, ma l'addestramento e il buonsenso le dicevano altrimenti. Perciò, cercando di non perdere lo slancio, spostò la mano sul petto, si portò alle labbra il fischietto argentato appeso alla catenella e soffiò forte alla prima espirazione.

    Il caratteristico fischio acuto risuonò subito nell'aria gelida; Trudy sapeva che avrebbe fatto accorrere in suo aiuto eventuali colleghi a portata di orecchio. Però la cosa non sarebbe servita a niente se lo scippatore avesse deciso di rinunciare a scappare in linea retta e avesse cercato di seminarla addentrandosi per le antiche stradine medievali, o schivandola in mezzo ai negozi.

    Per fortuna per il momento si limitava a correre lungo High Street, sicuro di riuscire a staccare una donna. Non era di certo il primo uomo a sottovalutarla.

    Con un sorriso sicuro, Trudy aumentò l'andatura. Ora il ragazzo era tanto vicino che poteva quasi percepire l'istante in cui l'avrebbe placcato buttandolo a terra, l'avrebbe sentito grugnire per la sorpresa e avrebbe visto lo sgomento dipingersi sul suo visetto impertinente mentre lo ammanettava e gli recitava la formula dell'arresto.

    E in quel momento, proprio mentre stendeva le mani preparandosi ad agguantarlo, lui si girò a guardare da sopra la spalla, la vide e imprecò, poi deviò subito a destra, infilandosi tra due auto parcheggiate.

    Trudy lanciò una rapida occhiata dietro le spalle, vide che la strada era sgombra e allora tornò a guardare davanti a sé fino al Magdalen Bridge e notò la sagoma familiare di un autobus rosso che procedeva lento verso di lei. Aveva ancora tempo prima che arrivasse.

    Prevedendo l'intenzione del ladro in fuga di attraversare la strada e tentare di seminarla in una delle vie laterali dall'altro lato, Trudy fischiò ancora, sia per avvertire le persone che osservavano sconcertate di farsi da parte, sia per attirare l'attenzione di colleghi che potessero intervenire in suo aiuto.

    Fece un balzo di lato, con tempismo quasi perfetto e ben calcolato. Gli fu addosso prima che il ragazzo potesse arrivare in mezzo alla strada, e lo fece girare buttandolo giù all'indietro verso il marciapiede. Lo urtò con forza, con tutto il peso, benché fosse snella. Per fortuna era alta; arrivava quasi a un metro e settantotto, e aveva le braccia lunghe.

    Purtroppo per lui, il ladro atterrò di naso sull'asfalto gelato, ed emise un grido di dolore. Era smilzo e allampanato, tutto braccia e gambe; il naso gli sanguinava già a profusione ma lui, comicamente, teneva ancora stretta la borsetta della donna che aveva scippato alla Carfax Tower.

    Trudy sentì il berretto da poliziotta caderle mentre atterrava sopra di lui, e menomale che i lunghi capelli mossi castano scuro erano raccolti con una moltitudine di forcine ed elastici in uno chignon strettissimo che non si mosse di un millimetro.

    Portò una mano dietro la schiena, tenendo un ginocchio saldamente premuto sulla spina dorsale del ladro, e cercò a tastoni le manette. Si accorse appena di una voce maschile che gridava qualcosa a poca distanza, e del fatto che gli astanti, che si erano radunati in un capannello di curiosi intorno a lei, ora si stavano scostando, quando il ladro sotto di lei ebbe un improvviso slancio e si divincolò con violenza.

    Prima di poter aprire la bocca per cominciare a snocciolare la frase di rito, il ladruncolo sollevò di scatto il gomito e la colpì su un occhio.

    «Ahhh!» gridò Trudy, portando una mano allo zigomo dolorante. Così facendo diede allo scippatore l'occasione che aspettava, e lui si tirò su di nuovo con forza, mandandola lunga distesa a terra.

    Comunque Trudy ebbe abbastanza presenza di spirito da stendere una mano e afferrargli il piede mentre tentava di alzarsi. Lui si girò, spostò all'indietro la gamba libera per darle un calcio in faccia quando Trudy si accorse dell'arrivo di un'altra figura che incombeva su di lei.

    «Ehi, bello, stai buono lì! Dove credi di andare?» esclamò una voce trionfante. Poi nel campo visivo di Trudy comparvero due robuste mani maschili che issarono in piedi lo scippatore. «Ti arresto per aggressione ad agente di polizia durante l'esercizio delle sue funzioni. È mio dovere avvisarti che qualunque cosa dirai sarà verbalizzata e potrà essere usata come prova.»

    Con i grandi occhi scuri che lacrimavano tanto per la frustrazione quanto per il dolore, Trudy vide il suo criminale che veniva ammanettato dall'agente Rodney Broadstairs, il Casanova della centrale di polizia di St. Aldates. Solo ora che l'effetto dell'adrenalina andava scemando Trudy cominciava a sentire le escoriazioni e i lividi che si era procurata nella colluttazione. Per fortuna i guanti, l'uniforme e il pesante soprabito nero di lana pettinata le avevano impedito di spellarsi per l'attrito.

    Dal capannello di persone partì un breve applauso educato quando l'agente trascinò a forza il ladro sul marciapiede. Con aria diffidente, uno degli astanti porse a Trudy il suo cappello, che lei prese con un sorriso e un flebile ringraziamento.

    Recuperò anche la borsetta della signora come prova.

    Però gli sguardi di ammirazione da parte dei presenti e il mormorio di approvazione per la ragazzetta coraggiosa, mentre seguiva zoppicando con aria tetra l'agente Broadstairs e lo scippatore, non riuscirono a migliorare il suo umore, che si era incupito. Perché, dopo quasi un anno di amara esperienza, sapeva già come sarebbe andata ora.

    Broadstairs, che aveva snocciolato la formula di rito al ladro e gli aveva messo le manette, avrebbe preso tutto il merito dell'arresto. Sarebbe stato l'aitante poliziotto e non l'umile agente donna tirocinante a ricevere un cenno di approvazione da parte dei superiori.

    A lei invece sarebbe stato detto di tornare a casa da mamma e papà e riposare, curare l'occhio sempre più nero e redigere il rapporto come prima cosa la mattina dopo. Ah, sì, e anche di andare a raccogliere la deposizione della donna scippata. E per tutto il tempo avrebbe dovuto sopportare i bisbigli e i commenti sprezzanti sul fatto che le donne in polizia non servivano a niente di più.

    Mentre tornava sconsolata a St. Aldates poteva solo pensare che l'ispettore Jennings non si sarebbe attaccato ai danni fisici subiti, peraltro poco gravi, come scusa per riassegnarla al lavoro d'ufficio.

    Davanti a lei, l'agente Rodney Broadstairs girò la testa per guardarla e le fece l'occhiolino.

    Mentre l'agente Trudy Loveday lottava contro il desiderio d'imprecare in maniera ben poco signorile contro il suo collega, a otto chilometri da lì, nel grazioso paesino di Hampton Poyle, Sir Marcus Deering aveva smesso di lavorare per la pausa di metà mattinata.

    Anche se in teoria era ancora il responsabile della grande catena di supermercati grazie ai quali aveva accumulato la sua fortuna, all'età di sessantatre anni ormai lavorava due giorni alla settimana nello studio della sua opulenta dimora di campagna nell'Oxfordshire. Era sicuro di poter affidare senza troppi inconvenienti il grosso del lavoro agli amministratori delegati, oltre che a un intero consiglio di altri dirigenti, e ora si recava di rado alla sede centrale a Birmingham.

    Emise un sospiro di piacere quando entrò la segretaria nella stanza con le pareti piene di libri, portando un vassoio con caffè e biscotti, e la posta del mattino. Sir Marcus era piuttosto corpulento, con i capelli grigi che si andavano diradando, i baffi curati e gli occhi grandi di un nocciola verdastro, ed era un uomo al quale piaceva mangiare.

    Tuttavia l'appetito gli passò all'istante appena riconobbe la scrittura di una grande busta bianca indirizzata a lui a caratteri maiuscoli, vergati con una sfumatura biliosa d'inchiostro verde.

    La segretaria depositò il vassoio sulla scrivania e, notando come aveva serrato le labbra in una linea dura che esprimeva tutto il suo fastidio, si affrettò a battere in ritirata.

    Corrucciato, Sir Marcus esaminò la pila di corrispondenza bevendo un sorso di caffè ogni tanto, dicendosi che quell'ennesima lettera anonima non era altro che un fastidio. Era l'ultima di una serie di missive che gli erano arrivate di recente, di certo scritte da uno svitato che non aveva niente di meglio da fare nella vita, e non valeva quasi lo sforzo di aprirla e leggerla. Avrebbe dovuto farla finire dritta nel cestino della carta straccia.

    Però sapeva che non l'avrebbe fatto. La natura umana non gliel'avrebbe permesso. Dopotutto la curiosità non era in grado di uccidere solo il proverbiale gatto. Perciò, con una smorfia di disgusto, afferrò al volo la busta offensiva dalla pila di lettere, prese il tagliacarte d'argento e l'aprì con cura. Tirò fuori l'unico foglio che conteneva, sapendo già che cosa c'era scritto senza neppure guardare. Le lettere gli trasmettevano sempre la stessa assurda richiesta ambigua e insensata che lo faceva infuriare.

    Aveva ricevuto la prima poco meno di un mese prima. Solo qualche riga, con l'allusione a una velata minaccia, e naturalmente senza firma. Ricordava che quella volta aveva pensato che fosse un'assoluta stupidaggine. Era solo una delle tante cose che doveva sopportare un uomo della sua posizione, un magnate che si era fatto da sé.

    L'aveva accartocciata e buttata via senza pensarci due volte.

    Ma dopo ne era arrivata un'altra solo una settimana dopo.

    E, stranamente, non era più minacciosa né più precisa o volgare. Il messaggio era identico. E la cosa era già bizzarra di per sé. Sir Marcus aveva sempre presunto che in generale le lettere anonime diventavano più offensive ed esplicite con il passare del tempo.

    Che fosse stato per quest'anomalia o il puro istinto, Sir Marcus non lo sapeva, ma qualcosa aveva attirato la sua attenzione e, quella volta, invece di buttarla l'aveva tenuta. Non che fosse davvero preoccupato, chiaro.

    Però aveva conservato anche quella arrivata la settimana prima, benché il testo fosse sempre lo stesso. E magari avrebbe infilato anche quella nel primo cassetto della scrivania e si sarebbe premurato di chiuderlo a chiave. Non voleva che le trovasse sua moglie. Quelle maledette lettere l'avrebbero spaventata.

    Sospirando, aprì il foglio piegato e lesse.

    Sì, come pensava, erano quasi le stesse parole esatte.

    Fai quello che è giusto, altrimenti te ne pentirai. Ti tengo d'occhio.

    Però in questa lettera c'era un'altra frase. Una novità.

    Hai un'ultima possibilità.

    Sir Marcus Deering sentì battere più forte il cuore per il terrore. Un'ultima possibilità? Che cosa significava?

    Con un grugnito d'irritazione, buttò il foglio sulla scrivania e si alzò. Si diresse verso la portafinestra dalla quale si vedeva il bel panorama di un grande prato curato. Un ruscelletto che attraversava lo spazio erboso e segnava il confine da cui iniziava il giardino fiorito vero e proprio, e Sir Marcus seguì con uno sguardo inquieto le sagome scheletriche dei salici piangenti che lo bordavano.

    Al di là della villa e dell'ampio giardino, che d'estate era variopinto e pieno delle fragranze dei fiori, ed era l'orgoglio di sua moglie Martha, c'era un'altra testimonianza della sua ricchezza e del suo prestigio: gli acri fertili gestiti dal suo responsabile agricolo.

    Di norma, guardare le sue terre lo calmava; era una vista rassicurante che gli ricordava tutto quello che aveva fatto nella vita.

    Era sciocco sentirsi così... non proprio spaventato dalle lettere – Sir Marcus non avrebbe mai ammesso di esserlo – però turbato sì, doveva dirlo. Si sentiva a disagio.

    In apparenza erano insignificanti, minacce insensate e anche blande. Non c'era neppure una parolaccia. Come lettere minatorie, erano patetiche, a dire il vero. Però avevano qualcosa che lo inquietava.

    Si riscosse e tornò alla scrivania a passo deciso, poi si lasciò cadere sulla poltrona. Con l'espressione schifata, infilò la lettera nel cassetto insieme alle altre, poi lo chiuse a chiave.

    Aveva di meglio da fare che preoccuparsi per certe sciocchezze. L'individuo mentalmente carente che le aveva scritte in quel momento doveva essere seduto da qualche parte a ridacchiare, immaginando di essere riuscito a sconvolgerlo.

    Ma Sir Marcus Deering era troppo forte per farsi intimidire!

    Fare quello che era giusto... Non poteva riferirsi all'incendio, vero? Fu scosso da uno spasmo d'ansia. Era successo tanto tempo prima, e lui non c'entrava niente. Era giovane, inesperto, ed era ancora al suo primo lavoro di una certa responsabilità. Oltretutto l'incendio non era avvenuto neppure durante il suo turno, e di certo non era stata colpa sua.

    No, non poteva riferirsi a quello.

    Con un gesto di sfida, prese un biscotto e lo morse, aprì la prima lettera della sua corrispondenza di lavoro, meditando se fosse il caso d'introdurre una nuova gamma di radio nei suoi negozi. Il direttore dell'emporio di Leamington Spa era propenso a ordinare un gran quantitativo di apparecchi radio in bachelite color panna.

    Sir Marcus storse il naso. Panna! Che cos'aveva che non andava la bachelite che sembrava vero mogano? E quale importanza aveva il fatto che ormai era il 1960, l'inizio di un nuovo decennio stimolante, come insisteva a scrivere il direttore nella sua lettera? Le casalinghe avrebbero sperperato davvero i soldi guadagnati dai mariti con il sudore della fronte per una radio in bachelite color panna?

    Però, anche mentre chiamava la segretaria per dettarle un rimprovero al suo dirigente troppo progressista di Leamington, in fondo alla sua mente c'era un tarlo insidioso.

    Che cosa diavolo intendeva la lettera con fai quello che è giusto? Che cos'era giusto? E che cosa sarebbe successo a lui, Sir Marcus Deering, se non l'avesse fatto?

    2

    «Sei tu, tesoro?» chiamò Barbara Loveday appena sentì aprirsi e chiudersi la porta d'ingresso. «Sono in cucina!»

    E Trudy non poté trattenere un sorriso mentre appendeva con gesti stanchi le sue cose nell'ingresso. Sua madre era in cucina – chiaro. Ben di rado infatti Barbara Loveday era altrove. Durante tutta l'infanzia, lei e il fratello maggiore Martin avevano trascorso più tempo in quell'ambiente ristretto ma rassicurante che in tutto il resto della villetta a schiera nella zona abbastanza degradata di Botley dove abitavano.

    Essendo periferia, a Botley mancavano le colline svettanti di Headington con i bei caseggiati nuovi, o il fascino più pittoresco e anticonformista di Osney Mead, sulla sponda del canale, ma Trudy non avrebbe potuto immaginare di vivere altrove. E in un giorno uggioso e deludente come quello, con le ossa indolenzite e un bell'occhio nero, era più che lieta di trascinarsi in cucina, dove aveva la garanzia di essere accolta dall'odorino stuzzicante di qualcosa di buono che cuoceva in pentola e dal saluto affettuoso e caloroso di sua madre.

    «Sei tornata prest... Oh, Trudy, gioia!» esclamò Barbara angosciata, corrugando la fronte con apprensione nel vedere il viso della figlia. «Che cos'hai fatto? Vieni qui.»

    Per un istante, avviluppata dall'abbraccio del corpo generoso di sua madre che la scrutava con gli occhi di un bruno dorato identici ai suoi, a Trudy non diede affatto fastidio avere l'impressione di avere di nuovo sei anni. Dopotutto, era molto piacevole sapere che c'era qualcuno che le voleva bene e l'accudiva, e lì, in quella cucinetta con il pavimento di linoleum pieno di crepe e le allegre tendine gialle, si sentiva di nuovo protetta

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