Incantevole bugiarda: Harmony Collezione
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Info su questo ebook
Il primo bacio è per la mamma! Quando il tenebroso Franco Leoni torna a Londra dopo un viaggio d'affari, scopre che Ruth, la sua più valida assistente, se n'è andata senza alcuna spiegazione. Deciso ad avere un chiarimento, Franco parte alla volta di un paesino della campagna inglese, dove lei si è rifugiata. Ad attenderlo troverà più di una sconvolgente verità. Ruth è incinta. Di lui. E per non ferire i sentimenti dei genitori, è stata costretta a inventare una storia bizzarra sulla gravidanza e sul padre del bambino. Con l'inaspettato arrivo di Franco il fantasioso castello di bugie rischia di crollare e con esso il mondo di Ruth. Per fortuna le vie dell'amore sono infinite.
Cathy Williams
Autrice originaria di Trinidad, ha poi studiato in Inghilterra, dove ha conosciuto il marito.
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Anteprima del libro
Incantevole bugiarda - Cathy Williams
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
The Baby Scandal
Harlequin Mills & Boon Modern Romance
© 2000 Cathy Williams
Traduzione di Silvana Mancuso
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved.
© 2012 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5891-361-1
www.eHarmony.it
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1
Ruth sentì un rumore di passi diretti verso l’ufficio e si fermò con un fascio di documenti in mano. Sfortunatamente, il legno aveva la fastidiosa caratteristica di amplificare i rumori e, adesso che non c’era più nessuno a parte lei, il ticchettio delle scarpe le arrivò dritto al cuore.
Questa era Londra.
Aveva riso quando i suoi genitori, spinti dall’ansia, le avevano raccomandato di stare attenta nella città grande e terribile, ma adesso ogni parola le tornava in mente con una chiarezza da incubo.
Rapinatori. Pervertiti. Stupratori.
Si schiarì la gola e si chiese se affrontare con coraggio l’intruso che era penetrato nei due piani dell’edificio vittoriano, da poco ristrutturato.
Il coraggio, tuttavia, non era il suo forte, quindi rimase immobile e timorosa, pregando che il maniaco assetato di sangue vedesse che non c’era nulla da rubare e se ne andasse da dove era venuto.
I passi, che sembravano sapere esattamente dove andare, presero la forma di un’ombra scura dietro la porta a vetri. La luce del corridoio era spenta e, pur essendo ancora estate, l’autunno era alle porte e alle diciannove e trenta il sole era tramontato da un pezzo.
Adesso, pensò frenetica, era il momento giusto per svenire.
Non avvenne. Le suole sembravano attaccate al pavimento, quindi non solo non poté accasciarsi come un sacco, ma non riuscì neppure a muoversi.
L’ombra aprì la porta ed entrò con la sicurezza tipica di chi è malamente intenzionato.
Alcuni muscoli facciali ripresero vita, Ruth sollevò il mento con coraggio. «Posso aiutarla?» disse stridula.
L’uomo che si avvicinava era alto e possente, adesso che lo vedeva chiaramente sotto la luce. Aveva la giacca buttata su una spalla e una mano in tasca.
Non sembrava un drogato impazzito, pensò disperata, ma neppure un turista sfortunato entrato accidentalmente nell’edificio ritenendolo un negozio. Era già capitata una simile circostanza, poiché il palazzo si trovava in una delle vie più esclusive di Londra, tra un atelier di lusso e una gioielleria all’ultima moda.
Di fatto, non c’era nulla di sfortunato in quell’uomo. Aveva i capelli neri e corti, gli occhi che la guardavano erano di un azzurro intenso e ogni angolo del viso e del corpo suggeriva una certa aggressività che Ruth trovò schiacciante.
«Dove sono tutti?» chiese l’uomo, dando una breve occhiata e aggirandosi per l’ufficio con insolenza.
Impotente, Ruth seguì quei movimenti con gli occhi.
«Magari potrebbe dirmi chi è lei» riuscì a dire, esitante.
«Magari potrebbe presentarsi lei per prima.» Smise di ispezionare scrivanie e computer per guardare oltre la spalla.
«Io lavoro qui» rispose Ruth, raccogliendo il coraggio latitante e decidendo che, poiché quell’uomo era un estraneo, lei aveva tutto il diritto di essere scortese.
Sfortunatamente, la malagrazia non faceva parte della sua indole. Era gentile all’eccesso, ecco perché si era trasferita a Londra, sperando che un po’ della sfacciata sicurezza della città la contagiasse attraverso un misterioso processo di osmosi.
«Nome?»
«R... Ruth Jacobs» farfugliò.
«Mmh, non mi dice nulla.» Lo sconosciuto aveva smesso di ispezionare l’ufficio e si era seduto sul bordo di una scrivania, scrutandola con attenzione. Era evidente che aveva deciso di metterla sotto esame. «Non fa parte dei redattori. Ho una lista, e il suo nome non compare.»
Da terrorizzata Ruth divenne confusa, e il suo viso pallido e tirato non riusciva a nascondere il suo stato d’animo.
«Chi è lei?» chiese infine, abbassando gli occhi poiché, per i suoi gusti, c’era qualcosa di eccessivamente irresistibile nella forte mascolinità di lui. «Credo di non aver sentito il suo nome.»
«Probabilmente perché non l’ho detto» rispose secco. «Ruth Jacobs, Ruth Jacobs...» Inclinò la testa da un lato e prese a scrutarla. «Sì, potrebbe proprio servirmi...»
«Senta, sto per chiudere... vuole prendere un appuntamento con la signorina Hawes domattina?» Si rese conto di sembrare molto strana in quella posizione immobile, con la mano sospesa che stringeva forte i documenti. Quindi scollò i piedi dalla mattonella che aveva occupato da quando l’uomo era entrato e corse alla scrivania di Alison per prendere l’agenda degli appuntamenti.
«Di cosa si occupa qui?»
Ruth si fermò e trasse un respiro profondo. «Mi rifiuto di rispondere finché non mi dirà il suo nome» disse concitata. Sì sentì arrossire e, non per la prima volta, maledisse l’incapacità di fare appello alla più remota parvenza di stile. A ventidue anni, ormai, poteva anche smetterla di arrossire in modo ridicolo.
«Sono Franco Leoni.» Le diede qualche secondo per comprendere, e quando lei continuò a guardarlo confusa, aggiunse un po’ impaziente: «Possiedo questo posto, signorina Jacobs».
«Ah» disse lei dubbiosa.
«Alison non le ha detto nulla? Il capo schifoso? Da quanto tempo è qui? È un’impiegata temporanea? Perché lascia a un dipendente la responsabilità di chiudere gli uffici? È assurdo.»
L’irritazione crescente nel tono della voce la risvegliò. «Non sono temporanea, signor Leoni. Sono qui da quando la rivista è stata rilevata, undici mesi fa.»
«Allora dovrebbe sapere chi sono. Dov’è Alison?»
«Se n’è andata da circa un’ora» ammise lei, riluttante. Cercò freneticamente, ma invano, di riconoscere il suo nome. Sapeva che la rivista, che era stata una piccola attività in perdita, era stata rilevata, ma non ricordava i nomi delle persone coinvolte.
«Andata dove? La chiami per me.»
«È venerdì, signor Leoni. Non sarà a casa. Credo che andasse con... con... la madre al teatro.»
La piccola bugia fu sufficiente a farla arrossire di nuovo, e Ruth guardò decisa le finestre dietro di lui. Era scrupolosamente onesta per natura, ma i meccanismi contorti del cervello erano giunti all’oscura conclusione che quell’uomo, che fosse o no il proprietario della redazione, non sarebbe rimasto positivamente colpito se avesse saputo che la sua responsabile era a cena con un altro uomo.
Alison, alta, vivace, capelli rossi e molto sfacciata, era il genere di donna che passava la vita a cambiare uomini e a spassarsela. Alle diciannove e trenta di venerdì, un possibile cambiamento di ragazzo era l’ultima cosa che Ruth si sentiva pronta a gestire. E quell’uomo sembrava proprio il tipo ideale di Alison. Alto, dalla sessualità prepotente. Il genere di maschio che attraeva molte donne, concesse con riluttanza.
E se non si consideravano le buone maniere un tratto essenziale della personalità di qualcuno.
«Quindi, suppongo che non può fare altro che credermi se le dico che sono il capo qui, no?» Fece un sorriso lento, scrutandola come fosse divertito da ciò che vedeva. «E che ci creda o no, sono molto contento di essermi imbattuto in lei.»
«Devo proprio tornare a casa...» Ruth era sempre più imbarazzata. Perché quell’uomo continuava a fissarla?
«I suoi genitori potrebbero preoccuparsi?» chiese lui, ironico.
«In realtà, non vivo con loro» lo informò fredda. Dopo quasi quindici mesi, la consapevolezza di avere finalmente trovato un posto tutto suo, per quanto piccolo e anonimo, le procurava ancora piacere. Era stata l’ultima delle sue amiche a lasciare il nido e lo aveva fatto solo perché una parte di lei sapeva che doveva farlo.
Adorava i genitori e la canonica in cui era cresciuta, ma una parte di lei si era resa conto che doveva spiccare il volo e assaggiare ciò che il mondo poteva offrirle, oppure accettare che la sua vita rimanesse impacchettata nel paesino in cui era cresciuta, circondata dalla cerchia affettuosa di amiche le cui uniche ambizioni erano sposarsi, avere grandi famiglie e fregarsene di ciò che c’era là fuori.
«No?» Sembrava che non le credesse.
«No. Ho ventidue anni e vivo in un appartamento a Hampstead. Ora, vuole che le fissi un appuntamento con la signorina Hawes domattina o no?»
«Continua a dimenticare che possiedo l’azienda. La vedrò domani, certo, ma l’appuntamento non serve.»
Arrogante. Ecco la parola che aveva cercato per definirlo. Incrociò le braccia e lo guardò.
«Bene. Adesso, forse, può anche andarsene...»
«Ha mangiato?»
«Come?»
«Ho detto...»
«Ho sentito ciò che ha detto, signor Leoni. Mi chiedevo solo cosa intendeva dire.»
«Intendevo dire che le chiedo di cenare con me, signorina Jacobs.»
«Scusi? Mi spiace... non posso... di solito non...»
«Non accetta inviti a cena da parte di estranei?» insinuò lui, socchiudendo gli occhi scintillanti di trattenuta ilarità.
«Esatto» lo informò svelta. «So che le sembrerà strano, ma io...» Cosa stava cercando di dire? Voleva davvero iniziare un lungo monologo che rivelasse a quell’uomo quanto ancora fosse ingenua? Non era venuta a Londra nella speranza di guadagnare un po’ di fascino sofisticato?
«Non mordo, signorina Jacobs.» Si allontanò dalla scrivania e lei lo guardò circospetta. Se voleva farle credere di essere innocuo allora stava su un altro pianeta. Per quanto fosse ingenua, non era nata ieri.
«È una mia dipendente. Lo chiami mantenere buoni rapporti con qualcuno che lavora per me. Inoltre...»
Aveva di nuovo quello sguardo indagatore che la fece sentire ansiosa. «Mi piacerebbe sapere qualcosa in più su di lei. Sapere che mansioni ha... E se non crede ancora alla mia identità...» Sospirò e tirò fuori il portafoglio, lo aprì e mostrò una lettera per Alison, con il proprio nome stampato sul fondo, accompagnato dal titolo che lo indicava senza ombra di dubbio come il capo.
Ruth scorse brevemente la lettera e notò che, senza troppi giri di parole, diceva che la rivista non aveva venduto abbastanza e che era ora di mettersi al lavoro e risolvere la cosa. Probabilmente, questo era il motivo per cui era comparso alle diciannove e trenta di venerdì.
«Allora» disse senza alcuna traccia di rimorso per averla lasciata sguazzare in un incubo di possibilità, quando avrebbe potuto evitarlo identificandosi fin dall’inizio. «Mi crede?»
«Grazie. Sì.»
«Quali sono le sue mansioni?»
«Nulla d’importante» rispose in fretta, nel caso che gli passasse per la testa d’interrogarla sui dettagli della gestione di una rivista. «Faccio un po’ di tutto. Scrivo, rispondo al telefono, procuro ciò che serve... tutto qui.»
«Mi racconti il resto a cena.» Le sfiorò la mano riprendendosi la lettera, e Ruth sentì qualcosa dentro di sé. Non aveva mai conosciuto un uomo così. I suoi tre ex fidanzati erano stati bravi ragazzi del suo paesino, persone che si accontentavano di vivere con modeste aspirazioni, senza quella gran voglia di afferrare la vita a piene mani e godersela.
Franco Leoni, era evidente, amava le sfide.
«Perché non chiudiamo e troviamo qualcosa da mangiare?» Era così vicino, adesso, che le si drizzarono i peli sulla nuca. A quella distanza era perfino più sconcertante.