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Il profumo della vendetta: Harmony Collezione
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Il profumo della vendetta: Harmony Collezione
E-book166 pagine2 ore

Il profumo della vendetta: Harmony Collezione

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Info su questo ebook

Marco Borsatto è stato il primo uomo a insegnare a Stacey Jackson cosa fosse la passione... per poi spezzarle il cuore. Le sue ignobili accuse hanno lasciato il segno nel cuore della giovane cameriera, che da quel momento non ha più permesso a nessuno di avvicinarsi tanto da poterla ferire di nuovo.



Marco non è un uomo che dimentica facilmente. Così, quando si trova a salvare Stacey in una situazione di pericolo, gli basta inalare il suo profumo inebriante per ricordare la chimica esplosiva che li univa e il tradimento che lo ha devastato. Non le permetterà di sfuggirgli un'altra volta. Quale vendetta migliore di una lenta, irresistibile seduzione?
LinguaItaliano
Data di uscita20 mar 2018
ISBN9788858978474
Il profumo della vendetta: Harmony Collezione

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    Anteprima del libro

    Il profumo della vendetta - Bella Frances

    successivo.

    1

    Non sei il giocattolo di nessuno, Stacey Jackson. Se lo ripeté ancora una volta, premendo con le dita l'angolo dell'occhio sinistro per bloccare le lacrime che minacciavano di sgorgare copiose. Non era il giocattolo né lo zimbello di nessuno. E non aveva intenzione di chiedere scusa.

    Avrebbe perso il lavoro, di nuovo. Ma in fondo si era stancata del Casinò Decker. I turni infiniti, gli orari impossibili, i sorrisi falsi...

    Il lavoro di croupier era estenuante.

    La goccia che aveva fatto traboccare il vaso era stata essere costretta a indossare quel ridicolo vestito, sempre che si potesse definire tale.

    Sottili strisce di tessuto tenute insieme dalla pura fortuna e continuamente fatte a pezzi dall'immaginazione perversa dei clienti.

    La faceva sembrare una prostituta, più che una dipendente del casinò e l'aveva fatto immediatamente notare a Bruce, che le aveva risposto di chiudere la bocca e mettersi al lavoro. Lei aveva obbedito, le servivano i soldi, dopotutto. Tuttavia nel momento in cui si era chinata sulla ruota della roulette e aveva sentito su di sé il suo sguardo famelico, insieme a quelli dei suoi viscidi clienti, non era più riuscita a controllarsi e gli aveva detto esattamente ciò che pensava di lui e di quel posto, prima di correre a rinchiudersi in bagno.

    Si portò una mano agli occhi e asciugò una lacrima ribelle, poi frugò nella borsetta che aveva appesa al polso in cerca del necessario e sistemò il trucco con mano esperta. Osservò il riflesso del proprio viso nello specchio. Un viso che le aveva causato tanti problemi nel corso dei suoi tormentati ventisei anni di vita. Certo, era grazie a quel viso che aveva ottenuto il posto di lavoro al Decker, così come ogni lavoro prima di quello, tuttavia per quanto tempo ancora avrebbe potuto continuare a vivere di rendita, prima che i segni del tempo e delle avversità che aveva dovuto affrontare diventassero evidenti? Temeva quel momento e, allo stesso tempo, non poteva fare a meno di chiedersi se finalmente a quel punto le persone avrebbero iniziato a prenderla sul serio, vedendola come qualcosa di più di un bel visino su un corpo sinuoso.

    I suoi grandi occhi blu furono attraversati da un lampo d'ira. Aveva gli stessi occhi di suo padre.

    Devi amare prima di tutto te stessa, se vuoi che gli altri ti amino, le aveva detto.

    Facile per lui. Il suo ultimo gesto d'amore era stato arruffarle i capelli, salire in macchina e prendere la strada più veloce per il luogo più lontano possibile.

    Stacey si morse il labbro, scacciando l'ombra di quei ricordi. In quel momento non poteva assolutamente abbandonarsi al sentimentalismo. Doveva raccogliere le sue cose e andarsene di lì. Non avrebbe certo aspettato di essere licenziata. Bruce poteva tirare i suoi maledetti dadi da solo, per quel che la riguardava. Lei avrebbe liberato il più in fretta possibile lo squallido appartamento che aveva affittato e sarebbe salita sul primo autobus diretto a... New York.

    Perché no? Aveva già tentato la sorte su diverse navi da crociera e poi era approdata ad Atlantic City. Doveva pur esserci un posto sulla terra, per lei. Perché una cosa era certa, non sarebbe mai tornata alla Fine del mondo, Montauk, Long Island, prima di aver fatto qualcosa per mettere a tacere i pettegolezzi.

    Serrò le labbra. Sì, avrebbe avuto un lavoro invidiabile e un bell'appartamento. E un fidanzato, magari. Un uomo onesto e affidabile, che l'avrebbe amata e protetta.

    Prima di tutto, però, doveva andarsene da lì. Aprì la porta e si avviò nel locale buio, in cui aleggiava un penetrante odore di alcool e disperazione. Mentre si avvicinava alla porta a specchio del casinò colse il proprio riflesso e pensò che, se non altro, il vestito portava la firma di un famoso stilista, perciò sarebbe riuscita a rivenderlo in un batter d'occhio. Questo l'avrebbe ripagata di una certa quantità di mance e straordinari arretrati che di certo non sarebbe riuscita a incassare.

    Le porte automatiche si aprirono silenziosamente e, calcando intenzionalmente i piedi sulla scritta bianca che campeggiava al centro del tappeto nero all'ingresso del locale, scese i pochi gradini che la separavano dal marciapiede.

    Aveva iniziato a lavorare con il buio, adesso, però, il fresco della notte aveva ceduto il posto a una giornata calda e limpida. Alzò una mano a ripararsi gli occhi e i raggi del sole che le danzavano sulla pelle nuda delle braccia la scaldarono. Trovarsi all'aria aperta, alla luce, le dava una sensazione di libertà, tuttavia non era tanto sciocca da pensare di essere al sicuro. Non senza un lavoro e con un debito di ventimila dollari ancora da pagare, una cortesia di una certa Marilyn Jane Jackson... sua madre.

    Non gliene faceva una colpa, non avrebbe mai potuto. Sua madre era una donna orgogliosa, che aveva fatto di tutto per mantenere le apparenze. Tende nuove e nuovi vestiti: nella loro casa non era mai mancato nulla. Non la giudicava per questo, Montauk era piena di persone che si sentivano in diritto di giudicare la vita degli altri e immaginava che non fosse stato facile crescere una figlia da sola.

    «Ehi, dove credi di andare?»

    Dannazione. Aveva perso troppo tempo. A dispetto dei pensieri coraggiosi di poco prima, Stacey si sentì sprofondare il cuore. Bruce era un uomo temibile e non era abituato a sentirsi rispondere per le rime, tanto meno da una donna. Era decisamente nei guai.

    «Torna subito qui. Te lo devi guadagnare, quel vestito.»

    Non aveva bisogno di guardarsi alle spalle per sapere che si era mosso al suo inseguimento. Il semaforo scattò sul rosso, ma che alternativa aveva? Si mise a correre.

    Sentì delle grida e il suono di diversi clacson. Uno dei suoi tacchi si impigliò nell'orlo del vestito e lei si chiese distrattamente quanto uno strappo potesse aver abbassato il suo valore, subito dopo, però, il cofano lucente di una vettura di lusso occupò il suo campo visivo e fu paralizzata dalla sensazione di uno schianto imminente.

    Il fianco... il ginocchio... Miracolosamente, però, una volta a terra si accorse che nient'altro era stato colpito. Si lanciò in avanti, vagamente cosciente dello scatenarsi di altri clacson e di voci alterate. Solo in quel momento notò l'uomo.

    Dopo essere emerso dallo sportello del conducente, aveva raggiunto il centro della strada e ora si trovava di fronte a lei, alto e rassicurante.

    «Qui» le ordinò semplicemente. Lei si avvicinò e si lasciò circondare dalle sue braccia. Qualcosa dentro le disse che era la cosa giusta da fare.

    Si rendeva conto della presenza di numerose macchine intorno a loro, così come di quella di Bruce, ma era ancora più consapevole della forza e del calore dell'uomo, del profumo di pelle dei sedili dell'auto e del silenzio che la avvolse quando lo sportello si chiuse alle sue spalle.

    «Portami via di qui, per favore» gli chiese con un filo di voce.

    «Immediatamente» rispose lui premendo il piede sull'acceleratore. «Va tutto bene, sei al sicuro con me» aggiunse vedendola sussultare e afferrare la cintura di sicurezza.

    Non sono al sicuro con nessun uomo, pensò, limitandosi però a guardare fuori dal finestrino mentre la sua mente passava in rassegna tutte le possibilità.

    Forse Bruce aveva segnato il numero di targa. In quel caso era solo questione di tempo prima che qualche poliziotto corrotto fosse costretto a rivelargli il nome del proprietario. Non importava quanto quell'uomo fosse convinto di esserselo lasciato alle spalle, liberarsi di Bruce non sarebbe stato facile.

    Stacey cercò di calmarsi concentrandosi sui lucidi interni dell'auto.

    Doveva prendere delle decisioni, e in fretta.

    Osservò la mano dell'uomo, che stringeva con sicurezza il volante. La sua pelle aveva la sfumatura bronzea che solo un inverno a Barbados poteva garantire. Il completo di seta scuro lo identificava come un membro dei più esclusivi circoli privati dell'alta società e il suo profumo indicava ricchezza.

    Si raddrizzò leggermente sul sedile, inclinando la testa più che poteva senza provare dolore, per cercare di cogliere qualche dettaglio in più.

    Era passato molto tempo dall'ultima volta che era stata vicina a quel tipo di ricchezza, ma era cresciuta a stretto contatto con persone agiate e aveva imparato a valutare a colpo d'occhio la portata del portafoglio di un uomo.

    Era pronta a scommettere che possedesse il pacchetto completo: appartamento a Manhattan, ranch nel Montana, villa a Barbados.

    Non che la cosa la impressionasse più di tanto. Avrebbe comunque preferito incontrare un uomo povero ma di saldi principi. Alcuni individui erano convinti che i soldi dessero il diritto di comportarsi secondo il proprio volere. Rabbrividì al ricordo e voltò un po' di più la testa. Il dolore al collo la fece sussultare.

    «Va tutto bene. Stai tranquilla, ti sto portando in ospedale per un controllo.»

    Stacey guardò nervosamente fuori dal finestrino. Non si poteva permettere le spese dell'ospedale e, a dispetto delle voci sul suo conto, non avrebbe accettato un centesimo che non le fosse dovuto, da nessuno.

    «No, grazie» rispose, «puoi lasciarmi alla fermata dell'autobus più vicina.»

    «Certo. Prima, però, hai bisogno di un controllo medico. Ti sto portando al St Bart. Ti farò controllare dal mio medico di fiducia e una volta che lui avrà dato il via libera ti lascerò ovunque vorrai.»

    Stacey serrò gli occhi e scosse la testa. Perché gli uomini pensavano sempre di sapere quale fosse la cosa migliore da fare?

    «Sul serio, non voglio andare in ospedale. Non ho bisogno di un mucchio di radiografie.»

    «Tu non sai quello di cui hai bisogno, Stacey Jackson. Non l'hai mai saputo.»

    Sussultò, quasi fosse stata nuovamente colpita dalla macchina. Si girò a guardare direttamente l'uomo. Aveva sollevato un sopracciglio in un modo che conosceva alla perfezione.

    Il cuore le balzò in gola.

    Marco Borsatto.

    Il ragazzo che abitava in fondo alla strada. Il ragazzo del quale si era innamorata perdutamente. E che credeva si fosse perdutamente innamorato di lei.

    Povera piccola sciocca.

    «Marco. Oh, wow. Com'è piccolo il mondo.» Si agitò sul sedile, cercando di allontanarsi il più possibile da lui e si ritrovò premuta contro la portiera, il dolore ormai lancinante in tutto il corpo.

    «Davvero» rispose lui, tornando a concentrarsi sul traffico di Atlantic City. «All'inizio non ero sicuro fossi tu. D'altra parte con un'apparizione tanto plateale... Chi altri poteva essere?»

    «Plateale?»

    Le rivolse un'occhiata, inarcando un sopracciglio. «Plateale» ripeté enfaticamente.

    «Immagino che tu abbia ragione. Passare inosservata non è mai stato il mio forte.»

    Studiò il suo profilo mentre ridacchiava.

    Wow. Era ancora più bello di quanto ricordasse. E all'epoca era il ragazzo più ammirato della scuola, per non dire dell'intera città.

    Marco Borsatto. Cosa dire? L'ironia era che l'ultima volta che l'aveva visto era stata la prima in cui aveva messo in atto una delle sue fughe. In effetti era stato proprio lui la ragione di quella fuga, il giorno in cui il peso delle lacrime trattenute era divenuto impossibile da sopportare. Fino a quel momento, Marco era stato la sua forza, l'unica persona in quel covo di pettegoli snob di cui si fidasse. E aveva finito con essere il motivo per cui si era allontanata.

    «Dunque, a parte il lanciarti in modo drammatico in mezzo al traffico, si può dire che la vita sia stata generosa, con te? Hai un aspetto... be'...»

    Le rivolse un'altra occhiata, esaminandola da capo a piedi. Lei abbassò lo sguardo sul vestito che, se inizialmente si poteva considerare a malapena presentabile, ora sfiorava il limite dell'indecenza ed emise un gemito cercando di sistemarlo meglio che poteva.

    «Non mi lamento, grazie» rispose. «Non mi vesto in questo modo, normalmente... Stavo lasciando il lavoro» aggiunse sulla difensiva, ma le sue parole si trasformarono in un lamento soffocato quando la macchina incontrò una buca.

    «Non c'è bisogno che ti giustifichi con me» tagliò corto lui. La voce era calma e il quieto controllo che ricordava adesso era venato da una nota di fermo comando. «E non ti preoccupare, mi occuperò io di tutto.»

    Lascia che mi prenda cura io di te.

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